Geopolitica
Yemen: nel 2022 oltre 20mila nuovi sfollati, bambini vittime delle bombe
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Il dato è contenuto in uno studio pubblicato in questi giorni dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Preoccupa anche l’escalation della tensione fra Mosca e Kiev per le ripercussioni sulle forniture di grano. In un ospedale di MESF morta una 12enne colpita in un bombardamento, tutti i feriti sono civili.
Dall’inizio dell’anno in Yemen vi sono oltre 20mila nuovi sfollati a causa delle violenze, dei combattimenti e di un clima di costante terrore che invita le persone alla fuga, strette tra la morsa della fame e il dramma di un conflitto dimenticato.
Il dato è emerso nell’ultimo rapporto sul Paese arabo, pubblicato in questi giorni dagli esperti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM). «Dal primo gennaio 2022 al 19 febbraio 2022 – spiega in una nota l’ente ONU – il Displacement Tracking Matrix (DTM) stima che 3.368 famiglie (pari a 20.208 individui) abbiano sperimentato almeno una volta la condizione di sfollato».
Secondo il rapporto la maggior parte degli sfollati si sono registrati nei governatorati di Marib, Hudaydah e Taiz.
Dall’inizio dell’anno in Yemen vi sono oltre 20mila nuovi sfollati a causa delle violenze, dei combattimenti e di un clima di costante terrore
Migliaia di persone che cercano di sfuggire a una guerra che ha registrato nelle ultime settimane una escalation militare fra i ribelli Houthi sostenuti dall’Iran e dalle forze filogovernative legate all’Arabia Saudita. Una progressione del conflitto che ha portato allo sfollamento di moltissime famiglie, unite a grandi perdite sul piano umano e materiale.
Il conflitto in Yemen è divampato nel 2014 come scontro interno e si è inasprito trasformandosi in guerra aperta con l’intervento, nel marzo 2015, di Riyadh a capo di una coalizione di nazioni arabe, che ha fatto registrare in questi anni oltre 130mila vittime.
Secondo le Nazioni Unite, la guerra ha provocato la «peggiore crisi umanitaria al mondo», sulla quale il COVID-19 ha sortito effetti «devastanti»; milioni di persone sono sull’orlo della fame e i bambini – 10mila morti nel conflitto – subiranno le conseguenze per decenni.
Gli sfollati interni sono oltre tre milioni, la maggior parte vive in condizioni di estrema miseria, fame ed epidemie di varia natura, non ultima quella di colera.
Attivisti, operatori umanitari ed esperti guardano poi con preoccupazione all’escalation della tensione fra Mosca e Kiev (questa mattina è iniziata l’operazione militare del Cremlino), che potrebbe avere pesanti ripercussioni anche nell’area mediorientale e in nazioni già molto provate, come lo Yemen.
Del resto diversi Stati arabi della zona – vedi anche Libano, Egitto, Tunisia per citarne alcuni –dipendono dall’importazione di grano russo e ucraino per soddisfare le esigenze locali. Sono Paesi che già sperimentano in misura più o meno elevata crisi alimentari e il potenziale aumento dei prezzi per la diminuzione della produzione, e della relativa offerta, rischia di inasprire ancor più le sofferenze di una popolazione alla fame.
Infine, sul fronte della guerra si continuano a registrare nuove vittime anche fra i minori come denunciano gli operatori di Medici senza frontiere (MSF) attivi nell’area. Nei giorni scorsi all’ospedale di Abs sono giunti 10 feriti e i cadaveri di una bambina di 12 anni e di una donna di 50 vittime dei bombardamenti nel governatorato di Hajja. Tutti i feriti, spiegano gli operatori, sono civili e la maggior parte sono donne e bambini, inclusa una gestante.
Thomas Curbillon, capo-missione di MSF in Yemen, sottolinea che «da quando i combattimenti si sono intensificati sulla linea del fronte vicino alla città di Haradh» e più di recente «nel distretto settentrionale di Abs» i sanitari «hanno ricevuto un numero significativo di persone ferite».
La nuova escalation è fonte di preoccupazione «per la sicurezza delle persone già colpite da anni di combattimenti e sfollamenti» e «per il terribile impatto degli attacchi indiscriminati”. “Chiediamo a tutte le parti in conflitto nel Paese – conclude Curbillon –- di rispettare il diritto umanitario internazionale e di adottare tutte le misure necessarie per proteggere la vita dei civili».
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Immagine di EU Civil Protection and Humanitarian Aid via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Geopolitica
Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela
Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.
L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.
«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.
Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».
Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.
Today, the Federal Bureau of Investigation, Homeland Security Investigations, and the United States Coast Guard, with support from the Department of War, executed a seizure warrant for a crude oil tanker used to transport sanctioned oil from Venezuela and Iran. For multiple… pic.twitter.com/dNr0oAGl5x
— Attorney General Pamela Bondi (@AGPamBondi) December 10, 2025
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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.
Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.
Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».
Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.
Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.
«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.
Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».
Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».
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Immagine screenshot da Twitter
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Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
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Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.
Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.
«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.
Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».
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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».
Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.
Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».
Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».
Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.
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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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