Spirito
«Società apostata, classe politica corrotta e pervertita, gerarchia venduta e traditrice»: Omelia di mons. Viganò nel Mercoledì delle Ceneri
Renovatio 21 pubblica l’omelia dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò per il Mercoledì delle Sacre Ceneri 2025.

PARCE, DOMINE
Omelia nel Mercoledì delle Sacre Ceneri
Flectamus iram vindicem,
ploremus ante Judicem;
clamemus ore supplici,
dicamus omnes cernui:
Parce, Domine;
parce populo tuo:
ne in æternum irascaris nobis.
La divina Liturgia ci accompagna attraverso l’anno solare come in uno specchio, nel quale vediamo compendiata e rappresentata la storia della Redenzione.
Il tempo d’Avvento ci rimanda all’attesa del Messia nell’antica Legge; il tempo di Natale celebra la Sua santissima Incarnazione; la santa Quaresima e il tempo di Passione ci riportano ai tempi che precedettero il Sacrificio della Croce; il tempo di Pasqua celebra la Resurrezione e l’Ascensione al cielo del Signore; il tempo di Pentecoste ripercorre la vita terrena del Salvatore, i Suoi miracoli, i Suoi insegnamenti; e alla fine del ciclo liturgico – così come al suo principio – siamo proiettati alla fine dei tempi, al Giudizio universale, al premio o alla condanna di tutti e ciascuno.
Le stesse stagioni dell’anno, in qualche modo, accompagnano questo riepilogo sacro della storia della Salvezza, sicché nei rigori dell’inverno comprendiamo le pene del Re Bambino nato in una mangiatoia, e nel risveglio della natura in primavera possiamo vedere l’omaggio del Creato al Signore che risorge e trionfa sulla morte.
Questo Mercoledì delle Ceneri segna l’ingresso in un tempo di penitenza e purificazione per prepararci nel corpo e nello spirito a questo trionfo di Nostro Signore: un trionfo reale, storico, testimoniato dai contemporanei, celebrato dai Cristiani di ogni epoca e ogni luogo.
Per accompagnarci in questa purificazione, la santa Liturgia ci mostra ciò che fecero i nostri padri nell’Antico Testamento e ci addita la necessità di essere pronti a nostra volta ad affrontare la grande persecuzione degli Ultimi Tempi. Perché non si può combattere senza esercitarsi, né affrontare una gara senza essere allenati.
Nell’Antico Testamento i sacerdoti invocano pietà per il popolo: Parce, Domine, parce populo tuo! Risparmia il tuo popolo, o Signore. Nel Nuovo Testamento, è Cristo stesso, elevato sul legno della Croce, che intercede per noi: Perdona loro, o Padre! E con Lui intercedono presso il trono della divina Maestà la Vergine Santissima, tutti i Santi e le anime del Purgatorio.
Noi stessi, nella Comunione dei Santi, offriamo i nostri sacrifici per espiare i peccati nostri e dei nostri fratelli. Paghiamo un debito contratto con l’infernale Usuraio: non con la sua falsa moneta, ma con l’oro purissimo della Passione di Cristo. Quel debito di cui ciascuno di noi, in Adamo, si è caricato contro la volontà di Dio e nonostante avesse da Lui ricevuto la vera ricchezza, il più inestimabile tesoro.
Questa santa Quaresima, che iniziamo oggi cospargendoci il capo di cenere e digiunando, cade in un momento di grandi rivolgimenti sociali, politici ed ecclesiali. Ogni giorno che passa nuove verità emergono alla luce, mostrandoci una società apostata, una classe politica corrotta e pervertita, una Gerarchia venduta e traditrice. Quanti credevamo preposti al bene comune si rivelano nostri nemici e nemici di Dio.
Quanti pensavamo dovessero difendere la Verità e proclamare il Vangelo di Cristo si mostrano come seguaci dell’errore e della menzogna. E l’autorità che Nostro Signore, Re e Pontefice, ha concesso ai nostri governanti – civili e religiosi – è usata per lo scopo opposto a quello che Egli ha stabilito.
Dinanzi a questa ribellione globale, e specialmente davanti al tradimento di chi è costituito in autorità, dobbiamo tornare più convintamente a vestire la nostra anima in cinere et cilicio, a prostrarci al cospetto del Signore e ripetere il grido dei nostri padri: Flectamus iram vindicem, ploremus ante Judicem; clamemus ore supplici, dicamus omnes cernui: Parce, Domine; parce populo tuo: ne in æternum irascaris nobis. Plachiamo l’ira vendicatrice, piangiamo di fronte al Giudice; chiamiamoLo con voce supplicante, prostrati diciamo tutti insieme: Perdona, Signore, perdona il Tuo popolo, e non rimanere in eterno adirato con noi.
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Tuttavia, proprio per l’enormità delle nostre colpe e l’orrore delle colpe pubbliche delle Nazioni e della Gerarchia ecclesiastica, la nostra penitenza deve accompagnarsi – ed esser preceduta, direi – dalla proclamazione della verità contro la menzogna. Perché la verità è di Dio, è Dio; e la menzogna è marchio maledetto di Satana.
Cadano dunque i veli e gli artifici che cercano di dissimulare il peccato e il vizio, di negarlo, di dargli apparenza di bene e di virtù.
Cadano le coltri che nascondono crimini e delitti esecrandi – contro Dio e contro i piccoli, anzitutto – in una rete di turpi complicità tra anime perdute. Cadano le finzioni di un mondo ribelle, le menzogne di un’autorità pervertita, di un sistema infernale che nega, offende e combatte Cristo e i Suoi figli.
Cadano le menzogne e gli inganni di una Gerarchia e di un Papato tenuti sotto ostaggio da nemici di Cristo asserviti a Satana.
Cadano gli argomenti e le scuse che troppo spesso adduciamo per giustificare la nostra pigrizia, la nostra inerzia spirituale, la nostra incapacità di schierarci e di rimanere sotto le insegne del nostro Re divino. Cadano i pretesti che sappiamo trovare per rinviare la nostra conversione e il nostro progresso nella santità.
Questa è l’ora delle tenebre, probabilmente. Ma sono tenebre destinate ad essere squarciate dalla Luce di Cristo, dinanzi alla quale tutto apparirà per come è, e non per come vorremmo che sia, non per come sarebbe più comodo per assecondare la nostra ignavia.
E la prima verità da proclamare, da gridare dai tetti, è che noi siamo peccatori, che vi è una morte certa, un giudizio inappellabile, un inferno per punire i malvagi e un paradiso per premiare i buoni. E che questa verità ultima e indefettibile fa parte del nostro stesso essere, è inscritta nel nostro cuore come Legge di natura, è rivelata nelle Scritture e consegnata da Nostro Signore alla Sua Chiesa perché la predichi fedelmente a tutti i popoli.
Proclamiamo questa verità senza paura di essere smentiti, ricordandoci delle parole dell’Ecclesiastico: Memorare novissima tua, et in æternum non peccabis (Sir 7, 40), Tieni presente ciò che ti aspetta, e non peccherai mai.
E così sia.
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
5 Marzo MMXXV
Feria IV Cinerum, in capite jejunii
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Spirito
Due nuovi «santi» venezuelani riaccendono le tensioni tra Chiesa e Stato
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Spirito
Omelia relativista di Papa Leone XIII: «nessuno possiede tutta la verità»
Papa Leone XIV ha dichiarato che «nessuno possiede la verità assoluta» e che «nessuno è escluso» dalla Chiesa, durante la sua omelia domenicale del 26 ottobre, pronunciata in occasione della messa giubilare per i gruppi sinodali e gli organismi partecipativi.
Le sue parole, che potrebbero essere interpretate come relativistiche rispetto alla proclamazione della fede unica della Chiesa cattolica, hanno sconvolto moltissimi.
L’amore è la «regola suprema della Chiesa». «Nessuno è chiamato a comandare», ma «tutti sono chiamati a servire»; nessuno deve «imporre le proprie idee», tutti sono invitati all’ascolto reciproco; e «nessuno è escluso» poiché «tutti siamo chiamati a partecipare».
«Nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente cercarla, e cercarla insieme»: un’affermazione scioccante per chi è il vicario di colui che è la Via, la Verità e la Vita..
Essere Chiesa sinodale significa riconoscere che la verità non si possiede, ma si cerca insieme, lasciandosi guidare da un cuore inquieto e innamorato dell’Amore.
Leone ha enfatizzato il concetto di Chiesa «sinodale», termine spesso usato dal suo predecessore, Papa Francesco, pur rimanendo vago nel significato. «Le équipe sinodali e gli organi di partecipazione sono immagine di questa Chiesa che vive nella comunione», ha aggiunto oscuramente il romano pontefice.
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«Dobbiamo sognare e costruire una Chiesa umile. Una Chiesa che non sta dritta in piedi come il fariseo, trionfante e gonfia di sé stessa, ma si abbassa per lavare i piedi dell’umanità; una Chiesa che non giudica come fa il fariseo col pubblicano, ma si fa luogo ospitale per tutti e per ciascuno; una Chiesa che non si chiude in sé stessa, ma resta in ascolto di Dio per poter allo stesso modo ascoltare tutti».
«Impegniamoci a costruire una Chiesa tutta sinodale, tutta ministeriale, tutta attratta da Cristo e perciò protesa al servizio del mondo» ha esortato il sommo pontefice con linguaggio sempre più tecnico e cervellotico.
Sebbene nessun individuo possegga la pienezza della verità, la Chiesa cattolica, in quanto Corpo mistico di Cristo guidato dallo Spirito Santo, ha sempre sostenuto di essere la custode del deposito della fede, ossia la verità rivelata da Dio.
I commenti di papa Leone appaiono ambigui e potenzialmente relativistici, poiché non ha chiarito la distinzione tra i membri fallibili della Chiesa, che possono errare nella comprensione della verità, e la Chiesa stessa, che custodisce e proclama l’unica vera fede.
Le parole di Prevost sembrano andare contro il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il Magistero della Chiesa si avvale in pienezza dell’autorità che gli viene da Cristo quando definisce qualche dogma, cioè quando, in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un’irrevocabile adesione di fede, propone verità contenute nella rivelazione divina, o anche quando propone in modo definitivo verità che hanno con quelle una necessaria connessione» (CCC, I dogmi della fede, 88).
La Sacra Scrittura parla della «casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e base della verità» (1Tim 3,15).
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Immagine di Edgar Beltrán via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Pensiero
Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale
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