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Pasqua ortodossa: Israele cancella i permessi di viaggio per i cristiani di Gaza

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Lo ha annunciato la Saint Porphyrios Orthodox Church sui canali social. Per il momento non vi sono spiegazioni ufficiali del governo israeliano sulle ragioni della decisione. Erano almeno 700 i cristiani che avevano ottenuto il via libera per recarsi a Gerusalemme. Fra le ragioni le recenti tensioni con la stessa Gaza, Libano e Siria ai confini.

 

 

Nuovo colpo alla libertà religiosa dei cristiani di Gaza e della Terra Santa, realtà già segnata da tensioni e attacchi nelle ultime settimane che hanno colpito edifici simbolo e luoghi di culto, alla vigilia delle celebrazioni della Pasqua ortodossa. In queste ore, infatti, le autorità israeliane hanno cancellato i permessi di viaggio ai fedeli della Striscia che avevano ottenuto in precedenza il via libera per recarsi a Gerusalemme e in Palestina, per partecipare alle celebrazioni e visitare i familiari.

 

A darne notizia è la Saint Porphyrios Orthodox Church di Gaza, attraverso una nota pubblicata sulla propria pagina Facebook. La comunicazione alla comunità è giunta tramite il ministero palestinese per gli Affari civili e, al momento, non vi sono spiegazioni ufficiali da parte del governo israeliano sulle ragioni dell’improvvisa retromarcia.

 

Secondo alcune fonti locali dietro il blocco vi sarebbero le recenti tensioni alle frontiere di Israele con Gaza, Libano e Siria, dove si sono registrati negli ultimi giorni lanci di razzi, scontri a fuoco e incursioni dei caccia con la stella di David contro obiettivi mirati oltre-confine.

 

Il quotidiano degli Emirati Arabi Uniti (EAU) The National News riferisce che, prima della cancellazione, Israele aveva rilasciato il nulla osta a circa 700 cristiani. Un numero simile a quello concesso in occasione delle feste di Natale, come aveva sottolineato nell’intervista ad AsiaNews il patriarca di Gerusalemme dei Latini Pierbattista Pizzaballa, il quale aggiungeva che per Pasqua il numero era drasticamente ridotto, ovvero «poco meno di 200».

 

A differenza della Pasqua cattolica, quella ortodossa si celebra una settimana più tardi e quest’anno cade domenica 16 aprile. Per le principali feste, come Natale e Pasqua, i cristiani di Gaza – sotto il controllo di Hamas – devono richiedere uno speciale permesso di uscita e spostamento alle autorità israeliane, che diventa occasione non solo per partecipare alle funzioni ma per visitare anche le famiglie e gli amici che vivono a Gerusalemme o Betlemme.

 

I cristiani della Striscia dai circa 3mila di una decina di anni fa si sono ridotti ai mille di oggi. Di questi, la maggioranza appartiene alla Chiesa ortodossa ma vi sono anche comunità di cattolici (questi ultimi legati alla parrocchia della Sacra famiglia) e protestanti.

 

 

 

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

 

 

Immagine di zeller -zalmanson Pikiwiki Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.5 Generic (CC BY 2.5)

 

 

 

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Sacerdote USA: il cardinale Fernandez «dovrebbe essere licenziato” da Leone per i testi «pornografici»

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Un famoso sacerdote americano, padre Gerald Murray ha chiesto a papa Leone di rimuovere il cardinale Victor Fernandez dal suo incarico in seguito alla rivelazione di altri libri pornografici scritti dal prefetto del Dicastero della Dottrina della Fede (DDF). Lo riporta LifeSite.

 

Nell’ultimo episodio di una trasmissione del presentatore della TV cattolica EWTN Raymond Arroyo Prayerful Posse, padre Murray ha attaccato duramente Fernandez, affermando che «questa è una vergogna totale».

 

«Fernandez ha dimostrato di essere completamente inadatto a essere un pastore di anime perché fa cose che fanno i pornografi», ha affermato l’avvocato canonico.

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«Si tratta di una produzione orrenda realizzata da un prete», ha aggiunto.

 

Quando papa Francesco nominò il Fernandez a capo della DDF nel 2023, alcuni testi del vescovo argentino furono criticati perché contenevano immagini pornografiche, in particolare un libro intitolato Guariscimi con la bocca: l’arte del bacio e Passione mistica: spiritualità e sensualità , pubblicato nel 1995.

 

La scorsa settimana, il blogger cattolico El Wanderer, originario dell’Argentina, ha rivelato altri libri scritti dal capo della DDF che contengono contenuti considerati «pornografici», tra cui, ad esempio, descrizioni di piacere sessuale. I libri si intitolano Perché non riesco a finire di guarire? (2002), Teologia spirituale: profondità spirituale in azione (2005) e Liberarsi dall’ansia e dall’impazienza (2009).

 

«Quando uscirono questi primi libri, Papa Francesco in un certo senso li giustificò [dicendo] che erano scritti da un giovane sacerdote, etc.», ha detto Murray. Tuttavia, ha fatto notare che i libri appena rivelati dal capo della DDF sono stati scritti anni dopo Guariscimi con la tua bocca, lo scandaloso libro sul bacio che il teologo diede alle stampe nel 1995.

 

«Sta facendo cose che nessun prete dovrebbe fare. Sono totalmente disgustato (…) Dovrebbe essere licenziato», ha accusato il Murray. «Questo sarà un punto di riferimento per Papa Leone. Quest’uomo dovrebbe essere licenziato. Non è adatto».

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Come riportato da Renovatio 21, quando emersero i testi scabrosi del cardinale l’arcivescovo Carlo Maria Viganò aveva detto che le Guardie Svizzere avrebbero dovuto arrestare Tucho.

 

«I blasfemi rigurgiti di cloaca del ributtante libello di Tucho mostrano un tale livello di perversione e di alienità alla Fede da imporre la cacciata manu militari dell’Argentino e dei suoi complici» ha scritto monsignor Viganò su Twitter.

 

«Le Guardie Svizzere hanno giurato di difendere la Sede di Pietro, non colui che la sta demolendo sistematicamente. Siano dunque fedeli al giuramento e arrestino questi eretici pervertiti!» esclamava l’arcivescovo.

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Leone nominerà un alleato del cardinale Cupich per sostituire Dolan come arcivescovo di Nuova York

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Secondo articoli di stampa, Leone XIV starebbe per nominare il vescovo Ronald A. Hicks, stretto alleato del cardinale eterodosso Blase Cupich, come prossimo arcivescovo di Nuova York, in sostituzione del cardinale Timothy Dolan. Lo riporta LifeSite.   La voce, riportata per la prima volta dal quotidiano di sinistra in lingua spagnuola Religión Digital, suggerisce che Leone XIV dovrebbe nominare ufficialmente Hicks, l’attuale vescovo di Joliet, Illinois, come successore del cardinale Dolan già martedì 16 dicembre. Monsignor Hicks, 58 anni, ha profondi legami col Cupich, avendo servito sotto di lui per anni nell’arcidiocesi di Chicago ed essendo stato persino consacrato vescovo dal cardinale, che è diventato famoso per contraddire l’insegnamento della Chiesa sul «matrimonio» tra persone dello stesso sesso e sull’ideologia di genere, minimizzando l’aborto e la sua ferma opposizione alla tradizione cattolica.   Lo Hicks è stato ordinato sacerdote nell’arcidiocesi di Chicago nel 1994 e ha trascorso gran parte del suo sacerdozio ricoprendo incarichi all’interno dell’arcidiocesi. È stato nominato vicario generale da Cupich nel 2015, ricoprendo tale incarico fino alla sua consacrazione a vescovo ausiliare da parte del cardinale nel 2018.   Lo Hicks è stato nominato vescovo di Joliet da papa Francesco nel 2020 e, nel 2024, è diventato presidente del Comitato per il clero, la vita consacrata e le vocazioni della Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti (USCCB).   Nel 2021, Hicks, insieme a Cupich, è stato tra i 68 vescovi che hanno firmato una lettera chiedendo alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti di abbandonare la questione del divieto di ricevere l’Eucaristia ai politici pro-aborto. Nel 2024, è stato tra i vescovi dell’Illinois che hanno vietato alle parrocchie della sua diocesi di promuovere una petizione per un quesito consultivo statale volto a richiedere legalmente il consenso dei genitori per interventi medici come l’aborto e il «cambiamento di sesso» per i minori.

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Il monsignore è stato notevolmente silenzioso anche quando Cupich ha pianificato di onorare il senatore radicalmente pro-aborto Dick Durbin con un riconoscimento alla carriera all’inizio di quest’anno. Il vescovo di Joliet, tuttavia, si è espresso sulla questione dell’immigrazione. A novembre, dopo che la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha pubblicato il suo primo «messaggio speciale» in oltre un decennio, denunciando la deportazione di massa di immigrati clandestini da parte dell’amministrazione Trump, Hicks ha rilasciato una dichiarazione in cui sottolineava che il messaggio «potente e unitario» affermava la «solidarietà del vescovo con tutti i nostri fratelli e sorelle (immigrati)».   Vale la pena notare che il cardinale Dolan ha appena compiuto 75 anni a febbraio e, sebbene la Chiesa richieda ai vescovi di presentare le dimissioni a quell’età, è consuetudine consentire ai cardinali di continuare a svolgere il loro ruolo fino al raggiungimento degli 80 anni. Il fatto che papa Leone abbia accettato ora le dimissioni di Dolan sembrerebbe indicare che il Pontefice non è soddisfatto della sua leadership.   L’arcivescovo neoeboraceno è stato duramente criticato dalla sinistra americana per aver ripetutamente espresso sostegno al presidente Donald Trump e, negli ultimi mesi, per aver definito il defunto attivista conservatore Charlie Kirk un «San Paolo dei giorni nostri».

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D’altro canto, il porporato di Nuova York ha permesso che nell’arcidiocesi venissero celebrate diverse «messe dell’orgoglio» sacrileghe e pro-LGBT, come gli osceni funerali di un attivista transessuale, arricchita di elementi blasfemi al punto da chiedere subito una messa di riparazione.   Cosa tristemente nota, è stato il gran maresciallo della parata di San Patrizio del 2015, la prima a cui ha permesso la partecipazione di un gruppo di attivisti omosessuali.   Come riportato da Renovatio 21, mesi fa il Dolano aveva solennemente dichiarato che il Ramadan è come il Mercoledì delle Ceneri.   Come riportato da Renovatio 21, il cardinale Cupich era stato criticato mesi fa per aver ignorato che il massacratore della scuola cattolica in Minnesota di pochi mesi fa era transessuale.

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I tribunali possono obbligare una suora ad essere reintegrata?

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La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) è stata investita di un caso insolito, gestito in modo particolarmente singolare. Suor Elisabetta ha fatto parte di una comunità religiosa della Chiesa greco-cattolica ucraina tra il 2011 e il maggio 2017. In quel periodo, ha lasciato il monastero di sua spontanea volontà. Agli occhi del diritto canonico, non è più una suora ed è tornata al suo nome civile, Zhanna K.

 

Una corte d’appello ucraina ha stabilito che l’ex suora risiede ancora nella sua ex cella monastica

Dal febbraio 2018, Zhanna K. desidera tornare al monastero e vivere nella sua ex cella. Ha tentato di entrare diverse volte, ma le serrature sono state cambiate. A quanto pare, non ha altro alloggio. Zhanna K. ha invocato, davanti ai tribunali ucraini, il suo diritto a tornare nella cella monastica che ha occupato per otto anni come Suor Elisabetta.

 

Ha vinto la causa davanti a una corte d’appello ucraina il 18 dicembre 2023. La corte ha stabilito che la sua cella costituiva una casa ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e che il monastero doveva consentirle il ritorno. La corte ha ordinato al monastero di fornire a Zhanna K. le chiavi del cancello del monastero e della porta d’ingresso che conduce alle celle.

 

Di fronte a questa decisione, il monastero ha presentato ricorso alla Corte Suprema ucraina. Il monastero sostiene che la controversia rientra nel diritto canonico, non nel diritto civile. Si basa in particolare sul principio di autonomia delle organizzazioni religiose, tutelato dalla libertà di religione ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione europea.

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La Grande Camera della CEDU emetterà un parere consultivo.

Prima di pronunciarsi sulla controversia, la Corte Suprema ucraina ha sottoposto il caso alla CEDU, richiedendo un parere consultivo. La Corte Suprema ucraina chiede alla CEDU se la cella monastica di un’ex suora sia protetta in quanto residenza privata e se i tribunali civili avessero giurisdizione per pronunciarsi su una simile controversia religiosa.

 

Il parere consultivo richiesto sarà emesso dalla Grande Camera, la corte suprema della CEDU. Avrà quindi un impatto sul riconoscimento dei diritti delle comunità religiose in tutta Europa. Il Centro Europeo per il Diritto e la Giustizia (ECLJ) ha ottenuto l’autorizzazione a intervenire come terza parte nel procedimento e ha presentato le sue osservazioni scritte il 31 ottobre 2025.

 

Queste osservazioni dimostrano che una cella monastica non è la dimora di una suora, tanto meno dopo che questa ha lasciato la comunità, e che tale questione rientra nell’organizzazione interna della comunità.

 

La Corte d’Appello ucraina si sbaglia sulla natura di una cella monastica.

Il diritto al rispetto della propria casa, tutelato dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è applicabile a un monastero? In tal caso, tale diritto deve essere riconosciuto al monastero stesso e non a ogni singola suora. In effetti, la CEDU ha già riconosciuto che le persone giuridiche possono avere diritto al rispetto del proprio domicilio.

 

Inoltre, una cella monastica non può essere separata dal monastero nel suo complesso. Infatti, la sua organizzazione è comunitaria e le monache pronunciano voti che mettono in comune tutti i loro beni e rinunciano alla propria casa (voto di povertà), si impegnano a non costituire una famiglia (voto di castità) e promettono di obbedire al superiore della congregazione (voto di obbedienza).

 

Le celle monastiche sono considerate spazi di riposo e preghiera, non case. Sono identiche. Una monaca non può modificare la decorazione o l’arredamento della sua cella. Non può invitare persone esterne alla comunità. Generalmente consuma i pasti in comune con le altre monache, non nella sua cella.

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Il principio europeo di «autonomia delle organizzazioni religiose» applicato al monastero

Questa realtà monastica non ha equivalenti secolari. Per questo motivo, deve essere regolata da un regime specifico: quello della libertà di religione, riconosciuto dall’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che garantisce alle organizzazioni religiose il diritto al rispetto della propria autonomia. L’autonomia mira a garantire che le organizzazioni religiose «possano funzionare pacificamente, senza interferenze arbitrarie da parte dello Stato».

 

Pertanto, le comunità religiose sono libere di operare come ritengono opportuno e di definire «le condizioni di adesione» e quindi di «escludere i membri esistenti». Lo Stato deve accettare «il diritto di queste comunità di rispondere, secondo le proprie regole e i propri interessi, a qualsiasi movimento di dissenso che possa sorgere al loro interno».

 

La CEDU ritiene inoltre che «in caso di disaccordo dottrinale o organizzativo tra una comunità religiosa e uno dei suoi membri, la libertà religiosa dell’individuo, si esercita attraverso il suo diritto di lasciare liberamente la comunità».

 

Pertanto, se la cella monastica occupata da Zhanna K. non è mai stata la sua casa, questa cella non può, a maggior ragione, essere considerata la sua casa dopo che ha lasciato il monastero e non è più una monaca.

 

Costringere il monastero a ospitare Zhanna K. implicherebbe o la sua reintegrazione nella vita monastica come Suor Elisabetta o la revisione dell’intero funzionamento della comunità per garantirle un posto speciale come laica. Tale obbligo violerebbe il diritto del monastero al rispetto della propria autonomia.

 

La Corte d’Appello ucraina ha oltrepassato i limiti della sua giurisdizione

Il principio dell’autonomia delle organizzazioni religiose ha conseguenze sulla giurisdizione dei tribunali civili in un caso del genere. Questi tribunali possono applicare le decisioni delle organizzazioni religiose, ma non possono giudicarne il merito.

 

In sostanza, il controllo da parte dei tribunali civili deve limitarsi a verificare l’assenza di abusi da parte delle autorità religiose. Concedendo a un’ex suora il diritto di tornare nella sua cella, nonostante la decisione del monastero, la Corte d’Appello ucraina ha ecceduto la propria giurisdizione.

 

Questa sentenza della Corte d’Appello è stata ancora più inaspettata se si considera che la legge ucraina offre ai monasteri garanzie in merito alla loro libertà di organizzare e utilizzare i propri edifici. Inoltre, anche adottando un’interpretazione estensiva del diritto all’alloggio, fornire una cella a una suora non crea alcun diritto civile ai sensi della legge ucraina.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di Jeanette via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0


 

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