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Rissa tra senatori messicani per il possibile intervento militare di Trump contro i narcocartelli: le immagini

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La tensione sul possibile intervento militare degli Stati Uniti contro i cartelli della droga messicani è sfociata in uno scontro a suon di spintoni e schiaffi tra i legislatori sul podio della Camera del Senato messicano.

 

Il senatore Alejandro «Alito» Moreno, a capo del partito di opposizione Partido Revolucionario Institucional (PRI), era apparentemente indignato per il rifiuto delle sue richieste di partecipare al dibattito in aula, in cui si accusavano il PRI e il Partido Acción Nacional (PAN) di aver chiesto all’esercito statunitense di colpire i cartelli all’interno del Messico, accuse che entrambi i partiti negano.

 

All’inizio di questo mese, il presidente Trump avrebbe emesso una nuova direttiva che autorizza il Pentagono a condurre operazioni militari dirette contro alcuni cartelli della droga latinoamericani designati come Organizzazioni Terroristiche Estere (FTO).

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Come riportato da Renovatio 21, da mesi si è diffusa la voce secondo cui Trump voleva «scatenare» le forze speciali americane contro i narcocartelli messicani, responsabili in parte della continua strage degli oppioidi che uccide più di 100 mila cittadini statunitensi all’anno. Trump aveva quindi mantenuto la promessa di designare i cartelli come entità terroriste.

 

La scorsa settimana, Lilly Tellez, membro del PAN, ha dichiarato a Fox News che «l’aiuto degli Stati Uniti per combattere i cartelli è assolutamente benvenuto, ed è così che la pensa la maggioranza dei messicani. Gli unici a cui non piace che il presidente Trump invii aiuti… sono i narco-politici , e tra questi c’è anche la presidente Sheinbaum».

 

La Tellez ha aggravato la tensione nel dibattito di mercoledì, affermando di avere «la fedina penale pulita», a differenza di quella che ha definito «la mafia Morena», un riferimento al partito della presidente e del suo predecessore Andres Manuel Lopez Obrador, il Movimiento Regeneración Nacional («MORENA»). La Tellezza ha condannato i membri del partito di governo MORENA definendoli «narcopolitici» e «narco-satanici», e ha attribuito alla sua fede in Dio e nei messicani il merito di averle dato la determinazione di «far tremare i Morenarcos». Le sue frecciate hanno scatenato grida di «venduta» e «traditrice».

 

 


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La Tellez si è scagliata ripetutamente contro i cartelli accusando i membri del governo messicano di lavorare direttamente con il narcotraffico assassino, con accuse dirette, nome e cognome, di chi avrebbe, a suo dire, lavato il danaro del tremendo cartello di Sinaloa.

 

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Ma torniamo alla scena delle botte al Senado, che è il motivo per cui il lettore ha cliccato su questo articolo.

 

Mentre la sessione stava per concludersi, il cinquantenne Moreno si è diretto verso il podio e ha aggredito il sessantacinquenne Presidente del Senato Gerardo Fernández Noroña, del partito MORENA. Insieme al resto del Senato, il Noroña stava cantando l’inno nazionale, secondo l’usanza di chiusura delle sessioni, ma Moreno continuava a urlargli contro. Dopo la fine dell’inno, il Noroña si è girato per parlare col Moreno, e la discussione che ne è seguita è diventata violenta dopo che Moreno gli ha afferrato il braccio.

 

Renovatio 21 pubblica sempre estremamente volentieri le immagini di politici che si picchiano come fabbri.

 

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Mentre i due si davano spintoni, un cameraman si è piazzato davanti a Moreno, ricevendo una decisa spinta a due braccia che lo ha fatto cadere a terra. Un altro uomo ha iniziato a colpire a terra il lavoratore cinetelevisivo, e il collega di Moreno, Carlos Gutiérrez Mancilla, ha inseguito il presidente del Senato fuori dall’aula, afferrandolo per la giacca e colpendolo a pugni. El Pais riporta che il cameramanno è rimasto ferito, e i medici gli hanno applicato un collare cervicale.

 

«Ma quale scontro? Mi ha colpito e ha detto: “Ti ucciderò”», ha detto il Noroña ai giornalisti in seguito. «Oggi, quando vengono smascherati per il loro tradimento, perdono la testa perché sono stati smascherati» ha continuato il Noroña parlando dei parlamentari di opposizioni, dichiarando quindi che avrebbe convocato una sessione d’urgenza venerdì per espellere Moreno e altri tre parlamentari del PRI. Ha anche affermato che presenterà una denuncia contro Moreno per aver aggredito lui e il cameraman e chiederà alle autorità di revocare l’immunità legislativa di Moreno.

 

Nel frattempo, il Moreno è andato su X per incolpare il Noroña del MORENA: «È stato lui a dare inizio all’attacco; lo ha fatto perché non poteva farci tacere con le argomentazioni. La prima aggressione fisica è arrivata da Noroña . È stato lui a dare la prima spinta, e lo ha fatto per codardia». Insomma, il classicissimo della scuola dell’obbligo 3-14 anni: è stato lui a cominciare.

 

Entrambi i senatori sono coinvolti in controversie separate. Il Moreno rischia un possibile impeachment per presunta corruzione durante il suo mandato di governatore dello stato di Campeche dal 2015 al 2019. Il Noroña è stato criticato per le indiscrezioni secondo cui possiederebbe una casa di lusso, in un momento in cui la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha esortato i funzionari pubblici a vivere in modo sobrio

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La Sheinbaum ha fermamente e ripetutamente respinto qualsiasi presenza militare statunitense sul suolo messicano. «Gli Stati Uniti non verranno in Messico con l’esercito. Cooperiamo, collaboriamo, ma non ci sarà un’invasione. Questa è esclusa, assolutamente esclusa», ha dichiarato al New York Times. «Non fa parte di alcun accordo, tutt’altro. Quando è stato sollevato il problema, abbiamo sempre detto di no».

 

La presidente, nominata in continuità con il predecessore Lopez-Obrador, è una scienziata del clima ebrea, in passato accusata di aver demolito una chiesa. Particolare attenzione ha destato la cerimonia pagana per l’entrata in carica a Città del Messico.

 

Come riportato da Renovatio 21, il caos messicano è tale che il sindaco della città di Tijuana, proprio sotto il confine americano, l’anno passato ha dovuto rifugiarsi in una base militare. Pochi giorni fa un allarme sulla sicurezza del Paese era stato lanciato anche dal vescovo di San Cristobal de Las Casas, monsignor Rodrigo Aguilar.

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Olimpionico dello snowboardo accusato di essere un narcotrafficante che ha complottato un omicidio: «un nuovo Pablo Escobar»

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Un ex snowboardista olimpico canadese, accusato dalle autorità di guidare una delle organizzazioni di narcotraffico più sanguinarie e potenti al mondo, è ora imputato per l’omicidio di un testimone federale chiave nel processo a suo carico.   Ryan James Wedding avrebbe «messo una taglia» sulla vittima, convito che la sua eliminazione avrebbe fatto cadere le accuse penali contro di lui e la sua rete globale di spaccio. Per rintracciarlo, avrebbe sfruttato un sito web canadese per diffondere foto del testimone e di sua moglie, come rivelato dalle autorità in una conferenza stampa di mercoledì.   Il testimone è stato assassinato a colpi di pistola in un ristorante, prima di poter deporre contro Wedding. L’atto d’accusa svelato mercoledì lo accusa di omicidio, manipolazione e intimidazione di testimoni, riciclaggio di denaro e traffico di stupefacenti. Coinvolge anche altri individui, tra cui un avvocato canadese sospettato di complicità nell’omicidio.

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Il dipartimento di Stato USA ha innalzato a 15 milioni di dollari la taglia per informazioni che portino all’arresto o alla condanna di Wedding, tra i dieci latitanti più ricercati dall’FBI.   «Un boss della droga non può eludere la giustizia», ha tuonato il direttore dell’FBI Kash Patel in conferenza stampa. «Ryan Wedding è il Pablo Escobar dei tempi moderni, un El Chapo 2.0: non gli sfuggiremo». Akil Davis, vicedirettore dell’ufficio FBI di Los Angeles, ha aggiunto che Wedding sarebbe protetto dal cartello e da complici in Messico: «Potrebbe tingersi i capelli, alterare il suo aspetto o fare di tutto per non essere catturato».   Il procuratore generale Pam Bondi ha descritto l’organizzazione di Wedding come responsabile dell’importazione di circa 60 tonnellate di cocaina annue a Los Angeles via camion dal Messico, definendola «la più prolifica e violenta rete di narcotraffico globale» e il «principale spacciatore di cocaina in Canada».   Dalle indagini sono emerse oltre 35 incriminazioni, il sequestro di armi multiple, 3,2 milioni di dollari in criptovalute e 13 milioni in beni materiali. L’FBI sottolinea che il gruppo ricorreva sistematicamente alla violenza, inclusi vari omicidi orchestrati.   Wedding, che ha gareggiato per il Canada alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City nel 2002, era già stato accusato a settembre 2024 di tentato omicidio e altri reati in un atto sostitutivo.   Lo Wedding ha esordito con una vittoria nella sua prima gara di snowboardo e, a soli 15 anni, fu selezionato per la nazionale canadese di freestyle. Nel 1999 conquistò il bronzo nello slalom gigante parallelo ai Mondiali juniores, seguito dall’argento nel 2001. Alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City 2002 ha rappresentato il Canada nella stessa specialità maschile, chiudendo al 24° posto; è stata l’ultima sua competizione agonistica, dopo la quale ha abbandonato lo sport.   Rientrato a Vancouver, Wedding si era iscritto alla Simon Fraser University, dove si è appassionato al bodybuilding e ha lavorato come buttafuori. Dopo due anni di studi, li ha interrotti per dedicarsi alla speculazione immobiliare, finanziata da una coltivazione indoor di marijuana: in un magazzino suburbano noto come Eighteen Carrot Farms gestiva circa 6.800 piante. Nel 2006 la polizia montata canadese ha fatto irruzione, sequestrando un fucile da caccia, munizioni e cannabis per 10 milioni di dollari, ma lo Wedding non era presente e mancavano prove per incriminarlo.   Negli anni successivi avrebbe ampliato le attività criminali associandosi a trafficanti iraniani e russi di cocaina. Nel 2010 è stato condannato a quattro anni di carcere per un tentativo di acquisto di cocaina da un agente undercover USA nel 2008.

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Il 17 ottobre 2024 il Dipartimento di Giustizia statunitense lo ha accusato di aver guidato un’organizzazione transnazionale dedita al traffico di cocaina e all’omicidio, inclusi civili innocenti. Tra i capi d’imputazione: narcotraffico, associazione a delinquere, tre omicidi e un tentato omicidio. Latitante, era uno dei 16 imputati nell’operazione Giant Slalom, frutto di un’indagine federale congiunta. Gli omicidi che sono stati a lui attribuiti sono quelli della coppia Jagtar Sidhu (57 anni) e Harbhajan Sidhu (55 anni) nel novembre 2023, e di Mohammed Zafar (39 anni) nel maggio 2024. Si presume che li abbia ordinati con un ulteriore personaggio, accusato anche dell’uccisione di Randy Fader (29 anni) nell’aprile 2024, scrive il National Post.   Secondo le autorità, dopo il rilascio è fuggito in Messico diventando un alto esponente del Cartello di Sinaloa – il più potente del Paese – con i soprannomi «El Jefe», «Gigante» (è alto 191 cm) o «Nemico pubblico». Il suo presunto vice fu arrestato in Messico nell’ottobre 2024.   Il 6 marzo 2025 l’FBI lo ha inserito nella lista dei 10 latitanti più ricercati, sostituendo Alexis Flores, offrendo inizialmente fino a 10 milioni di dollari di taglia; a novembre 2025 la ricompensa è salita a 15 milioni dopo nuove accuse di intimidazione a testimoni, omicidio e riciclaggio di denaro.

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Panama sequestra 13 tonnellate di cocaina destinate agli Stati Uniti

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Il procuratore antidroga di Panama, Julio Villareal, ha definito l’operazione «una delle più grandi mai realizzate nelle nostre acque»: martedì sono state sequestrate 13 tonnellate di cocaina – pari a 11.562 panetti – su un traghetto intercettato a sud-ovest dell’isola di San José. A bordo sono stati arrestati dieci uomini di nazionalità venezuelana, ecuadoriana e nicaraguense; la nave era partita dalla Colombia e diretta verso gli Stati Uniti.

 

La procura ha pubblicato sui social le foto della droga recuperata, precisando che l’intervento è stato condotto in collaborazione con l’Aeronaval Panama.

 

Panama, snodo chiave del traffico di cocaina dal Sud America al Nord America (il principale mercato mondiale), nel 2023 aveva già confiscato complessivamente 119 tonnellate di stupefacenti.

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Non si tratta di un caso isolato: solo il mese scorso la Spagna ha sequestrato 6,5 tonnellate di cocaina e arrestato nove persone su una nave al largo delle Canarie, grazie a una segnalazione USA.

 

Sempre a novembre, la marina pakistana ha intercettato nel Mar Arabico stupefacenti per oltre 972 milioni di dollari, mentre a settembre la marina francese ha confiscato quasi 10 tonnellate di cocaina (valore superiore a 600 milioni di dollari) al largo dell’Africa occidentale.

 

Nel frattempo, la Guardia costiera statunitense ha annunciato di aver intercettato nell’attuale anno fiscale oltre mezzo milione di libbre di cocaina in alto mare: il quantitativo record nella storia dell’agenzia.

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Immagine del 2014 di pubblico domino CC0 via Wikimedia

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Nuovo studio capovolge tutto ciò che sappiamo sulla dipendenza

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A partire dagli anni Settanta, molti esperti con la compiacenza del governo degli Stati Uniti, hanno «millantato» una spiegazione della tossicodipendenza, oggi clinicamente definita disturbo da abuso di sostanze: il mito della «droga di passaggio».   La droga di passaggio (gateway drug effect)  – solitamente definita come erba, alcol, tabacco o inalanti – è la teoria secondo cui l’uso di alcune sostanze illecite e non, predisponga al futuro consumo di altre sostanze stupefacenti. Ciò si ritiene sia dovuto a fattori biologici (alterazioni causate dalle sostanze a livello del sistema nervoso), psicologici (vulnerabilità individuali) e sociali (contatto con ambienti illeciti).   Sebbene l’idea sia stata avanzata già negli anni Trenta, si ritiene che il termine sia stato coniato dallo psichiatra Robert DuPont, il primo direttore del National Institute on Drug Abuse (NIDA) degli Stati Uniti.   Seguendo questa teoria, le politiche del DuPont come direttore del NIDA furono rigide e autoritarie. Pur credendo che la dipendenza fosse una malattia cronica, paradossalmente sconsigliò a Richard Nixon, Gerald Ford e Jimmy Carter strategie di riduzione del danno come la depenalizzazione.   Le sue raccomandazioni politiche e le sue opinioni cliniche formarono il sottofondo ideologico della devastante guerra alla droga dell’amministrazione Nixon. Ora i ricercatori stanno smantellando questa teoria che ha resistito in maniera inscalfibile fino ad oggi, scrive Futurism.

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In uno studio recente pubblicato sulla rivista JAMA Network Open e segnalato da Scientific American, un gruppo di psichiatri e farmacologi ha studiato la struttura cerebrale di circa 10.000 adolescenti per un periodo di tre anni.   Ciò che hanno scoperto è sorprendente: sebbene il cervello di coloro che avevano fatto uso di alcol, tabacco o erba mostrasse notevoli differenze rispetto a quelli che non lo avevano fatto, hanno trovato una questione cruciale di causalità.   Nello specifico, gli adolescenti di età inferiore ai 15 anni che hanno iniziato a fare uso di droghe in seguito avevano già un cervello più grande rispetto a quelli che non ne avevano fatto uso, anche se non avevano ancora abusato di tale sostanze all’inizio dello studio. I loro profili cerebrali erano simili a quelli di coloro che avevano già sperimentato sostanze prima dell’inizio dei test, con entrambi che tendevano ad avere una corteccia più grande e con più pieghe.   Tali caratteristiche cerebrali sono solitamente associate alla curiosità, all’intelligenza e all’«apertura all’esperienza», che ricerche precedenti hanno collegato alla sperimentazione di droghe.   «La spinta all’automedicazione è così forte; è davvero impressionante», ha detto alla testata scientifica americana Patricia Conrod, la professoressa di psichiatria all’Università di Montreal che ha condotto ricerche simili. «C’è davvero questo disagio nel loro mondo interiore».   È un duro colpo per la teoria della gateway drug, che non tiene conto degli anni di esperienza di vita o dei fattori socioeconomici che contribuiscono alla probabilità che un adolescente provi la droga o che poi diventi dipendente.   Sebbene sia vero che chi inizia a fare uso di droghe in giovane età ha maggiori probabilità di diventarne dipendente, ricerche più ampie hanno dimostrato che la teoria della porta d’accesso serve a semplificare le complesse cause del consumo di droghe, spesso per ragioni politiche.   «Mantenere vivo questo mito non solo spreca risorse, ma danneggia anche numerosi individui, soprattutto membri di gruppi minoritari, che vengono criminalizzati», ha affermato l’epidemiologa Eve Waltermaurer.   È fondamentale che lo studio prenda in considerazione solo l’uso precoce di droghe, e non la dipendenza a lungo termine. Resta da vedere se le stesse caratteristiche del cervello di grandi dimensioni si applichino a coloro che sviluppano una dipendenza a lungo termine. Tuttavia, studi come questo vengono già utilizzati per elaborare efficaci programmi di prevenzione della droga.

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