Cina
Pechino avvia in Tibet i lavori per la diga di Motuo, la più grande al mondo
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Progettata a oltre 4mila metri di altezza sul corso del Yarlung Tsangpo, il fiume sacro ai tibetani che in India diventa il Brahmaputra, prevede un sistema di cinque impianti a cascata che produrranno energia equivalente ai consumi dell’intero Regno Unito. Preoccupazioni per la collocazione in un’area soggetta a terremoti e per lo spostamento forzato di popolazioni. Le ricadute politiche nei rapporti con Delhi e Dhaka sul tema cruciale della gestione delle acque.
Sono ufficialmente iniziati i lavori per la costruzione del più ambizioso progetto idroelettrico al mondo, la cui entrata in funzione è prevista per il 2030. Si tratta della diga di Motuo, che sorgerà nel tratto inferiore del fiume Yarlung Tsangpo, il più alto del mondo. Il fiume, considerato sacro, nasce sull’altopiano tibetano a circa 4.500 metri di altitudine, attraversa l’India dove prende il nome di Brahmaputra, e infine raggiunge il Bangladesh, diventando il Jamuna. Il progetto prevede la costruzione di cinque centrali idroelettriche a cascata, capaci di generare fino a 300 miliardi di chilowattora l’anno – l’equivalente del consumo elettrico annuale del Regno Unito nel 2024.
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Per massimizzare il rendimento energetico del fiume, il corso d’acqua sarà in parte deviato: in un tratto di appena 50 chilometri, scenderà di oltre 2mila metri di dislivello, sprigionando una forza idroelettrica persino superiore a quella della Diga delle Tre Gole, l’altro gigantesco impianto in funzione sullo Yangtze nella provincia dell’Hubei. Il progetto rappresenta un tassello cruciale nella strategia cinese per raggiungere l’obiettivo zero emissioni entro il 2060. Tuttavia, come tutti i progetti di questa portata, la diga non avrà solo un impatto energetico, ma anche ripercussioni economiche, ambientali e politiche.
Secondo quanto riportato dall’agenzia statale cinese Xinhua, la nuova struttura ha un costo di 1,2 trilioni di yuan (151 miliardi di euro, ndr) – più del doppio rispetto alla diga delle Tre Gole, che costò 57 miliardi – promettendo una generosa spinta all’economia interna. I settori maggiormente coinvolti sono quelli dell’edilizia, del cemento e dell’acciaio. Le azioni di Power Construction Corp., China Energy Engineering Corp., Huaxin Cement Co., Anhui Conch Cement Co. hanno registrato notevoli aumenti in seguito alla notizia. Secondo gli analisti di Citigroup Inc, il progetto potrebbe incrementare la crescita del Pil della Cina di quasi lo 0,1% già nel primo anno di costruzione.
Tuttavia, a causa della sua posizione e degli effetti del cambiamento climatico, secondo alcuni esperti il progetto sarebbe esposto ad enormi rischi. In primo luogo, un elevato rischio sismico: la Gola dello Yarlung Tsangpo si trova in una delle aree tettoniche più attive dell’Asia, dove la placca indiana spinge sotto quella eurasiatica, sollevando l’Himalaya. Inoltre, poiché i ghiacciai del bacino si riducono in risposta ai cambiamenti climatici, è aumentata la frequenza delle frane lungo il corso del fiume. Proprio in quest’area, nel 2021, il crollo del ghiacciaio ha provocato un’enorme frana con un volume stimato di 100 milioni di tonnellate di roccia e ghiaccio.
Oltre ai danni ambientali, eventi di questo tipo provocano gravi crisi di sfollamento di intere comunità di persone. In un’intervista riportata dalla Columbia Climate School, Bryan Tilt, professore di antropologia all’Oregon State University e studioso delle dighe e dello sviluppo in Cina, ha sottolineato come il reinsediamento causato da grandi opere infrastrutturali rappresenti «una questione sociale e politica controversa nella Cina di oggi», aggiungendo che essendo un’area etnicamente tibetana la gestione della situazione potrebbe rivelarsi ancora più controversa. La diga delle Tre Gole, più piccola, provocò lo sfollamento di circa 1,4 milioni di persone.
Infine, poiché lo Yarlung Tsangpo attraversa lo stato dell’Arunachal Pradesh nel nord-est dell’India – che la Cina rivendica come suo territorio – e confluisce poi nel fiume Brahmaputra proseguendo il suo corso verso il Bangladesh, il progetto è particolarmente sensibile dal punto di vista diplomatico.
A gennaio, l’India ha espresso formalmente la propria preoccupazione, e nei mesi successivi il ministro degli Affari Esteri ha annunciato che sarebbero state attuate misure preventive e correttive per proteggere gli interessi nazionali. Il recente riacutizzarsi delle tensioni tra India e Pakistan ha reso ancora più evidente i rischi connessi al controllo dell’acqua. Secondo la stampa locale, la diga potrebbe deviare fino all’80% del flusso del fiume o, al contrario, aumentare i rischi di inondazione nelle aree a valle dell’Arunachal e del vicino Stato dell’Assam.
Inoltre, un’analisi del Lowy Institute, un think tank con sede in Australia, ha sottolineato come il controllo esercitato dalla Cina sulle risorse idriche dell’altopiano tibetano conferisca a Pechino una posizione di vantaggio sull’economia indiana. In risposta, New Delhi ha rilanciato un proprio progetto: la costruzione dell’Upper Siang Multipurpose Project, una diga sul fiume Siang (il nome con cui il Brahmaputra viene chiamato nell’Arunachal Pradesh).
L’obiettivo principale sarebbe la gestione delle inondazioni e la tutela delle popolazioni locali, mentre la produzione di energia resterebbe un beneficio secondario. A sorpresa, però, il capo del governo dell’Assam, ha espresso un punto di vista meno critico. Secondo lui, la riduzione del flusso d’acqua potrebbe aiutare ad attutire l’impatto delle inondazioni, un problema frequente nella zona.«Nell’immediato, non sono preoccupato» ha dichiarato, «il Brahmaputra è un fiume potente e non dipende da un’unica fonte».
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Anche il Bangladesh ha espresso le proprie preoccupazioni alla Cina riguardo agli effetti del progetto idroelettrico sullo Yarlung Tsangpo. Durante un incontro bilaterale, entrambi i Paesi hanno sottolineato la necessità di una maggiore cooperazione, ricordando il 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Dhaka e Pechino, celebrato quest’anno.
Tuttavia, secondo Sharif Jamil, ambientalista e rappresentante nazionale del Bangladesh per l’ONG Riverkeeper, il Paese rischia di trovarsi schiacciato tra le decisioni unilaterali di Cina e India, senza alcun potere reale nella gestione delle risorse idriche. A complicare ulteriormente il quadro, aggiunge Jamil, non esiste attualmente alcun trattato vincolante tra i Paesi del bacino del Gange-Brahmaputra-Meghna (GBM) che regoli la condivisione delle acque transfrontaliere.
Anche in altre zone la Cina sfrutta i flussi idrici a proprio vantaggio a scapito degli Stati a valle e dell’ambiente. Nel bacino del Mekong, già colpito dai cambiamenti climatici, lo sviluppo idroelettrico cinese sta minacciando la sicurezza alimentare e idrica della regione perché Pechino ha costruito a monte diverse dighe che le permettono di controllare il flusso del fiume.
Si stima che la Cina abbia costruito 22.000 grandi dighe per contribuire ad alimentare decenni di rapida industrializzazione e crescita economica – circa il 40% del totale mondiale.
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Immagine di JL Cogburn via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Bizzarria
Ballerini su ghiaccio cinesi indagati per un missile pelouche
🌐🇨🇳Message sent? – How else to explain the actions of Chinese athletes.
Chinese figure skaters showed a toy ballistic missile DF-61, their actions will be investigated . Chinese figure skaters showed a plush toy in the shape of an intercontinental ballistic missile — the… pic.twitter.com/Iu5AL1QUEz — 🌐geopolitics in the picture (@geogeolite) October 28, 2025
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Cina
Partita autunnale tra Santa Sede e Pechino
Mentre il Partito Comunista Cinese aumenta la pressione sulla Chiesa cattolica in Cina, la consacrazione episcopale del nuovo vescovo ausiliare di Shanghai, il 15 ottobre 2025, riaccende le tensioni e illustra tutta la complessità del dossier avvelenato ora sulla scrivania di Papa Leone XIV.
L’ordinazione episcopale del vescovo Wu Jianlin si è svolta il 15 ottobre con misure di sicurezza degne di quelle imposte durante l’epidemia di COVID-19 nel Regno di Mezzo. Al punto che alcuni testimoni l’hanno descritta come una «cerimonia gremita»: circa seicento fedeli, tra sacerdoti, religiosi e laici, selezionati con cura, hanno partecipato all’evento, ma sono stati sottoposti a rigorosi controlli.
Consegna obbligatoria dei cellulari all’ingresso, controlli di accesso e una laconica dichiarazione ufficiale dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, che ignora le varie parole – peraltro molto consensuali – pronunciate dai prelati sul posto.
La cerimonia non ha mancato di lasciare un retrogusto: il prelato che ha presieduto la cerimonia non era altri che mons. Joseph Shen Bin, vescovo di Shanghai e presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, non riconosciuto da Roma e strettamente soggetto al Partito Comunista Cinese (PCC).
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Il vescovo Shen Bin, la cui nomina nell’aprile 2023 è stata imposta unilateralmente da Pechino, prima di essere ratificata retroattivamente da papa Francesco il 15 luglio, era circondato da tre vescovi riconosciuti in base all’accordo provvisorio concluso tra la Santa Sede e il Vaticano nel 2018: il vescovo Yang Yongqiang di Hangzhou, il vescovo Li Suguang di Nanchang e il vescovo Xu Honggen di Suzhou.
La situazione non è migliore per il vescovo ordinato il 15 ottobre: l’elezione del vescovo Wu Jianlin, 55 anni e originario del distretto di Chongming, risale al 28 aprile 2025, periodo in cui la sede papale è vacante. Non si tratta di una circostanza di poco conto: ha permesso al regime cinese di aggirare i fragili meccanismi di consultazione previsti dall’accordo provvisorio del 2018.
Il nuovo prelato, che ha assunto l’incarico di amministratore diocesano dopo la morte del precedente vescovo nel 2013, incarna la fedeltà alla linea del presidente Xi Jinping. La sua approvazione da parte di Papa Leone XIV, datata 11 agosto 2025, è stata rivelata dalla Sala Stampa vaticana il giorno stesso dell’ordinazione: un modo per dimostrare che la Santa Sede si è trovata ancora una volta di fronte al fatto compiuto.
La consacrazione del 15 ottobre risuona come un gesto di fragile unità, illustrato dal messaggio inviato dal vescovo Thaddée Ma Daqin, l’altro vescovo ausiliare di Shanghai, confinato nel seminario di Sheshan per tredici anni per essersi dimesso dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, dimostrando così la sua distanza dal PCC.
Assente alla cerimonia, il vescovo Ma Daqin, ordinato nel 2012 con l’accordo del Vaticano, ha espresso il suo auspicio per l’armonia sulla rete WeChat controllata da Pechino: «sono lieto di apprendere che il vescovo Shen Bin ha ordinato stamattina padre Wu Jianlin come vescovo ausiliare. Credo fermamente che, con questo collaboratore, il vescovo Shen potrà guidare le opere della Chiesa cattolica a Shanghai verso uno sviluppo sempre maggiore, per la maggior gloria del Signore».
Eppure, lungi dal suscitare una gioia unanime, questa ordinazione provoca una lacerazione personale tra i cattolici di Shanghai, come testimonia una voce anonima raccolta da AsiaNews il 16 ottobre 2025: «a Shanghai, dovremmo gioire o dovremmo piangere?», si chiede questo fedele locale.
L’incoronazione del vescovo Wu Jianlin avviene in un contesto di relazioni sino-vaticane erose nel tempo: Sandro Magister interpreta questa sequenza come una manifestazione dell’arroganza di Pechino, amplificata dalla «sinizzazione» delle religioni voluta da Xi Jinping. L’accordo del 2018, che affida alle autorità cinesi la proposta iniziale dei candidati episcopali prima dell’approvazione papale, verrebbe così «disprezzato», nelle parole dell’esperto vaticano.
E il Vaticano, dopo aver protestato nel 2023 contro l’insediamento del vescovo Shen Bin, si accontenterebbe di una conferma silenziosa, ratificando peraltro altre tre nomine cinesi dall’elezione di papa Leone XIV. «Se ignoriamo la verità dei fatti; se non interveniamo nella reclusione di un vescovo già legittimamente consacrato (…), è ancora questa la comunione voluta da Cristo?», si chiede il vaticanista italiano, che parla di uno «schiaffo in faccia» dato al nuovo sovrano pontefice.
Più che uno schiaffo in faccia per un papa – Xi Jinping non è certo Filippo il Bello – potrebbe trattarsi di una prova? Da bravi giocatori di Go, gli inventori del gioco più antico del mondo elogiano l’efficacia delle famose «mosse sentite», che costringono l’avversario a rispondere per mantenere l’iniziativa. La sfida per Roma sarebbe ora quella di riconquistare il vantaggio perso, probabilmente durante il precedente pontificato.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine da FSSPX.News
Cina
La Casa Bianca annuncia l’incontro Trump-Xi
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