Geopolitica
Partita la corsa per il nuovo capo della NATO: in testa il britannico Wallace
L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, detta NATO (chiamata così anglofilicamente in Italia, invece che OTAN come in francese e spagnuolo: un po’ come per l’AIDS, che nelle altre lingue neolatine si dice SIDA) è in procinto di cambiare il suo vertice.
Se pensiamo che con Jens Stoltenberg la NATO abbia raggiunto il punto più basso della sua esistenza – toccando da vicina la minaccia di una guerra atomica con una superpotenza atomica che ha più testate degli USA; l’esatto contrario di un ente che dovrebbe difendere gli interessi e le vite dei cittadini – probabilmente non abbiamo ancora realizzato che le cose potrebbero mettersi, molto, molto peggio.
Il segretario alla Difesa britannico Ben Wallace vuole essere il prossimo segretario generale della NATO. Il primo ministro di Londra Rishi Sunak ne ha parlato a Hiroshima, dove stava partecipando al vertice del G7.
«So che è ampiamente rispettato dai suoi colleghi per il ruolo che ha svolto», ha detto Sunak a ITV News a Hiroshima il 19 maggio, secondo quanto riferito dal sito di notizie militari del Regno Unito Force.net.
«In questo momento è concentrato sul sostenere l’Ucraina. Sta facendo un ottimo lavoro in questo» ha detto l’enigmatico premier indo-anglico.
«Ho sempre detto che sarebbe un bel lavoro. È un lavoro che mi piacerebbe», aveva dichiarato lo Wallace a Berlino, incontrando il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius. «Ma amo anche il lavoro che faccio adesso», e via di fischiettamenti.
Wallace potrebbe affrontare l’opposizione di chi spinge per una donna o qualcuno dell’Est Europa; La Francia vuole un candidato UE. Paiono tramontate le chance di un capo NATO italiano: si parlava un tempo di Renzi (uno che la guerra la conosce: è impegnato ora nel conflitto infrapartitico con Calenda) e poi di Enrico Letta, apostrofato alla marcia del 25 aprile di Milano del 2022 come «servo della NATO», senza capire che della NATO poteva diventare segretario (il che, è vero, avrebbe comunque voluto dire che le decisioni non le prende lui).
Milano, PD contestato al corteo: 25 Aprile, cori contro Letta #pd #enricoletta #carc #25aprile #localteam pic.twitter.com/TbeSY0i3qV
— Local Team (@localteamtv) April 25, 2022
Un londinese a capo della NATO sarebbe chiaramente una catastrofe. Perché oramai è noto a tutti, e da prima del conflitto, il ruolo che Albione ha giocato, nell’escalation ucraina, una realtà che era stata sottolineata prima dello scoppio delle ostilità dall’ex ministro Esteri austriaco Karin Kneissl così come dal presidente croato Zoran Milanovic.
Medvedev ha definito Londra come «nemico eterno» della Russia. La storia degli ultimi secoli non gli dà torto.
Cosa Albione sia disposta a fare per portare a termine il suo programma di distruzione del più grande Paese della Terra non è noto – anche se l’allora candidata premier Liz Truss aveva dichiarato entusiasta di essere pronta a schiacciare il pulsante termonucleare.
Tuttavia, abbiamo già visto l’attuale re, Carlo III, incontrare le truppe ucraine, al punto che dai video paiono proprio le «sue» truppe. Re Carlo, per la sua oscena incoronazione, è stato omaggiato con un simpatico videoclip dalle Forze Armate di Kiev, in cui, con sottofondo della musica del Clash, vengono fatti dettagliosi ringraziamenti per ogni tipo di armamento proposto, e infine viene fatta la richiesta , non si sa quanto scherzando, di una portaerei.
On the eve of the historic coronation, we'd like to thank our British friends for your friendship. We are grateful for your unwavering support and partnership, especially in the past year! pic.twitter.com/bJgg4Qfsr5
— Defense of Ukraine (@DefenceU) May 5, 2023
Il 17 gennaio 2022 Wallace disse al Parlamento britannico che «molti paesi hanno aderito all’Alleanza non perché la NATO li abbia obbligati a farlo, ma per il libero arbitrio espresso dai governi e dai popoli di questi Paesi», gettando le basi per l’allargamento NATO raggiunto con l’inclusione della Finlandia e, ancora se in modo incompleto, della Svezia – che sono due operazioni sulle quali Londra pure ha premuto molto.
Nell’estate 2022 fu riportato come il deputato ucraino Oleksii Goncharenko avesse dichiarato di aver discusso della «distruzione» del ponte di Crimea con il segretario alla Difesa britannico Ben Wallace ancora lo scorso giugno, secondo quanto riportava dal sito governativo russo RT.
I russi di conseguenza accusarono i britannici di essere coinvolti negli attacchi terroristici del Mar Nero di quei mesi. Il Cremlino convocò a gennaio l’ambasciatrice del Regno Unito, che fu accolta da manifestanti con cori e cartelli: «Regno Unito Stato terrorista».
British Ambassador in Moscow arrived at MFA.
Russians are shouting "Britain is a terrorist state" pic.twitter.com/aNZCG9REAl
— LucyGatsby (@LucyGatsby) November 3, 2022
????????????????“Britain is a terrorist country!”
British Ambassador, Deborah Bronnert, was greeted near the Foreign Ministry building in Moscow. pic.twitter.com/aqJLau1uwA
— ???????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????? (@apocalypse0s) November 3, 2022
C’è infine da ricordare come lo Wallace aveva sollevato la questione delle armi nucleari in una conversazione con una coppia di burloni telefonici russi che si fingevano Zelens’kyj nel marzo 2022: «il principio è che sosterremo l’Ucraina come nostra amica nelle scelte che farai», incluso sulla questione del «tempo in cui vuoi esplorare nuove armi, etc» aveva detto il segretario alla Difesa di Londra.
«Qualsiasi proposta di cui parli è qualcosa di cui il Regno Unito discuterebbe. Sulla tua acquisizione di una nucleare – pensi di voler esplorare un’arma nucleare, penso che starei molto attento a tutto questo. Siamo firmatari del [Trattato] di non-proliferazione nucleare. Non possiamo essere visti farlo. Questa è una questione completamente diversa, quindi penso che dobbiamo stare molto attenti a questo», aveva esplicitato Wallace credendo di parlare con il presidente ucraino.
Immagine di Number 10 via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)
Geopolitica
Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»
Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.
Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.
Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».
Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».
Turkish academic creates model of hanged 🇮🇱PM Netanyahu, with a “Death Penalty” sign. Proudly aided by a state company.
Turkish authorities have not disavowed this disgraceful behavior.
In Erdoğan’s Turkey, hatred & antisemitism isn’t condemned. It’s celebrated. pic.twitter.com/19MALpzEEW
— Israel Foreign Ministry (@IsraelMFA) October 26, 2025
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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.
I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.
La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.
Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.
Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.
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Immagine screenshot da Twitter; modificata
Droga
Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela
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Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.
Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.
Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA.
President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.
Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.
Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.
Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.
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