Cina
Pechino: l’ordinazione del vescovo coadiutore Zhen Xuebin
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La cerimonia presieduta dal vescovo Li Shan nella cattedrale del Salvatore. Il Vaticano: papa Francesco ha approvato la nomina il 28 agosto. «Tutto faccio per il Vangelo» il motto scelto. Nessuna motivazione ufficiale fornita per la nomina di un presule con diritto di successione nonostante l’attuale pastore della diocesi di Pechino abbia solo 59 anni.
Come annunciato, a Pechino questa mattina si è tenuta l’ordinazione del nuovo vescovo coadiutore mons. Matteo Zhen Xuebin.
Il rito è stato presieduto dal vescovo Giuseppe Li Shan, che guida la diocesi della capitale cinese dal 2007: la celebrazione è avvenuta nella cattedrale del Salvatore, la cosiddetta «chiesa del Nord» nel distretto di Xicheng, alla presenza di circa 140 sacerdoti e 500 fedeli in rappresentanza della comunità cattolica di Pechino ma anche di quella dello Shanxi, la terra d’origine del nuovo vescovo.
Dell’ordinazione – come ormai è prassi nei casi di applicazione dell’Accordo tra Roma e Pechino sulla nomina dei vescovi – ha dato notizia oggi anche la Sala stampa vaticana, precisando che la nomina da parte di papa Francesco è avvenuta il 28 agosto «avendone approvata la candidatura». Ai fini statistici, dunque, va conteggiata come precedente al rinnovo quadriennale dell’Accordo, annunciato il 22 ottobre.
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Degno di nota anche il fatto che nel profilo diffuso dal Vaticano su monsignor Zhen – che è nato il 10 maggio 1970 a Changzhi – venga espressamente citato il fatto che – dopo i primi anni nel seminario di Pechino e prima dell’ordinazione sacerdotale – «dal 1993 al 1997 ha proseguito gli studi presso la St. John’s University (USA), conseguendo la licenza in liturgia». Questo particolare relativo agli studi negli Stati Uniti è stato infatti omesso nei cenni biografici pubblicati sul sito ufficiale dell’Associazione Patriottica dei cattolici cinesi.
Insieme a Li Shan al rito di ordinazione erano presenti altri quattro vescovi: monsignor Pietro Ding Lingbin, vescovo di Changzhi (diocesi natale di monsignor Zhen), monsignor Giuseppe Guo Jincai (diocesi di Chengde), monsignor Giovanni Battista Li Suguang (diocesi di Nanchang) e monsignor Antonio Yao Shun (diocesi di Jining).
L’agenzia Fides delle Pontificie Opere Missionarie riferisce invece alcune parole pronunciate dal nuovo vescovo coadiutore durante la celebrazione, ispirate al motto episcopale da lui scelto «Tutto faccio per il Vangelo» (1 Cor 9,23) che campeggia sul suo stemma.
«Sono grato al Signore» ha detto monsignor Zhen «per la grazia di aver scelto me, umile servo, come vescovo coadiutore della diocesi di Pechino. Sono consapevole di non avere le qualità richieste per il compito affidatomi, ma lo accetto con fede, affidandomi all’intercessione della Beata Vergine Maria e di San Matteo Apostolo, confidando in loro con tutto il mio cuore e promettendo di dedicare tutto me stesso nell’adempiere ai miei doveri pastorali». Fides riferisce anche che è stata espressamente citata l’approvazione di papa Francesco per la nomina.
Non viene, invece, riportata da nessuna fonte cinese alcuna dichiarazione del vescovo Li Shan, né alcuna spiegazione ufficiale alla scelta anomala di designare in questo momento un vescovo coadiutore per Pechino. A differenza di un vescovo ausiliare, infatti, il vescovo coadiutore è una figura che ha il diritto di successione alla guida di una diocesi; per questo motivo viene solitamente nominato quando il titolare è anziano o malato e il passaggio delle consegne è ritenuto relativamente imminente.
In questo caso, invece, l’attuale vescovo di Pechino Li Shan ha 59 anni, cioè appena cinque in più di mons. Zhen Xuebin. Secondo alcune fonti sarebbe stato Li Shan stesso – che è anche presidente dell’Associazione patriottica e vice-presidente del Consiglio dei vescovi cinesi – a chiedere la nomina del coadiutore, indicando come candidato il sacerdote che già da tempo era il suo più stretto collaboratore nella guida della diocesi.
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Immagine da AsiaNews
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Cina
La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico
La Cina ha accusato la National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti di aver condotto un «significativo» attacco informatico protrattosi per anni contro l’ente cinese incaricato di gestire l’orario nazionale ufficiale.
In un comunicato diffuso domenica sul suo account social ufficiale, il Ministero della Sicurezza dello Stato (MSS) ha dichiarato di aver acquisito «prove inconfutabili» dell’infiltrazione della NSA nel National Time Service Center. L’operazione segreta sarebbe iniziata nel marzo 2022, con l’obiettivo di sottrarre segreti di Stato e compiere atti di sabotaggio informatico.
Il centro rappresenta l’autorità ufficiale cinese per l’orario, fornendo e trasmettendo l’ora di Pechino a settori cruciali come finanza, energia, trasporti e difesa. Secondo l’MSS, un’interruzione di questa infrastruttura fondamentale avrebbe potuto provocare «instabilità diffusa» nei mercati finanziari, nella logistica e nell’approvvigionamento energetico.
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L’MSS ha riferito che la NSA avrebbe inizialmente sfruttato una vulnerabilità (exploit) nei telefoni cellulari di fabbricazione straniera utilizzati da alcuni membri del personale del centro, accedendo così a dati sensibili.
Nell’aprile 2023, l’agenzia avrebbe iniziato a utilizzare password rubate per penetrare nei sistemi informatici della struttura, un’operazione che avrebbe raggiunto il culmine tra agosto 2023 e giugno 2024.
Il ministero ha dichiarato che gli intrusi hanno impiegato 42 diversi strumenti informatici nella loro operazione segreta, utilizzando server privati virtuali con sede negli Stati Uniti, in Europa e in Asia per nascondere la loro provenienza.
L’MSS ha accusato gli Stati Uniti di «perseguire in modo aggressivo l’egemonia informatica» e di «violare ripetutamente le norme internazionali che regolano il cyberspazio».
Le agenzie di intelligence americane «hanno agito in modo sconsiderato, conducendo incessantemente attacchi informatici contro la Cina, il Sud-est asiatico, l’Europa e il Sud America», ha aggiunto il ministero.
Negli ultimi anni, Pechino e Washington si sono scambiate accuse reciproche di violazioni e operazioni di hacking segrete. Queste tensioni si inseriscono in un più ampio contesto di scontro tra le due potenze, che include anche una guerra commerciale.
All’inizio di gennaio, il Washington Post aveva riportato che, il mese precedente, hacker cinesi avrebbero preso di mira l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del dipartimento del Tesoro statunitense. All’epoca, Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, aveva definito tali accuse «infondate».
Come riportato, ad inizio anno le agenzie federali USA accusarono hacker del Dragone di aver colpito almeno 70 Paesi. Due anni fa era stata la Nuova Zelanda ad accusare hackerri di Pechino di aver penetrato il sistema informatico del Parlamento di Wellington.
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Le attività dell’hacking internazionale da parte di gruppi cinesi hanno negli ultimi anni raggiunto le cronache varie volte. A maggio 2021 si è saputo che la Cina ha spiato per anni i progetti di un jet militare USA, grazie a operazioni informatiche mirate.
Come riportato da Renovatio 21, a ottobre 2023 si è scoperto che hackers cinesi hanno rubato dati da un’azienda biotech americana, colpendo il settore della ricerca.
A febbraio 2022, allo scoppio del conflitto ucraino, Microsoft ha rilevato un malware «wiper» diretto a Kiev, con sospetti di coinvolgimento cinese.
Come riportato da Renovatio 21, a gennaio 2023 un attacco cibernetico cinese ha colpito università sudcoreane. Due anni fa vi fu inoltre un attacco cibernetico a Guam, isola del Pacifico che ospita una grande base USA. Analisti dissero che poteva essere un test per il vero obbiettivo, cioè lo scontro con Taiwan.
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