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Nucleare

«Perdite» dal silos di rifiuti radioattivi del controverso sito nucleare britannico

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Sellafield, considerato il sito nucleare più pericoloso d’Europa, ha sviluppato una perdita in un enorme silo di rifiuti radioattivi che ha suscitato preoccupazioni sulle misure di sicurezza della struttura, nonché sui potenziali pericoli per il pubblico e l’ambiente, ha riferito il quotidiano britannico The Guardian.

 

L’impianto di due miglia quadrate (6 km quadrati), situato in Cumbria, nel nord-ovest dell’Inghilterra, è responsabile dello stoccaggio e dello smantellamento dei rifiuti derivanti dai programmi sulle armi nucleari e dalla produzione di energia. In precedenza è stato utilizzato per generare energia nucleare dal 1956 al 2003.

 

Tuttavia, l’impianto vecchio di decenni, il più grande sito nucleare d’Europa, ha un catalogo di problemi di sicurezza, afferma il giornale, tra cui l’amianto e i rischi di incendio. Forse ancora più preoccupanti, però, sono le crepe nei silos di stoccaggio che hanno provocato scontri diplomatici con i paesi colpiti, tra cui Stati Uniti, Norvegia e Irlanda.

 

Il danno a un silo di rifiuti radioattivi tossici ha causato una fuga di «conseguenze potenzialmente significative», ha detto martedì il Guardian, citando documenti ufficiali visionati dall’organo di informazione. La perdita, che probabilmente continuerà fino al 2050, potrebbe contaminare le falde acquifere se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.

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Gli scienziati stanno tentando di valutare tutti i rischi della perdita utilizzando «valutazioni continue della dose radiologica» e modelli statistici, ha aggiunto il giornale. A giugno, l’Ufficio per la regolamentazione nucleare (ORR) del Regno Unito ha affermato in un rapporto che il rischio presentato dalla fuga di notizie è «il più basso ragionevolmente possibile». Tuttavia, l’autorità di regolamentazione nucleare è rimasta preoccupata per l’impatto complessivo della perdita e in che misura, se del caso, potrebbe influenzare le acque sotterranee.

 

Un esperto anonimo che fa parte di un comitato che monitora Sellafield e altri siti nucleari ha detto al Guardian: «È difficile sapere se la trasparenza viene messa da parte perché nessuno è abbastanza coraggioso da dire “semplicemente non sappiamo quanto sia pericoloso questo – a parte certamente pericoloso”».

 

Un rapporto dell’UE del 2001 avvertiva che un incidente a Sellafield potrebbe essere più pericoloso di quello del disastro di Chernobyl nel 1986, che espose alle radiazioni circa cinque milioni di persone in Europa. Sellafield contiene sostanzialmente più materiale radioattivo rispetto all’impianto di Chernobyl all’epoca.

 

Secondo i dispacci diplomatici visti dalla pubblicazione, le notizie sulla facciata fatiscente di Sellafield hanno suscitato preoccupazioni negli Stati Uniti riguardo agli standard di sicurezza del sito. La situazione ha portato a lamentele da parte dei governi di Irlanda e Norvegia – con Oslo preoccupato per il potenziale delle particelle radioattive trasportate verso il suo territorio dai venti attraverso il Mare del Nord.

 

I problemi di salute causati dall’esposizione alle radiazioni nucleari dipendono dalla dose ma possono variare da nausea e vomito a malattie cardiovascolari e cancro. Un’esposizione estremamente elevata è, nella maggior parte dei casi, fatale.

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All’interno del complesso nucleare di Sellafield si trova un impianto di trattamento del combustibile nucleare irradiato di proprietà di BNFL (British Nuclear Fuels Ltd., una società di energia nucleare e combustibili di proprietà del governo del Regno Unito), oltre alla ex centrale nucleare di Calder Hall, che è stata la prima centrale nucleare commerciale al mondo ad utilizzare un reattore di tipo Magnox, un tipo di reattore nucleare di potenza elevata a grafite connesso ad una rete elettrica.

 

Il reattore di Calder Hall ha cessato la sua attività nel 2003. Secondo l’autorità britannica per lo smantellamento degli impianti nucleari, si prevede che il processo di smantellamento possa essere completato entro il 2115, ovvero 160 anni dopo la sua inaugurazione. In alternativa, è stato valutato un piano con un orizzonte temporale di 100 anni che prevede di conservare l’impianto trasformandolo in una «attrazione turistica di valore storico».

 

Sellafield, un tempo chiamato «Windscale» dal nome del reattore nucleare militare presente in loco, ospita anche altri impianti nucleari dismessi, per i quali i tempi di smantellamento non sono ancora stati definiti.

 

Il sito atomico è stato teatro di incidenti nucleari, ad esempio nel 1957 e nel 1973.

 

Tra il 2004 e il 2005, presso il THORP (Thermal Oxide Reprocessing Plant) un impianto di riprocessamento di Sellafield, si verificò una fuoriuscita di 83 metri cubi di una soluzione di acido nitrico contenente uranio e plutonio. Tale perdita, originata da una conduttura crepata, persistette per un periodo di 10 mesi, con il liquido che si infiltrò nel bacino di acciaio inossidabile del contenimento secondario dell’impianto. Si stimò che la quantità di materiali fissili disciolti nell’acido fosse di circa venti tonnellate di uranio e 160 chilogrammi di plutonio.

 

Il materiale, parzialmente trattato, fu successivamente drenato in serbatoi di stoccaggio. Tuttavia, la riparazione della conduttura danneggiata fu considerata impraticabile a causa del livello estremamente elevato di radiazioni presente nella cella, rendendo impossibile anche l’intervento di robot automatizzati.

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Immagine di Reading Tom via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

 

 

 

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Nucleare

Il Niger accusa il gruppo nucleare statale francese di «crimini di massa»

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Il governo militare del Niger ha accusato l’azienda nucleare francese Orano di «inquinamento radioattivo» e «comportamento predatorio», dopo che i funzionari hanno annunciato di aver rinvenuto centinaia di barili di scorie radioattive abbandonati vicino a un vecchio sito estrattivo di uranio nel Nord del Paese.   Il ministero delle Miniere ha riferito che gli ispettori hanno individuato circa 400 barili contenenti elevati livelli di materiali radioattivi nel nucleo a Madaouela, in prossimità del polo uranifero di Arlit, un tempo gestito da Orano. Le rilevazioni sul posto hanno registrato valori fino a 10 microsievert all’ora, contro una media di 0,5, e le analisi hanno evidenziato sostanze tossiche in grado di provocare problemi respiratori.   Il ministro della Giustizia nigerino, Alio Daouda, ha annunciato martedì ai media che l’azienda sarà chiamata a rispondere in giudizio per «crimini di massa», tra cui lesioni all’ambiente, alla salute collettiva e alla sovranità nazionale.   «Questa discarica abusiva testimonia il disprezzo costante di Orano per il Niger e i suoi abitanti sin dall’avvio dell’estrazione uranifera», ha dichiarato Daouda, assicurando che «il Niger non arretrerà nella tutela della propria sovranità».   Orano, controllata al 90% dallo Stato francese, ha replicato all’agenzia Reuters affermando di «non detenere alcuna licenza operativa per il sito di Madaouela e di non avervi svolto operazioni di sorta».   Le imputazioni si inquadrano in un’escalation del contenzioso tra Niamey e Orano sul dominio delle miniere uranifere in questa nazione dell’Africa occidentale, ottavo produttore globale di yellowcake. In epoca di piena operatività, il Niger riforniva il 15-17% dell’uranio impiegato dalla Francia per la sua produzione energetica nucleare.   La settimana scorsa, il Niger avrebbe disatteso un’ordinanza del tribunale della Banca Mondiale, spostando oltre 1.000 tonnellate di uranio dalla miniera di Somair, controllata da Orano dal 1971 fino alla nazionalizzazione decisa a giugno.   L’azienda ha stigmatizzato l’operazione come una violazione delle decisioni giudiziarie, che vietavano all’ex colonia francese di «vendere, trasferire o anche solo consentire il trasferimento a terzi dell’uranio prodotto da Somair».   I leader militari hanno ribadito di agire nell’esercizio dei diritti sovrani. Oltre ad aver assunto il controllo effettivo di Somair – motivato dal «comportamento irresponsabile, illegale e iniquo» di Orano –, l’anno scorso il governo ha pure revocato all’azienda la concessione per il giacimento di Imouraren.   Come riportato d Renovatio 21, a maggio 2025 le forze di sicurezza nigerine avevano sequestrato attrezzature facendo irruzione nelle filiali di Orano.   Come riportato da Renovatio 21, dopo il golpe di due anni fa la giunta di Niamey ha subito sospeso le vendite di uranio ai francesi, che utilizzano il minerale estratto in Niger per coprire il del fabbisogno per la produzione di energia atomica, che viene peraltro venduta anche all’Italia, che ne è dipendente per il 6%.
 

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Immagine di Stuart Rankin via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0; immagine tagliata
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Nucleare

L’ex vertice dell’esercito ucraino vuole le armi nucleari

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L’ex comandante supremo delle Forze Armate ucraine, il generale Valery Zaluzhny, ha sostenuto che solo l’ingresso nella NATO, l’installazione di armi atomiche o l’accoglienza di un imponente contingente militare straniero possano assicurare una protezione effettiva per Kiev.

 

Le dichiarazioni sono state rese note in un saggio apparso sabato sulle colonne del giornale britannico Telegraph.

 

Il generale – che, secondo indiscrezioni, starebbe tessendo in silenzio una compagine politica da Londra in vista di una possibile corsa alla presidenza – ha delineato le sue analisi su come sconfiggere Mosca, forgiare un’«Ucraina rinnovata» e quali «tutele di sicurezza» adottare per prevenire una ricaduta nel confronto con il Cremlino.

 

«Queste tutele potrebbero comprendere: l’accessione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica, il posizionamento di ordigni nucleari sul suolo ucraino o l’impianto di un corposo schieramento alleato in grado di fronteggiare la Federazione Russa», ha argomentato Zaluzhny.

 

L’alto ufficiale ha sostanzialmente ribadito le posizioni più intransigenti della classe dirigente ucraina attuale: Volodymyr Zelens’kyj ha spesso invocato simili tesi nel corso della crisi con la Russia, e pure in precedenza.

 

Il governo russo ha più volte stigmatizzato come inaccettabili qualsivoglia delle «tutele di sicurezza» indicate da Zaluzhny. Mosca contrasta da anni le velleità atlantiste di Kiev, additando l’allargamento verso levante del Patto come un pericolo per la propria integrità e annoverandolo tra i moventi principali del contenzioso in atto.

 

Inoltre, il Cremlino ha insistito che, in qualsivoglia intesa di pace futura, l’Ucraina debba abbracciare uno statuto di neutralità.

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Anche le esternazioni nucleari di Kiev sono state aspramente censurate da Mosca, che le ha giudicate foriere di escalation e di un rischio di conflagrazione mondiale. La dirigenza ucraina ha spesso deplorato l’abbandono dell’eredità atomica sovietica agli albori degli anni Novanta, lamentando di non aver ottenuto contropartite adeguate.

 

La leadership di Kiev ha sostenuto a lungo che gli Stati Uniti e i suoi alleati avevano l’obbligo di proteggere l’Ucraina a causa del Memorandum di Budapest del 1994, in cui Stati Uniti, Regno Unito e Russia avevano dato garanzie di sicurezza in cambio della rimozione delle testate nucleari sovietiche dal territorio ucraino.

 

In verità, però, quell’arsenale era rimasto sotto l’egida moscovita, mentre l’Ucraina sovrana mancava delle capacità per gestirne o preservarne le testate residue dopo la dissoluzione dell’URSS. Allo stesso modo, la Russia ha escluso qualsivoglia ipotesi di dispiegamento di truppe straniere in Ucraina, né durante né oltre il conflitto vigente. Tale mossa, a giudizio del Cremlino, non farebbe che precipitare Mosca in uno scontro frontale con l’Occidente.

 

Come ricordato da Renovatio 21, c’è da dire che la fornitura di atomiche a Kiev è stata messa sul piatto varie volte da personaggi come l’europarlamentare ucraino Radoslav Sikorski, membro del gruppo Bilderberg sposato alla neocon americana Anne Applebaum.

 

Si tende a dimenticare che lo stesso Zelens’kyj parlò di riarmo atomico di Kiev alla Conferenza di Sicurezza di Monaco, pochi giorni prima dell’intervento russo. In seguito, Zelens’kyj e i suoi hanno più volte parlato di attacchi preventivi ai siti di lancio russi e di «controllo globale» delle scorte atomiche di Mosca.

A inizio anno, la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca Maria Zakharova aveva definito lo Zelen’skyj come un «maniaco» che chiede armi nucleari alla NATO.

 

Come riportato da Renovatio 21, mesi fa il quotidiano londinese Times aveva parlato di «opzione nucleare ucraina». Settimane prima il tabloid tedesco Bild aveva riportato le parole di un anonimo funzionario ucraino che sosteneva che Kiev ha la capacità di costruire un’arma nucleare «in poche settimane».

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Immagine di MarianaSenkiv via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata

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Nucleare

Il think tank del CFR chiede che Giappone, Germania e Canada diventino potenze nucleari

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Un articolo pubblicato il 19 novembre su Foreign Affairs – la rivista di punta del Council on Foreign Relations, il think tank dell’establishment dello Stato profondo USA– rappresenta una provocazione senza precedenti. Il titolo è inequivocabile: «Gli alleati dell’America dovrebbero passare al nucleare. Una proliferazione selettiva rafforzerà l’ordine globale, non lo distruggerà».   Gli autori, i professori di relazioni internazionali Moritz S. Graefrath e Mark Raymond dell’Università dell’Oklahoma, sostengono che gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare il dogma della non proliferazione e incoraggiare Canada, Germania e Giappone ad armarsi di ordigni atomici. Secondo loro, questo renderebbe il mondo «più stabile».   «Washington farebbe bene a riconsiderare la sua rigida opposizione alla proliferazione e a spingere un ristretto gruppo di alleati – Canada, Germania e Giappone – verso il nucleare», scrivono. Per gli USA significherebbe scaricare parte del peso della difesa regionale su questi partner e ridurre la loro dipendenza militare; per Berlino, Tokyo e Ottawa significherebbe ottenere la deterrenza definitiva contro Russia e Cina, oltre a proteggersi da un eventuale disimpegno americano dalle alleanze tradizionali.

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«Lungi dall’inaugurare un’era di instabilità globale, una proliferazione selettiva contribuirebbe a sostenere l’ordine post-1945», aggiungono, difendendo così il cosiddetto «ordine basato su regole» con cui l’asse anglo-americano cerca di tenere sotto controllo la maggioranza globale, nonostante il sistema finanziario transatlantico sia al collasso. In particolare, «una Giappone nucleare contribuirebbe enormemente al principale obiettivo statunitense in Asia orientale: contenere la Cina attraverso alleanze locali forti».   Gli autori sembrano ignorare deliberatamente la storia: uno dei motivi principali dietro i negoziati del Trattato di Non Proliferazione (TNP) negli anni Sessanta e il programma di condivisione nucleare NATO fu proprio impedire alla Germania di dotarsi di armi atomiche. Riarmare Berlino in chiave anti-russa con ordigni nucleari evoca sinistri precedenti storici.   Quanto al Giappone, la Costituzione pacifista imposta da MacArthur nel dopoguerra è stata concepita proprio per scongiurare il ritorno del militarismo nipponico – una carta che Washington e Londra stanno cercando di stracciare da anni, come dimostrano le recenti dichiarazioni del primo ministro Sanae Takaichi, pronta a riesaminare la dottrina dei «tre no» sulle armi nucleari (che ne vieta il possesso, la fabbricazione e l’introduzione su suolo nipponico) e a coinvolgere Tokyo in un eventuale conflitto su Taiwan.   Graefrath e Raymond omettono questi precedenti e presentano Germania e Giappone come «membri responsabili della comunità internazionale». In realtà, autorizzare la loro proliferazione nucleare in difesa di un ordine mondiale in disfacimento accelererebbe la corsa verso un conflitto atomico.   L’articolo porta inoltre i segni evidenti del tentativo britannico di «blindare» l’establishment globale contro un secondo mandato Trump: «una forza nucleare tedesca indipendente proteggerebbe Berlino dalla possibilità di un ritiro improvviso degli Stati Uniti dall’Europa». In altre parole: se Trump dovesse davvero ridurre l’impegno americano, meglio che Berlino abbia le sue bombe.   Il discorso non è nuovo neanche in Europa.   Come riportato da Renovatio 21, l’eurodeputata SPD Katarina Barley aveva ipotizzato mesi fa il riarmo atomico dell’Europa – e quindi per una Germania rimilitarizzata, un concetto che si dice fosse uno dei motivi della creazione della NATO («Tenere l’Europa dentro, i russi fuori, i tedeschi sotto») e un vero incubo per lo statista italiano Giulio Andreotti («la Germania mi piace così tanto che ne voglio due»).

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Come riportato da Renovatio 21, il neocancelliere Federico Merz ha promesso, appena eletto, di escludere le armi atomiche, ma non è facile credergli. Credere ad un cancelliere tedesco, in una Germania che ripudia le centrali atomiche ma invoca le bombe atomiche, potrebbe essere difficilissimo.
Bizzarramente, in un’intervista pubblicata a luglio per un giornale polacco il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi ha dichiarato che Germania potrebbe sviluppare le proprie armi nucleari entro pochi mesi, se lo desiderasse, affermando che Berlino possiede già il materiale nucleare, il know-how e l’accesso alla tecnologia necessari.   Secondo Grossi, la Germania potrebbe costruire una bomba nucleare nel giro di «qualche mese», anche se il direttore generale dell’AIEA ha sottolineato che «si tratta di ipotesi puramente ipotetiche» e che i Paesi europei continuano a ribadire il loro impegno nei confronti del Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari (TNP).

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