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Ambiente

Scie chimiche per il clima: la grande stampa torna a parlare di Geoingegneria solare

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Il New York Times, cioè il più grande e prestigioso quotidiano del pianeta, torna a parlare di scie chimiche – solo che non le chiama così, come sa il lettore, l’establishment, che non nasconde più il tema dietro la ridarola contro i «complottisti», preferisce chiamarla «geoingegneria».

 

Renovatio 21 aveva preso nota, tre anni fa, dell’incredibile editoriale vergato proprio per le colonne del grande giornale neoeboraceno, dal principale propugnatore di intervento climatico basato su particelle aerosolizzate, il professor David Keith, che dopo una vita ad Harvard dall’aprile 2023 lavora al dipartimento di Scienze Geofisiche dell’Università di Chicago. Quando l’articolo uscì, il nome di Keith già circolava, in quanto coinvolto nel famoso esperimento, da praticarsi in Isvezia e con il soldo del Bill Gates, per oscurare il sole.

 

Oltre alle dettagliose proposte sulle «due milioni di tonnellate di zolfo all’anno iniettate nella stratosfera da una flotta di un centinaio di velivoli ad alta quota», nell’ampio spazio concesso a questo dottor Stranamore della scia chimica non mancavano affermazioni fortine, come quella secondo cui era utilitaristicamente tollerabile il calcolo delle morti che sarebbero conseguite all’irrorazione massiva dei cieli.

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«Le morti per inquinamento atmosferico dovute allo zolfo aggiunto nell’aria sarebbero più che compensate dalla diminuzione del numero di morti per caldo estremo, che sarebbe da 10 a 100 volte maggiore» computava il professore. «Fingere che il cambiamento climatico possa essere risolto con la sola riduzione delle emissioni è una fantasia pericolosa».

 

Ora il giornalone di Nuova York spinge nuovamente la figura del Keith, certo ammettendo che vi è qualche «controversia» e perfino qualche «paura» per quello che vuole fare.

 

Del resto, conosciamo bene la narrazione che il sistema deve portare avanti – cioè il terrorismo climatico estremo. Qualcuno può pensare che Ultima Generazione e Stop Oil siano frange estremiste: evidentemente, non vede che lo status quo diffonde il medesimo scenario – e che i medesimi fini.

 

«Le temperature globali hanno raggiunto livelli record per 13 mesi di fila, scatenando condizioni meteorologiche violente, ondate di calore mortali e innalzando i livelli del mare» scrive il pezzo del NYT di pochi giorni fa. «Gli scienziati prevedono che il calore continuerà a salire per decenni. Il motore principale del riscaldamento, la combustione di combustibili fossili, continua più o meno inarrestabile».

 

«In questo contesto, sta crescendo l’interesse verso gli sforzi volti a modificare intenzionalmente il clima della Terra, un campo noto come geoingegneria». Ecco introdotti alla parola magica.

 

Tale «geoingegneria», è subito specificato, interessa per qualche ragione le grandi aziende, che quindi sono ecologicamente attive in un disegno che dimostra la loro grande bontà.

 

«Le grandi aziende stanno già gestendo enormi strutture per aspirare l’anidride carbonica che sta riscaldando l’atmosfera e seppellirla sottoterra. Alcuni scienziati stanno eseguendo esperimenti progettati per illuminare le nuvole, un altro modo per far rimbalzare parte della radiazione solare nello spazio. Altri stanno lavorando a sforzi per far sì che gli oceani e le piante assorbano più anidride carbonica».

 

Tuttavia, si ammette, «tra tutte queste idee, è la geoingegneria solare stratosferica a suscitare la speranza e la paura più grandi».

 

«I sostenitori lo vedono come un modo relativamente economico e veloce per ridurre le temperature ben prima che il mondo abbia smesso di bruciare combustibili fossili. L’Università di Harvard ha un programma di geoingegneria solare che ha ricevuto sovvenzioni dal co-fondatore di Microsoft Bill Gates, dalla Alfred P. Sloan Foundation e dalla William and Flora Hewlett Foundation».

 

È il circoletto che conosciamo bene, a cui si aggiunge anche quello di Bruxelles, pagato direttamente dalle nostre tasche: «l’anno scorso l’Unione Europea ha chiesto un’analisi approfondita dei rischi della geoingegneria e ha affermato che i paesi dovrebbero discutere su come regolamentare un’eventuale distribuzione della tecnologia» scrive il NYT, ricordando la foglia di fico del discorso europeo delle «conseguenze indesiderate».

 

È il caso, a questo punto, di imbeccare il lettore con il boccone amaro: «poiché verrebbe utilizzata nella stratosfera e non limitata a un’area specifica, la geoingegneria solare potrebbe avere effetti sul mondo intero, forse sconvolgendo i sistemi naturali, come la creazione di pioggia in una regione arida mentre si secca la stagione dei monsoni altrove» spiega il giornale.

 

«Gli oppositori temono che ciò distoglierebbe l’attenzione dall’urgente lavoro di transizione dai combustibili fossili. Si oppongono al rilascio intenzionale di anidride solforosa, un inquinante che alla fine si sposterebbe dalla stratosfera al livello del suolo, dove può irritare la pelle, gli occhi, il naso e la gola e può causare problemi respiratori. E temono che una volta iniziato, un programma di geoingegneria solare sarebbe difficile da fermare».

 

Sono riportate le parole di David Suzuki, ambientalista canadese: «L’intera idea di spruzzare composti di zolfo per riflettere la luce solare è arrogante e semplicistica. Ci sono conseguenze indesiderate di tecnologie potenti come queste, e non abbiamo idea di quali saranno».

 

Raymond Pierrehumbert, fisico dell’atmosfera oxoniano, ritiene la geoingegneria solare una «grave minaccia per la civiltà umana»: «non è solo una cattiva idea in termini di qualcosa che non sarebbe mai sicuro da usare. “Ma anche fare ricerche su di essa non è solo uno spreco di denaro, ma attivamente pericoloso».

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Mandato giù il boccone amaro (che è, più o meno, «solo» la distruzione del pianeta e la fine della civiltà) ecco che la palla viene passata al professor Keith, il quale, è spiegato, «in una serie di interviste (…) ha ribattuto che i rischi posti dalla geoingegneria solare sono ben noti, non così gravi come dipinto dai critici e minimizzati dai potenziali benefici».

 

Perché «se la tecnica rallentasse il riscaldamento del pianeta anche solo di un grado Celsius, o 1,8 gradi Fahrenheit, nel prossimo secolo, ha affermato il dott. Keith, potrebbe aiutare a prevenire milioni di decessi correlati al caldo ogni decennio». Come esattamente muoiano queste persone di caldo non è spiegato, ma immaginiamo ci sia una statistica od una ricerca di scienza infallibile.

 

Non solo verrebbe salvato l’ambiente, ma anche dato un tocco artistico al creato: anche il tramonto diverrebbe diverso, più bello.

 

«Un pianeta trasformato dalla geoingegneria solare non sarebbe notevolmente più debole durante il giorno, secondo i suoi calcoli. Ma potrebbe produrre un diverso tipo di crepuscolo, uno con una tonalità arancione». Immaginiamo il senso di magia che si prova quando si diventa pittori di tramonti, ma non nel senso tipo Tiepolo, non sulla tela, ma sulla realtà.

 

Sì, lo scienziato immagina di ricolorare il cielo sotto cui esistete. Eppure, mica si trova davanti giornalisti che scartabellano la letteratura sui deliri di onnipotenza, anzi. «Magro e atletico a 60 anni, con occhi azzurri come i ghiacciai, il dott. Keith ha trascorso la sua vita fuori dal laboratorio arrampicandosi, facendo kayak in mare e sciando nell’Artico». Insomma, un figo. Ma con un cuore grande quasi quanto il cervellone: «è profondamente turbato dai mille modi in cui il cambiamento climatico sta sconvolgendo il mondo naturale».

 

Siamo messi a parte della biografia del personaggio, figlio di papà biologo della fauna selvatica che partecipò al primo incontro globale per affrontare le minacce alla natura, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano del 1972 a Stoccolma, e bambino dislessico sino alla quarta elementare, poi adolescente amante del campeggio, rocciatore e ricercatore universitario dei trichechi dell’Artico canadese.

 

«Abbassando le temperature globali, la geoingegneria solare potrebbe contribuire a riportare il pianeta al suo stato preindustriale, ricreando le condizioni esistenti prima che enormi quantità di anidride carbonica venissero immesse nell’atmosfera e iniziassero a cuocere la Terra» dice il Frankenstein dei cieli. «Se domani si tenesse un referendum mondiale per decidere se dare inizio alla geoingegneria solare, ha affermato che voterebbe a favore». Sappiamo anche, nell’eventualità, quale pieno di voti farebbe in Italia nel campo largo PD più M5S.

 

«Ci sono sicuramente dei rischi e ci sono sicuramente delle incertezze», ha detto. «Ma ci sono davvero molte prove che i rischi sono quantitativamente piccoli rispetto ai benefici e le incertezze non sono poi così grandi».

 

In seguito è descritto l’esperimento di geoingegneria solare del Keith noto come Scopex. Ancora professore harvardiano, aveva l’intenzione di rilasciare qualche chilo di polvere minerale a un’altitudine di circa 20 chilometri e monitorare il comportamento della polvere mentre fluttuava nel cielo. Un test era stato pianificato nel 2018, qualcuno dice sopra i cieli dell’Arizona. Quando i dettagli del progetto divennero materia pubblica, un gruppo di indigeni si oppose e pubblicando un manifesto contro la geoingegneria.

 

Nel 2021, sempre la vecchia Università di Keith, cioè Harvard, contattò la società spaziale svedese per lanciare un pallone che avrebbe trasportato l’attrezzatura per il test. Ma prima che avesse luogo, gruppi locali, tra cui gli indigeni lapponi, fecero partire la protesta. Il Consiglio Saami Council, un’organizzazione che rappresenta i popoli indigeni della Scandinavia, dichiarò di considerare la geoingegneria solare «l’esatto opposto del rispetto con cui noi, in quanto popoli indigeni, siamo abituati a trattare la natura». Nella bagarre si mise dentro anche Greta Thunberg.

 

Il NYT registra, senza commentare in alcun modo, l’attuale pensiero di Keith su queste vicende: «una lezione che ho imparato da questa vicenda è che se lo facessimo di nuovo, non saremmo più aperti allo stesso modo». Cioè: la prossima volta sarà fatto in segreto. Il giornale non ha nulla da eccepire rispetto a questa pazzesca affermazione.

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Più avanti, il pezzo specifica che «una volta che la geoingegneria solare ha iniziato a raffreddare il pianeta, interrompere bruscamente lo sforzo potrebbe causare un improvviso aumento delle temperature, un fenomeno noto come “termination shock“».

 

Si tratta della condizione in cui il pianeta potrebbe sperimentare «un aumento di temperatura potenzialmente massiccio in un mondo impreparato nel giro di cinque o dieci anni, colpendo il clima della Terra con qualcosa che probabilmente non vedeva dai tempi dell’impatto che ha ucciso i dinosauri», spiega lo scettico professor Pierrehumbert.

 

In pratica, ci stanno dicendo: se inizieremo, si andrà fino in fondo. Perché fermarsi nel mezzo, magari perché vediamo che gli effetti sono indesiderati e devastanti, sarebbe – dice la scienza infallibile – peggio. Dov’è che avete già sentito questa storia? Ah, già… la campagna di vaccinazione globale, non è andata esattamente così? Ricordate i discorsi sulle dosi multiple? Ricordate l’idea che bisogna vaccinare tutti, altrimenti nessuno, nemmeno i già sierati, sarebbe stato per qualche ragione al sicuro? Ricordate le definizioni di immunità di gregge cambiate nottetempo sul sito dell’OMS?

 

Certo, il NYT ha la premura poi di tirare fuori qualcosa che su Renovatio 21, discutiamo da tempo: ossia dell’uso della geoingegneria come arma: «ci sono timori circa attori non autorizzati che utilizzano la geoingegneria solare e preoccupazioni che la tecnologia possa essere trasformata in un’arma. Per non parlare del fatto che l’anidride solforosa può danneggiare la salute umana».

 

Ma niente, paura, arriva l’atletico oscuratore del sole a rassicurare tutti che «queste paure sono esagerate. E anche se ci sarebbe un po’ di inquinamento atmosferico aggiuntivo, sostiene che il rischio è trascurabile rispetto ai benefici».

 

Rilancia: «c’è molta incertezza sulle risposte climatiche. Ma è piuttosto difficile immaginare che se si fa una quantità limitata di geo solare bilanciata emisfericamente non si riducano le temperature ovunque». Bisogna, insomma, sottomettere alla geoingegneria l’intero globo terracqueo.

 

Il Keith, il cui profilo è già di per sé inquietante (e il pezzone del NYT non risparmia i problemi caratteriali sorti con altri colleghi), è una figura di una certa persistenza. Dopo il dottorato al MIT, nel 1992 aveva già pubblicato un articolo accademico, «A Serious Look at Geoengineering» («un serio sguardo alla geoingegneria»), che già sollevava le domande che avrebbero plasmato la sua carriera.

 

La conoscenza con Bill Gates è arrivata nel 2006, quando i due furono presentati da una comune conoscenza. Il miliardario di Microsoft «voleva saperne di più sulle tecnologie che avrebbero potuto aiutare a combattere il riscaldamento globale. I due uomini hanno discusso di clima e tecnologia in una serie di incontri nei successivi 10 anni».

 

Non si sono limitati alle chiacchiere. nel 2009, il Keith ha fondato la Carbon Engineering, un’azienda che sviluppò un processo per estrarre l’anidride carbonica dall’atmosfera. Tra gli investitori c’erano l’inevitabile Gates, la multinazionale petrolifera Chevron e N. Murray Edwards, che ha guadagnato miliardi pompando petrolio dalle sabbie bituminose canadesi.

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L’anno scorso Carbon Engineering è stata acquisita da Occidental Petroleum, un importante produttore di petrolio e gas con sede in Texas, per 1,1 miliardi di dollari. La Occidental Petroleum, detta anche Oxy, per chi non lo sapesse è la grande compagnia petrolifera fondata da Armand Hammer, stranissima figura di contatto tra il grande capitalismo americano e i vertici dell’URSS. L’azienda ha avuto scandali importanti, come l’incendio alla piattaforma Piper Alpha al largo della Scozia. Le accuse furono mitigate dall’intervento dell’attuale re britannico Carlo, che allora era principe, assieme alla moglie di quel tempo, Lady Diana Spencer, che erano amici prezzolati dell’Hammer. La dinastia degli Hammer, che godeva di questa incredibile capacità di unire Nuova York e Mosca, ha avuto molte vicissitudini: l’ultima, finita su tutti i giornali, sono le accuse all’ultimo rampollo, il divo hollywoodiano Armie, di avere gusti sessuali estremi con fantasie di «cannibalismo».

 

Ad ogni modo, la vendita alla Occidental ha fruttato al dottor Keith, che possedeva circa il 4%, una somma di circa 72 milioni di dollari tutti per lui. Occidental sta ora costruendo una serie di enormi impianti di cattura del carbonio. Ha in programma di vendere crediti di carbonio a grandi aziende come Amazon e AT&T che vogliono compensare le loro emissioni.

 

Ora, ricco, bello e intelligente, il nostro si rilassa. Anche se non troppo.

 

«Per festeggiare il suo 60° compleanno a ottobre, il dottor Keith è andato a fare un’escursione nelle Montagne Rocciose canadesi e si è imbattuto in un ghiacciaio che si era ridotto drasticamente negli ultimi anni» continua l’agiografia del NYT. «È stato un promemoria visivo del fatto che il riscaldamento globale sta sconvolgendo il mondo naturale e ha confermato la sua convinzione centrale e controversa: gli esseri umani hanno già alterato il pianeta, riscaldando il clima con i gas serra».

 

«Per riparare il clima e riportarlo a uno stato più incontaminato, potremmo dover adottare misure ancora più drastiche e progettare la stratosfera».

 

Per chi è religioso, parole simili hanno un’eco inconfondibile. C’è una caduta, e questa caduta è tale che l’intero cosmo è da respingere, riprogrammare.

 

Sì, il colore gnostico di tutta questa storia della geoingegneria è impossibile da non vedere.

 

Stiamo parlando di gente che, davvero, vuole rifare il creato, ritinteggiare il cielo, ricombinando la chimica dell’atmosfera, combattendo la luce solare stessa – il tutto salvando l’umanità, o forse solo «il pianeta», qualsiasi cosa voglia dire.

 

Quando guardate il cielo e vi vedete qualcosa di strano, pensatelo pure: dietro c’è un messianismo gnostico finanziato dall’oligarcato della Necrocultura mondiale.

 

Roberto Dal Bosco

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Ambiente

Donna afferma che il datacenter AI di Zuckerberg le ha inquinato l’acqua del rubinetto

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Una pensionata della Georgia rurale ha accusato il nuovo centro dati AI di Meta, situato a circa 360 metri da casa sua, di inquinarle l’acqua. Lo riporta la BBC.   La cittadina Beverly Morris ritiene che la costruzione del data center del gigante della tecnologia abbia danneggiato il suo pozzo d’acqua privato, causando un accumulo di sedimenti. «Ho paura di bere quell’acqua, ma la uso comunque per cucinare e per lavarmi i denti», ha detto Morris. «Se mi preoccupa? Sì».   Meta ha negato queste accuse, dichiarando alla BBC che «essere un buon vicino è una priorità». L’azienda ha commissionato uno studio sulle falde acquifere, scoprendo che il suo data center «non ha influito negativamente sulle condizioni delle falde acquifere nella zona».

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L’incidente evidenzia come un’imponente spinta alla costruzione di infrastrutture per supportare modelli di Intelligenza Artificiale incredibilmente dispendiosi in termini di energia, stia sconvolgendo i vari ecosistemi che vedono il nascere di questi data center. Stiamo solo iniziando a comprendere l’enorme impatto ambientale della tecnologia di intelligenza artificiale, dall’enorme consumo di acqua all’enorme impronta di carbonio dovuta alle emissioni in aumento.   La situazione non fa che peggiorare, con aziende come OpenAI, Google e Meta che continuano a investire decine di miliardi di dollari nella costruzione di migliaia di data center in tutto il mondo. Recentemente i ricercatori hanno stimato che la domanda globale di intelligenza artificiale potrebbe arrivare a consumare fino a 1,7 trilioni di galloni d’acqua all’anno entro il 2027, più di quattro volte il prelievo idrico totale di uno stato come la Danimarca.   Da allora gli attivisti hanno segnalato il rischio di pericolosi deflussi di sedimenti derivanti dai lavori di costruzione, che potrebbero riversarsi nei sistemi idrici, come potrebbe accadere al pozzo della signora Morris.   Resta da vedere quanto l’industria dell’Intelligenza Artificiale si impegnerà per la cosiddetta sostenibilità. Dopo aver dato grande risalto ai propri sforzi per ridurre le emissioni all’inizio del decennio, l’aumento di interesse per l’intelligenza artificiale ha cambiato radicalmente il dibattito.   E man mano che i modelli di intelligenza artificiale diventano più sofisticati, necessitano di energia esponenzialmente maggiore, e questa situazione non potrebbe che aggravarsi.   Come riportato da Renovatio 21, il CEO di Meta Mark Zuckerberg, nel suo tentativo sempre più disperato di tenere il passo nella corsa all’IA, sta espandendo l’infrastruttura dei data center il più velocemente possibile, con Meta che sta «prioritizzando la velocità sopra ogni altra cosa» allestendo delle «tende» per aggiungere ulteriore capacità e spazio ai suoi campus dei data center. I moduli prefabbricati sono progettati per ottenere la potenza di calcolo online il più velocemente possibile, sottolineando la furiosa corsa di Meta per costruire la capacità di modelli di intelligenza artificiale sempre più richiedenti energia.

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Un nuovo rapporto del Berkeley Lab – che analizza la domanda di elettricità dei data center – prevede che questa stia esplodendo da un già elevato 4,4% di tutto il consumo di elettricità in ambito statunitense, a un possibile 12% di consumo di elettricità in poco più di tre anni, entro il 2028.    Il fenomeno è globale: in Irlanda, i data center consumano già il 18% della produzione totale di elettricità. Secondo il rapporto, il consumo di energia dei data center è stato stabile con una crescita minima dal 2010 al 2016, ma ciò sembra essere cambiato dal 2017 in poi, con l’uso dei data center e dei «server accelerati» per alimentare applicazioni di Intelligenza Artificiale per il complesso militare-industriale e prodotti e servizi di consumo.   Vista l’enormità di energia richiesta da questi Centri di elaborazione dati, vi è una corsa verso l’AI atomica e anche Google alimenterà i data center con sette piccoli reattori nucleari nel prossimo futuro.

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Ambiente

Cringe vaticano ai limiti: papa benedice un pezzo di ghiaccio tra Schwarzenegger e hawaiani a caso

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In un momento di grottesco vaticano spinto, papa Leone XIV ha benedetto un blocco di ghiaccio durante una conferenza sui «cambiamenti climatici» ospitata dalla Santa Sede. Uno spettacolo che di gatto tocca vette di cringe conciliare mai viste.

 

La conferenza tenutasi in questi giorni a Castel Gandolfo ha nome «Raising Hope for Climate Justice» – in inglese nel testo anche italiano diffuso dal Sacro Palazzo. In effetti, l’intera conferenza, tenutasi in Italia, è stata svolta nella lingua globalista per antonomasia, il latino del mondo neoliberale, cioè la lingua inglese.

 

L’evento, trasmesso in diretta streaminga, è stato caratterizzato da una «Benedizione delle Acque», iniziata con papa Leone che ha posato silenziosamente la mano su un blocco di ghiaccio. È stato detto che il blocco di ghiaccio sia venuto dalla Groenlandia, ma non è noto quanta energia a combustibile fossile sia stata impiegata, inquinando il mondo, per far giungere il pezzone sino a Roma senza che si sciogliesse.

 

 

 


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Durante un evento stampa prima della conferenza, è apparso d’improvviso l’ex culturista cinque volte Mister Olympia, superdivo hollywoodiano d governatore della California Arnoldo Schwarzenegger, il quale ha invitato tutti i cattolici del mondo a «diventare crociati per l’ambiente». Lo Schwarzenegger si era convertito ai temi climatici ai tempi della campagna elettorale per restare in sella come governatore della California – Stato largamente a tendenza democratica – e lui stesso afferma nel suo documentario autobiografico su Netflix che a dargli una mano in questo senso fu Robert F. Kennedy jr., suo parente, visto il matrimonio che Arnoldo ha contratto con Maria Shriver (un altro ramo del casato, ma assolutamente centrale per quella che è la supposta famiglia reale USA, dove ha appeso il cappello un’altra cosa che ad Arnoldo è riuscita nella vita).

 

 

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Oltre a Terminator, accanto al papa ad una certa sono apparsi anche degli hawaiani a caso, che si sono prodotti in un momento musicale pachamamesco. Presentato come i «Pacific Artist for Climate Justice», i figuri, in pantalocini, camicia hawaiana, collanone e ukulele d’ordinanza, hanno avuto l’onore di introdurre musicalmente l’ingresso del papa.

 

Una schiera di cardinali presenti in prima fila si sono prestati al gioco, dandosi da fare con coreografici teli e cose bellissime così.

 

Tutto questo mentre un altro americano, il presidente USA Donaldo Trump, va all’ONU è parla della «truffa del Cambiamento climatico», e beccandosi da certuni i giustissimi, sacri 92 minuti di applausi.

 

Lo spettacolo offerto dall’ostinazione della chiesa climatista è persino più imbarazzante di quelli, blasfemi e occultistici, a cui ci aveva abituato Bergoglio. È innegabile come Leone stia aggiungendo, per quanto possa sembrare impossibile, una quota ulteriore di cringio post-conciliare al disastro dell’ultima papato.

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Ambiente

«Bomba chimica»: le mascherine anti-COVID hanno creato 4,3 milioni di tonnellate di rifiuti tossici

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Milioni di tonnellate di mascherine monouso anti-COVID-19 stanno rilasciando nell’ambiente microplastiche, sostanze chimiche tossiche, coloranti e metalli pesanti, mettendo a repentaglio il benessere del pianeta e dei suoi abitanti. Secondo uno studio pubblicato su Environmental Pollution, i rischi potrebbero durare decenni.   Secondo uno studio pubblicato su Environmental Pollution, milioni di tonnellate di rifiuti derivanti dalle mascherine monouso utilizzate durante la pandemia di COVID-19 si stanno decomponendo, rilasciando microplastiche e sostanze chimiche tossiche che minacciano la salute umana e ambientale.   Secondo il Guardian, le mascherine, pubblicizzate come misura per proteggere la salute umana, hanno lasciato dietro di sé una bomba chimica a orologeria con rischi che potrebbero durare per generazioni.

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«Questo studio ha sottolineato l’urgente necessità di ripensare il modo in cui produciamo, utilizziamo e smaltiamo le mascherine», ha affermato in un comunicato stampa l’autrice principale Anna Bogush, Ph.D., del Centro di ricerca per l’agroecologia, l’acqua e la resilienza dell’Università di Coventry.   Da decenni la presenza di microplastiche nell’acqua, nell’aria, nel cibo e nel suolo è in costante aumento e è direttamente collegata alla crescente produzione globale di plastica.   Durante la pandemia, le agenzie sanitarie governative di tutto il mondo, tra cui i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), hanno promosso l’uso delle mascherine per fermare la diffusione del COVID-19, nonostante la ricerca condotta dai CDC stessi avesse rilevato che le mascherine non avevano alcun effetto sostanziale nel fermare la trasmissione dei virus respiratori.   Di conseguenza, secondo lo studio, ogni mese nel mondo vengono utilizzate oltre 129 miliardi di mascherine monouso.   La maggior parte delle mascherine era realizzata in polipropilene, sebbene venissero utilizzati anche altri tipi di plastica. Alcune contenevano piccoli pezzi di metallo per le clip nasali.   Le mascherine non erano riciclabili e spesso non venivano gettate nella spazzatura. Ancora oggi, sono disseminate lungo strade, marciapiedi, sentieri, parcheggi, grondaie, corsi d’acqua, parchi e spiagge.   Gli autori hanno stimato che in un solo anno le mascherine hanno generato circa 4,3 milioni di tonnellate di «rifiuti di plastica contaminati non riciclabili», rilasciando microplastiche nell’ambiente provenienti da discariche e rifiuti.   Le mascherine possono anche contenere additivi plastici, tra cui sostanze chimiche organiche, coloranti e metalli pesanti, che si infiltrano nel terreno e nell’acqua. Gli additivi possono rilasciare e diffondere agenti patogeni, tra cui batteri, virus, parassiti e funghi.

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Misurazione delle microplastiche e dei prodotti chimici industriali

I ricercatori hanno progettato il loro studio per testare le tossine e le microplastiche rilasciate da diversi tipi di mascherine facciali inutilizzate, tra cui maschere respiratorie, mascherine chirurgiche e vari «dispositivi facciali filtranti».   Hanno immerso le nuove mascherine in acqua purificata per 24 ore, quindi hanno analizzato il liquido per determinare cosa fosse fuoriuscito. Anche senza usura, le mascherine rilasciavano microplastiche e inquinanti utilizzati durante il processo di produzione.   Tutte le mascherine analizzate rilasciavano microplastiche e la maggior parte delle particelle era molto piccola, molte delle quali avevano dimensioni inferiori a 100 micrometri, ovvero circa la larghezza di un capello umano.   Hanno scoperto che le mascherine FFP2 e FFP3 (una certificazione europea che designa le mascherine di tipo respiratorio commercializzate come quelle che offrono la massima protezione) rilasciavano da tre a quattro volte più microplastiche rispetto alle mascherine chirurgiche.   Le mascherine rilasciavano anche additivi chimici, tra cui il bisfenolo B, un noto interferente endocrino utilizzato per produrre plastica e altri composti necessari alla produzione delle mascherine.   Il bisfenolo B agisce come un estrogeno nell’organismo, interferendo con i sistemi ormonali. È stato associato a una ridotta produzione di sperma e ad alterazioni degli organi riproduttivi.   Lo studio afferma che anche la plastica e le sostanze chimiche rilasciate dai milioni di tonnellate di mascherine dismesse danneggiano la vita acquatica. Microplastiche e tossine, entrando nella catena alimentare, inquinando l’acqua e accumulandosi nell’ambiente, possono mettere ulteriormente in pericolo le persone.   «Mentre andiamo avanti, è fondamentale sensibilizzare l’opinione pubblica su questi rischi, sostenere lo sviluppo di alternative più sostenibili e fare scelte consapevoli per proteggere la nostra salute e l’ambiente», ha affermato Bogush.   Brenda Baletti Ph.D.   © 25 settembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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