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Terrorismo

ONU, a Baghdad un archivio da otto milioni di pagine sui crimini ISIS

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Una memoria storica ultimata grazie all’impegno delle Nazioni Unite e destinata a essere conservata negli uffici del Consiglio superiore della magistratura. Documenti digitalizzati che provano le atrocità dello Stato islamico e fondamentali in futuri processi. Rapite nel 2014 dai jihadisti, nei giorni scorsi sei giovanissime yazidi sono tornate dalle loro famiglie.

 

Un imponente archivio centrale contenente i crimini commessi dallo Stato Islamico (SI, ex ISIS) in Iraq. Almeno otto milioni di pagine che testimoniano l’elemento «burocratico» assieme alle violenze e alle atrocità opera del gruppo jihadista che, fra il 2014 e il 2017, ha conquistato circa la metà del territorio – così come nella vicina Siria – imponendo un dominio brutale fondato sul sangue. Una memoria storica che sta per essere ultimata grazie all’impegno delle Nazioni Unite e che sarà destinata ad essere conservata negli uffici del Consiglio supremo della magistratura dell’Iraq.

 

Milioni di documenti digitalizzati, raccolti in un unico archivio centrale, che provano i crimini commessi dall’ISIS. UNITAD, l’organismo istituito dall’ONU per approfondire le indagini, ha avviato il suo lavoro sul campo cinque anni fa nel tentativo di assicurare vertici e corresponsabili del movimento radicale di ispirazione islamica alla giustizia.

 

«Per noi è assolutamente chiaro – afferma l’investigatore capo delle Nazioni Unite Christian Ritscher – che solo se lavoriamo fianco a fianco con le autorità irachene, in particolare con la controparte nella magistratura, [l’inchiesta UNITAD] può avere successo».

 

L’ex procuratore, di origine tedesca, ha approfondito una mole di atrocità perpetrate dagli uomini del «califfato islamico» fra i quali omicidio, tortura, stupro di massa, riduzione in schiavitù e genocidio. L’obiettivo è perseguire gli autori di «crimini internazionali efferati» attraverso processi «basati sulle prove e davanti a tribunali competenti». E perché abbia successo servono «prove ammissibili e affidabili» che peraltro, a detta del magistrato, «non mancano».

 

«L’ISIS – spiega – era una burocrazia su vasta scala, che documentava e manteneva un sistema amministrativo statale» e per questo UNITAD ha lanciato un enorme progetto di digitalizzazione dei documenti, perché siano «ammissibili» da un qualsiasi tribunale competente in Iraq o all’estero.

 

Sinora almeno otto milioni di pagine di documenti in possesso delle autorità di Baghdad sono state digitalizzate e pronta a essere usate dagli inquirenti.

 

Il passo successivo sarà di «creare un archivio centrale che sarà depositario unico di tutte le prove digitalizzate» aggiunge Ritscher.

 

Il lancio dovrebbe avvenire «nei prossimi giorni» all’interno del Consiglio supremo della magistratura e rappresenterà una «pietra miliare» per il sistema, diventando modello ed esempio «non solo nella regione, ma a livello globale».

 

Sempre in questi giorni, a distanza di oltre cinque anni dalla sconfitta militare dell’ISIS, sei donne yazidi sequestrate dai miliziani dell’Isis nel 2014 hanno ritrovato le loro famiglie, nel nord dell’Iraq, quattro giorni dopo il salvataggio annunciato dalla Nobel per la pace Nadia Murad.

 

Considerati «eretici» dal califfato, gli yazidi sono stati fra le vittime principali del massacro jihadista e le donne sequestrate e tenute come schiave sessuali o spose forzate, i figli prelevati. Dall’Iraq, racconta la donna, le sei giovani «sono finite in Siria» quando erano ancora «poco più che bambine o adolescenti».

 

Decisivo per la liberazione, come ha riferito la stessa Murad, il Kurdistan iracheno e la Turchia. L’incontro coi familiari, e il ricongiungimento, è avvenuto in un parco di Dohuk.

 

«Sono felicissima – ha detto una di loro – non li vedo da quando ho nove anni».

 

 

 

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia.

 

 

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Terrorismo

Jihadisti francesi attaccano le forze governative siriane

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Le nuove autorità siriane hanno lanciato un’ampia operazione militare contro le forze jihadiste straniere rimaste nella provincia nord-occidentale di Idlib, con particolare attenzione ai militanti di origine francese.

 

Il governo damasceno ha dichiarato che questi gruppi, che in passato hanno contribuito a rovesciare l’ex presidente Bashar Assad, costituiscono ora una minaccia alla sicurezza.

 

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), con sede nel Regno Unito, gli scontri sono scoppiati durante un assalto notturno delle forze governative a un campo noto come «campo francese» nella città di Harem, a ovest di Idlib. Entrambe le parti avrebbero subito perdite, ma il numero esatto di vittime non è stato confermato. Almeno due jihadisti sono stati catturati. Secondo le autorità, il campo sarebbe gestito da combattenti stranieri guidati da Omar Omsen, un cittadino francese di origini senegalesi.

 

Il Servizio di Sicurezza Generale siriano ha specificato che l’obiettivo era arrestare Omsen e ripristinare la stabilità nella regione. Un canale Telegram legato ai jihadisti ha diffuso una dichiarazione del loro leader, che accusava il governo di collaborare con gli Stati Uniti e una «coalizione internazionale» per eliminare i militanti stranieri in Siria, minacciando Damasco di rappresaglie jihadiste e citando il supporto di altri gruppi militanti stranieri.

 

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Un articolo del Washington Post dello scorso maggio riferisce che il governo del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, precedentemente conosciuto come il terrorista jihadista al-Jolani, legato ad al-Qaeda e ISIS, sta affrontando minacce dalle stesse forze che lo hanno insediato al potere a novembre.

 

Secondo un rapporto di Le Monde del 2023, circa 200 cittadini francesi, tra combattenti e loro familiari, si sono stabiliti a Idlib dopo il collasso dello Stato Islamico nel 2019, descritti come «jihadisti francesi irriducibili».

 

Il WaPo a maggio riportava che «militanti sunniti estremisti» hanno compiuto stragi di alawiti sulla costa siriana a marzo, causando almeno 1.300 morti, con altre migliaia morti nei mesi successivi.

 

Come noto, anche i cristiani sono oggetto di continue violenze assassine e genocide da parte dei takfiri jihadisti che perseverano nella loro opera di cruenta persecuzione, tra esecuzioni di donne cristiane e bombe nelle chiese, mentre diviene sempre più chiaro che la sharia è l’unica legge del Paese un tempo laico.

 

Alcuni di questi gruppi jihadisti hanno poi rivolto la loro ostilità contro al-Jolani, specialmente dopo il suo incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha portato alla rimozione delle sanzioni contro la Siria, ma lo ha fatto apparire come un «infedele» agli occhi dei radicali.

 

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Terrorismo

Episodio di terrorismo a Belgrado

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Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha descritto la sparatoria di mercoledì vicino all’Assemblea nazionale di Belgrado come un «terribile attacco terroristico». Un uomo di 70 anni avrebbe aperto il fuoco nella capitale serba e dato fuoco a una tenda.   L’autore, identificato come Vladan Andelkovic, è stato arrestato. Secondo i resoconti, ha ferito un uomo di 57 anni, Milan Bogdanovic, sparandogli e ha poi incendiato una tenda dei sostenitori del presidente Vucić davanti all’Assemblea nazionale. Kurir ha riportato che il sospettato ha anche gettato munizioni tra le fiamme.   La vittima, colpita alla coscia, non ha subito ferite gravi. I vigili del fuoco hanno domato l’incendio, mentre la polizia ha isolato l’area e avviato un’indagine.  

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In un discorso televisivo, Vucic ha condannato l’episodio come un «attacco terroristico contro persone e proprietà», dichiarando che il sospettato aveva acquistato benzina per appiccare intenzionalmente il fuoco alla tenda, con l’obiettivo di seminare paura. Vučić ha mostrato un video in cui Andelkovic afferma di aver agito con intenti suicidi: «L’occupazione del centro città mi infastidisce. Ho dato fuoco alla tenda con la benzina», si sente nella registrazione.   «Volevo che mi uccideste perché non posso più vivere», ha aggiunto l’uomo.   Tuttavia, Vucic ha suggerito che l’uomo potrebbe aver «finto di essere pazzo», sottolineando che il suo passato nelle forze di sicurezza indica una piena consapevolezza delle sue azioni. «Questa persona e i suoi eventuali complici saranno puniti severamente», ha promesso.   Il presidente ha poi invitato a evitare reazioni impulsive: «Ho visto la rabbia causata da questo episodio, alcuni oppositori dei bloccanti vogliono radunarsi, ma chiedo loro di non farlo. La vendetta non porta a nulla di buono. Non deve esserci vendetta, e metto in guardia tutti dal cercarla».     SOSTIENI RENOVATIO 21
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Terrorismo

Preparavano un altro attentato a Trump?

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Il direttore dell’FBI Kash Patel ha dichiarato domenica 19 ottobre a Fox News che i Servizi Segreti (USSS) hanno individuato una «postazione di caccia» con vista diretta sull’uscita dell’Air Force One del presidente Donald Trump presso l’aeroporto internazionale di Palm Beach. L’FBI sta collaborando con l’USSS e le forze dell’ordine della contea di Palm Beach per le indagini.

 

Il Patel ha riferito che, fino a ieri, nessuna persona è stata vista o associata alla postazione sopraelevata. Secondo una fonte anonima delle forze dell’ordine citata da Fox, la postazione, situata su un ramo d’albero, sembra essere stata preparata «mesi fa».

 

 

Tuttavia, il capo delle comunicazioni dell’USSS, Anthony Guglielmi, ha precisato che gli agenti hanno scoperto la postazione giovedì 16 ottobre durante i «preparativi di sicurezza avanzati» per l’arrivo di Trump a Palm Beach. «Non ci sono state ripercussioni sui movimenti e nessuna persona era presente o coinvolta nel luogo», ha dichiarato Guglielmi a Fox News.

 

«Sebbene non possiamo fornire dettagli sugli oggetti specifici o sul loro scopo, questo incidente evidenzia l’importanza delle nostre misure di sicurezza a più livelli», ha aggiunto.

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