Economia
La Zambia è il primo Paese in default da C19
A partire da venerdì 13 novembre, la nazione africana dello Zambia è diventata la prima nazione in «insolvenza COVID» ufficiale, dopo che gli obbligazionisti hanno rifiutato la richiesta delo Stato per un’estensione di sei mesi su un pagamento di interessi di $ 42 milioni, originariamente dovuto il 15 ottobre.
Lo Zambia è solo un passo avanti rispetto alle altre nazioni in via di sviluppo, molte delle quali sono sopravvissute a malapena alla «prima ondata» della pandemia – rinviando gli obblighi finanziari – ma probabilmente non sopravviveranno alla seconda, scrive EIR.
Lo Zambia è solo un passo avanti rispetto alle altre nazioni in via di sviluppo, molte delle quali sono sopravvissute a malapena alla «prima ondata» della pandemia – rinviando gli obblighi finanziari – ma probabilmente non sopravviveranno alla seconda
Le obbligazioni zambiane immediatamente inadempienti sono detenute da un consorzio di istituti di credito europei e americani che hanno prestato allo Zambia un totale di $ 3 miliardi, in tre diverse operazioni nel 2012, 2014 e il 2015, quando i prezzi del rame stavano aumentando vertiginosamente sulla scia della «Grande recessione» del 2008. I prestatori erano ansiosi di prestare, offrendo tassi di interesse del 5,4% a buon mercato, che sono rapidamente balzati all’8,5%, quindi all’8,9% per prestiti successivi (e più grandi), proprio mentre il prezzo del rame, la principale fonte di reddito estero dello Zambia, raggiungeva i massimi storici.
Il prestito cinese allo Zambia è ora stimato a 6,5 miliardi di dollari, sebbene i termini di questi prestiti non siano noti.
Lo Zambia si era rifiutato di accettare un prestito ” dal FMI, per il quale gli obbligazionisti stanno spingendo.
Diverse agenzie di stampa stanno ora osservando che questo è solo l’inizio per i default africani, indicando il Kenya e l’Etiopia, in particolare, come probabilmente i prossimi sul blocco di partenza del crash economico, sempre sulla base del loro indebitamento cinese
Diverse agenzie di stampa stanno ora osservando che questo è solo l’inizio per i default africani, indicando il Kenya e l’Etiopia, in particolare, come probabilmente i prossimi sul blocco di partenza del crash economico, sempre sulla base del loro indebitamento cinese.
Guardando oltre il continente africano, tuttavia, la professoressa Layna Mosley di Princeton osserva che «c’è la sensazione che la riduzione del debito e la ristrutturazione siano necessarie per molti paesi e che ritardare non farà che peggiorare il problema in molte parti del mondo».
Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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