Economia
Micronazione buddocratica estrae Bitcoin
Il Bhutan, una piccola nazione dell’Asia meridionale situata nell’Himalaya, ha segretamente sviluppato le più grandi miniere di criptovalute di proprietà statale del mondo. Lo riporta la rivista Forbes.
Secondo l’indagine della rivista pubblicata la scorsa settimana, il governo bhutaniano ha speso milioni di dollari per costruire la sua attività di mining di bitcoin.
Forbes ha utilizzato immagini satellitari di Planet Labs, Satellite Vu e Google Earth, nonché fonti a conoscenza degli investimenti crypto del Bhutan per scoprire unità minerarie e sistemi di raffreddamento di data center nascosti nelle foreste e nei terreni montuosi in tutto il Paese. Secondo quanto riferito, altre immagini mostravano linee elettriche ad alta capacità e trasformatori che collegavano gli impianti idroelettrici del Bhutan ai siti minerari.
«Il Bhutan è stato silenziosamente trasformato in una cripto Shangri-La con il suo governo che dedica terra, finanziamenti ed energia a operazioni come queste, che spera possano evitare un’incombente crisi economica», scrive Forbes.
Secondo quanto riportato, la remota micronazione montuosa, che ha un’abbondanza di energia idroelettrica, storicamente aveva venduto il suo surplus di energia idroelettrica all’India.
Tuttavia, negli ultimi anni le operazioni di crypto mining hanno fatto aumentare la domanda di energia del Bhutan. Quest’anno il paese ha incrementato enormemente le importazioni, acquistando finora elettricità per un valore di 20,7 milioni di dollari. I funzionari bhutanici hanno recentemente affermato che questo conto aumenterà fino a 72 milioni di dollari nel prossimo inverno, con importazioni necessarie per cinque mesi per coprire la domanda.
Secondo quanto riferito, il Bhutan sta scommettendo sulle criptovalute per rilanciare e sostenere la propria economia in futuro, poiché il piccolo Paese è stata colpita dal calo del turismo a causa della pandemia di COVID.
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Il crollo delle visite potrebbe purtuttavia avere anche altre motivazioni. I turisti finiti laggiù, magari a causa del film del controverso Bernardo Bertolucci Il piccolo Buddha – un immane spot fatto al turismo in Bhutan – sono tenuti a pagare, da settembre 2022, una tassa di 200 dollari al giorno (!) chiamata Sustainable Development Fee (SDF): un dazio che, assicurano le autorità bhutane, è necessario per finanziare lo sviluppo sostenibile del settore turistico e dare compensazione delle emissioni di carbonio.
In passato, vari viaggiatori si erano lamentati dei costi del visto e anche dei 240 dollari chiesti dalle agenzie turistiche governative per ogni singolo giorno passato nel Paesino himalayano. Il sito Trip Therapy scrive che ci sarebbero «pure 10 dollari al giorno come vera e propria tassa. Eccolo il costo di questo piccolo Eden, la bellezza di 250€ al giorno per godere di campagne, boschi, cibo salutare e gente presa bene». Si tratta di un articolo del 2019, quindi prima della grande idea di istituire la tassa «sostenibile» SDF.
Tornado ai programmi di estrazione di criptovalute, secondo quanto riferito, i funzionari bhutanesi non hanno mai rivelato l’ubicazione o la portata delle strutture atte a generare Bitcoin et similia. Per prima cosa hanno commentato gli investimenti in asset digitali a seguito di un precedente articolo di Forbes sul portafoglio multimilionario del regno, che metteva in luce i fallimenti dei prestatori di criptovalute decaduti BlockFi e Celsius.
Come riportato da Renovatio 21, in un ennesimo rivolgimento del mondo delle crypto, due settimane fa il grande banco cripto Binance Holdings Ltd. e il suo amministratore delegato Changpeng Zhao si sono dichiarati colpevoli rispetto a accuse penali e civili in un accordo negoziato martedì con il Dipartimento di Giustizia USA.
Lo Stato centroamericano di El Salvador è stato l’unico Paese al mondo noto a gestire «miniere» di criptovalute di proprietà statale. Primo stato al mondo a rendere il bitcoin moneta legale, El Salvador utilizza molteplici fonti di energia rinnovabile per alimentare i suoi siti di mining.
Il Regno del Bhutan è una nazione riconosciuta all’ONU sin dal 1971. In tutto conta 770 mila abitanti, meno di una provincia italiana (ma molto più di certe province autonome a Statuto speciale).
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Ufficialmente una monarchia semi-costituzionale (in giro usano questa espressione bonaria), il Bhutan considera il buddismo come sua religione ufficiale. La Costituzione bhutana stabilisce che il Chhoe-sid-nyi (doppio sistema di religione e politica) del Paese è unificato nella persona del re, il quale, in quanto buddista, è il sostenitore del Chhoe-sid (religione e politica, potere temporale e secolare).
È quindi esatto definire il Bhutano come micronazione buddocratica. Il buddo-sovrano viene chiamato «Druk Gyalpo» («re dragone»), carica ricoperta attualmente da tale Jigme Khesar Namgyel Wangchuck, asceso al trono nel 2006 a 26 anni come primogenito del precedente re dragone, che ha abdicato. Agli occidentali ebeti che vedono nelle cose tibetane riflessi di tradizioni millenarie, diciamo che si tratta appena del V re Dragone: prima di arrivare alla consecutio dei 266 papi ne passerà un po’.
Al pubblico occidentale viene ciclicamente propinata dai giornali la storia del Bhutan come Paesi in cima alle classifiche della «Felicità Interna Lorda» (GNP, Gross National Happiness), ideona coniata dal precedente re dragone Jigme Sangye Wanchuck, che voleva trovare una formula per lanciare un piano di modernizzazione nazionale una volta ottenuto il trono paterno. Il monarca della nanoscopica buddocrazia si spinse a dire che una nazione, per avere sviluppo sostenibile, rispetto dell’ambiente, integrità culturale, deve essere buddista. L’illuminato progetto non deve essere andato esattamente a buon fine, vista la speculazione di Stato sulle criptovalute.
Il Paesello è inoltre al centro di intrighi politici spaventosi, dove l’influenza della Cina popolare si scontra con quella dei tibetani in esilio, alleati storici della CIA. «Il fratello del Dalai Lama, Gyalo Thondrup (secondo molte voci, un agente CIA), avrebbe attentato alla vita di un erede al trono del Bhutan in combutta con l’amante di questi» scrive il fondatore di Renovatio 21 nel suo libro Contro il buddismo (2012).
Cosa era successo? Nell’aprile del 1973, pochi mesi prima dell’incoronazione ufficiale del IV monarca, il re dragone Jigme Singye Wangchuck, il governo del Bhutan annunciò l’arresto di più di trenta persone, quasi tutti rifugiati tibetani. Si diceva che gli arresti fossero in risposta a un complotto iniziato un anno prima con il fatale infarto del precedente monarca. Durante gli ultimi anni del regno di questo re, una delle persone più influenti fu la sua presunta amante, tale Ashi Yanki, poi accusata di essere la capofila di un gruppo che aveva complottato per uccidere il giovane erede al trono, incendiare la capitale Thimpu e, nella confusione risultante, attuare un colpo di Stato che avrebbe effettivamente mettere il Bhutan sotto il controllo dei rifugiati tibetani. Lo scopo di questo colpo di Stato, è stato affermato, era quello di trasformare il Bhutan in un campo militare e un’area di sosta per le incursioni nella vicina Cina. È stato inoltre affermato che la principale fonte di sostegno e incoraggiamento di Ashi Yanki non era altro che Gyalo Thondup, il fratellone del Dalai, già ospite fisso anche del generalissimo anticomunista taiwanese Chiang Kai-shek.
Non vogliamo risparmiare al lettore di Renovatio 21, infine, come nel luglio 2021, durante la pandemia di COVID-19, il Bhutan sia diventata nazione leader a livello mondiale per vaccinazioni con 470.000 sierati su 770.000 con un’iniezione di due dosi di vaccini AstraZeneca.
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Immagine di Douglas J. McLaughlin via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
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Economia
La BCE respinge il ladrocinio dei fondi russi congelati proposto dalla Von der Leyen
La Banca Centrale Europea ha declinato di avallare il progetto della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per un finanziamento di 140 miliardi di euro a beneficio dell’Ucraina, da assicurare mediante i patrimoni russi immobilizzati. Lo riporta il Financial Times, attingendo a fonti informate sui negoziati.
Il quotidiano britannico ha precisato che la BCE ha ritenuto l’iniziativa della Commissione – che fa leva sugli attivi sovrani russi custoditi presso Euroclear, la società depositaria belga – estranea al proprio ambito di competenza.
Bruxelles ha impiegato mesi a sondare l’utilizzo delle riserve congelate della banca centrale russa per strutturare un «mutuo di indennizzo» da 140 miliardi di euro (equivalenti a 160 miliardi di dollari) in appoggio a Kiev. Il Belgio ha più volte espresso allarmi su potenziali controversie giudiziarie e pericoli finanziari in caso di attuazione del meccanismo.
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In base alla bozza elaborata dalla Commissione, i governi degli Stati membri dell’UE offrirebbero garanzie pubbliche per distribuire il peso del rimborso del prestito ucraino.
Tuttavia, i rappresentanti della Commissione hanno segnalato che i Paesi UE potrebbero non riuscire a reperire celermente risorse in scenari di urgenza, con il pericolo di generare turbolenze sui mercati finanziari.
A quanto risulta, i funzionari UE hanno sollecitato alla BCE se potesse intervenire come prestatore estremo per Euroclear Bank, la branca creditizia dell’ente belga, al fine di scongiurare una carenza di liquidità. Gli esponenti della BCE hanno replicato alla Commissione che tale opzione è impraticabile, ha proseguito il Financial Times, basandosi su interlocutori vicini alle consultazioni.
«Un’ipotesi di tal genere non è oggetto di esame, in quanto verosimilmente contravverrebbe alla normativa dei trattati UE che esclude il finanziamento monetario», ha chiarito la BCE.
Bruxelles starebbe ora esplorando vie alternative per assicurare una provvista temporanea a supporto del mutuo da 140 miliardi di euro.
«Assicurare la liquidità indispensabile per eventuali obblighi di restituzione dei beni alla banca centrale russa costituisce un elemento cruciale di un eventuale mutuo di indennizzo», ha dichiarato FT, citando un portavoce della Commissione.
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La direttrice di Euroclear, Valerie Urbain, ha ammonito la settimana scorsa che l’iniziativa verrebbe percepita a livello mondiale come una «espropriazione delle riserve della banca centrale, che erode il principio di legalità». Mosca ha reiteratamente definito qualsiasi ricorso ai suoi attivi sovrani come un «saccheggio» e ha minacciato ritorsioni.
L’urgenza del piano si inserisce in un frangente in cui l’UE, alle prese con vincoli di bilancio, deve reperire risorse per Kiev nei prossimi due anni, aggravata dalla congiuntura di liquidità critica ucraina, con gli sforzi per attingere ai fondi russi che si acuiscono mentre Washington avanza una nuova proposta per dirimere il conflitto. Gli analisti prevedono che l’Ucraina affronterà un disavanzo di bilancio annuo di circa 53 miliardi di dollari nel quadriennio 2025-2028, al netto degli stanziamenti militari extra.
L’indebitamento pubblico e garantito dal governo del Paese ha raggiunto picchi storici, oltrepassando i 191 miliardi di dollari a settembre, ha comunicato il Ministero delle Finanze. Il mese scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha aggiornato al rialzo le stime sul debito ucraino, proiettandolo al 108,6% del PIL.
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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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