Geopolitica
Il ministro degli esteri olandese si dimette a causa del sostegno a Israele
Il ministro degli Esteri olandese Caspar Veldkamp si è dimesso in segno di protesta contro il rifiuto del governo di coalizione di imporre sanzioni a Israele per le sue azioni a Gaza.
Le dimissioni di Veldkamp e del ministro del Commercio estero Hanneke Boerma hanno ridotto il governo provvisorio olandese a soli 32 seggi su 150.
In una dichiarazione rilasciata sabato, il ministero degli Esteri ha affermato che «dopo una riunione del governo sulla situazione a Gaza», il partito Contratto Sociale (NSC), di cui entrambi i funzionari sono membri, ha deciso di ritirarsi dal governo di coalizione provvisorio.
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Veldkamp, che in precedenza era stato ambasciatore olandese in Israele, aveva sostenuto il divieto di importazioni dagli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati in risposta alla continua offensiva militare israeliana a Gaza.
In una dichiarazione pubblicata venerdì sul suo sito web, il partito ha affermato di aver chiesto «misure aggiuntive» contro Israele alla luce del «sempre più deteriorato stato umanitario a Gaza». Tuttavia, gli altri due partner della coalizione si sono rifiutati di sostenere le sanzioni, spingendo il Consiglio di sicurezza nazionale a ritirarsi in segno di protesta.
Giovedì, i Paesi Bassi, insieme ad altre 20 nazioni, hanno firmato una dichiarazione congiunta che condanna i piani israeliani di costruire un insediamento illegale nella Cisgiordania occupata. Il mese scorso, Amsterdam ha dichiarato due ministri israeliani intransigenti persone non grate.
A giugno, il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares aveva invitato l’UE a «sospendere immediatamente» l’accordo di associazione UE-Israele e a imporre il divieto di vendita di armi a Israele.
Alla luce dell’operazione militare israeliana in corso a Gaza, un numero crescente di paesi occidentali tradizionalmente filo-israeliani, tra cui Francia e Regno Unito, hanno espresso negli ultimi mesi la loro disponibilità a riconoscere ufficialmente lo Stato palestinese.
All’inizio di questa settimana, le forze di Difesa israeliane (IDF) hanno annunciato l’inizio di un’operazione per prendere il pieno controllo della città di Gaza.
Il PVV, «Partito per la libertà» vincitore delle elezioni neerlandesi di due anni fa ha per leader notissimo il leader Geert Wilders, il quale si dichiara «filosemita» e «sionista», e supporta la «soluzione ad uno Stato» in Palestina, al punto da chiamare la Giordania «l’unico Stato palestinese che mai esisterà». Il leader del PVV ha visitato spesse volte Israele, iniziando sin da 17enne, quando soggiornò per sei mesi in Cisgiordania all’interno di un moshav, una fattoria tipica dei pionieri sionista. Ha rapporti consolidati con l’ex ministro Avigdor Lieberman, leader del partito nazionalista laico Yisrael Beitenu («Israele è la nostra casa»).
Ciò non lo ha messo in salvo rispetto al giudizio di enti di controllo del pensiero. Nel dicembre 2008, infatti, l’ottavo studio «Monitor Racism and Extremism», condotto dalla Fondazione Anne Frank e dall’Università di Leida, ha rilevato che il Partito per la Libertà può essere considerato di «estrema destra», anche se «con i se e con i ma».
Wilders è sposato con Krisztina Wilders Márfai, ex diplomatica ungherese di origine ebraica, si professa agnostico, ma considera i cristiani suoi «alleati», sostenendo che vogliono la stessa cosa.
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Come riportato da Renovatio 21, per Israele in Olanda nel novembre 2024 erano scattate tensioni all’altezza delle rivolte seguite alla partita di Europa League tra Maccabi Tel Aviv e Ajax.
I sostenitori della squadra israeliana erano stati aggrediti nella capitale olandese mentre uscivano dalla Johan Cruyff Arena. Secondo quanto riferito dal ministero degli Esteri israeliano, almeno dieci persone sarebbero rimaste ferite nella colluttazione.
Con un tatto tutto israeliano, l’IDF, dopo iniziali dichiarazioni di intervento, fece marcia indietro sull’invio di una missione di soccorso ad Amsterdam per aiutare gli ultras dello Stato Giudaico.
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Immagine di Ministerie van Buitenlandse Zaken via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Geopolitica
Orban: l’UE annega nella corruzione
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Geopolitica
Per gli USA ora la normalizzazione delle relazioni con la Russia è un «interesse fondamentale»
Gli Stati Uniti hanno indicato il rilancio dei rapporti normali con la Russia e l’interruzione rapida della guerra in Ucraina come priorità assolute nella loro nuova Strategia per la sicurezza nazionale, diffusa venerdì dalla Casa Bianca, ponendoli tra gli obiettivi cardine per gli interessi americani.
Il documento di 33 pagine delinea la prospettiva di politica estera delineata dal presidente Donald Trump, affermando che «è un interesse essenziale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina», al fine di «stabilizzare le economie europee, scongiurare un’escalation o un allargamento imprevisto del conflitto e ricostruire la stabilità strategica con la Russia».
Si evidenzia come il conflitto ucraino abbia «profondamente indebolito le relazioni europee con la Russia», minando l’equilibrio regionale.
Il testo rimprovera i dirigenti europei per le «aspettative irrealistiche» sull’evoluzione della guerra, precisando che «la maggioranza degli europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle politiche adottate».
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Washington, prosegue il rapporto, è disposta a un «impegno diplomatico sostanziale» per «supportare l’Europa nel correggere la sua rotta attuale», reinstaurare l’equilibrio e «ridurre il pericolo di scontri tra la Russia e gli Stati europei».
A differenza della strategia del primo mandato di Trump, che accentuava la rivalità con Russia e Cina, la versione attuale sposta l’asse sull’emisfero occidentale e sulla tutela del suolo patrio, dei confini e delle priorità regionali. Esorta a riallocare le risorse dai fronti remoti verso minacce più immediate e invita la NATO e i Paesi europei a farsi carico in prima persona della propria sicurezza.
Il documento invoca inoltre l’arresto dell’espansione della NATO, una pretesa a lungo avanzata da Mosca, che la indica come una delle ragioni principali del conflitto ucraino, interpretato come una guerra per interposta persona orchestrata dall’Occidente.
In sintesi, la strategia segna un passaggio dall’interventismo universale a un approccio estero più pragmatico e contrattuale, sostenendo che gli Stati Uniti debbano intervenire oltre i propri confini solo quando gli interessi nazionali sono direttamente coinvolti.
Si tratta del primo di una sequenza di rilevanti atti su difesa e politica estera che l’amministrazione Trump si accinge a emanare, tra cui una Strategia di Difesa Nazionale rivista, la Revisione della Difesa Missilistica e la Revisione della Postura Nucleare, tutti attesi in linea con l’impostazione del documento.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Israele potrebbe iniziare a deportare gli ucraini
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