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Geopolitica

Voci israeliane esortano gli americani a non lasciare che Netanyahu parli davanti al Congresso

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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato invitato a parlare il 24 luglio a Washington prima di una sessione congiunta del Congresso. «Ma il Congresso ha commesso un terribile errore. La presenza di Netanyahu a Washington non rappresenterà lo Stato di Israele e i suoi cittadini, ma ricompenserà la sua condotta scandalosa e distruttiva nei confronti del nostro Paese», ha scritto un gruppo di personaggi noti dello Sato Ebraico in un editoriale del New York Times.

 

L’editoriale è stato firmato da David Harel (presidente dell’Accademia israeliana delle scienze e degli studi umanistici), Tamir Pardo (ex direttore del Mossad), Talia Sasson (ex direttrice del dipartimento compiti speciali dell’ufficio del procuratore di Stato israeliano), Ehud Barak (ex primo ministro israeliano), Aaron Ciechanover (premio Nobel per la chimica nel 2004), David Grossman (autore di narrativa, saggistica e letteratura per bambini).

 

Il gruppo di personaggi scrive che normalmente un simile invito verrebbe accolto come un onore e visto come un «gesto di benvenuto da parte del nostro più caro amico e alleato, al quale siamo profondamente e moralmente debitori». Gli estensori del pezzo si dicono favorevoli alla proposta americana, secondo cui le forze di pace internazionali avrebbero preso il controllo di Gaza per porre fine ai combattimenti e alleviare le sofferenze dei palestinesi, tuttavia Netanyahu è considerato come costante, principale ostacolo alla pace.

 

Proseguono affermando che, come condizione affinché Netanyahu possa parlare, il Congresso, come minimo, dovrebbe chiedere a Netanyahu di dimostrare un piano per porre fine alla guerra, liberare gli ostaggi e indire elezioni immediate in Israele.

 

I leader israeliani scrivono che «ormai da mesi molti di noi partecipano a manifestazioni a livello nazionale chiedendo il rilascio immediato degli ostaggi, la fine della guerra e elezioni immediate. I sondaggi israeliani mostrano che la maggioranza vuole elezioni immediate, o elezioni subito dopo la fine della guerra».

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«Gran parte degli israeliani hanno perso la fiducia nel governo di Netanyahu. È aggrappato al potere grazie ad una debole maggioranza parlamentare. Questa maggioranza ignora la difficile situazione di decine di migliaia di israeliani sfollati nel sud dopo l’attacco di Hamas e nel nord a causa degli attacchi di Hezbollah in Libano, e delle famiglie degli ostaggi, una forza potente ora in Israele».

 

«È qui che il discorso di Netanyahu al Congresso si adatta alle sue esigenze politiche. Senza dubbio sarà attentamente organizzato per sostenere la sua traballante presa sul potere e permettergli di vantarsi con i suoi elettori del cosiddetto sostegno americano alle sue politiche fallite».

 

«I suoi sostenitori in Israele saranno incoraggiati dalla sua apparizione al Congresso a insistere affinché la guerra continui, il che allontanerà ulteriormente qualsiasi accordo per garantire il rilascio degli ostaggi, tra cui diversi cittadini statunitensi».

 

«Dando a Netanyahu il palco a Washington non si fa altro che allontanare la rabbia e il dolore del suo popolo, espressi nelle manifestazioni in tutto il paese. I legislatori americani non dovrebbero permettere che ciò accada. Dovrebbero chiedere al signor Netanyahu di restare a casa».

 

Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa Netanyahu ha dissolto il gabinetto di guerra. Nell’ultimo mese avevano minacciato di lasciare il governo gli estremisti sionisti religiosi di Bezalel Smotrich e gli estremisti sionisti laici di Itamar Ben Gvir.

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Immagine di Speaker John Boehner via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

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Geopolitica

«Può combattere fino a consumare il suo piccolo cuore»: Trump sul possibile rifiuto di Zelens’kyj agli accordi

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Il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che il leader ucraino Volodymyr Zelens’kyj è libero di «continuare a combattere con tutte le sue forze» nel caso in cui rifiuti il piano di pace avanzato per chiudere il conflitto con la Russia.   Questa settimana Washington ha consegnato a Kiev una bozza aggiornata di proposta per porre fine alle ostilità, esortando la dirigenza ucraina ad approvarla entro giovedì prossimo. Secondo i media, il documento in 28 punti contempla diverse clausole finora respinte da Kiev e dai suoi alleati europei occidentali, tra cui l’abbandono delle ambizioni NATO e il taglio drastico delle forze armate ucraine.   Trump ha espresso questa posizione sabato, conversando con i reporter fuori dalla Casa Bianca, in risposta a una domanda su cosa accadrebbe in caso di rifiuto da parte di Zelens’kyj.   «Allora potrà continuare. Potrà continuare a combattere con tutto il suo cuore» («fight his little heart out»), ha replicato il presidente USA.

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Le sue parole riecheggiano quanto affermato venerdì, quando Trump aveva sostenuto che Zelens’kyj «dovrà accettare qualcosa» prima o poi, avvertendo che l’Ucraina si avvia verso un «inverno freddo» con le sue infrastrutture energetiche «sotto attacco, per usare un eufemismo».   «Dovrà piacergli e se non gli piace, allora, sai, dovrebbero semplicemente continuare a combattere, immagino», ha aggiunto riferendosi al piano.   Sempre secondo fonti giornalistiche, Washington ha già brandito la minaccia di sospendere gli aiuti militari e lo scambio di intelligence se Kiev respingesse la bozza. All’inizio dell’anno, gli Stati Uniti avevano impiegato la medesima strategia per convincere l’Ucraina ad accettare l’accordo di Trump sulle terre rare.

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Geopolitica

Wargame USA sulla cacciata di Maduro: il risultato è un «caos a lungo termine»

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Un’esercitazione ufficiale statunitense, condotta nel 2019, per rovesciare il presidente venezuelano Nicolás Maduro, ha concluso che, indipendentemente dal fatto che il rovesciamento fosse ottenuto tramite un colpo di stato militare, una rivolta popolare o un’azione militare statunitense, avrebbe prodotto «caos per un periodo di tempo prolungato senza possibilità di porvi fine». Lo riporta il New York Times.

 

L’esercitazione del 2019 ha coinvolto «funzionari di tutto il governo degli Stati Uniti, inclusi quelli del Pentagono e del Dipartimento di Stato». Il riassunto dell’esito dell’esercitazione citato è tratto dal rapporto non classificato sull’esercitazione del 2019, scritto per i funzionari del Pentagono dell’epoca dal consulente per la sicurezza nazionale ed ex reporter del Washington Post Douglas Farah, scrive il giornale neoeboraceno.

 

Il Farah, non considerabile come pro-Maduro, aveva partecipato all’esercitazione mentre era ricercatore presso la National Defense University. «Non si può avere un immediato cambiamento epocale» nel governo del Paese senza conseguenze, ha detto il giornalista, ​«non si avrebbe alcun comando e controllo sull’esercito e nessuna forza di polizia. Ci sarebbero saccheggi e caos. Qualsiasi dispiegamento militare statunitense volto a stabilizzare il Paese richiederebbe probabilmente decine di migliaia di soldati».

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Il New York Times ricorda che l’intervento militare statunitense ad Haiti nel 1994 per deporre la giunta militare richiese circa 25.000 uomini, e «il Venezuela è circa 33 volte più grande di Haiti, o circa il doppio della California». Allo stesso modo, George H.W. L’invasione di Panama da parte di Bush nel 1989 per rovesciare Manuel Noriega richiese 27.000 soldati statunitensi per «un Paese grande meno di un decimo del Venezuela».

 

 

Giorni fa il Segretario del dipartimento della Guerra Pete Hegseth ha elogiato la designazione, da parte del dipartimento di Stato, del cosiddetto «Cartel de los Soles» come “Organizzazione Terroristica Straniera» (FTO), una designazione che entrerà in vigore il prossimo 24 novembre. L’amministrazione Trump sostiene che il «cartello dei Soli», la cui esistenza non è mai stata provata, sia guidato da Nicolas Maduro e coinvolga i suoi massimi funzionari militari e di gabinetto.

 

La designazione FTO «apre un sacco di nuove opzioni» per le azioni contro i cartelli, sia via terra che via mare, che l’esercito statunitense può offrire al presidente, ha dichiarato Hegseth a One America News Network (OAN) in un’intervista andata in onda il 20 novembre. «Quindi nulla è escluso, ma nulla è automaticamente sul tavolo».

 

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Immagine screenshot da YouTube

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Geopolitica

Fico: la Russia emergerà come «vincitrice assoluta» nel conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha previsto che la Russia emergerà come «vincitrice assoluta» dal conflitto ucraino, qualora venisse approvato il piano di pace proposto dal presidente statunitense Donald Trump.   Questa settimana gli USA hanno consegnato a Kiev l’ultima bozza di intesa per porre fine alle ostilità con Mosca: un documento in 28 punti che, secondo i media, contempla numerose concessioni finora respinte da Kiev e dai suoi alleati occidentali, tra cui il rifiuto dell’adesione alla NATO, il dimezzamento delle forze armate ucraine e il ritiro delle truppe dalle porzioni del Donbass russo ancora controllate da Kiev.   Venerdì, in una conferenza stampa a Bratislava, Fico ha espresso il proprio appoggio alla proposta, definendola «sensazionale». Ha poi sferrato un duro attacco ai «falchi» europeisti pro-Kiev, accusando la «politica estera zero» dell’UE di aver condotto l’Ucraina alla sua attuale situazione drammatica.   «Con questo accordo, la posizione ucraina è cento volte peggiore rispetto ad aprile 2022», ha dichiarato Fico, alludendo all’intesa preliminare emersa dai negoziati di Istanbul all’inizio del conflitto, da cui Kiev si era ritirata unilateralmente.

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«Chi tra quei guerrafondai lo ammetterà nell’Unione Europea? Chi confesserà di aver sostenuto con tanto vigore la guerra, l’invio di armi, il divieto di tregue? Chi oggi riconoscerà i propri errori?», ha proseguito il premier slovacco.   Pur riconoscendo il fallimento dei piani per «distruggere» la Russia, Fico ha sostenuto che Mosca ne uscirà trionfante e irrobustita.   «Se questo piano verrà firmato, la Russia lascerà la guerra come vincitrice assoluta, rafforzata in modo straordinario sia dal punto di vista morale che economico», ha concluso.   I sostenitori occidentali di Kiev, secondo fonti giornalistiche, considerano la bozza una vera «capitolazione» ucraina, e ora i leader UE pro-guerra starebbero correndo ai ripari per modificarla, adducendo il pretesto di «aggiornamenti costruttivi».   Mosca ha confermato di aver ricevuto il documento americano, precisando che non è stato ancora esaminato «in dettaglio». «Potrebbe costituire la base per un accordo di pace definitivo», ha commentato il presidente russo Vladimir Putin.    

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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