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Mons. Lefebvre e i vescovi: osservazioni tecniche sulle consacrazioni senza mandato e lo stato di necessità

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Renovatio 21 pubblica questo articolo comparso su FSSPX.news, sito di attualità della Fraternità San Pio X, in merito agli attacchi ricevuti recentemente dalla FSSPX da parte di un sito di matrice ciellina. Renovatio 21 aveva già pubblicato una risposta della Fraternità e un saggio scritto da Don Mauro Tranquillo nel 2013 che, con largo anticipo, rispondeva ai punti dell’aggressione bussolina, anche perché si tratta sempre delle solite questioni, e quando d’improvviso riemergono, come in queste settimane, ci sarebbe, per prima cosa, da domandarsi il perché.

 

 

La Nuova Bussola Quotidiana ha dedicato alle consacrazioni episcopali del 1988 e alla situazione della Fraternità San Pio X una serie di articoli, con argomenti in realtà già molte volte confutati, che però a qualche lettore avranno potuto sembrare inediti. Dedichiamo qui una risposta «tecnica» ad alcune di queste osservazioni, rimandando poi a studi più completi.

 

 

La consacrazione episcopale contro la volontà del Papa è sempre uno scisma?

Cominciamo a chiarire quello che la Bussola, seguendo i suoi maestri, confonde. Citando due documenti papali «preconciliari» (che a breve esamineremo) essi sostengono non solo che il Papa ha in esclusiva e per diritto divino il potere di conferire la giurisdizione (1) episcopale (e infatti, come essi stessi ammettono, Mons. Lefebvre non pretese mai usurpare tale prerogativa), ma avrebbe anche per diritto divino il potere di designare in esclusiva i candidati a un’ordinazione episcopale, in qualsiasi caso. (2)

 

Secondo la Bussola, che qui riprende in parte la dottrina conciliare sull’episcopato ed in parte le teorie dei Padri Bisig e de Blignières (3), sarebbe impossibile separare il potere sacro dell’Ordine episcopale dal potere di governo, cosicché ordinare un vescovo senza consenso papale (anche escludendo la pretesa di assegnargli un potere di governo) sarebbe sempre uno scisma. Tale tesi è semplicemente contraria alla dottrina insegnata dalla Chiesa fino al Vaticano II, che separa nettamente l’origine del potere dell’ordine episcopale da quella del potere di governo (4). Per i Papi fino a Pio XII (5), la consacrazione episcopale da sola non può produrre alcun potere di governo.

 

La Chiesa, a differenza della Bussola, non ha mai del resto confuso lo scisma con la consacrazione episcopale senza mandato pontificio. Consideriamo qui il diritto canonico, visto nella sua natura magisteriale: esso è infallibile nel senso che non potrà mai esprimere qualcosa che vada contro il dogma, quindi è locus theologicus, come noi ben sappiamo malgrado le insinuazioni della Bussola.

 

Ebbene, il diritto ha sempre distinto le pene per il peccato di scisma dalle pene per la consacrazione episcopale fatta senza mandato apostolico. Se lo scisma è sempre stato punito di scomunica, la consacrazione episcopale fino a Pio XII era punita di una semplice sospensione a divinis (cfr. la vecchia redazione del canone 2370 [6], che tra l’altro addolciva la stessa sospensione con l’inciso «fino a che la Santa Sede li dispensi»).

 

Tale atto non era visto come quella sorta di «trauma ecclesiologico» descritto dalla Bussola, ma come un delitto nell’amministrazione dei Sacramenti. Infatti il titolo XVI della terza parte del codice, dove stava il canone 2370, era intitolato De delictis in administratione vel susceptione ordinum aliorumque sacramentorum, ben distinto dai delitti contra fidem et unitatem Ecclesiae, tra i quali appunto lo scisma, catalogati al titolo X (7).

 

L’inasprimento della pena voluto da Pio XII nel 1951 (ed entrato nel nuovo codice) non fa comunque coincidere la consacrazione episcopale con lo scisma, visto che rimangono in vigore due scomuniche per delitti ben distinti tra loro.

 

Questo argomento basta da solo a far crollare il castello di carte della Bussola e di Bisig e de Blignières, che fanno coincidere ogni consacrazione senza mandato con un atto di scisma. L’amministrare i sacramenti oltre i canoni per necessità (ordine episcopale compreso) è sempre possibile ed in alcuni casi doveroso per diritto divino, ed il diritto positivo stesso lo prevede anche in modo esplicito. Infatti è il diritto a scusare dalle pene chi agisce per necessità (can. 2205), e perfino da colpa purché l’atto non sia intrinsecamente malvagio (un’ordinazione episcopale non essendo tale, a meno di tenere la tesi per cui conferisca automaticamente quanto riservato al Papa, anche se il consacrante negasse di volerlo fare).

 

In tal caso, si potrà consacrare un vescovo lecitamente anche senza il permesso del Papa: perché, se c’è realmente la necessità, c’è anche la facoltà di amministrare i sacramenti, proprio per il diritto della Chiesa e non contro di essa. Se il Papa proibisse a un sacerdote senza giurisdizione ordinaria di confessare un moribondo, adducendo come ragione che, secondo lui, il soggetto è sano e può aspettare il parroco, il sacerdote assolverebbe comunque in modo valido e lecito: l’errore del Papa (in buona o mala fede) sulla situazione del malato non cambia il fatto che una tale facoltà non può essere negata in quella circostanza, perché la Chiesa non può andare contro il suo proprio fine (8).

 

La negazione dello stato di necessità della Chiesa da parte del Papa, come vedremo, non smette di far esistere un tale stato, e non smette di conferire le facoltà previste in tal caso dal Papa stesso come promulgatore della legge divina, per la natura delle cose della Chiesa, finalizzata alla salus animarum. Di certo, essendo i papi post-conciliari la causa dello stato di necessità, è difficile che essi ne ammettano l’esistenza o l’estensione reale.

 

Lo stato di necessità

Abbiamo visto che, proprio per il diritto voluto da Dio e dai Pontefici (e non contro di esso), è lecito amministrare i sacramenti di fronte a una necessità estrema del singolo, o alla necessità grave generale[9]. Per quale motivo Mons. Lefebvre nel 1988 era di fronte a una simile situazione?

 

Nel 1988, come oggi, è impossibile ricevere l’ordinazione sacerdotale (e quindi amministrare poi i sacramenti) per le vie ordinarie senza accettare (almeno esternamente) delle dottrine contrarie all’insegnamento della Chiesa.

 

Per esempio:

 

  • Dal Concilio Vaticano II in poi, nessun candidato agli ordini può negare che la libertà religiosa sia un diritto naturale, conformemente alle condanne di Gregorio XVI e Pio IX. La dottrina di Dignitatis humanae, oggi imposta a tutti, e pesantemente ribadita da Benedetto XVI (10), impone di credere che esista un diritto naturale, valido per individui e gruppi, di professare qualsiasi religione, anche in pubblico, e che deve essere riconosciuto dall’autorità. Se un cattolico, per restare tale, nega tale dottrina in quanto condannata dal Magistero, non sarà mai ordinato prete per le vie ordinarie.

 

  • Dal Concilio in poi, nessun candidato agli ordini può affermare che la giurisdizione episcopale proviene solo dal Pontefice, conformemente a secoli di Magistero (vedi articoli citati sopra), o che solo il Pontefice è soggetto del potere supremo della Chiesa. Tali affermazioni definite dal Magistero anche in modo infallibile sono contraddette apertamente dalla dottrina di Lumen gentium, documento chiave del Concilio, e costantemente ribadite. Se un cattolico, per restare tale, nega apertamente tali nuove dottrine, non sarà mai ordinato prete per le vie ordinarie.

 

  • Dal Concilio in poi, la prassi ecumenica domina le relazioni con le altre religioni, nonostante condanne papali (cfr. Pio XI, enciclica Mortalium animos). Ogni cattolico deve apertamente distanziarsi da tali atti, compiuti da tutti i Papi post-conciliari, da Assisi 1986 fino alla Pachamama. Però se lo fa, non riceverà mai il sacramento dell’Ordine.

 

  • Dal 1970, il candidato agli ordini deve accettare per principio e generalmente anche celebrare un rito che «si allontana in modo impressionante» dalla dottrina cattolica sul Sacrificio della Messa, così come definito a Trento (cfr. Breve esame critico del Novus Ordo Missae, dei cardinali Ottaviani e Bacci), e che è in contraddizione palese con il significato del rito tradizionale. Come si può pensare (per fare solo un esempio elementare) che un rito in cui il sacerdote non disgiunge pollice e indice per non perdere alcun frammento dell’ostia consacrata abbia lo stesso significato di un rito che prevede la comunione in mano e i ministri straordinari? Non sono certo «due forme dello stesso rito».

La lista potrebbe ovviamente continuare, come sa anche la Bussola, con argomenti sui quali essi stessi hanno preso le distanze da questo ultimo Pontificato.

 

Forse la Bussola ritiene impossibile ammettere che la gerarchia (cioè il Papa e i Vescovi diocesani) si ritrovi in un simile stato nella sua interezza o nel suo capo?

 

Purtroppo contra factum non fit argumentum. Per capire come sia possibile e come spiegare questa situazione senza cadere in nessun errore sulla costituzione della Chiesa, suggeriamo la lettura del libro Parole chiare sulla Chiesa, a cura dei sacerdoti del nostro Distretto italiano (11). Una tale trattazione esula infatti da un articolo già troppo lungo.

 

Davanti a questo stato di fatto, la Chiesa ha in sé la possibilità di amministrare i sacramenti in modo straordinario, episcopato compreso, venendo in soccorso così alle anime che non vogliono mettere in pericolo la propria fede per ricevere i sacramenti.

 

Non basta l’ordinazione a fare il prete o il vescovo cattolico, dice la Bussola, e noi condividiamo; ci vuole anche di essere inseriti nell’ordinamento canonico visibile, ma in modo appropriato alla situazione, che può anche essere straordinario, come l’attuale (straordinario vuol dire legale secondo le leggi eccezionali, non selvaggio); ma per essere prete e vescovo cattolico ci vuole anche e soprattutto l’integrale professione della fede cattolica, compresa la condanna senza equivoci degli errori correnti: per salvare questo ultimo elemento Mons. Lefebvre poté ricorrere ad ordinazioni episcopali fuori dall’ordinario, ma del tutto lecite, legittime nella reale situazione della Chiesa.

 

Osserviamo infine che tale stato di necessità non è percepito solo soggettivamente dalla Fraternità San Pio X, ma si basa soprattutto sulla certezza che abbiamo dal Magistero papale della condanna del diritto alla libertà religiosa, della collegialità, dell’ecumenismo, e di tutto quanto di contrario alla dottrina definita ha fatto seguito al Concilio, oltre che della liturgia e delle prassi che di fatto negano una serie di articoli di fede in modo più o meno diretto. (12)

 

La Fraternità non nega l’esistenza della gerarchia, ma non dimentica che si tratta di una gerarchia modernista. In quanto tale, non si può far finta di considerarne gli atti come «normali», e di valutarli come se si fosse in uno stato di ordine (del resto, nemmeno la Bussola sembra farlo per molti atti del presente pontificato). Ecco perché, pur di trasmettere e conservare la Fede cattolica come definita dai Papi, si ricorre a mezzi eccezionali.

 

Due documenti citati a sproposito

Ad Apostolorum Principis

Veniamo ora ad esaminare il primo documento citato contro Monsignor Lefebvre, cioè la lettera con cui Pio XII condanna le ordinazioni dei vescovi della «chiesa patriottica» in Cina (1958), destinati a formare una gerarchia parallela fedele al governo comunista. Può sembrare curioso che i conservatori, che accettano la dottrina erronea di Lumen gentium sull’origine sacramentale del potere di governo dei vescovi, citino un documento che condanna (sulla base di Mystici Corporis e mille altri documenti dottrinali) proprio quella teoria conciliare.

 

In effetti è proprio il Concilio (in questo totalmente confermato dai documenti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) a sostenere che la giurisdizione episcopale non venga dal Papa ma dalla stessa ordinazione sacramentale, proponendo così una dottrina già ampiamente condannata. Non sappiamo a che dottrina credano i conservatori, ma evidentemente vogliono mettersi sul terreno dei cattolici fedeli al Magistero tradizionale per cercare di porli in difficoltà.

 

In realtà ci sarebbe anzitutto da chiedersi, qualora costoro credano alla dottrina esposta da Pio XII, come facciano a non vedere che già dal Concilio si tenta di costruire una nuova religione che sovverte il cattolicesimo, e di imporla a tutti i fedeli; se invece non ci credono, ci si chiede perché usare strumentalmente una lettera che non potrebbero intendere in quel senso letterale, secondo quanto impone la Nota praevia di Lumen gentium.

 

Veniamo però al merito dell’obiezione: si sostiene che non solo la lettera insegni che per diritto divino è il Papa solo a conferire la giurisdizione ai vescovi residenziali, ma anche che solo la Santa Sede possa determinare chi deve ricevere l’episcopato. Facciamo anzitutto notare che si parla di candidati all’episcopato residenziale in una situazione ordinaria, cioè di candidati che insieme all’ordinazione dovranno appunto ricevere la giurisdizione dal Pontefice. Nessuno dubita che in tale caso solo alla Santa Sede spetti di giudicare i candidati idonei a tali nomine, senza altre ingerenze (il riferimento immediato della lettera è al governo comunista cinese).

 

Non si capisce però come questo possa inficiare la liceità morale dell’ordinazione episcopale in caso di grave necessità generale, senza pretesa di conferimento di alcuna giurisdizione: Pio XII parla della scelta di vescovi che dovranno ricevere missione canonica ordinaria dal Papa, il che niente ha a che vedere con il caso dei vescovi della FSSPX. La cosa sarà ancora più chiara con il commento al documento seguente.

 

Quartus supra

Viene portata un’obiezione che dovrebbe basarsi sulla lettera con cui Pio IX interviene in una querela suscitata dal patriarcato armeno cattolico (nel 1873). Era infatti successo che, nonostante il privilegio della chiesa armena di presentare a Roma una terna di candidati all’episcopato, tra i quali il Papa scegliesse chi nominare, il Papa avesse in alcuni casi rigettato i tre nomi per un quarto, direttamente scelto da lui.

 

Pio IX ovviamente risponde che i privilegi dei patriarcati o delle chiese locali sono norme di diritto ecclesiastico, che in nulla possono inficiare la pienezza del potere pontificio, che per diritto divino può andare oltre e nominare in altri modi i vescovi. Nessun cattolico mai metterebbe in dubbio una tale verità.

 

Tuttavia nemmeno questo ha nulla a che vedere con il caso di Monsignor Lefebvre: non si stabilisce qui un principio, come vorrebbero i nostri obiettanti, per cui conferire un’ordinazione episcopale (senza pretesa di conferire una sede, ma per una mera necessità sacramentale) sia per diritto divino impossibile senza una designazione papale; si dice invece che il Papa può per diritto divino nominare senza vincoli canonici chi vuole alle sedi vescovili.

 

Quanto alla citazione delle lettere di Papa sant’Innocenzo I (13), esse parlano dell’episcopato residenziale, cioè con la concessione della giurisdizione. I discorsi di queste lettere e dei Papi antichi vanno sempre letti nell’ottica dell’istituzione di vescovi residenziali, non della semplice collazione del sacramento dell’Ordine che, come abbiamo visto, resta possibile quando inevitabilmente necessario. Trattano infatti della situazione ordinaria e del caso comune di nomina episcopale a una sede.

 

Qualche ultima considerazione

Come si vede, la Fraternità San Pio X basa le sue scelte sulla considerazione della natura giuridica della Chiesa, che non è senza mezzi per le situazioni eccezionali. Che la gerarchia intera si sia separata dalla professione della vera Fede, o sia silente sull’apostasia, è un fatto enorme che non fa riflettere la Bussola. Per la Bussola in questa situazione occorrerebbe rapportarsi alle autorità come in periodo normale, ignorando tale generale apostasia (salvo poi qualificare i vescovi italiani del titolo di «usurpatori» quando toccano qualche novità dottrinale che la Bussola non ha digerito per il momento: infatti, perché supporre che i conservatori non accetteranno mai l’omosessualismo, se hanno accettato già collegialità e libertà religiosa?).

 

Un capitolo a parte meriterebbe l’uso strumentale e selettivo che la Bussola fa degli interventi romani in merito alla FSSPX, ignorando o minimizzando sistematicamente ogni concessione fatta nel tempo dai recenti Pontefici. Non insistiamo perché abbiamo voluto basarci su princìpi ben più elevati.

 

Facciamo però un esempio: la Bussola nega autorità alla risposta del presidente della Commissione Ecclesia Dei del 27 settembre 2002, che permetterebbe ai fedeli di assistere alla Messa e adempiere al precetto domenicale presso i sacerdoti della FSSPX.

 

Precisiamo anzitutto che la FSSPX chiede ai fedeli di venire a Messa presso le proprie cappelle proprio per manifestare il proprio rifiuto degli errori moderni e della nuova messa, partecipando a un culto corrispondente alla Fede romana, e non si basa su questi documenti (che al massimo sono stati usati come argomenti ad hominem).

 

Quello però che fa specie è che la Bussola spieghi pontificalmente che il diritto canonico dice che si assolve il precetto solo assistendo alla Messa domenicale in un «rito cattolico», dimenticandosi però che il nuovo canone 844§2, violando il diritto divino, permette ai cattolici impossibilitati di accedere a un ministro cattolico di ricevere i sacramenti da ministri non-cattolici validamente ordinati, «ogni volta che lo richieda la necessità o una vera utilità spirituale»; e che la Santa Sede, con diversi accordi con le «chiese» scismatiche orientali, ha permesso ai cattolici di assistere alla Messa presso tali comunità (compresa quella assira, dove la Messa non ha neppure le parole della consacrazione ed è perciò non solo illecita ma del tutto invalida). (14)

 

In conclusione, consigliamo al lettore la lettura degli articoli citati in nota, ricchi di apparati e di riferimenti, per tutte le questioni che potrebbero essere poco chiare o sospese. Non è infatti possibile in questo breve testo ritornare alla confutazione di ogni singolo sofisma o al chiarimento di ogni singolo concetto esposto.

 

Viviamo in un tempo eccezionale, molto più di quello che crede la Bussola, in cui l’intera gerarchia ha rinnegato l’integralità della fede romana. Forse è questo che la Bussola non capisce, e tira fuori dal cappello vecchi sofismi già più volte affrontati, senza chiedersi che cosa richieda oggi un’integrale professione di fede. Se però lo capisce e nega comunque la legittimità delle consacrazioni episcopali senza mandato in queste circostanze, è probabilmente la loro visione della Chiesa a far difetto di elementi giuridici indispensabili nelle situazioni eccezionali.

 

Ne va della natura della Chiesa, destinata a trasmettere la Fede integralmente e a salvare le anime, senza perdere nessuno dei suoi pezzi. C’è chi sacrifica la professione della Fede per salvare la gerarchia.

 

C’è chi sacrifica la gerarchia per salvare la professione della Fede, come i sedevacantismi vecchi e nuovi. La Fraternità San Pio X, al seguito delle scelte di Mons. Lefebvre, ha cercato una spiegazione e una strada che conservino tutti gli elementi costitutivi della Chiesa.

 

NOTE

1) Vi sono nella Chiesa due poteri, lasciati da Nostro Signore Gesù Cristo, e due gerarchie che ne derivano, le quali si incrociano e si sovrappongono in parte, ma che restano ben distinte nelle loro attribuzioni e nelle loro fonti. Questi due poteri sono: 1) la potestas sanctificandi, che si riceve e si esercita tramite il Sacramento dell’Ordine nei suoi vari gradi e che consiste principalmente nel potere di consacrare l’Eucaristia e mediante questa e gli altri Sacramenti dare la grazia alle anime. Poiché la fonte di questo potere è un Sacramento, l’autore diretto ne è Nostro Signore stesso, ex opere operato: i ministri ne sono solo gli strumenti. 2). La potestas regendi, o potere di giurisdizione, che comprende in sé il potere spirituale di governare e di insegnare. La Chiesa essendo una società deve avere un’autorità capace di legiferare e di guidare, oltre che di punire e correggere. Questo potere, che Nostro Signore ugualmente possiede al supremo grado, è da Lui trasmesso direttamente solo al Papa al momento dell’accettazione dell’elezione, e dal Papa in vari modi è trasmesso al resto della Chiesa. Non ha di per sé alcun legame con il potere d’ordine. In questo senso Vescovo è colui che ha ricevuto dal Papa il potere di governare una diocesi, indipendentemente dal fatto della sua consacrazione episcopale.

Per approfondire, si vedano gli articoli citati alla nota 4.

2) Notiamo preliminarmente che la maggior parte degli argomenti addotti dalla Bussola non sono affatto nuovi, come vedremo, e si trovano confutati globalmente nell’opuscolo La Tradizione scomunicate, ed Ichthys 2007.

3) Una radicale e completa confutazione di tali tesi si trova negli articoli apparsi sul Courrier de Rome, a firma di don Jean-Michel Gleize, apparsi nei numeri di ottobre e novembre 2022 (nn. 657-658). Ad essi rimandiamo il lettore che voglia approfondire ulteriormente.

4) Sull’argomento, due articoli consultabili on line: cfr. https://fsspx.it/it/news-events/news/episcopato-e-collegialita-84983 e https://www.slideshare.net/GedersonFalcometa/nuova-e-antica-dottrina-a-c…

5)  Gli articoli citati alla nota 2 proveranno ad abundantiam quanto qui affermato. Ci piace aggiungere qui perfino una citazione di Giovanni XXIII (prima del Concilio) sull’argomento: dalla consacrazione episcopale «non può provenire assolutamente alcuna giurisdizione, se viene compiuta senza mandato apostolico» (Allocuzione concistoriale del 15 dicembre 1958, AAS 50, p.983). Anche Papa Giovanni ammetterebbe quindi che Mons. Lefebvre, secondo la dottrina tradizionale, non poteva compiere uno scisma senza pretesa di trasmettere ciò che solo il mandato apostolico può dare, la giurisdizione: questo perché di per sé la consacrazione sola non dà altro che il potere di ordine.

6) Tale impostazione proviene dal diritto tradizionale delle Decretali (C. 44, de electione et electi potestate, I, 6, in VI°).

7) Perfino nel nuovo Codice di diritto canonico (del 1983), nonostante l’ecclesiologia conciliare che lo pervade, la pena per la consacrazione episcopale senza mandato (nuovo canone 1382) non è inserita tra quelle per i delitti “contro l’unità della Chiesa” (Parte II tit. I), ma tra quelle per l’usurpazione di uffici ecclesiastici (tit. III).

8) Quanto alla citazione del Caietano sullo scisma fatta nell’ultimo articolo della Bussola, essa appare incompleta e tendenziosa. Il testo infatti letto per intero distingue molto bene lo scisma dalla disobbedienza (che può sempre giustificarsi di fronte a un ordine iniquo, come il richiedere la negazione della fede per accedere ai sacramenti o il proibirne ingiustamente l’amministrazione davanti a una vera necessità). Vedi il commento e la citazione integrale del Caietano negli articoli di don J.-M. Gleize sul Courrier de Rome dell’aprile 2018 e del novembre 2022.

9) A tal proposito, si veda lo studio completo a questo link: https://fsspx.it/it/news-events/news/l%E2%80%99apostolato-della-fsspx-e-…

10) https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/messages/peace/documents/…

11) Parole chiare sulla Chiesa, a cura di don Daniele Di Sorco, ed. Radio Spada 2023.

12) Per misurare l’ampiezza dei cambiamenti dottrinali imposti alla coscienza dei cattolici dal Concilio in poi, consigliamo la lettura dei seguenti libri: Mons. M. Lefebvre, Lo hanno detronizzato, ed. Piane; R. Amerio, Iota unum, ed. Lindau; Padre M. Gaudron, Catechismo della crisi nella Chiesa, ed. Piane.

13) Sarebbe da discutere anche l’inesattezza della traduzione delle lettere abbozzata dalla Bussola. Il testo, reperibile nella Patrologia latina del Migne 20:583, visto il pronome quo, che la Bussola omette di tradurre correttamente, fa capire chiaramente che è l’Apostolo Pietro la fonte dell’ipse episcopatus (non di tutto l’episcopato qui, ma di quello romano) e della tota auctoritas nominis (il prestigio della sede romana).

14) Tale concessione, risalente al 2001, con Giovanni Paolo II e al Card. Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, fece molto discutere e rimane un monumento di ecclesiologia e teologia sacramentale anti-cattoliche https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2001/… . Si veda il commento a tale mostruosità in Sì Sì No No Anno XXVIII n. 1, del 15 gennaio 2002 (https://www.sisinono.org/agosto-2002.html?download=264:n-1).

 

 

 

 

 

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Spirito

La chiesa africana respinge l’«arcivescova» di Canterbury

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La Chiesa anglicana della Nigeria ha ufficialmente rigettato la nomina della prima «arcivescova» di Canterbury. La reazione era stata pienamente anticipata.

 

L’arcivescovo nigeriano, metropolita e primate della Chiesa nigeriana, Henry Ndukuba, ha definito l’elezione di Sarah Mullally un «doppio rischio»: in primo luogo, perché impone una leadership femminile a chi non può accettarla, e in secondo luogo, perché promuove «una forte sostenitrice del matrimonio tra persone dello stesso sesso».

 

In una dichiarazione pubblicata lunedì su Facebook, Ndukuba si è chiesto come Mullally «speri di ricucire il tessuto già lacerato della Comunione anglicana», considerando i dibattiti in corso sul matrimonio tra persone dello stesso sesso.

 

Lo Ndukuba ha sottolineato che la Nigeria, parte della Global Fellowship of Confessing Anglicans (GAFCON), «riafferma la sua precedente posizione di sostenere l’autorità delle Scritture» e rifiuta quella che ha chiamato «l’agenda revisionista» presente in alcune sezioni della Comunione.

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«Questa elezione è un’ulteriore conferma che il mondo anglicano globale non può più accettare la guida della Chiesa d’Inghilterra e quella dell’arcivescovo di Canterbury», ha dichiarato Ndukuba.

 

La GAFCON ha espresso «dispiacere» per la nomina di Mullally, sostenendo che la Chiesa d’Inghilterra ha «abbandonato gli anglicani nel mondo» e ha perso la sua autorità morale. La Chiesa d’Inghilterra non ha ancora risposto alla dichiarazione nigeriana.

 

Sarah Mullally, 63 anni, è stata nominata venerdì come 106° Arcivescovo di Canterbury, dopo l’approvazione della sua candidatura da parte di Re Carlo III. Assumerà l’incarico a gennaio, dopo la conferma definitiva dei vertici della Chiesa d’Inghilterra, diventando la prima donna a ricoprire questo ruolo.

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In gran parte dell’Africa subsahariana, la Chiesa anglicana e altre denominazioni cristiane mantengono una visione tradizionale su matrimonio e genere. La Chiesa della Nigeria, una delle più grandi province anglicane, definisce il matrimonio esclusivamente come l’unione tra un uomo e una donna e non ordina donne come sacerdoti o vescovi.

 

In Kenya, nonostante la consacrazione del vescovo Rose Okeno abbia rappresentato una svolta storica, le donne in ruoli episcopali rimangono rare e le unioni tra persone dello stesso sesso sono fermamente respinte. Posizioni conservatrici simili predominano in Uganda e in gran parte dell’Africa orientale e occidentale. L’eccezione principale è la Chiesa anglicana dell’Africa meridionale, che ammette donne vescovo ma continua a sostenere l’insegnamento tradizionale sul matrimonio.

 

Come riportato da Renovatio 21la comunione anglicana ha già visto a causa dell’elezione di una donna ad arcivescovo del Galles una rottura nelle sue pendici africane. In una conferenza a Kigali di due mesi fa, a seguito della nomina della «vescova» Cherry Wann ad arcivescovo del Galles, è stato concluso che «Poiché il Signore non benedice le unioni tra persone dello stesso sesso, è pastoralmente fuorviante e blasfemo formulare preghiere che invocano la benedizione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

 

«La decisione della Chiesa in Galles di eleggere la Reverenda Cherry Vann come Arcivescovo e Primate è un altro doloroso chiodo nella bara dell’ortodossia anglicana. Celebrando questa elezione e la sua immorale relazione omosessuale, la Comunione di Canterbury ha ceduto ancora una volta alle pressioni mondane che sovvertono la buona parola di Dio» aveva commentato Laurent Mbanda, Presidente del Consiglio dei Primati della Global Anglican Future Conference (GAFCON).

 

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Gender

Il cardinale Zen condanna il «pellegrinaggio» LGBT nella Basilica di San Pietro: «offesa a Dio»

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Il cardinale Joseph Zen ha denunciato il pellegrinaggio LGBT in Vaticano e si è unito agli appelli di altri vescovi affinché compiano riparazioni per la profanazione della Basilica di San Pietro. Lo riporta LifeSite.   In una dichiarazione in lingua cinese pubblicata mercoledì, Zen ha scritto: «recentemente è emersa la notizia che un’organizzazione LGBTQ+ ha organizzato un evento per l’Anno Santo, in cui i partecipanti sono entrati nella Basilica di San Pietro a Roma per attraversare la Porta Santa».   «Ostentavano oggetti di scena color arcobaleno, indossavano abiti con slogan e coppie dello stesso sesso si tenevano per mano con passione: era puramente un’azione di protesta», ha osservato il vescovo emerito di Hong Kong.   «Questo non era un pellegrinaggio giubilare (in cui i credenti rinnovano i voti battesimali, si pentono dei peccati e si impegnano a riformarsi). Tali azioni offendono gravemente la fede cattolica e la dignità della Basilica di San Pietro: una grave offesa a Dio!»

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«Il Vaticano era a conoscenza di questo evento in anticipo, ma non ha poi emesso alcuna condanna. Troviamo ciò davvero incomprensibile!»   Zen ha sottolineato che «coloro che provano attrazione per persone dello stesso sesso» dovrebbero essere trattati con beneficenza; tuttavia, «non possiamo dire loro che il loro stile di vita è accettabile».   «Non siamo Dio», ha continuato. «Dio ci chiama a trasmettere ciò che Gesù ci ha insegnato: il vero amore per loro. Dobbiamo aiutarli a ottenere la grazia attraverso la preghiera e i sacramenti per resistere alla tentazione, vivere virtuosamente e percorrere la via verso il cielo».   Zen ha fatto riferimento alla richiesta di atti di riparazione avanzata da quattro vescovi: il vescovo Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, Kazakistan; il vescovo Joseph Strickland, vescovo emerito di Tyler, Texas; il vescovo Marian Eleganti, vescovo ausiliare emerito di Coira, Svizzera; e il vescovo Robert Mutsaerts, ausiliare di ‘s-Hertogenbosch, Paesi Bassi.   Il porporato cinese ha affermato di sostenere fermamente questo appello e ha suggerito che, dopo la Festa di metà autunno in Cina, i fedeli dovrebbero «riunirsi con i parrocchiani vicini per tre giorni per recitare le preghiere allegate».   «Inoltre, compite un atto di abnegazione o un atto di carità per offrire riparazione davanti a Dio per i peccati dei nostri fratelli e sorelle che hanno sbagliato», ha concluso.   Il cardinale Zen ha allegato al suo messaggio la preghiera di riparazione compilata dai quattro vescovi e recitata alla Conferenza sull’identità cattolica lo scorso fine settimana.   Il vescovo emerito di Hong Kong si aggiunge alla lista dei prelati ortodossi che hanno pubblicamente condannato il «pellegrinaggio LGBT» in Vaticano. Oltre ai quattro vescovi che hanno redatto la preghiera di riparazione, l’evento è stato criticato anche dal cardinale Gerhard Müller, che ha affermato che si trattava «indubbiamente» di un sacrilegio.   Come riportato da Renovatio 21, il cardinale Zen la scorsa estate aveva scritto che «il Dio misericordioso è così disgustato dai comportamenti sessuali tra persone dello stesso sesso perché questo crimine è troppo lontano dal piano di Dio per l’uomo (…) Il Suo piano è che un uomo e una donna si uniscano in un solo corpo con un unico ed eterno amore e cooperino con Dio. Una nuova vita può nascere e crescere nel calore della famiglia».

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Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato lo Zen si era scagliato contro Fiducia Supplicans arrivando a chiedere le dimissioni dell’autore del testo, il cardinale Victor «Tucho» Fernandez, eletto da Bergoglio a capo del Dicastero per la Dottrina della Fede.   Il porporato in questi mesi ha attaccato con estrema durezza il Sinodo sulla Sinodalità, accusando Bergoglio di usare i sinodi per «cambiare le dottrine della Chiesa», nonché «rovesciare» la gerarchia della Chiesa per creare un «sistema democratico».   Come riportato da Renovatio 21, pochi giorni fa il cardinale Zen ha celebrato una messa tradizionale per la festa del Corpus Domini e ha guidato una processione per le strade di Hong Kongo, città dove le autorità, ora dipendenti da Pechino, lo hanno arrestato ed incriminato, nel silenzio più scandaloso del Vaticano (mentre, incredibilmente, il Parlamento Europeo esorta la Santa Sede a difenderlo!), con il papa Bergoglio a rifiutarsi di difendere il cardinale in nome del «dialogo» con la Cina comunista che lo perseguita.

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Immagine di Rock Li via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine tagliata 
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Misteri

Candace Owens pubblica i presunti messaggi di Charlie Kirk: «vedo il cattolicesimo in maniera sempre migliore»

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Candace Owens ha pubblicato presunti messaggi personali del defunto Charlie Kirk che dimostrano un crescente interesse per la Chiesa cattolica. Lo riporta LifeSite.

 

In uno dei messaggi, Kirk affermava che «vedo il cattolicesimo in maniera sempre migliore». Owens ha affermato che Kirk le ha inviato il messaggio nel febbraio 2024 durante conversazioni private sulla teologia e sull’uso politico del termine «giudeo-cristiano».

 

Candace ha descritto l’osservazione come parte di uno scambio continuo tra amici, aggiungendo di non aver mai affermato che Kirk si fosse convertito o si stesse preparando a farlo. «Charlie stava attraversando alcuni cambiamenti spirituali verso la fine», ha detto l’attivista, affermando che Kirk «non frequentava la chiesa del pastore Rob McCoy», ma piuttosto andava a messa ogni settimana e a volte anche più spesso.

 

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Owens ha anche attirato l’attenzione sul ciondolo di San Michele che Kirk indossava al momento della morte, aggiungendo che la sua vedova, Erika, aveva portato un vescovo a pregare sul suo corpo in seguito, e in precedenza aveva portato un prete a casa loro per pregare dopo una «fattura» comminatagli pubblicamente da giornalisti di sinistra.

 

Aveva anche parlato positivamente dell’importanza della Madonna, presentandola come la «soluzione al femminismo tossico» e invitando gli evangelici a venerarla di più.

 

 

Tuttavia, pur notando che i cattolici «speravano che avrebbe fatto il passo successivo perché stava pregando il Rosario», Owens ha insistito sul fatto che Kirk non aveva deciso di convertirsi e che lei non aveva mai affermato il contrario.

 

La rivelazione arriva nel mezzo di controversie in corso sulla vita spirituale e l’eredità di Kirk, seguite al suo assassinio a settembre. Alex Clark e Andrew Kolvette della TPUSA avevano recentemente discusso dell’interesse di Kirk per il cattolicesimo, definendolo più estetico che teologico.

 

«Stava diventando cattolico? No», ha detto Kolvet, produttore e caro amico di Kirk. «Ma amava molto la Messa cattolica. Amava il suo rituale. Amava la bellezza delle antiche chiese cattoliche e le vetrate. E lui ed Erika ci andavano ogni tanto».

 

«Mi è sembrata una specie di insabbiamento», ha detto la Owens a proposito di questa conversazione, chiedendosi perché personaggi vicini a Kirk si fossero affrettati ad affermare che non si stava avvicinando al cattolicesimo.

 

«Sono rimasto un po’ stupita», ha detto Candace, definendo il modo in cui hanno parlato dell’argomento un «tentativo inautentico di dissuadere l’idea che Charlie si stesse ammorbidendo nei confronti del cattolicesimo».

 

Le opinioni religiose di Kirk sono diventate un punto focale nella più ampia lotta sulla sua eredità, con personalità interne a Turning Point, e commentatori come la Owens che offrono resoconti divergenti delle sue posizioni private su questioni di fede.

 

Il giornalista della testata d’inchista di sinistra Grayzone Max Bluementhal ha sottolineato che un’eventuale conversione al cattolicesimo di Charlie lo avrebbe reso forse più distante dall’influenza israeliana, che abbonda tra gli evangelici americani da cui il ragazzo proveniva.

 

Bluementhal aveva pubblicato uno scoop che raccontava come Kirk avesse rifiutato 160 milioni offerti dal primo ministro israeliano Netanyahu a Turning Point USA (per portarlo «al prossimo livello») e come fosse stato invitato ad un ritrovo nella prestigiosa magione del miliardario hedge fund sionista Bill Ackman, dove gli sarebbe stata fatta pressione al punto che una lobbista israeliana britannica gli avrebbe pure urlato.

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Parimenti, è stato detto che amici avessero rivelato come Charlie avesse «paura» delle forze di Israele, di cui pure era stato un accanito sostenitore. L’insofferenza di Kirk per le pressioni che gli stavano mettendo – specie dopo che aveva fatto parlare ad un evento estivo il giornalista Tucker Carlson e il comico Dave Smith, considerati ora come anti-Israele – erano state rese pubbliche durante una trasmissione con la celebre giornalista Megyn Kelly.

 

Tutti coloro che si sono interessati del caso ci tengono a ricordare, tuttavia che non vi sono prove che Israele sia implicato nell’omicidio di Kirk.

 

Come riportato da Renovatio 21, a ribadire l’estraneità dello Stato Ebraico è stato più volte, alla TV americana e in videomessaggi pubblici sui social, il premier israeliano Beniamino Netanyahu, il quale per qualche ragione ha negato simultaneamente anche le accuse sugli assassinii rituali ebraici medievali con vittime i bambini cristiani, come San Simonino.

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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