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Geopolitica

Mosca giudica «scandalose» le dichiarazioni della Harris su Putin e risponde riguardo le presunte telefonate con Trump

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Le osservazioni denigratorie del vicepresidente statunitense Kamala Harris nei confronti del presidente russo Vladimir Putin sono «inaccettabili» e un insulto al Paese, ha affermato l’ambasciata di Mosca a Washington.

 

In un’intervista rilasciata martedì al conduttore radiofonico Howard Stern, il candidato democratico alla presidenza ha descritto Putin come un «dittatore assassino» e un «avversario» dell’America.

 

In un post su Telegram di mercoledì, l’ambasciata russa ha definito le osservazioni «oltraggiose».

 

«Tali avventure americane insultano l’intero popolo russo, che dimostra un’incrollabile unità attorno al leader del nostro Paese», si legge nel post.

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L’ambasciata russa ha osservato che «un linguaggio così maleducato è diventato un’abitudine tra gli attuali cosiddetti statisti americani».

 

«Ciò dimostra solo la frustrazione e l’impotenza dei circoli dominanti di Washington. A causa della loro incapacità di trattare con la Federazione Russa e di infliggere una “sconfitta strategica”» a Mosca nel conflitto con Kiev, ha sottolineato la dichiarazione.

 

Invece di incanalare la loro «rabbia e la loro retorica offensiva», la leadership degli Stati Uniti «dovrebbe fare i conti con il fatto che la Russia sta perseguendo una politica basata sui suoi interessi nazionali», ha aggiunto l’ambasciata della Federazione Russa.

 

Putin aveva dichiarato il mese scorso che, sebbene in precedenza fosse favorevole alla rielezione del presidente statunitense Joe Biden, avrebbe fatto il tifo per la Harris, dal momento che Biden l’ha appoggiata dopo aver sospeso la sua campagna a luglio.

 

Il candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump «ha imposto più sanzioni alla Russia di qualsiasi altro presidente prima di lui», ha osservato il presidente russo, suggerendo che il candidato democratico «forse si asterrebbe da tali azioni». Harris «ride in modo così contagioso» che suggerisce che «tutto sta andando bene per lei», ha aggiunto. Più tardi sarebbe stato detto che aveva parlato per ischerzo.

 

L’«endorsement» di Putin aveva fatto immediatamente notizia negli Stati Uniti, con la Casa Bianca che ha chiesto al presidente russo di «smetterla di parlare delle nostre elezioni». Trump ha reagito dicendo di non sapere se sentirsi insultato dalle parole del leader russo o prenderle come un favore nei suoi confronti.

 

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha spiegato in seguito che i commenti di Putin sul sostegno a Harris non erano seri. Il leader russo «ha un buon senso dell’umorismo» e «ricorre spesso alle battute durante i suoi discorsi e interviste», ha spiegato.

 

Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha dichiarato il mese scorso che entrambi i candidati alla presidenza degli Stati Uniti «mantengono un atteggiamento negativo, un atteggiamento ostile» nei confronti della Russia, e che al Cremlino «non piace» il fatto che il nome di Putin venga utilizzato nelle lotte politiche interne in America.

 

Il Cremlino nelle scorse ore ha anche risposte alle accuse secondo cui l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump avrebbe avuto ben sette telefonate con il presidente russo Vladimir Putin da quando ha lasciato l’incarico nel 2021.

 

Tale storia non corrisponde a verità, ha affermato il portavoce Peskov.

 

«È una tipica storia falsa nel contesto della campagna politica pre-elettorale», ha detto martedì il funzionario russo al New York Times, quando gli è stato chiesto delle presunte comunicazioni descritte dal famoso giornalista Bob Woodward nel suo nuovo libro, War.

 

La storia si basava su affermazioni fatte da un assistente anonimo di Trump, ha detto l’autore. La campagna presidenziale del candidato repubblicano ha liquidato il contenuto di War come «storie inventate» da un autore «che soffre di un caso debilitante di Trump Derangement Sundrome», cioè la sindrome da disturbo di Trump.

 

Il New York Times ha affermato di aver contattato funzionari in carica ed ex funzionari delle amministrazioni attuali e precedenti e della comunità di Intelligence statunitense. Le 20 fonti hanno affermato di non essere a conoscenza di telefonate tra Trump e Putin avvenute nella natura descritta nel libro di Woodward.

 

Woodward, celebrato come decano del giornalismo americano per aver portato alla luce lo scandalo Watergate, è ora accusato, secondo una vulgata di cui è alfiere anche il collega Tucker Carlson, di aver agito contro Nixon secondo piani del Deep State, che ha così rimosso il presidente contrario ai suoi piani (e al contempo uno dei più votati di tutti i tempi). Di fatto, un colpo di Stato.

 

Di Woodward ora i critici fanno notare la provenienza: pochi mesi prima di indovinare lo scoop del secolo (strano che gli fosse assegnato un caso del genere: era appena arrivato a fare il giornalista al Washington Post) era arruolato in Marina con incarichi delicatissimi: era infatti una delle due persone che potevano muovere i codici di lancio di missili nucleari della nave militare USS Wright.

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Affermazioni simili secondo cui la Russia si sarebbe intromessa nelle elezioni del 2016 attraverso i social media sono state utilizzate dagli Stati Uniti per giustificare una stretta sul dibattito online senza freni, come una lotta contro la «disinformazione».

 

«Se le piattaforme, che siano Facebook, Twitter/X, Instagram o Tik Tok, qualsiasi cosa siano, non moderano e monitorano i contenuti, perdiamo il controllo totale», ha detto Hillary Clinton al conduttore televisivo Michael Smerconish in un’intervista il mese scorso.

 

L’Intelligence statunitense sostiene che la Russia sta segretamente utilizzando informazioni errate e contenuti generati dall’Intelligenza Artificiale per sostenere la candidatura di Trump per un secondo mandato.

 

Alti funzionari russi, tra cui lo stesso Putin, hanno sostenuto che non ha senso per Mosca favorire uno dei due candidati dei due principali partiti americani, poiché nessuno dei due sarebbe in grado di modificare le politiche di confronto preferite dalle élite americane. Mosca sostiene di non interferire nelle elezioni straniere per una questione di principio.

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Geopolitica

Jeffrey Sachs: USA «regime fantoccio» di Israele, Washington «governo del Mossad»

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L’economista di fama mondiale Jeffrey Sachs ha ribadito che il governo israeliano sta perpetrando un genocidio contro i palestinesi a Gaza, sottolineando che gli Stati Uniti, sotto la guida del presidente Donald Trump, rimangono complici di questo «crimine supremo» e di altre aggressioni nella regione, descrivendo il governo statunitense come una sorta di «regime fantoccio» al servizio di Israele.   Queste e altre riflessioni sono state espresse da Sachs, docente alla Columbia University e consigliere senior delle Nazioni Unite, durante un’intervista del 17 settembre con il giudice Andrew Napolitano.   La discussione ha toccato il «modus operandi» di Israele, caratterizzato dall’«assassinio» dei propri nemici, il recente rapporto ONU che conferma il genocidio in corso, l’ospitalità di Israele verso 250 legislatori americani per una conferenza interamente finanziata a Gerusalemme e i rischi per i funzionari statunitensi derivanti dalla violazione del diritto internazionale a causa della loro complicità nel genocidio.  

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Lo stesso giorno dell’assassinio di Charlie Kirk, il Ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha commentato il bombardamento del suo Paese contro funzionari di Hamas a Doha, in Qatar, un alleato chiave degli Stati Uniti che ospita la loro più grande base militare in Medio Oriente. «Il lungo braccio di Israele agirà contro i suoi nemici ovunque. Non c’è posto dove possano nascondersi», ha dichiarato Katz con veemenza.   Il raid, denominato «Operazione Vertice di Fuoco», ha segnato il primo attacco militare israeliano noto sul territorio del Qatar, prendendo di mira funzionari di Hamas impegnati in negoziati per una proposta di cessate il fuoco sostenuta dagli Stati Uniti per porre fine al conflitto a Gaza.   Data la stretta alleanza tra Qatar e Stati Uniti e la risposta moderata di Trump all’attacco, che ha causato sei morti, Jeffrey Sachs ha osservato che «ha inviato un messaggio al mondo arabo che gli Stati Uniti non lo avrebbero protetto dagli attacchi di Israele» e che «Israele opera nella regione con totale impunità».   «Ciò sta spingendo i Paesi arabi a una seria riflessione sul significato della politica estera statunitense in questo contesto», ha proseguito Sachs, riferendosi al vertice di emergenza arabo-islamico convocato in risposta all’attacco.

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«Israele è considerato per quello che è, uno Stato canaglia in piena espansione che opera al di fuori del diritto internazionale», ha aggiunto l’analista. «Ma gli Stati Uniti sono stati ritenuti da alcuni Paesi della regione almeno parzialmente responsabili del comportamento illegale di Israele, e questa convinzione sembra ora smentita».   Riferendosi al blocco del dipartimento di Stato statunitense alla delegazione palestinese dell’ONU per partecipare alle riunioni dell’Assemblea Generale a Nuova York, Sachs ha sostenuto che «il governo degli Stati Uniti si scredita profondamente» per aver violato il diritto internazionale sul «diritto delle delegazioni di accedere alle Nazioni Unite. Siamo l’istituzione ospitante e questa amministrazione sta solo eseguendo gli ordini di Israele».   «A questo punto, si tratta fondamentalmente di due nazioni (Israele e Stati Uniti) contro il mondo intero», ha dichiarato Sachs, evidenziando il loro isolamento. Il 19 settembre, l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato con 145 favorevoli e 5 contrari per consentire alla delegazione palestinese di partecipare virtualmente, dopo che gli Stati Uniti avevano negato i visti. Contro hanno votato Israele, Stati Uniti, Nauru, Palau e Paraguay.   «Non esiste una politica estera americana», ha replicato Sachs. «Esiste solo una politica estera israeliana attuata da una sorta di regime fantoccio negli Stati Uniti».   Ribadendo il concetto di «regime fantoccio», ha aggiunto: «Siamo tirati dalle fila del Mossad, del governo israeliano».   Napolitano ha citato un rapporto secondo cui agenti del Mossad sarebbero stati scoperti a installare dispositivi di ascolto nei veicoli dei servizi segreti statunitensi destinati al trasporto d’urgenza del presidente, senza che «nessuno sia stato arrestato» per questo crimine.   Con franchezza, Sachs ha risposto che gli Stati Uniti sono un «governo del Mossad. Perché mai dovrebbero essere arrestati?»   Sachs ha denunciato che la classe politica statunitense è «attivamente complice» del «crimine più grave e atroce del pianeta», il genocidio, citando la conferenza «50 Stati, un solo Israele» a Gerusalemme, che ha ospitato 250 legislatori americani, il più grande evento di questo tipo finanziato da lobbisti, dove persino Benjamin Netanyahu, incriminato per crimini di guerra dalla Corte penale internazionale, li ha ringraziati «per essere venuti qui a schierarsi con Israele».   «Abbiamo membri del Congresso che ascoltano questo criminale di guerra mentre decanta le virtù di Israele, proprio mentre Israele commette un genocidio accanto a dove siedono», ha lamentato Sachs. «Non è solo una vergogna, è una colpa diretta della classe politica americana per complicità nel genocidio».   La Convenzione sul genocidio del 1948 obbliga gli Stati membri a «prevenire e punire» i responsabili di genocidio, inclusi coloro che sono complici. Sachs ha sottolineato che «ogni Paese ha la responsabilità di fermare un genocidio, il crimine più grave del pianeta. E la classe politica statunitense non solo non lo ferma, ma ne è attivamente complice».   Sachs ha descritto un rapporto ONU che conferma il genocidio a Gaza come «straordinariamente profondo, penetrante e orribile», evidenziando «la fame, le uccisioni intenzionali, i bombardamenti» e le intenzioni genocide dichiarate dai leader israeliani.   Un altro rapporto ONU di agosto ha confermato una carestia di massa a Gaza. «Ci sono centinaia di migliaia di persone che muoiono di fame in questo momento», ha detto Sachs. «Se continua così, Israele non potrà mai superare questa situazione».   Sachs ha accusato leader israeliani come Isaac Herzog, Itamar Ben-Gvir, Bezalel Smotrich e Netanyahu di essere «assassini di massa» e «deliranti» nel credere che Israele possa resistere nonostante le sue azioni. Ha respinto l’idea che gli attacchi a Israele siano «antisemitismo», definendo tali accuse «deliranti».

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L’economista ha avvertito che anche funzionari statunitensi come Marco Rubio e Trump, complici sotto il diritto internazionale, saranno ritenuti responsabili. Ha inoltre indicato aziende come Microsoft, Google, Amazon, OpenAI, Dell e Palantir come complici per il loro supporto all’esercito israeliano.   Sachs ha lamentato che gli israeliani non considerano i palestinesi e altri arabi come «esseri umani», ma come strumenti per il progetto del «Grande Israele», che include il controllo della Palestina e parti di Libano e Siria. Ha descritto il comportamento di Israele come basato su «assassini», targeting negoziatori di Hamas, Hezbollah e Iran per bloccare la diplomazia.   Dal 7 ottobre 2023, Israele ha ucciso oltre 65.502 palestinesi a Gaza, tra cui circa 20.000 bambini, con 167.376 feriti e oltre 10.000 bambini amputati. Uno studio di The Lancet stima 327.510 morti totali, incluse cause indirette come fame e mancanza di cure mediche. Sachs ha sottolineato che i soldati israeliani prendono di mira civili disarmati, usando loro come «tiro al bersaglio».   «Quando i combattimenti cesseranno e la gente entrerà a Gaza, le scoperte saranno più orribili di quanto si possa immaginare», ha detto Sachs, avvertendo che una carestia di massa potrebbe segnare la fine della sopravvivenza di Israele come Stato.  

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Orban: i leader UE «vogliono andare in guerra» con la Russia

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Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha dichiarato giovedì che i leader dell’UE sembrano intenzionati a trascinare il blocco in un conflitto con la Russia.

 

In un post su X, il noto critico delle politiche occidentali verso l’Ucraina ha avvertito che «sono in discussione proposte apertamente favorevoli alla guerra», riferendosi ai colloqui tenuti durante un vertice informale dei leader dell’UE a Copenaghen questa settimana.

 

«Vogliono destinare i fondi dell’UE all’Ucraina. Cercano di accelerare l’adesione dell’Ucraina con vari espedienti legali. Vogliono finanziare la fornitura di armi. Tutte queste proposte dimostrano chiaramente che i burocrati di Bruxelles vogliono la guerra», ha scritto Orbán, promettendo che Budapest si opporrà a tali iniziative.

 

 

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L’incontro di Copenaghen è stato convocato in risposta a una serie di avvistamenti di droni non identificati in Europa. La premier danese Mette Frederiksen ha dichiarato che il suo governo non è in grado di identificare l’origine dei velivoli, ma ha sostenuto che «possiamo almeno concludere che c’è un solo Paese che rappresenta una minaccia per la sicurezza dell’Europa, ovvero la Russia».

 

I leader dell’UE hanno discusso l’idea di un «muro di droni», un sistema vagamente definito per contrastare le minacce aeree. Secondo i media, i colloqui hanno prodotto pochi progressi: Politico ha descritto la sessione come caduta in un «tipico stallo», mentre Bloomberg ha definito il muro di droni più un’«etichetta pubblicitaria» che un piano concreto.

 

Nel frattempo, Mosca ha accusato l’Ucraina e i suoi alleati europei di orchestrare provocazioni per inasprire le tensioni.

 

Come riportato da Renovatio 21, Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) ha affermato questa settimana che la recente incursione di droni nello spazio aereo polacco – attribuita da Varsavia alla Russia – fosse in realtà un’operazione ucraina sotto falsa bandiera, prevedendo ulteriori incidenti simili in futuro.

 

La leadership dell’UE continua a spingere per un maggiore sostegno a Kiev e per una crescente militarizzazione degli Stati membri. In quest’ottica, Bruxelles ha cercato di limitare il potere di veto di nazioni dissenzienti come l’Ungheria sulle decisioni di politica estera e di sicurezza.

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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata su indicazioni.

 

 

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Geopolitica

Otto Paesi arabi accolgono con favore il piano di Trump per Gaza

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Il «Piano globale per porre fine al conflitto di Gaza» in 20 punti, reso pubblico dalla Casa Bianca il 29 settembre a seguito dell’incontro tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è stato accolto positivamente dai ministri degli Esteri di Qatar, Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Indonesia, Turchia e Pakistan. Questi ultimi avevano partecipato a una riunione con Trump e il suo inviato speciale Steve Witkoff il 23 settembre, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, contribuendo significativamente alla stesura del piano, secondo quanto annunciato da Trump.   La dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri recita: «I ministri accolgono con favore l’annuncio del presidente Trump in merito alla sua proposta di porre fine alla guerra, ricostruire Gaza, impedire lo sfollamento del popolo palestinese e promuovere una pace globale, nonché il suo annuncio che non consentirà l’annessione della Cisgiordania». I ministri si sono detti pronti a «impegnarsi in modo positivo e costruttivo» con gli Stati Uniti e altre parti per finalizzare e attuare l’accordo, riaffermando il loro impegno a collaborare con gli Stati Uniti per porre fine al conflitto a Gaza.   L’obiettivo è un accordo che garantisca «la fornitura illimitata di aiuti umanitari sufficienti a Gaza, nessun sfollamento di palestinesi, il rilascio degli ostaggi, un meccanismo di sicurezza che garantisca la sicurezza di tutte le parti, il completo ritiro israeliano, la ricostruzione di Gaza e la creazione di un percorso per una pace giusta sulla base della soluzione dei due Stati, in base alla quale Gaza sarà pienamente integrata con la Cisgiordania in uno Stato palestinese, in conformità con il diritto internazionale, come chiave per il raggiungimento della stabilità e della sicurezza regionale».   Nell’annuncio odierno, Trump ha confermato l’approvazione di Netanyahu al piano, lodando i leader dei paesi coinvolti come «molto capaci e intelligenti» e indicando che il «Consiglio per la Pace», da lui presieduto, includerà questi leader. Il piano è ora nelle mani dei negoziatori di Hamas per ottenere il loro consenso.   Secondo l’emittente statunitense ABC News, un funzionario ha riferito che, subito dopo l’annuncio di Trump, il primo ministro del Qatar e il capo dell’Intelligence egiziana hanno incontrato i negoziatori di Hamas, presentando loro il piano per la prima volta. I negoziatori di Hamas avrebbero dichiarato di volerlo esaminare «in buona fede» e di essere pronti a fornire una risposta.   Nel suo discorso pomeridiano, Trump ha espresso fiducia nell’impegno di Qatar, Egitto e altri paesi per ottenere l’approvazione di Hamas.

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