Connettiti con Renovato 21

Cina

Perché la Cina non può tirare fuori il mondo da una nuova Grande Depressione

Pubblicato

il

Renovatio 21 traduce questo articolo di William F. Engdahl. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

Negli ultimi due decenni, da quando la Cina è stata ammessa nell’OMC, la sua base industriale nazionale ha fatto passi da gigante per emergere come il principale produttore economico mondiale in molte aree importanti. I dibattiti accademici sul fatto che il PIL della Cina sia maggiore di quello degli Stati Uniti sono fuori luogo. Il PIL è in gran parte inutile come misura di un’economia reale. Se misurata in termini di produzione economica fisica reale, la Cina ha lasciato indietro gli Stati Uniti e tutti gli altri. Pertanto, il corso futuro della produzione industriale in Cina è vitale per il futuro dell’economia mondiale. La globalizzazione dell’economia mondiale lo ha reso tale.

 

 

La produzione di acciaio è ancora l’unico miglior indicatore di un’economia reale in crescita. Nel 2021, la Cina ha prodotto più di dodici volte il tonnellaggio di acciaio degli Stati Uniti, oltre un miliardo di tonnellate. Gli Stati Uniti, un tempo leader mondiale, gestivano ben 86 milioni di tonnellate.

 

In tonnellate di carbone, la Cina produce circa il 50% del carbone totale mondiale. Controlla il 70% dell’estrazione mondiale di terre rare e oltre il 90% della sua lavorazione, grazie alle bizzarre azioni politiche statunitensi che risalgono a diversi decenni fa.

 

La Cina oggi è di gran lunga il più grande produttore mondiale di autoveicoli, quasi tre volte la dimensione degli Stati Uniti con 27 milioni di unità all’anno, un terzo del totale mondiale nel 2022.

 

La Cina è di gran lunga il più grande produttore del cemento essenziale per l’edilizia ed è il primo produttore mondiale di alluminio. Con 40 milioni di tonnellate nel 2022, questo è paragonabile a nemmeno un milione di tonnellate negli Stati Uniti.

 

È anche il più grande consumatore di rame al mondo. L’elenco continua.

 

Questo è semplicemente per suggerire quanto sia stata essenziale l’economia della Cina per la crescita economica mondiale negli ultimi due decenni. Solo quattro decenni fa la Cina era insignificante in termini economici reali mondiali.

 

Quindi, se la Cina entra in una profonda contrazione economica, questa volta l’effetto sarà globale. E questo è proprio ciò che è ora in corso. È importante notare che la contrazione è iniziata ben prima dei severi tre anni di blocco zero COVID in Cina.

 

In poche parole, la Cina dalla cosiddetta Grande Crisi Finanziaria del 2008 è riuscita a creare una bolla finanziaria di dimensioni mai viste prima nel mondo. Quella bolla ha iniziato a sgonfiarsi, a partire dal settore immobiliare, intorno al 2019. La scala è sistemica ed è solo all’inizio.

 

Colossale riduzione dell’indebitamento e debito nascosto

Un enorme problema con il modello economico della Cina negli ultimi due decenni è stato il fatto che è stato un modello finanziario basato sul debito, massicciamente concentrato sulla speculazione immobiliare al di là di ciò che l’economia può digerire.

 

Dal 25% al 30% del PIL cinese totale proviene da investimenti immobiliari in case, appartamenti, uffici. Questo è significativo. Il problema è che il settore immobiliare, in particolare gli appartamenti in Cina, per più di due decenni, è sembrato essere una fonte di guadagno garantita per proprietari, costruttori, banche e soprattutto funzionari del governo locale.

 

I prezzi sono aumentati ogni anno a doppia cifra, a volte del 20%. Milioni di cinesi della classe media hanno acquistato non solo uno, ma due o più appartamenti, utilizzando il secondo come investimento per la futura pensione. La terra della Cina è di proprietà del Partito Comunista, a livello locale. Viene affittato a lungo termine alle imprese edili che poi prendono in prestito per costruire.

 

Qui diventa torbido. Per i funzionari del governo locale del Partito Comunista, le entrate derivanti dall’affitto di terreni immobiliari locali e dai loro progetti infrastrutturali sono la loro principale fonte di entrate. Finora le tasse comunali sugli immobili sono vietate nonostante l’enorme pressione dei funzionari locali.

 

Nei mesi del 2018 e del 2019 i prezzi degli immobili in Cina hanno raggiunto il picco. Da allora sono stati in un prolungato declino.

 

La Cina ha un modello immobiliare unico e molto incline agli abusi. In genere un acquirente deve pagare in anticipo l’intero prezzo di acquisto quando uno sviluppatore ha appena iniziato la costruzione. «Acquista oggi perché il prezzo sarà ancora più alto domani» era il mantra. Prende un mutuo, di solito dalle banche locali, per farlo. Se il costruttore non completa in tempo, l’acquirente deve comunque pagare il mutuo. Anche se il costruttore fallisce come sta accadendo ora, lasciando dietro di sé abitazioni abbandonate e non finite.

 

Nessun altro Paese utilizza quel modello. Tipicamente nei paesi occidentali basta un piccolo acconto su una casa da prenotare fino al completamento. Il mutuo arriva quando la proprietà è finita. Non in Cina.

 

Finché i prezzi delle case in Cina sono stati in costante aumento, apparentemente ha funzionato e il mercato interno si è espanso. Quando quell’inflazione dei prezzi si è fermata, per una serie di motivi, e aggravata dai severissimi lockdown COVID, quella che allora era una colossale bolla immobiliare ha cominciato a implodere.

 

Secondo l’economista Robert Pettis dell’Università di Pechino, «dall’inizio della crisi immobiliare a settembre e ottobre 2021, i prezzi degli immobili sono diminuiti in oltre i due terzi delle settanta città più grandi della Cina (e probabilmente in tutte le più piccole), mentre, cosa ancora più importante, le vendite di nuovi appartamenti quest’anno (2022) sono crollate».

 

La svolta importante è avvenuta nel 2021 con il default del China Evergrande Group sulle sue obbligazioni in dollari. All’epoca era il conglomerato immobiliare più indebitato al mondo con debiti per oltre 300 miliardi di dollari. Nel 2018 Evergrande è stato considerato «il gruppo immobiliare più prezioso al mondo», secondo Wikipedia. Era sulla carta. Al momento del default possedeva anche parchi a tema, un’azienda automobilistica di veicoli elettrici, resort e terreni sufficienti per ospitare 10 milioni di persone.

 

Fino a quando Pechino non si è rifiutata di salvare Evergrande, in un tentativo tardivo di raffreddare la bolla, i finanziatori cinesi avevano continuato a concedere prestiti, sulla base del presupposto che i grandi mutuatari sarebbero stati salvati: Too Big To Fail. Pechino ha imparato tutte le lezioni sbagliate dalle banche statunitensi dopo la Lehman Bros.

 

È venuto fuori che Evergrande aveva creato una colossale frode Ponzi nel corso degli anni. Non erano unici. A seguito di un boom immobiliare speculativo dopo il 2010, i governi locali scarsamente regolamentati in tutta la Cina si sono rivolti sempre più al settore immobiliare per aumentare le entrate e raggiungere gli obiettivi di crescita del PIL di Pechino, una versione monetaria de facto della pianificazione centrale sovietica.

 

Gonfiare i valori immobiliari locali era un modo per raggiungere gli obiettivi del PIL locale. Ai funzionari locali è stata assegnata la loro quota di contributo annuo al PIL da soddisfare. Il settore immobiliare è diventato il veicolo ideale per raggiungere gli obiettivi del PIL e generare entrate locali. Finché i prezzi sono aumentati, le banche e le “banche ombra” locali sempre più non regolamentate si sono unite alla miniera d’oro «win-win». Secondo il South China Morning Post, tra il 2020 e l’inizio dei severi lockdown COVID, il contributo delle vendite di terreni e delle tasse sugli immobili alle entrate fiscali del governo locale ha raggiunto un picco del 37,6%.

 

Il default parziale di Evergrande ha scatenato il panico nel settore immobiliare cinese che i funzionari hanno cercato disperatamente e senza successo di controllare. È stata semplicemente la prima grande vittima in quello che è un tracollo sistemico. Le autorità di Pechino hanno imposto severi limiti ai prestiti immobiliari nel vano tentativo di contenere l’implosione, le cosiddette Tre Linee Rosse. Ciò ha peggiorato l’implosione della bolla immobiliare.

 

Nel 2022 le vendite di nuove case in Cina sono crollate del 22% rispetto al 2021. A febbraio 2023, i prezzi delle case in Cina erano diminuiti per 16 mesi consecutivi. Le vendite dei 100 migliori sviluppatori del paese lo scorso anno sono state solo il 60% dei livelli del 2021. Le vendite di terreni, che in genere rappresentano oltre il 40% delle entrate del governo locale, sono crollate.

 

Case vuote e disoccupazione in aumento

Fino a quando la bolla non è scoppiata nel 2022 con il default di Evergrande, i prezzi degli immobili cinesi erano aumentati parecchie volte rispetto al reddito familiare rispetto agli Stati Uniti. Cosa ancora più allarmante, due decenni di dilagante inflazione dei prezzi avevano letteralmente creato città fantasma e milioni di appartamenti vuoti. Nel 2021 circa 65 milioni di appartamenti in Cina erano vuoti, sufficienti per ospitare la nazione francese.

 

Questo è stato il risultato di due decenni o più di comuni e sviluppatori che hanno costruito oltre la domanda effettiva, poiché i cittadini hanno acquistato per investimento, non per vivere. Una stima è che tra un quinto e un quarto del patrimonio abitativo totale in Cina, specialmente nelle città più desiderabili, fosse di proprietà di acquirenti speculativi che non avevano intenzione di viverci o affittarli. Nella cultura cinese, un appartamento usato è considerato poco attraente.

 

Con il calo dei prezzi, queste case diventano impagabili.

 

I lockdown COVID senza precedenti di 3 anni che si sono conclusi bruscamente lo scorso dicembre non hanno aiutato le cose. Migliaia di produttori stranieri tra cui Apple, Foxconn, Samsung e Sony, hanno iniziato a lasciare la Cina per altre località in Asia o addirittura in Messico, alimentando una crescente crisi di disoccupazione che alimenta la crisi immobiliare in un ciclo che si autoalimenta.

 

Come risultato di questa implosione al rallentatore in tutta la Cina, per la prima volta dalla grande espansione la disoccupazione sta diventando molto grave. Questo marzo, la disoccupazione giovanile ha superato ufficialmente il 20%. Milioni di neolaureati non riescono a trovare lavoro e Pechino ha iniziato a mandarli a lavorare nelle campagne rurali, che ricordano l’era di Mao. Questo è di cattivo auspicio per le future vendite di case. Una bolla in contrazione ha una dinamica viziosa.

 

Fino all’epoca delle Olimpiadi di Pechino del 2008, gli investimenti immobiliari erano ampiamente produttivi. Ha colmato un enorme deficit di alloggi di qualità poiché una nuova classe media è diventata più ricca.

 

Dopo il 2010 circa, ciò ha iniziato a passare allo stato di bolla quando milioni di cinesi ricchi e della classe media hanno iniziato ad acquistare seconde e persino terze case per pura speculazione mentre i prezzi aumentavano a due cifre. Il grado di supervisione centrale delle finanze dei governi locali era debole.

 

Negli ultimi anni, per evitare la repressione centrale da parte delle autorità di Pechino, timorose dell’implosione di una nuova bolla del debito, i governi locali, spesso con la collusione nascosta delle gigantesche banche statali, hanno creato un’economia non bancaria, «banche ombra», tutte fuori bilancio.

 

Di conseguenza, nonostante le azioni delle autorità di regolamentazione di Pechino per controllare il tracollo immobiliare e prevenire il contagio, il debito totale, pubblico e privato, in Cina entro febbraio 2023 secondo Bloomberg ha raggiunto un allarmante 280% del PIL.

 

Commodity.com riporta che il debito statale totale della Cina nel 2023 è di oltre 9,4 trilioni di dollari. Ma ciò escludeva i veicoli di finanziamento del governo locale (LGFV). I governi locali cinesi fanno affidamento su LGFV fuori bilancio per raccogliere fondi per l’edilizia pubblica locale: abitazioni, ferrovie ad alta velocità, porti, aeroporti. Si stima che i debiti di tutti questi LGFV siano circa 27 trilioni di dollari in più.

 

La cifra ufficiale del debito totale dello Stato escludeva anche il debito delle banche statali e delle aziende statali, anch’esso chiaramente considerevole, ma non pubblicato. Quel debito totale è anche senza le dimensioni sconosciute delle banche ombra locali che l’Istituto nazionale cinese per la finanza e lo sviluppo nel 2018 ha stimato in circa 6 trilioni di dollari in più.

 

Il risultato di tutte queste omissioni è una cifra da prima pagina intesa a rassicurare i mercati finanziari occidentali che la Cina ha un debito pubblico e privato gestibile. Non è così. Tutto sommato, molto approssimativamente possiamo calcolare un gigantesco accumulo di debito di oltre 42 trilioni di dollari, una somma sbalorditiva per un’economia che solo tre decenni fa era a un livello di economia sottosviluppata.

 

Un importante veicolo utilizzato per finanziare i bilanci locali sono le obbligazioni di investimento municipali non garantite e in gran parte non regolamentate. A differenza del tradizionale debito municipale nei paesi occidentali, gli LGFV locali cinesi non sono in grado di utilizzare le entrate fiscali per finanziare gli interessi sulle obbligazioni o il pagamento del capitale.

 

Pertanto, i governi locali attingerebbero a un mercato immobiliare in crescita affittando i loro terreni a lungo termine agli sviluppatori per finanziare i pagamenti delle obbligazioni. Ciò ha creato un sistema in cui un calo sostenuto della costruzione, delle vendite e dei prezzi delle abitazioni ora crea una minaccia sistemica. Questo è ora in corso in tutta la Cina. In soli due decenni la Cina ha creato il secondo più grande mercato del debito societario al mondo dopo gli Stati Uniti, e la maggior parte di questo è nel debito obbligazionario municipale non regolamentato.

 

Come risultato di questa combinazione unica di politiche fiscali del governo locale con i mercati immobiliari locali, un sostanziale calo dei prezzi delle case o dei terreni ha notevolmente aumentato il livello di rischio di insolvenza del governo locale sui propri debiti. Nel luglio 2022 la città di Zunyi nel Guizhou è andata in default su un’importante obbligazione, portando al collasso dell’intero mercato obbligazionario locale non regolamentato, poiché in seguito le emissioni di obbligazioni locali sono crollate dell’85%.

 

Le obbligazioni erano un modo per rifinanziare il debito locale e quel canale ora è quasi chiuso, nonostante le iniezioni di liquidità di Pechino all’inizio del 2023. Gli investitori erano per lo più cinesi ordinari locali che cercavano di guadagnare sui risparmi.

 

Lo scorso aprile i funzionari di Guiyang, sempre nel Guizhou, hanno dichiarato a Pechino di non essere in grado di finanziare i propri debiti accumulati in un decennio in progetti di costruzione compreso l’alloggio.

 

Questo apre la fase successiva dell’implosione del debito. Secondo quanto riferito, diversi comuni cinesi hanno tagliato i salari, ridotto i servizi di trasporto e ridotto i sussidi per il carburante nel disperato tentativo di evitare il default.

 

 

Sicurezza nazionale ridefinita

La trasparenza dei dati finanziari è sempre stata un problema in Cina. Trent’anni fa il Paese non aveva mercati finanziari sviluppati. Finché l’economia era in espansione, tuttavia, non era una priorità. Adesso lo è, ma è troppo tardi.

 

Un segnale di quanto la situazione stia diventando grave, le autorità di Pechino hanno iniziato a limitare il rilascio di dati finanziari locali e aziendali a società straniere, definendolo un problema di «sicurezza nazionale».

 

Il 9 maggio Bloomberg ha riferito: «il giro di vite della Cina sull’accesso ai dati alle aziende estere si aggiunge alle preoccupazioni su come Pechino controlla il flusso di informazioni nel Paese, rendendo difficile per gli investitori valutare lo stato dell’economia». Informazioni come documenti accademici, sentenze giudiziarie, biografie ufficiali di politici e transazioni sul mercato obbligazionario sono interessate, riferiscono.

 

La società di consulenza statunitense Bain &Co. hanno recentemente fatto irruzione nei loro uffici cinesi nell’ambito della campagna nazionale sulla sicurezza dei dati. Tali misure possono nascondere la realtà dalle pagine del Wall Street Journal o della CNBC per un po’, ma la realtà alla base del crollo del più grande edificio finanziario del mondo sarà più difficile da nascondere.

 

Questo maggio, Dalian Wanda Group, un altro importante conglomerato immobiliare cinese con investimenti in catene cinematografiche statunitensi, immobiliari australiane e oltre, ha rivelato colloqui con i suoi principali banchieri per ristrutturare enormi debiti in mezzo a una crisi di liquidità.

 

Il Financial Times del Regno Unito il 9 maggio ha riferito che le speranze di una ripresa post-COVID della Cina stanno svanendo: «i prezzi del minerale di ferro cinese sono scesi ai livelli più bassi in cinque mesi, poiché la domanda debole si aggiunge alla prova che la ripresa economica del paese dai duri blocchi del coronavirus potrebbe vacillare… l’ottimismo e l’attività che hanno seguito la fine del blocco sono diminuiti, portando a un “crollo” nel mercato dell’acciaio».

 

Tutto ciò significa che la prospettiva che l’economia cinese sia una locomotiva della crescita per sollevare il resto del mondo dall’incombente depressione è praticamente nulla a questo punto.

 

La massiccia Belt and Road Initiative è impantanata in centinaia di miliardi di dollari in prestiti a paesi incapaci di onorare il debito, mentre i tassi di interesse mondiali aumentano e la crescita si ferma.

 

Tentativi di stimolare la crescita interna della Cina facendo affidamento su un boom dei consumi sono attualmente destinati a fallire per ovvi motivi, così come l’invito di Xi Jinping a fare del 5G, dell’Intelligenza Artificiale e di tali tecnologie la base di un nuovo boom, poiché le sanzioni statunitensi ostacolano notevolmente i progressi dell’IT cinese.

 

 

William F. Engdahl

 

 

F. William Engdahl è consulente e docente di rischio strategico, ha conseguito una laurea in politica presso la Princeton University ed è un autore di best seller sulle tematiche del petrolio e della geopolitica. È autore, fra gli altri titoli, di Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation («Semi della distruzione, l’agenda nascosta della manipolazione genetica»), consultabile anche sul sito globalresearch.ca.

 

 

Renovatio 21 offre la traduzione di questo articolo per dare una informazione a 360º.  Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

PER APPROFONDIRE

Presentiamo in affiliazione Amazon alcuni libri del professor Engdahl

 

 

 

 

 

Immagine di Chinaunderground via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

Continua a leggere

Cina

Condanna finita, ma nessuna notizia della blogger che raccontò la pandemia a Wuhan

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Cristiana in prima linea per i diritti umani a Shanghai, oggi quarantenne, Zhang Zhan avrebbe dovuto essere liberata oggi scontati i quattro anni di reclusione, ma alla famiglia è stato imposto il silenzio e non si hanno notizie certe su di lei. Gli attivisti che seguono il suo caso temono che la sua detenzione stia proseguendo sotto altre forme, come già accaduto in altri casi.

 

Trascorsi i quattro anni di carcere a cui era stata condannata con la classica accusa di «provocare litigi e creare problemi», oggi doveva essere il giorno della liberazione di Zhang Zhan, la blogger cristiana di Shanghai che nel febbraio 2020 si era recata a Wuhan e dalla città epicentro della pandemia da COVID-19 come «cittadina giornalista» per tre mesi aveva provato a raccontare quanto stava succedendo.

 

A fine giornata, però, dal carcere femminile di Shanghai dove ha scontato la sua detenzione non è ancora filtrata alcuna notizia. E la preoccupazione degli attivisti per i diritti umani è che la sua privazione della libertà stia semplicemente continuando sotto un’altra forma.

 

Quarant’anni, laureata alla Southwestern University di Chengdu, Zhang Zhan era un avvocato a cui a Shanghai le autorità locali avevano già sospeso la licenza a causa delle sue battaglie per i diritti umani. Era già stata arrestata una prima volta nel settembre 2019 per aver marciato con un ombrello su Nanjing Road a Shanghai, a sostegno delle proteste di Hong Kong.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Alle prime notizie della pandemia si era quindi recata a Wuhan per documentare quanto stava succedendo, pubblicando un centinaio di video in tre mesi e rispondendo anche a domande di media internazionali. Arrestata nel maggio 2020 era diventata la prima blogger a essere condannata per le notizie diffuse sulla pandemia.

 

In una nota diffusa questa sera alle ore 19,30 di Pechino la campagna Free Zhang Zhan – che dalla Gran Bretagna ha tenuto accesi i riflettori sul suo caso – ha confermato che non è arrivata nessuna conferma sul fatto che la donna abbia effettivamente lasciato il carcere e sia tornata a casa.

 

«Sappiamo che la famiglia di Zhang Zhan è stata sottoposta a enormi pressioni e ha ricevuto un severo avvertimento a non rilasciare interviste ai media» si legge in una nota diffusa stasera. «Anche le telefonate degli amici sono rimaste senza risposta. Almeno un attivista di Shanghai nei giorni scorsi è stato convocato dalla polizia per aver espresso l’intenzione di andare a prendere Zhang Zhan all’uscita della prigione insieme alla madre. Un’attivista dell’Henan è stata intercettata in una stazione ferroviaria mentre cercava di recarsi a Shanghai; voleva salutare Zhang Zhan o almeno mostrarle solidarietà fuori dal carcere femminile, ma le è stato impedito di comprare il biglietto ferroviario».

 

La campagna Free Zhang Zhan parla di «segnali estremamente preoccupanti». «Se Zhang Zhan si troverà nella stessa situazione di Chen Jianfang (un’altra attivista che nell’ottobre 2023, quando è stata rilasciata dal carcere, è stata posta agli arresti domiciliari ndr), avrà poche possibilità di ricevere le cure mediche urgenti di cui ha bisogno per riprendersi. È assolutamente inaccettabile che il governo cinese sottoponga molti difensori dei diritti umani e le loro famiglie a questo tipo di crudeltà. Anche dopo il loro rilascio, sono ancora privati dei loro diritti fondamentali. Per alcuni è come se avessero ricevuto una condanna a vita».

 

«Avremmo già dovuto avere notizie da lei o dalla sua famiglia» conclude la nota. «Invece, ci chiediamo dove sia, come stia fisicamente e mentalmente, che cosa sia successo alla sua famiglia e che cosa le riservi il futuro: rimarrà prigioniera in casa sua (come accaduto a Chen Jianfang)? Sarà detenuta in una struttura medica senza accesso alla sua famiglia (come capitato all’attivista dell’Hubei Yin Xu’an)? Scomparirà forzatamente (come l’avvocato per i diritti umani Gao Zhisheng)? Il silenzio parla chiaro. Esortiamo la comunità internazionale a chiedere conto al regime comunista cinese della sua orrenda pratica di “detenzione morbida” o di “non rilascio” degli ex prigionieri politici».

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da YouTube

Continua a leggere

Cina

Le Filippine vicine all’espulsione dei diplomatici cinesi

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   La Cina questa settimana ha diffuso una presunta conversazione telefonica risalente a gennaio durante la quale un ammiraglio filippino accetta di fare delle concessioni ai funzionari cinesi. Il consigliere per la sicurezza nazionale ieri ha sottolineato che in questo modo Pechino sta violando le leggi locali.   Continuano le tensioni nel Mar cinese meridionale tra la Cina e le Filippine. Il consigliere per la sicurezza nazionale Eduardo Ano ha chiesto l’espulsione dei diplomatici cinesi dopo che questi hanno rilasciato la presunta conversazione telefonica di un ufficiale militare filippino: «i ripetuti atti da parte dell’ambasciata cinese di creare e diffondere ora rilasciando trascrizioni o registrazioni fasulle di presunte conversazioni tra funzionari del Paese ospitante – non dovrebbero essere consentiti senza autorizzazione o senza gravi sanzioni», ha affermato ieri il consigliere per la sicurezza nazionale.   La presunta conversazione, che risalirebbe a gennaio, è stata diffusa questa settimana. Nell’audio, un diplomatico cinese e un ammiraglio filippino di nome Alberto Carlos, discutono della disputa nel Mar cinese meridionale, dove Pechino ripetutamente invade le acque territoriali non solo delle Filippine, ma anche di altri Paesi del sud-est asiatico, per ottenere il controllo delle risorse ittiche e marine.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Il militare filippino avrebbe accettato di «allentare la tensione ad Ayungin», un isolotto sommerso (chiamato Second Thomas Shoal a livello internazionale) parte delle Isole Spratly, dove un piccolo contingente di militari filippine vive a bordo del relitto di una nave da guerra fatta intenzionalmente arenare da Manila nel 1999 per promuovere le proprie rivendicazioni territoriali. Oggi viene utilizzata come appoggio per i rifornimenti. Carlos avrebbe promesso di limitare il numero di navi filippine che si recano alla base e fornire un preavviso alla Cina.   Il ministero degli Esteri cinese ha subito risposto alle dichiarazioni di Ano di ieri, affermando di «chiedere solamente che le Filippine garantiscano ai diplomatici cinesi di poter svolgere normalmente i loro compiti».   Le relazioni tra i due Paesi continueranno a essere tese, secondo gli osservatori, nonostante a gennaio entrambi avessero promesso di voler migliorare le comunicazioni per gestire le tensioni. Dall’inizio dell’anno ci sono stati tre scontri diretti tra la Guardia costiera filippina e la Marina cinese, ha fatto sapere Manila.   Nelle ultime settimane la Cina ha anche più volte fatto riferimento ad un presunto «accordo segreto» stipulato con il precedente presidente Rodrigo Duterte, effettivamente più filo-cinese rispetto all’attuale Ferdinand Marcos Jr. In base al presunto accordo, Manila avrebbe promesso di non riparare o costruire strutture a Second Thomas Shoal, ma il ministro della Difesa filippino ha dichiarato di non essere a conoscenza di nessun trattato di questo tipo.   Don McLain Gill, analista e docente presso l’Università De La Salle di Manila, ha spiegato al Nikkei che nel caso in cui le Filippine decidano di espellere i diplomatici cinesi, Pechino risponderebbe alla stessa maniera. Al momento la questione resta senza una vera risoluzione.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine screenshot da YouTube  
Continua a leggere

Cina

Un treno di prodotti agricoli dallo Xinjiang a Salerno. Le ONG uigure: frutto di lavoro schiavo

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Un viaggio di 10mila chilometri esaltato da Pechino come occasione di sviluppo (e di rivincita sull’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative). Ma il cotone e i pomodori dello Xinjang sono al centro della «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera», che secondo numerosi rapporti è una forma di lavoro forzato.

 

Un treno carico di prodotti agricoli partito da Urumqi, nella tormentata regione autonoma cinese dello Xinjiang, e destinato dopo 10mila chilometri di viaggio tra binari e trasbordi marittimi a raggiungere Salerno, in Italia.

 

Il nuovo viaggio bandiera della China-Europe Railway Express è partito il 29 aprile scorso dalla Cina, con ampia copertura mediatica da parte degli organi di stampa ufficiali di Pechino, che ne esaltano i benefici per l’economia dello Xinjiang.

 

Oltre a rilanciare le «potenzialità» di quella Belt and Road Initiative – la nuova «via della seta» di Xi Jinping – dai cui accordi pure il governo italiano dello scorso anno sarebbe uscito, annullando il memorandum sottoscritto da Roma e Pechino nel 2019 ma senza chiudere ad altre forme di cooperazione commerciale.

 

A restare sullo sfondo è però la questione del rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, regione dove gli abusi nei confronti uiguri hanno spesso anche il volto del lavoro forzato utilizzato proprio nell’agricoltura. Ad evidenziarlo è una presa di posizione pubblica lanciata in queste ore da tre dei gruppi più attivi sulla salvaguardia dei diritti della popolazione musulmana dello Xinjiang: Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders. Insieme hanno scritto una lettera aperta all’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa e chiedendo un’indagine accurata sull’origine dei prodotti trasportati su quel treno.

 

«La moderna schiavitù del popolo uiguro e i continui crimini contro l’umanità – si legge nel documento – sono stati ampiamente documentati da organizzazioni internazionali, media indipendenti e organismi governativi. L’uso del lavoro forzato in qualsiasi forma viola i principi fondamentali dei diritti umani, tra cui il diritto alla libertà dalla schiavitù e dal lavoro forzato, come sancito da diverse convenzioni e trattati internazionali di cui l’Italia è parte».

 

L’iniziativa della China-Europe Railway Express è rilevante anche per il peso della Regione autonoma uigura dello Xinjiang nella produzione agricola cinese: coltiva l’85% del cotone del Paese, oltre il 70% dei pomodori (producendo fino al 90% del concentrato di pomodoro destinato all’esportazione), il 50% delle noci e il 28% dell’uva. Inoltre nella regione vi sono anche coltivazioni significative di grano, mais e altri cereali.

 

«Prove significative – scrivono Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders, citando rapporti specifici sull’agricoltura nello Xinjiang – rivelano che i trasferimenti di manodopera nella regione uigura avvengono in un contesto di coercizione senza precedenti, con la costante minaccia di rieducazione e internamento. Molti lavoratori indigeni non sono in grado di rifiutare o abbandonare volontariamente il lavoro nel settore agricolo, e quindi i programmi equivalgono al trasferimento forzato di popolazioni, al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla riduzione in schiavitù».

 

Uno dei volti di questo sfruttamento oggi è anche quella che Pechino chiama la «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera» (转移就业脱贫). Concretamente: migliaia di persone vengono formate e trasferite verso lavori agricoli stagionali, come appunto la raccolta di cotone o pomodori. Inserito nel quadro del più ampio programma di Xi Jinping per la riduzione mirata della povertà, è un sistema costruito su misura di contesti sociali pervasivamente coercitivi, caratterizzati dalla mancanza di libertà civiche, come è appunto quello dello Xinjiang.

 

«Come membro della comunità internazionale – concludono il loro appello Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders – l’Italia ha la responsabilità di garantire che le sue pratiche commerciali siano in linea con il suo impegno per i diritti umani e gli standard etici. Permettere che merci prodotte attraverso il lavoro forzato entrino nei suoi confini non solo condona queste gravi violazioni dei diritti umani, ma mina anche la credibilità della posizione dell’Italia sulla promozione e l’applicazione dei diritti umani. Esortiamo il governo italiano ad agire immediatamente per indagare sull’origine delle merci arrivate a Salerno e a mettere in atto misure per prevenire l’importazione di prodotti ottenuti con il lavoro forzato».

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da YouTube
 

Continua a leggere

Più popolari