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«Per me, cattolico, è qualcosa che non è umano». Intervista alla guardia svizzera che ha rifiutato il vaccino obbligatorio in Vaticano

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Dopo la lettera aperta pubblicata da Renovatio 21, intervistiamo il suo autore, Pierre-André Udressy, ex guardia svizzera che ha rifiutato di sottoporsi al vaccino in Vaticano e che ora lascia quindi Roma.

 

 

 

Allora signor Udressy, di dove è lei?

Sono ovviamente svizzero. Del Canton Vallese.

 

Quanti anni ha?

Sono del ‘97. Ho 24 anni.

 

Come è entrato nella Guardia svizzera pontificia?

Sono entrato il 3 gennaio 2020, ma era un interesse che avevo già da dieci anni. Prima avevo lavorato cinque anni come falegname. Avendo tutti i requisiti (essere cattolico, aver fatto il militare…), ad un certo punto mi sono detto perché non provare ad entrare nella Guardia. 

 

E cosa la attraeva?

È un privilegio. Un’esperienza unica. È una bella cosa. È bello poter essere al centro della situazione della Chiesa, a fianco al Santo Padre. Non ci sono altre occasioni del genere.

 

Lei ha già avuto il COVID?

Sì. L’ho preso durante le vacanze di Natale 2020. Mi sono sentito affaticato, dolori muscolari, febbre. Qualche giorno dopo ho perso l’odorato. 

 

E cosa ha fatto?

Ho preso solo dei medicinali per la febbre. È durata due giorni. L’olfatto è tornato dopo una settimana. Dopo la quarantena, ho fatto il test ed era negativo. 

 

Quindi, signor Udressy: negli ultimi giorni cosa è successo?

Ci era stata data la possibilità di iscriverci per il programma di vaccinazione verso il Natale 2020. Ma nessuno nella Guardia si era iscritto, perché tutti dubitavano del vaccino. Per questo sono state fatte delle conferenze per convincere le guardie a vaccinarsi.

 

Cosa dicevano in queste conferenze?

C’era un medico del Vaticano che spiegava il vaccino e i suoi princìpi. Poi rispondeva poi a tutte le domande sulla responsabilità del vaccino. Diceva che non era facile ammalarsi di COVID più d’una volta. La conferenza era per persuaderci, tuttavia c’erano delle cose che mi facevano rimanere in dubbio.

 

Quindi cosa hanno detto?

C’erano dei punti che mi dicevano che non era efficace. Dicevano che anche da vaccinati si trasmetteva il virus. Dicevano anche che nonostante il vaccino le restrizioni come le mascherine e il distanziamento sociale non sarebbero sparite. Era duro comprendere l’efficacia del vaccino e la sua utilità.

 

Nella conferenza a cui ha assistito si è parlato del tema delle linee cellulari di feto abortito usate per la produzione del vaccino?

Ne hanno solo accennato rapidamente, dicendo che la Congregazione per la Dottrina della Fede ne aveva già parlato e dato il suo assenso. 

 

Le è sembrato strano?

Sì, sono uscito dalla conferenza stranito. La conferenza mi ha dato più dubbi sul vaccino che altri. Mi ha convinto a non farlo. Ho messo in dubbio tante cose.

 

Quanti colleghi l’hanno pensato come lei?

Quando è arrivata l’estate la maggioranza si era iscritta alle vaccinazioni. Altri avevano ancora dubbi.

 

E poi?

In agosto è uscito un documento che ha scaturito una pressione maggiore. A questo punto, molti altri si sono convinti a iscriversi e a vaccinarsi.

 

Cosa diceva il documento?

Ho ricevuto il documento il 20 agosto. Bisognava dare una risposta per il 15 settembre: o si presentava un’esenzione medica, o bisognava iscriversi per la vaccinazione.

 

Cosa ha pensato?

In quel momento ho cominciato a scrivere la lettera che avete pubblicato. Perché né l’una opzione o l’altra mi riguardavano. Ho capito in quel momento che ero obbligato a fare il vaccino.

 

E i suoi superiori?

Mi hanno convocato. Il comandante nel suo ufficio mi ha spiegato deluso ed afflitto che era una cosa definitiva, le guardie non vaccinate dovevano partire. In pratica le guardie non vaccinate potevano essere licenziate. Mi ha comunicato che la decisione veniva non solo dalla Segreteria di Stato, ma dall’autorità del Vaticano.

 

Vuole dire… dal papa?

È così. È stato anche spiegato che non c’era nessun altra possibilità, nemmeno aspettare un mese in più per un tipo di vaccino tradizionale. Mi è stato spiegato che prendere tempo per discutere era impossibile. La decisione era presa.

 

E i suoi colleghi?

Molti giovani hanno deciso di continuare la propria carriera e hanno accettato di vaccinarsi. Altri hanno fatto la terribile scelta lo hanno fatto per la loro funzione, non avendo veramente scelta. Tre si sono dimessi e tre sono stati licenziati. 

 

Ha parlato con i suoi colleghi che hanno rifiutato come lei?

Sì. Non capiscono cosa succede.

 

Ha già ricevuto la lettera di licenziamento?

Ho avuto una lettera che mi diceva che avevo tempo fino al 6 ottobre per licenziarmi o per fare il vaccino. Dopo quella data, ci sarebbe il licenziamento.

 

Come funziona il green pass vaticano?

La cosa più particolare è che per entrare nel Paese stesso ci vuole il green pass. Serve per entrare in ogni ufficio. In ogni servizio c’è un controllo. Chi non ha il green pass deve fare il tampone, ogni due giorni. Dal primo ottobre, per tutti. 

 

E cosa ne pensa?

In teoria tutti dovrebbero farlo: il rischio è lo stesso tra vaccinati e non vaccinati. 

 

Per le messe in Vaticano ci vuole il green pass?

Il decreto spiega che per le cerimonie liturgiche e l’udienze c’è eccezione. C’è il paradosso che un non vaccinato che abita in vaticano non può tornare a casa ma migliaia di persone da tutto il mondo possono andare alle udienze senza controlli.

 

Sa per caso quale vaccino è inoculato in Vaticano?

Il vaccino proposto a inizio anno era il Pfizer. Ma alla fine dell’estate in Vaticano hanno finito di vaccinare.

 

Perché?

Interessante… hanno detto che la maggior parte era vaccinata. I migranti e i bisognosi in ultima hanno potuto chiedere di essere vaccinati tramite l’elemosiniere.

 

Quindi se lei decidesse di vaccinarsi dovrebbe farlo in Italia?

Sì, è così. Dovrei organizzare la vaccinazione in Italia.

 

Dove avvengono le inoculazioni?

Erano organizzate in Aula Paolo VI. E poi al Braccio di Carlo Magno. Credo per liberare l’aula delle udienze.

 

I membri del clero, dai sacerdoti ai cardinali, sono tutti vaccinati?

No. Qualcuno non è vaccinato e non vuole esserlo. Ho ricevuto i complimenti per la lettera che avete pubblicato da alcuni di essi. 

 

Come fanno a stare in Vaticano?

Fanno il tampone. Loro hanno ancora l’opzione. Secondo il decreto vaticano, il tampone dovrebbe essere tollerato per tutti. Ma non è il caso della Guardia svizzera.

 

Che, al contrario, è stata obbligata al vaccino…

Sì. Hanno cominciato con la Guardia, offrendo l’argomento che siamo una forza di polizia, e siamo vicini al Santo Padre: quindi dovevamo vaccinarci. Per la Guardia è facile: basta dare un ordine, visto che si tratta di un corpo militare.

 

Esiste dentro lo Stato della Città del Vaticano una resistenza a tutto questo?

Con la pressione fatta, come per tutti, è difficile per le persone che resistono di manifestare il proprio pensiero pubblicamente. Alcuni approfittano del fatto che stanno finendo la loro funzione per partire, altri provano discretamente di continuare, ma nessuna resistenza attiva è realizzata.

 

Cosa avrebbe potuto fare la Guardia?

Avremmo potuto riunire le persone interessate e fare una manifestazione. Avremmo potuto porre questioni prima, avremmo potuto anche domandare giustizia, perché molte cose implicate, sul pretesto dell’urgenza, erano ingiuste. Potevamo fare più rumore, anche sui media, ma siamo stati, alla fine, molto docili.

 

E nel suo caso?

Ho preferito scrivere una lettera con la mia posizione, invece che creare problemi. Ho subito tutto il resto.

 

Tornando in aereo dal suo viaggio Centro Europa, il papa ha detto che c’era in Vaticano «un piccolo gruppetto» che non voleva vaccinarsi. A chi si riferiva in particolare?

Si riferiva a tutti quelli che non vogliono vaccinarsi. Non solo alle guardie e non solo ai cardinali.

 

Perché tanti suoi colleghi si sono vaccinati?

Molti che hanno deciso di farlo lo hanno fatto per salvare il loro servizio nella Guardia. La maggioranza, tuttavia, credo l’abbia fatto per fuggire a questa pressione, per poter uscire, andare al ristorante. Non per motivi medici. Per delle false libertà.

 

Quanti nutrivano dubbi etici sui vaccini?

La questione etica è stata posta prima di Natale. Dopo il documento della Congregazione della Fede nessuno ne ha più parlato. Il problema non era etico. Il problema era solo di politica del vaccino.

 

Il problema delle linee cellulari da feto abortito era sentito?

No. E io stesso non avevo studiato questo problema prima. Ero più preoccupato dal resto dei problemi. È solo alla fine che ho rilevato questo problema etico. Per me è fondamentalmente un problema di ragione: perché accettare qualcosa che non è per me ragionevole? Poi c’è il problema politico: c’è attorno a questa cosa una pressione che non è normale. Poi c’è il problema etico.

 

Come reputa quello che le è successo?

In generale, trovo scandaloso che sia imposta questa cosa in questo modo per un fatto politico, quando dovrebbe essere qualcosa fatto con coscienza con un medico. È estremamente grave che questo obbligo sia esteso a tutto il mondo. Soprattutto la soppressione della libertà… ed è ancora più grave che ciò accada in Vaticano, in maniera ancora più forte che in altri Paesi. Il Vaticano è il centro della Chiesa, dovrebbe difendere la libertà di coscienza, la libertà in generale. Per me, cattolico, è qualcosa che non è umano.

 

Perché secondo lei il Vaticano ha implementato con questa ferocia la vaccinazione obbligatoria?

È un piccolo Paese. Credo che abbiamo provato a farne un modello.

 

Come Israele?

Sì, effettivamente.

 

Cosa c’è all’origine di questo male in Vaticano?

I medici hanno preso il potere con l’emergenza, e hanno cominciato a decidere loro. Ma non solo, c’è anche un’altra cosa. C’è il fatto che non si cerca più a difendere la verità, ma si cerca di adattarsi a quello che accade fuori, e addirittura essere i primi a applicare i cambiamenti.

 

Cosa farà adesso?

Tornerò in Svizzera. Dovrò riadattarmi alla vita di laggiù. Riprenderò il lavoro di falegname. In tranquillità. Senza green pass – per il momento.

 

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Il cardinale Sarah afferma che papa Leone è «consapevole della battaglia» sulle restrizioni alla messa in latino

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Il cardinale Robert Sarah ha condiviso in un’intervista pubblicata lunedì di aver parlato con papa Leone XIV delle preoccupazioni di coloro che hanno partecipato alla messa tradizionale in latino e che il pontefice è consapevole delle loro difficoltà.

 

«Continuiamo a litigare per la liturgia, continuiamo a fare bullismo contro certe persone», ha dichiarato Sarah alla pubblicazione francese Tribune Chrétienne in un’intervista esclusiva, suggerendo che i cristiani che partecipano e sostengono la Messa in latino non possono essere giustamente privati ​​della Messa in latino, anche perché questi cattolici praticano la loro fede in modo pieno e autentico.

 

«In realtà, quando guardiamo davvero ai cristiani praticanti oggi, sono loro ad andare alla Messa tradizionale. Allora perché proibirglielo? Al contrario, dovremmo incoraggiarli», ha detto il presule. «Non so cosa farà il papa, ma è consapevole di questa battaglia. È consapevole di questa difficoltà».

 

Il cardinale ha affermato di aver avuto «l’opportunità» di discutere la questione quando ha incontrato papa Leone, ma non ha rivelato alcun dettaglio specifico sulla loro conversazione, incluso se Leone abbia indicato una linea d’azione riguardo alla messa in rito antico.

 

Tuttavia, ha espresso la speranza che Leo tenga conto delle esigenze dei cattolici che frequentano la Messa tridentina. Quando il suo intervistatore gli ha fatto notare che il cardinale Raymond Burke ha ottenuto una Messa tradizionale nella Basilica di San Pietro, Sarah ha risposto:

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«Ciò avverrà, ma a tutti deve essere dato spazio. Il papa è il padre di tutti, di ognuno di noi. È il padre dei tradizionalisti. È il padre dei progressisti, il padre di tutti. Non può ignorare i suoi figli. Ognuno ha il suo carattere, la sua sensibilità. Tutti devono essere tenuti in considerazione. Credo che cercherà di agire in questo modo».

 

In precedenza nella sua intervista, Sarah aveva sottolineato che la Messa è diventata un «campo di battaglia tra tradizionalisti e progressisti» e si era chiesto il perché, incoraggiando i fedeli a riflettere sulla provenienza dell’autorità di proibire una Messa.

 

«Penso che dobbiamo riflettere su questo. È l’unico momento in cui l’uomo è in rapporto faccia a faccia con Dio», ha detto riferendosi alla Messa. «È l’unico momento in cui l’uomo è in contatto diretto con Dio, quando Dio lo ascolta, quando l’uomo parla con Dio».

 

«Perché dobbiamo combattere? Perché proibire questo? Perché proibire quello? Chi ci dà questo diritto? Chi ci dà questo potere? Qualcuno che ha un rapporto personale con Dio? Non abbiamo mai visto una cosa del genere nella storia della Chiesa», ha continuato il cardinale, riferendosi al divieto senza precedenti di una venerabile liturgia sviluppatasi organicamente nel corso di molti secoli.

 

«Quindi penso che se il papa cerca di capirlo non sia facile, perché la questione è una questione di fede. Come crediamo, come preghiamo», ha detto Sarah, invertendo il detto latino «Lex orandi, lex credendi».

 

Quando Leone ha finalmente affrontato pubblicamente la questione il mese scorso, ha evitato di dare una risposta chiara sulla sua posizione in merito alla legittimità delle restrizioni al TLM, affermando che l’argomento è «molto complicato».

 

Il papa ha inoltre definito la messa in latino un «argomento scottante» e ha rivelato di aver già ricevuto «numerose richieste e lettere» sull’argomento.

 

La messa tradizionale della Chiesa è stata sottoposta a pesanti restrizioni nel luglio 2021 a causa della Traditionis Custodes di papa Francesco e delle successive misure imposte dal cardinale Arthur Roche nel suo ruolo di prefetto della Congregazione per il Culto Divino.

 

Mentre il Vaticano, sotto Leone XIII, ha concesso a una parrocchia del Texas una proroga di due anni per celebrare la messa latina tradizionale, il papa non ha finora dato alcuna indicazione, nemmeno in questa decisione, che dichiarerà abrogata la Traditionis Custodes o ne modificherà i diktat.

 

La Traditionis Custodes è stata fermamente condannata dal clero e dagli studiosi come un ripudio della pratica perenne della Chiesa cattolica e perfino del solenne insegnamento della Chiesa.

 

Il cardinale Burke ha affermato che la liturgia tradizionale non può essere proscritta, nemmeno dal Papa stesso. «Si tratta di una realtà oggettiva della grazia divina che non può essere modificata da un mero atto di volontà, nemmeno dalla più alta autorità ecclesiastica», ha scritto il cardinale statunitense nel 2021.

 

La bolla Quo Primum di San Pio V del 1570 autorizzò in modo permanente la Messa tradizionale, dichiarando che poteva essere usata «liberamente e lecitamente» «in perpetuo» e che persino l’ira di Dio si sarebbe abbattuta su coloro che avessero osato limitare o abolire la Messa di sempre.

 

«(…) Decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò, non ostanti: precedenti costituzioni e decreti Apostolici; costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concilii sia Provinciali che Sinodali; qualunque statuto e consuetudine in contrario (…)» scrive Quo Primum.

 

«Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo».

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Immagine di Lawrence OP via Flickr pubblicata su licenza Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

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Messi in vendita gli effetti personali di Pio XII

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Il 28 giugno 2025, presso la Galleria Moenius di Berna, saranno messi all’asta oggetti appartenuti a Papa Pio XII, il Venerabile Eugenio Pacelli (1890-1958). La vendita, ha annunciato la galleria svizzera, comprendeva autografi, libri, oggetti devozionali, abiti, scarpe e oggetti personali.   La maggior parte di questi oggetti fu tramandata da Suor Pascalina Lehnert (1894-1983). Suora tedesca delle Suore della Santa Croce, fu governante e assistente di Papa Pio XII, che servì anche quando questi fu Nunzio Apostolico in Baviera dalla fine del 1918.   Tra questi oggetti c’erano delle scarpe da cerimonia, probabilmente indossate raramente perché in ottime condizioni. Decorate con una raffinata bordatura in argento e oro lungo i bordi, le scarpe presentavano lo stemma dei Pacelli con la colomba bianca e il ramoscello d’ulivo ricamato sul collo del piede. Attorno allo stemma sono presenti la croce di San Giovanni e il cappello rosso cardinalizio con le sue tradizionali nappe.

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Se Pio XII fosse stato canonizzato, gli oggetti venduti a Berna sarebbero stati classificati come reliquie di seconda classe e quindi proibiti alla vendita. La Chiesa cattolica riconosce tre classi di reliquie. Le reliquie di prima classe sono i resti mortali terreni dei santi; sono sacre. Questi resti possono essere qualsiasi parte del corpo, comprese ossa, carne e persino capelli.   Una reliquia di seconda classe è un oggetto appartenuto o utilizzato da un santo durante la sua vita. Può includere abiti, gioielli, Bibbie o libri di preghiere e altri oggetti di uso quotidiano.   Una reliquia di terza classe è qualsiasi oggetto, nuovo o vecchio, che sia entrato in contatto con i resti di un santo o ne abbia toccato la tomba o il reliquiario. Queste sono anche chiamate reliquie di contatto.   Nella Chiesa cattolica, il commercio di reliquie di prima e seconda classe è proibito. Tuttavia, con l’autorizzazione della Sede Apostolica, possono essere trasferite, scambiate o donate. Le reliquie di terza classe possono essere vendute, ma il loro valore è molto limitato.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Mons. Eleganti critica duramente il Vaticano II e la nuova liturgia

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Il vescovo Marian Eleganti era vescovo ausiliare della diocesi di Coira, in Svizzera, quando era vescovo il vescovo Vitus Huonder. Dopo il suo ritiro, ha criticato apertamente le politiche vaticane, incluso il disastroso Sinodo sulla sinodalità. Di recente, insieme ad altri tre vescovi, ha riparato la profanazione della Basilica di San Pietro da parte del pellegrinaggio LGBT.

 

Attacca il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica in un articolo pubblicato sul suo blog, dal titolo evocativo: «Vaticano II: la primavera annunciata non è arrivata». Con la sua consueta semplicità, mons. Eleganti racconta di aver servito la Messa nel rito tradizionale, prima di essere formato alla nuova Messa. Poi è arrivato il grande sconvolgimento. I sottotitoli sono della redazione.

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Un’infanzia segnata dal Concilio

«Da bambino, ho assistito all’iconoclastia nella venerabile Chiesa della Santa Croce nella mia città natale. Gli altari gotici scolpiti furono demoliti davanti ai miei occhi infantili. Tutto ciò che rimase fu un altare comune, una sala del coro vuota, la croce nell’arco del coro, Maria e Giovanni a sinistra e a destra su pareti bianche e spoglie».

 

«Nuove vetrate inondavano la chiesa con il sole che sorgeva a est. Niente di più: era una deforestazione senza precedenti. Noi bambini trovavamo tutto questo normale e appropriato e risparmiavamo con fervore per il nuovo pavimento in pietra, così da dare il nostro contributo alla riforma o al rinnovamento della chiesa. L’euforia del Concilio veniva trasmessa dai sacerdoti; venivano convocati sinodi, ai quali io stesso partecipavo da adolescente. Non avevo assolutamente idea di cosa stesse succedendo».

 

Un’accettazione sicura ma lucida

«All’età di 20 anni, come novizio [benedettino, ndr], ho sperimentato da vicino e dolorosamente le tensioni liturgiche tra tradizionalisti e progressisti tra i riformatori. Furono introdotte nuove professioni ecclesiastiche, come quella di assistente pastorale (principalmente per i coniugati)».

 

«Ricordo i miei commenti critici su questo perché le tensioni e i problemi che stavano lentamente emergendo tra ordinati e non ordinati erano prevedibili fin dall’inizio. Il calo del numero di candidati al sacerdozio era prevedibile e divenne rapidamente evidente».

 

«Da giovane, ho sostenuto con tutto il cuore il Concilio e in seguito ne ho studiato i documenti con fede e fiducia. Tuttavia, fin dall’età di vent’anni, ho notato diverse cose: la desacralizzazione del santuario, del sacerdozio, del Santissimo Sacramento, così come la ricezione della Santa Eucaristia, e l’ambiguità di alcuni passaggi nei documenti conciliari. Da giovane laico ancora poco versato in teologia, ho notato tutto questo molto presto».

 

«Sebbene il sacerdozio fosse la scelta che mi stava più a cuore fin dall’infanzia, non sono stato ordinato sacerdote fino all’età di 40 anni. Sono cresciuto con il Concilio, ho raggiunto l’età adulta e ho potuto osservarne gli effetti fin da quando ha avuto luogo. Oggi ho 70 anni e sono vescovo».

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La consapevolezza del fiasco conciliare

«Guardando indietro, devo dire che la primavera della Chiesa non è mai arrivata; ciò che è arrivato è stato invece un declino indescrivibile nella pratica e nella conoscenza della fede, una diffusa mancanza di forma liturgica e una certa arbitrarietà (alla quale io stesso ho in parte contribuito senza rendermene conto)».

 

«Guardando indietro, sono sempre più critico verso tutto, compreso il Concilio, i cui testi la maggior parte delle persone ha già abbandonato, pur invocandone costantemente lo spirito. Cosa non è stato confuso con lo Spirito Santo e attribuito a lui negli ultimi 60 anni? Cosa è stato chiamato “vita” senza apportare vita, ma al contrario dissolvendola?»

 

«I cosiddetti riformatori volevano ripensare il rapporto della Chiesa con il mondo, riorganizzare la liturgia e rivalutare le posizioni morali. E continuano a farlo. Il segno distintivo della loro riforma è la fluidità nella dottrina, nella moralità e nella liturgia, l’allineamento con le norme secolari e una rottura spietata, post-conciliare, con tutto ciò che era venuto prima».

 

«Per loro, la Chiesa è, soprattutto, ciò che è stata dal 1969 (Editio Typica Ordo Missae, Cardinale Benno Gut). Ciò che è venuto prima può essere trascurato o è già stato rivisto. Non si può tornare indietro. I più rivoluzionari tra i riformatori sono sempre stati consapevoli dei loro atti rivoluzionari. Ma la loro riforma postconciliare, i loro processi, sono falliti – su tutta la linea. Non sono stati ispirati. L’altare del popolo non è un’invenzione dei padri conciliari».

 

«Io stesso celebro la Santa Messa secondo il nuovo rito, anche in privato. Tuttavia, grazie alla mia attività apostolica, ho riscoperto l’antica liturgia della mia infanzia e ne noto la differenza, soprattutto nelle preghiere e nelle posture, e naturalmente nell’orientamento».

 

«A posteriori, l’intervento postconciliare sulla forma molto coerente della liturgia, vecchia di quasi duemila anni, mi sembra una ricostruzione piuttosto violenta e provvisoria della Santa Messa negli anni successivi alla conclusione del Concilio, che è stata associata a grandi perdite che devono essere colmate. È stato fatto anche per ragioni ecumeniche».

 

«Molte forze, anche protestanti, furono direttamente coinvolte in questo sforzo di allineare la liturgia tradizionale con la Cena del Signore protestante e forse anche con la liturgia del Sabato ebraico. Ciò fu fatto in modo elitario, dirompente e sconsiderato dalla Commissione Liturgica Romana e imposto all’intera Chiesa da Paolo VI, non senza causare gravi fratture e divisioni nel corpo mistico di Cristo, che persistono ancora oggi».

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Giudica l’albero dai suoi frutti

«Una cosa è certa per me: se si può giudicare un albero dai suoi frutti, è urgente una rivalutazione spietata e onesta della riforma liturgica postconciliare: storicamente onesta e meticolosa, non ideologica e aperta, a immagine della nuova generazione di giovani credenti che non conoscono né leggono i testi del Concilio.

 

«Non hanno nemmeno problemi con la nostalgia, perché conoscono la Chiesa solo nella sua forma attuale. Sono semplicemente troppo giovani per essere tradizionalisti. Tuttavia, hanno sperimentato come funzionano attualmente le parrocchie, come celebrano la liturgia e cosa rimane della loro socializzazione religiosa attraverso la parrocchia? Molto poco! Per questo motivo, non sono nemmeno progressisti».

 

«Dalla prospettiva odierna, il cattolicesimo liberale o progressismo degli anni Settanta – più recentemente sotto le mentite spoglie del “cammino sinodale” – ha fatto il suo corso e ha condotto la Chiesa in un vicolo cieco. La frustrazione è ancora maggiore. Lo possiamo vedere ovunque. Le funzioni domenicali e feriali sono frequentate principalmente dagli anziani. I giovani sono assenti, tranne che in alcuni luoghi di culto molto affollati. La riforma sta avvenendo da sola, perché nessuno ci va più né ne legge i risultati».

 

«Come è possibile che la riforma postconciliare possa essere ancora oggi considerata in modo così acritico e limitato, a giudicare dai suoi frutti? Perché un esame onesto della tradizione e della nostra storia (della Chiesa) non è ancora possibile? Perché non si vuole vedere che siamo a un punto di svolta e che dovremmo fare il punto della situazione, soprattutto a livello liturgico?»

 

«”Essere o non essere”, in termini di fede e vita ecclesiale, si decide sulla base o sui fondamenti della liturgia. È qui che la Chiesa vive o muore. Tradizionalisti e progressisti hanno correttamente valutato questo aspetto fin dal 1965. Allora perché la tradizione è in aumento tra i giovani? Cosa la rende così attraente per i giovani? Pensateci! I piedi votano, non i concili. Forse dovremmo semplicemente cambiare direzione! Capito?»

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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