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Geopolitica

Zelens’kyj licenza il suo ministro della Difesa

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Il presidente ucraino Vladimir Zelenskyj ha annunciato domenica un piano per sostituire il ministro della Difesa Oleksij Reznikov. La decisione sarà esaminata dal Parlamento del Paese la prossima settimana, ha detto il presidente ucraino in un discorso video.

 

Il presidente ha già proposto il nome del sostituto: Rustem Umerov, l’attuale capo del Fondo demaniale dell’Ucraina.

 

«Oleksij Reznikov ha attraversato più di 550 giorni di guerra su vasta scala», ha detto Zelenskyj in una dichiarazione in cui annunciava la sua decisione domenica sera. Il Ministero della Difesa «ha bisogno di nuovi approcci e nuovi formati di interazione sia con l’esercito che con la società nel suo insieme».

 

Il presidente ha detto che Umerov è «ben noto» al Parlamento e quindi non ha bisogno di ulteriori presentazioni.

 

«Mi aspetto che il Parlamento sostenga questa candidatura», ha dichiarato lo Zelens’kyj.

 

Umerov, un banchiere d’affari ucraino di origine tartara di Crimea, ha assunto lo scorso autunno la guida del Fondo demaniale. In precedenza era stato consigliere dell’ex presidente del cosiddetto Mejlis del popolo tartaro di Crimea, Mustafa Dzhemilev. L’organizzazione è stata messa fuori legge in Russia dal 2016 a causa di attività estremiste e collegamenti con altri gruppi estremisti e terroristici.

 

La scelta del tartaro Umerov è, quindi, un messaggio nemmeno tanto sottile riguardo le intenzioni negoziali: se non sono disposti a cedere alla Crimea, figuriamoci gli altri territori.

 

L’imminente destituzione di Reznikov era stata oggetto di numerose voci nelle ultime settimane, con diversi potenziali successori, tra cui Umerov, nominati dai media. Alcuni di quelli identificati, vale a dire il ministro delle Infrastrutture Aleksandr Kubrakov e il ministro delle industrie strategiche Aleksandr Kamyshin, avrebbero rifiutato l’offerta di lavoro.

 

Reznikov ha assunto l’incarico nel novembre 2021, poco prima che scoppiasse il conflitto tra Russia e Ucraina. Il suo mandato è stato rovinato da molteplici scandali di corruzione, che riguardano principalmente l’approvvigionamento di attrezzature e generi alimentari per l’esercito del paese a prezzi anormalmente gonfiati. Reznikov, non è stato personalmente coinvolto nell’ampliamento delle indagini sulla cattiva gestione dei contratti militari.

 

La decisione di sostituire il leopolitano Reznikov al vertice del Ministero della Difesa arriva mentre l’Ucraina è nel mezzo di una grande controffensiva, guadagnando lentamente territorio nel sud e nell’est. La settimana scorsa, funzionari ucraini hanno dichiarato di aver catturato il villaggio meridionale di Robotino, suggerendo che l’offensiva era penetrata nel primo strato di campi minati, trappole per carri armati, trincee e bunker che Mosca ha schierato tra le forze ucraine e la Crimea occupata dai russi.

 

Reznikov si era guadagnato elogi per aver negoziato il trasferimento di grandi quantità di armi occidentali donate, e aveva supervisionato l’espansione dell’esercito e la sua transizione da un arsenale di armamenti di eredità sovietica ai sistemi occidentali, anche mentre il suo paese era sotto attacco.

 

Quest’anno il Ministero della Difesa è stato colpito da una serie di accuse di cattiva gestione degli appalti militari e di corruzione a causa dell’aumento esponenziale del suo budget. A un certo punto, secondo i dati del governo, armi per un valore di 986 milioni di dollari contrattualmente stipulate dal ministero non furono consegnate entro le date specificate nei contratti. Alcune consegne arrivano con mesi di ritardo.

 

I giornalisti investigativi ucraini hanno riscontrato altri problemi con gli appalti militari, che sembrano mostrare enormi pagamenti in eccesso per forniture di base per l’esercito come uova, fagioli in scatola e cappotti invernali.

 

Mentre alcuni critici statunitensi della guerra citavano la corruzione come argomento per limitare gli aiuti militari all’Ucraina, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, la scorsa settimana ha incontrato tre funzionari ucraini di alto rango per discutere gli sforzi per eliminare la corruzione in tempo di guerra.

 

Gli scandali contrattuali hanno spinto alcuni a chiedere le dimissioni di Reznikov, ma sembra che il cambiamento non fosse stato previsto a Washington.

 

Venerdì, Reznikov avrebbe dovuto visitare il Pentagono più tardi questa settimana per incontrare il segretario alla Difesa Lloyd J. Austin III. I due uomini avevano contatti regolari e parlavano «relativamente frequentemente», secondo un funzionario americano che ha parlato in background mentre la notizia veniva diffusa domenica. Si ritiene che l’ultima volta che si siano incontrati di persona sia stato al vertice della NATO a Vilnius, in Lituania, a luglio.

 

La questione della corruzione in Ucraina, che Zelens’kyj aveva promesso di fermare sin dai tempi in cui era presidente solo nella serie TV «Servo del popolo», ora si incrocia con il pericoloso, destabilizzante problema del traffico di armi internazionale: dall’Occidente all’Ucraina, dall’Ucraina al mondo.

 

Vari soggetti in tutto il mondo lanciato l’allarme che le armi fornite a Kiev spesso finiscono nelle mani di gruppi criminali organizzati e terroristi in ogni parte del pianeta.

 

La questione delle armi «ucraine» finite ad alimentare il terrorismo in Africa era stata portata all’attenzione a fine 2022 dal presidente nigeriano Muhammadu Buhari. «Anche le armi utilizzate per la guerra in Ucraina e in Russia stanno iniziando a filtrare nella regione» ha dichiarato il presidente in una nota ufficiale.

 

Negli scorsi anche il presidente ad interim del Burkina Faso Ibrahim Traore ha dichiarato che le armi per l’Ucraina finiscono ai terroristi africani.

 

Come riportato da Renovatio 21, questa estate era emerso come il canale TV americano CBS News ha curiosamente cancellato un documentario in cui diceva di aver scoperto come solo il «30%» dell’assistenza militare inviata in Ucraina dai Paesi occidentali durante i primi mesi del conflitto con la Russia fosse effettivamente arrivata al fronte

 

Lo stesso Pentagono mesi fa aveva ammesso di non avere idea di che fine facessero le armi una volta varcato il confine, con la certezza che in parte finiscano al mercato nero. Il ramo arabo della testata russa Sputnik aveva in seguito scoperto che grandi quantità di armi americane regalate a Kiev sono ora sul Dark Web, spedite a chiunque le possa pagare con sofisticati sistemi di container cargo.

 

Armamenti americani destinati agli ucraini erano spuntati fuori in Siria, nella zona ancora turbolenta, e infestata di terroristi islamisti, di Idlib.

 

La portavoce degli Esteri del Cremlino Maria Zakharova ha preconizzato come le armi occidentali regalate agli ucraini finiranno nelle mani dei terroristi operanti in Europa.

 

La stessa Europol ha dichiarato che le armi spedite in Ucraina come «aiuti» saranno da gruppi criminali nel prossimo futuro.

 

Due mesi fa immagini prese ai confini degli USA mostravano un membro del famigerato cartello del Golfo del Messico che teneva in spalla un Javelin, l’arma anticarro americana fornita in enorme copia a Kiev, che evidentemente qualcuno ha fatto tornare dall’altra parte dell’Oceano.

 

Le armi, intanto, continuano a fluire: la città di Miami ha mandato a Kiev persino le armi confiscate ai criminali o accumulate nelle campagne di riacquisto di pistole e fucili legalmente detenuti da cittadini americani.

 

 

 

 

 

Immagine di U.S. Secretary of Defense via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

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Geopolitica

La Colombia accusa gli Stati Uniti di aver iniziato una «guerra»

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Il presidente colombiano Gustavo Petro ha accusato gli Stati Uniti di cercare di provocare una guerra nei Caraibi usando come pretesto una campagna antidroga, sottolineando che cittadini colombiani sono stati uccisi nei recenti attacchi al largo delle coste del Venezuela.

 

In un post sui social media di mercoledì, Petro ha sostenuto che la campagna non ha come obiettivo il narcotraffico, ma piuttosto il controllo delle risorse della regione. La Casa Bianca ha definito l’accusa «infondata», secondo Reuters.

 

Gli Stati Uniti hanno effettuato attacchi aerei contro presunte imbarcazioni coinvolte nel traffico di droga vicino al Venezuela, descrivendoli come un tentativo di contrastare il traffico di stupefacenti nei Caraibi. Washington accusa da tempo il presidente venezuelano Nicolas Maduro di legami con i cartelli della droga. Maduro ha smentito le accuse, sostenendo che gli attacchi siano parte di un piano per destituirlo.

 

Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno distrutto almeno quattro imbarcazioni che, a loro dire, trasportavano stupefacenti al largo delle coste del Venezuela, causando la morte di oltre 20 persone. Come riportato da Renovatio 21, Trump ha definito gli attacchi alle barche della droga come un «atto di gentilezza».

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«Le prove dimostrano che l’ultima imbarcazione bombardata era colombiana, con cittadini colombiani a bordo», ha scritto Petro.

 

Il presidente colombiano ha ribadito che la campagna statunitense non riguarda la lotta alla droga, ma il controllo delle risorse naturali. «Non c’è una guerra contro il contrabbando; c’è una guerra per il petrolio», ha dichiarato, definendo gli attacchi «un’aggressione contro tutta l’America Latina e i Caraibi».

 

Per anni, la Colombia è stata considerata il principale alleato di Washington in Sud America. Attraverso il Plan Colombia, un’iniziativa di aiuti multimiliardaria avviata dagli Stati Uniti nel 2000, i governi colombiani successivi hanno concesso alle forze armate statunitensi l’accesso alle basi locali e hanno appoggiato gli sforzi guidati dagli Stati Uniti per isolare il Venezuela. Questa politica è cambiata con l’elezione di Petro nel 2022, che ha lavorato per ristabilire le relazioni diplomatiche con Caracas e ha promosso una politica estera più indipendente e una maggiore cooperazione regionale.

 

Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate il Petro aveva dichiarato che la Colombia deve interrompere i legami con la NATO perché i leader del blocco atlantico sostengono il genocidio dei palestinesi. Bogotà la settimana scorsa ha espulso tutti i diplomatici israeliani, dopo aver rotto i rapporti con lo Stato Ebraico un anno fa e chiesto alla Corte Penale Internazionale di emettere un mandato di arresto per Netanyahu.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Svelato il profilo dell’accordo tra Israele e Hamas

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  Il piano di cessate il fuoco per Gaza proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump prevede il ritiro delle forze israeliane da vaste aree dell’enclave palestinese e la liberazione degli ostaggi rimanenti da parte di Hamas entro pochi giorni. Lo riportano varie testate giornalistiche internazionali.   Una fonte egiziana coinvolta nei negoziati ha dichiarato a Sky News Arabia che i mediatori hanno raggiunto un accordo per un «cessate il fuoco completo» e un «ritiro graduale dell’esercito israeliano dal 70% di Gaza».   Nel frattempo, la testata israeliana Ynet ha riportato che le forze israeliane dovrebbero ritirarsi entro 24 ore lungo una linea prestabilita, lasciando a Israele il controllo di circa il 53% dell’enclave. Questo includerebbe il ritiro delle IDF da Gaza City e da diverse altre aree centrali, secondo l’articolo.   L’agenzia Reuters scrive che Hamas rilascerebbe tutti gli ostaggi vivi entro 72 ore dall’approvazione del governo israeliano. In cambio, Israele libererebbe 250 palestinesi condannati all’ergastolo e 1.700 abitanti di Gaza detenuti dal 2023, incluse tutte le donne e i minori. Hamas detiene ancora circa 48 ostaggi, di cui Israele ritiene che circa 20 siano ancora in vita.   Dopo aver annunciato un progresso significativo nei negoziati, Trump ha dichiarato a Fox News che gli ostaggi saranno probabilmente rilasciati lunedì, promettendo che Gaza «sarà ricostruita».   «Gaza… diventerà un posto molto più sicuro… altri Paesi della zona aiuteranno la ricostruzione perché hanno enormi quantità di ricchezza e vogliono che ciò accada», ha affermato Trump, senza specificare quali nazioni siano coinvolte.   Nonostante l’apparente passo avanti, rimangono diverse questioni irrisolte, come la governance di Gaza nel dopoguerra e il destino di Hamas, che Israele ha giurato di eliminare completamente. Il piano di pace originale di Trump prevedeva un ruolo amministrativo limitato per l’Autorità Nazionale Palestinese, che governa parti della Cisgiordania, ma solo dopo significative riforme.

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Immagine di Jaber Jehad Badwan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Il Cremlino: i colloqui Russia-USA sull’Ucraina sono in «seria pausa». Nessun incontro Trump-Putin in agenda

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Il dialogo tra Russia e Stati Uniti per risolvere il conflitto in Ucraina si trova in una «seria pausa», ha dichiarato ai giornalisti il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.

 

Le sue parole seguono l’affermazione del viceministro degli Esteri Sergey Rjabkov, secondo cui lo slancio generato dal vertice in Alaska tra i presidenti Vladimir Putin e Donald Trump si è esaurito.

 

Giovedì Peskov ha ribadito la posizione di Rjabkov, sottolineando l’assenza di progressi verso una soluzione pacifica del conflitto con Kiev.

 

Le delegazioni russa e ucraina si sono incontrate più volte all’inizio dell’anno. Nell’ultimo incontro a Istanbul a luglio, le parti hanno deciso di creare tre gruppi di lavoro per sviluppare un piano di risoluzione che affronti questioni politiche, militari e umanitarie.

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Tuttavia, Peskov ha dichiarato che «non si sta muovendo nulla», suggerendo che Kiev non sia propensa a perseguire un processo di pace, aggrappandosi a false speranze di poter ribaltare la situazione sul campo di battaglia, una convinzione che ha definito irrealistica.

 

Peskov ha osservato che la posizione di Kiev è sostenuta dai suoi alleati europei. In precedenza, aveva notato che l’Occidente continua a spingere l’Ucraina a rifiutare il dialogo, alimentando una «isteria militarista» che ostacola gli sforzi di pace.

 

Rjabkov ha affermato all’inizio della settimana che i «sostenitori di una “guerra all’ultimo ucraino”, soprattutto tra gli europei», sono responsabili dell’esaurimento del «potente impulso» per trovare una soluzione al conflitto, generato durante il vertice di Anchorage ad agosto.

 

Poco dopo l’incontro tra Trump e Putin, diversi leader dell’UE hanno visitato Washington insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, cercando di persuadere il presidente americano ad allinearsi alla posizione europea sul conflitto.

 

Mosca ha ribadito la sua disponibilità a un accordo di pace, sottolineando però che qualsiasi intesa dovrà rispettare gli interessi di sicurezza nazionale della Russia e le attuali realtà territoriali sul campo.

 

Attualmente non è previsto un ulteriore incontro tra Putin e Trump, ha dichiarato ai giornalisti Peskov.

 

I due leader si sono incontrati l’ultima volta a metà agosto in Alaska, dove le discussioni si sono concentrate sugli sforzi di Washington per mediare la fine del conflitto in Ucraina. Tuttavia, Peskov ha sottolineato che un nuovo vertice «semplicemente non è all’ordine del giorno in questo momento».

 

Il portavoce del Cremlino ha affermato che il processo diplomatico è in stallo, accusando Kiev di aver abbandonato gli sforzi di pace per perseguire obiettivi militari.

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«Credono che qualcosa potrebbe cambiare in prima linea e che la situazione potrebbe volgere a loro favore», ha dichiarato Peskov, citato dai media russi. «Ma la realtà indica il contrario».

 

Il blocco diplomatico segue un cambiamento nella retorica di Trump, che il mese scorso ha dichiarato che, con sufficienti finanziamenti europei, l’Ucraina potrebbe riconquistare tutti i territori rivendicati, una posizione che Mosca ha definito irrealistica.

 

Zelens’kyj ha rinnovato le richieste per i missili Tomahawk a lungo raggio di fabbricazione statunitense. Putin ha avvertito che la consegna di armi con capacità nucleare rappresenterebbe una «grave escalation».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

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