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Politica

Tokyo: Ishiba apre a riforme economiche per il dialogo con le opposizioni

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Dopo la sconfitta elettorale il Partito Liberal Democratico ha avviato i colloqui con il Partito Democratico per il Popolo, guidato da Yuichiro Tamaki, che non è disposto però ad andare oltre un sostegno esterno al governo. Anche il leader dell’opposizione Yoshihiko Noda ha intensificato gli sforzi per ottenere un appoggio trasversale a una sua candidatura come primo ministro, ipotesi però al momento improbabile.

 

Il Partito Liberal Democratico, che per la prima volta in 15 anni si ritrova senza la maggioranza alla Camera dei rappresentanti, ha annunciato di aver avviato colloqui con il Partito Democratico per il Popolo (DPP) per discutere un appoggio caso per caso a una serie di misure politiche.

 

Il primo ministro Shigeru Ishiba, alla guida dell’LDP, a inizio settimana aveva annunciato di essere determinato a formare un governo di minoranza per non cedere il ruolo di premier a Yoshihiko Noda, leader del Partito Costituzionale Democratico del Giappone (CDPJ) all’opposizione.

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In questo contesto, Yuichiro Tamaki, a capo del DPP, dopo aver più che triplicato i seggi in Parlamento passando da 7 a 28, si è trovato strattonato da Ishiba e Noda, come lui stesso ha dichiarato durante una trasmissione televisiva. I risultati del suo partito sono stati considerati eccezionali dai commentatori, considerato che si tratta di una formazione politica nata nel 2018 e divisasi appena due anni dopo

 

Nel 2020 la maggior parte dei deputati passò al CDPJ, mentre un gruppo di 10 membri, sotto la guida di Tamaki, diede vita a un partito di formazione centrista, politicamente vicino alla coalizione di governo, ma di cui non ha mai voluto fare parte. Secondo Tamaki, la popolarità del DPP è cresciuta grazie a un approccio incentrato sulle «soluzioni piuttosto che sullo scontro».

 

Negli ultimi giorni l’LDP ha cercato il sostegno dei partiti dell’opposizione sulla base delle singole politiche anziché ampliare la coalizione, che continuerà a includere solamente il Komeito, il tradizionale alleato di ispirazione buddhista. A tale scopo, questa mattina i segretari generali dell’LDP e del DPP hanno iniziato a collaborare per elaborare una bozza di bilancio per il prossimo anno fiscale e tentare di ridurre l’inflazione.

 

Oltre a dover fronteggiare gli scandali politici, infatti, l’ex premier Fumio Kishida si era trovato in difficoltà nel dover gestire la crisi economica che il Giappone vive da tempo.

 

In campagna elettorale, Tamaki, già ministro delle Finanze nel 1993, aveva sostenuto la necessità di attuare politiche economiche volte a incrementare i redditi delle famiglie, tra cui l’aumento della soglia salariale per il pagamento delle tasse, una proposta su cui il governo si è sempre dimostrato riluttante per il timore che non garantisca sufficienti entrate fiscali.

 

«Quello che vogliamo non sono incarichi ministeriali, ma la realizzazione delle politiche economiche promesse dal partito durante le elezioni, come l’aumento dello stipendio netto e l’aumento dei redditi dei cittadini», ha commentato Tamaki.

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Il numero due del DPP, Kazuya Shimba, ha rifiutato la proposta dell’LDP di creare un comitato di coordinamento, e ha annunciato che il partito discuterà le misure caso per caso.

 

I rappresentanti del Komeito e del DPP dovrebbero incontrarsi domani. Allo stesso tempo, Hiroshi Moriyama, segretario generale dell’LDP, ha annunciato che nei prossimi giorni potrebbero essere avviati colloqui anche con il CDPJ e il Partito dell’Innovazione, il secondo partito di opposizione più grande in Parlamento dopo l’LDP, passato tuttavia da 43 a 38 seggi.

 

La nomina del prossimo premier si terrà con ogni probabilità l’11 novembre. Nonostante le dichiarazioni di Ishiba, che vuole mantenere il potere nelle mani dell’LDP, anche Yoshihiko Noda ha intensificato gli sforzi per ottenere un sostegno trasversale alla sua candidatura a primo ministro.

 

Il DPP, tuttavia, ha respinto la richiesta di colloqui sulla leadership. Anche il partito dell’Innovazione non ha ancora indicato se sosterrà la candidatura del capo del CDPJ, che finora ha raccolto l’appoggio solo del Partito comunista del Giappone.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di 首相官邸 (PMO) via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution License 4.0 International

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Politica

I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi

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Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.   Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.   Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.   «Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».  

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Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.   «L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.   Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.   L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.   A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.   Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.   Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.     Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».  

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Politica

Il Giappone elegge una donna conservatrice come primo ministro

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Sanae Takaichi è diventata la prima donna Primo Ministro del Giappone, vincendo le elezioni parlamentari di Tokyo martedì. Esponente di lungo corso del Partito Liberal Democratico (LDP), nota come la «Lady di Ferro» del Giappone per la sua ammirazione verso l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher, Takaichi è riconosciuta per il suo conservatorismo sociale, il nazionalismo e il sostegno a un ruolo più ampio per le forze armate giapponesi.

 

A 64 anni, Takaichi ha sostenuto la revisione della clausola pacifista della costituzione postbellica del Giappone e il riconoscimento ufficiale delle Forze di autodifesa come esercito nazionale. Ha inoltre appoggiato un aumento della spesa per la difesa e una maggiore cooperazione militare con gli Stati Uniti.

 

Le sue posizioni sulla sicurezza nazionale richiamano le politiche dell’ex premier Shinzo Abe, di cui è considerata una protetta e con cui aveva stretti legami politici.

 

Frequente visitatrice del Santuario Yasukuni di Tokyo, che rende omaggio ai caduti giapponesi, inclusi criminali di guerra della Seconda Guerra Mondiale, Takaichi è stata spesso criticata dai Paesi vicini per quello che considerano revisionismo storico. Ha difeso le sue visite come atti di rispetto personale, sostenendo che i crimini di guerra dei soldati giapponesi siano stati esagerati.

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A livello interno, Takaichi si oppone al matrimonio tra persone dello stesso sesso, sostiene la successione imperiale esclusivamente maschile e ha criticato le proposte di cognomi separati per le coppie sposate.

 

La Takaicha ha inoltre appoggiato il rafforzamento dei confini e politiche migratorie più rigide, chiedendo misure contro i visti non concessi, il turismo eccessivo e l’acquisto di terreni da parte di stranieri, soprattutto vicino a risorse strategiche.

 

In politica estera, la Takaichi ha definito la crescente potenza militare della Cina una «seria preoccupazione», proponendo misure di deterrenza, tra cui un patto di sicurezza con Taiwan.

 

Si ritiene che Takaichi non intenda perseguire un significativo riavvicinamento con la Russia, avendo ripetutamente rivendicato la sovranità sulle isole Curili meridionali, annesse dall’Unione Sovietica nel 1945 come parte degli accordi postbellici.

 

Takaichi assume la carica in un momento critico per il Giappone, che affronta un tasso di natalità ai minimi storici, un rapido invecchiamento della popolazione, un’inflazione persistente e il malcontento pubblico per gli scandali politici che hanno eroso la fiducia nel PLD, il partito al governo.

 

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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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Elezioni in Bolivia, il Paese si sposta a destra

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Domenica si è svolto in Bolivia il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che ha visto contrapporsi due candidati di destra: il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente conservatore Jorge Quiroga.   I risultati preliminari indicano che Paz ha ottenuto il 54,6% dei voti, mentre Quiroga si è fermato al 45,4%. Sebbene sia prevista un’analisi manuale delle schede, è improbabile che il risultato definitivo differisca significativamente dal conteggio iniziale, basato sul 97% delle schede scrutinate.   Le elezioni segnano la fine del ventennale dominio del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), che ha subito una pesante sconfitta nelle elezioni di fine agosto. Il presidente uscente Luis Arce – che ha recentemente accusato gli USA di controllare l’America latina sotto la maschera della «guerra alla droga» – non si è ricandidato, e il candidato del MAS, il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, ha raccolto solo il 3,16% dei voti, superando di poco la soglia necessaria per mantenere lo status legale del partito.

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Nel primo turno, la destra ha dominato: Paz ha ottenuto il 32,1% dei voti e Quiroga il 26,8%. Il magnate di centro-destra Samuel Doria Medina, a lungo favorito nei sondaggi, si è classificato terzo con il 19,9% e ha subito appoggiato Paz per il ballottaggio.   Entrambi i candidati hanno basato la loro campagna sullo smantellamento dell’eredità del MAS, differendo però nei metodi. Paz ha promesso riforme graduali, mentre Quiroga ha sostenuto cambiamenti rapidi, proponendo severe misure di austerità per affrontare la crisi.   Il MAS non si è mai ripreso dai disordini del 2019, quando l’ex presidente Evo Morales fu deposto da un colpo di Stato subito dopo aver ottenuto un controverso quarto mandato. In precedenza, Morales aveva perso di misura un referendum per modificare la norma costituzionale che limita a due i mandati presidenziali e vicepresidenziali. Più di recente, Morales ha accusato tentativi di assassinarlo ed è entrato in sciopero della fame, mentre i suoi sostenitori hanno dato vita ad una ribellione. Il Morales, recentemente accusato anche di stupro (accuse che lui definisce «politiche»), in una lunga intervista aveva detto che dietro il suo rovesciamento nel 2019 vi erano «la politica dell’impero, la cultura della morte» degli angloamericani.   Il colpo di Stato portò al potere la politica di destra Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato. Tuttavia, il MAS riconquistò terreno nelle elezioni anticipate dell’ottobre 2020, mentre Áñez fu incarcerata per i crimini commessi durante la repressione delle proteste seguite al golpe.

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Il passaggio storico è stato definito da alcuni come la prima «guerra del litio», essendo il Paese ricco, come gli altri Stati limitrofi, della sostanza che rende possibile la tecnologia di computer, telefonini ed auto elettriche.   Come riportato da Renovatio 21, un tentato colpo di Stato vi fu anche l’anno scorso quando la polizia militare e veicoli blindati hanno circondato il palazzo del governo nella capitale La Paz.   Sotto il presidente Arce la Bolivia si era avvicinata ai BRICS e aveva iniziato a commerciare in yuan allontanandosi dal dollaro.

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