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Microbioma

Microbioma e depressione: il ruolo dei mitocondri

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Il rapporto tra salute mentale e processi metabolici ha suscitato un interesse crescente negli ultimi tempi, con particolare attenzione al ruolo del microbioma intestinale e della funzione mitocondriale nella depressione.

 

Una recente revisione sistematica pubblicata il 10 maggio sulla rivista scientifica Brain, Behavior, & Immunity – Health intitolata «Vitamin-mediated interaction between the gut microbiome and mitochondria in depression: A systematic review based integrated perspective» («Interazione mediata dalle vitamine tra il microbioma intestinale e i mitocondri nella depressione»= esplora approfonditamente questa complessa relazione, offrendo  una nuova prospettiva su come il microbioma intestinale e la funzione mitocondriale potrebbero influenzare la salute mentale attraverso il metabolismo delle vitamine.

 

Lo studio arriva a suggerire che le interazioni biochimiche e le vie metaboliche tra questi sistemi possono avere implicazioni significative per il trattamento e la comprensione della depressione.

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Gli approcci terapeutici tradizionali alla depressione – un disturbo diffusissimo che colpisce decine se non centinaia di milioni di persone in tutto il mondo – apesso producono risultati non ottimali, evidenziando la necessità di strategie terapeutiche più complete.

 

Prove emergenti suggeriscono che la depressione non è solo un disturbo del cervello ma una condizione sistemica che coinvolge molteplici percorsi biologici.

 

Un aspetto cruciale è la disfunzione mitocondriale. I mitocondri, spesso conosciuti come le centrali elettriche delle nostre cellule, sono responsabili della produzione dell’energia necessaria per le funzioni cellulari, ma controllano anche molti altri aspetti della funzione cellulare, come illustrato in questo post.

 

Negli individui depressi, la produzione di energia mitocondriale è spesso compromessa, con conseguente riduzione dei livelli di ATP e aumento dello stress ossidativo.

 

Le vitamine svolgono un ruolo precipuo nel mantenimento della funzione mitocondriale, scrive lo studio. In particolare, le vitamine del gruppo B sono cofattori essenziali nel processo di produzione di energia mitocondriale, noto come fosforilazione ossidativa. Inoltre, vitamine come la C e la E agiscono come antiossidanti, riducendo gli effetti dannosi delle specie reattive dell’ossigeno prodotte durante la respirazione mitocondriale.

 

Si rileva che il microbioma intestinale, una comunità diversificata di microrganismi che risiedono nel tratto digestivo, rappresenta una fonte significativa di queste vitamine essenziali. I batteri intestinali possono sintetizzare diverse vitamine del gruppo B, vitamina K e persino vitamina C.

 

Questa produzione microbica di vitamine è fondamentale per mantenere livelli adeguati di questi nutrienti, soprattutto quando l’apporto alimentare è insufficiente.

 

Il paper evidenzia che i cambiamenti nella composizione del microbioma intestinale sono comunemente osservati negli individui affetti da depressione. Queste alterazioni possono portare a squilibri nella produzione e disponibilità di vitamine, esacerbando ulteriormente la disfunzione mitocondriale. Ad esempio, livelli ridotti di batteri intestinali che producono vitamine B6, B9 e B12 sono associati alla depressione, portando potenzialmente a una compromissione della funzione mitocondriale e a un aumento dello stress ossidativo nel cervello.

 

L’asse intestino-cervello, cioè la comunicazione bidirezionale tra i due organi, riveste un ruolo fondamentale nella regolazione dell’umore e del comportamento, sottolinea il testo scientifico. I metaboliti prodotti dai batteri intestinali, inclusi i nutrienti come le vitamine, possono influenzare direttamente la funzione cerebrale attraverso il flusso sanguigno o indirettamente modulando il sistema immunitario e le risposte infiammatorie.

 

Ulteriormente, viene dichiarato come l’integrazione vitaminica, soprattutto con vitamine del gruppo B e antiossidanti come le vitamine C ed E, potrebbe favorire la salute mitocondriale e potenziare l’efficacia dei trattamenti attualmente disponibili.

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Tuttavia, rilevano gli autori della ricerca, è essenziale personalizzare questi interventi in base alle esigenze individuali, tenendo conto di fattori come le abitudini alimentari, la composizione attuale del microbioma intestinale e le carenze vitaminiche specifiche.

 

La ricerca sull’interazione mediata dalle vitamine tra il microbioma intestinale e i mitocondri nella depressione sottolinea l’importanza di un approccio olistico alla salute mentale che includa considerazioni metaboliche e nutrizionali.

 

Affrontando questi meccanismi biologici sottostanti, è possibile sviluppare strategie di trattamento più efficaci e integrate che non solo alleviano i sintomi depressivi, ma promuovono anche la salute mentale e metabolica generale.

 

«Sono necessarie indagini più approfondite sul coinvolgimento del metabolismo vitaminico del microbioma nella disponibilità delle vitamine, nonché sul carattere di mediazione della vitamina tra l’interazione del microbioma e dei mitocondri per trarre conclusioni chiare riguardo al coinvolgimento della vitamina nella depressione» scrive la revisione. «Pertanto, la conclusione finale di questa revisione è quella di insistere sull’urgente necessità di indagare l’interazione tra microbioma, mitocondri e vitamina nella depressione».

 

«Tali conoscenze hanno il potenziale per rivoluzionare gli attuali approcci terapeutici, includendo ad esempio l’integrazione vitaminica nelle strategie di trattamento per migliorare il successo terapeutico nei pazienti affetti da depressione».

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Bizzarria

Scienziati analizzano gli spazzolini da denti e rimangono scioccati dalle centinaia di virus trovati

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Alcuni scienziati hanno individuato più di seicento virus diversi dopo aver tamponato gli spazzolini da denti e i soffioni della doccia delle persone, ma fortunatamente la stragrande maggioranza di essi è più utile che dannosa.   La microbiologa della Northwestern University Erica Hartmann, autrice principale di un nuovo studio pubblicato su Frontiers in Microbiomes, ha dichiarato a Gizmodo di essere rimasta allo stesso tempo scioccata e affascinata quando ha scoperto che questi oggetti di uso quotidiano pullulavano di virus mangia-batteri, noti come batteriofagi.   «Ci sono così tante cose del mondo che ci circonda che non comprendiamo, comprese le cose che possono sembrare familiari», ha spiegato. «Abbiamo iniziato a guardare cose come spazzolini da denti e soffioni della doccia perché sono importanti fonti di microbi a cui siamo esposti, ma non sappiamo quali microbi trasportano o quali fattori li influenzano».  
 

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L’ultimo studio è un aggiornamento del progetto del 2021 del team della Northwestern University, denominato «Operation Pottymouth», che prevedeva l’indagine sulle fonti dei batteri presenti sugli spazzolini da denti.   Sebbene ci fosse un’incredibile diversità tra gli oltre seicento campioni di virus avvistati, un tipo che uccide i micobatteri patogeni era leggermente più comune di qualsiasi altro, ha detto la Harmann. Dato che i micobatteri possono causare gravi infezioni come la lebbra e la tubercolosi, è una buona cosa che fossero presenti anche virus che li uccidono.   «Gli spazzolini da denti e i soffioni della doccia ospitano fagi diversi da qualsiasi cosa avessimo mai visto prima», ha detto la microbiologa. «Non solo abbiamo trovato fagi diversi sugli spazzolini da denti e sui soffioni della doccia, ma ne abbiamo trovati diversi su ogni spazzolino da denti e su ogni soffione della doccia».   Negli ultimi anni i fagi sono stati studiati e utilizzati come trattamenti per le infezioni batteriche, in particolare quelle che sono mutate per resistere agli antibiotici. Mentre la Hartmann insiste sul fatto che queste scoperte sono accattivanti di per sé, sapere che potrebbero essere utilizzate in trattamenti medici le rende molto più utili.   «Potrebbe essere che il prossimo grande antibiotico sarà basato su qualcosa che cresce sul nostro spazzolino da denti», ha concluso la scienziata.

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Come riportato da Renovatio21, il mondo rischia di tornare all’era precedente alla scoperta della penicillina con l’aumento di patogeni resistenti agli antibiotici. «Gli antibiotici sono stati la più grande conquista della medicina di sempre», ha affermato la professoressa Yvonne Mast, microbiologa e ricercatrice presso il Leibniz Institute di Braunschweig. «Il fatto che stia emergendo sempre più resistenza e che manchino nuovi antibiotici è una minaccia importante».   Come riportato da Renovatio 21, anche l’ONU ci mette in guardia da questo potenziale pericolo: i batteri resistenti agli antibiotici uccideranno tanto quanto il cancro entro il 2050.   A questo punto qualcuno potrebbe affermare l’utilità dei batteriofagi che sedimentano nei nostri spazzolini da denti, perché non sia mai che ci possano essere d’aiuto nella scoperta di nuovi antibiotici.

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Microbioma

Microbioma, un nuovo studio collega la gravità della psoriasi alla disbiosi dei batteri cutanei

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Un recente studio pubblicato su Lancet eBioMedicine ha eseguito un’analisi multi-omica delle interazioni ospite-microbo nella psoriasi.

 

La psoriasi è una malattia infiammatoria sistemica comune che colpisce fino al 3% della popolazione mondiale. Può causare comorbidità come diabete, artrite psoriasica e malattie cardiovascolari. In base alle caratteristiche della malattia, esistono diversi sottotipi clinici di psoriasi. Vari fattori, come la barriera epidermica, i fattori ambientali e il sistema immunitario, sono stati implicati nello sviluppo e nella progressione della psoriasi.

 

La psoriasi non ha una cura definitiva e rimane un peso psicologico ed economico significativo. Il microbioma cutaneo psoriasico varia in composizione e diversità rispetto alla pelle sana, riassume News Medical Lifescience.

 

Si è ipotizzato che le interazioni ospite-microbo siano coinvolte nello sviluppo della psoriasi. Inoltre, è stata segnalata una disbiosi del microbioma cutaneo nella psoriasi; tuttavia, mancano ricerche sulle interazioni tra microbiota e ospite utilizzando dati omici multistrato.

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Nello studio pubblicato da Lancet, i ricercatori hanno condotto un’analisi multi-omica – cioè basata su un approccio di analisi biologica in cui i set di dati sono più «omi», come il genoma, il proteoma, il trascrittoma, l’epigenoma, etc. – delle interazioni ospite-microbo nella psoriasi.

 

«La nostra analisi multi-omica ha rivelato per la prima volta risposte antivirali e la presenza di C. simulans associati alla gravità della psoriasi. Ha inoltre identificato due sottotipi psoriasici con distinta espressione di AMP ed espressione del percorso metabolico» scrivono gli scienziati. «Il nostro studio fornisce nuove informazioni sulla comprensione dell’interazione ospite-microbo nella psoriasi e getta le basi per lo sviluppo di strategie specifiche per sottotipo per la gestione di questa malattia cronica della pelle».

 

I ricercatori hanno utilizzato i dati della coorte microbi in allergia e autoimmunità correlate alla pelle (MAARS). Sono stati reclutati individui con psoriasi a placche e volontari sani. Sono state escluse le persone con malattie autoimmuni, recente uso di antibiotici, fototerapia, uso di farmaci biologici o terapia immunosoppressiva.

 

Biopsie cutanee e campioni di microbioma sono stati ottenuti da siti di malattia attivi e aree adiacenti non lesionali sulla parte bassa della schiena di pazienti affetti da psoriasi. Campioni da regioni corrispondenti sono stati ottenuti da individui sani.

 

Tutti i soggetti sono stati sottoposti a visita medica e sono state ottenute le loro storie cliniche. Il DNA è stato estratto dai campioni di microbioma per il sequenziamento metagenomico shotgun e l’RNA è stato isolato dai campioni di biopsia per l’analisi trascrizionale.

 

È stata eseguita un’analisi di rete di correlazione genetica ponderata (WGCNA) utilizzando dati di espressione genica. È stato eseguito un sequenziamento shotgun metagenomico completo per identificare le caratteristiche funzionali e tassonomiche del microbioma.

 

In totale, sono stati inclusi 116 pazienti affetti da psoriasi e 102 individui sani. Il trascrittoma cutaneo delle lesioni psoriasiche era altamente distinto dai campioni psoriasici non lesionali. WGCNA ha identificato sei moduli annotati con termini di ontologia genetica (GO).

 

Un modulo è stato associato positivamente al punteggio PASI (area della psoriasi e indice di gravità) ed è stato arricchito con percorsi correlati all’infiammazione.

 

Le correlazioni di Spearman tra il punteggio PASI e i geni dell’ospite sono state stimate separatamente per i gruppi lesionali e non lesionali.

 

Ciò ha rivelato funzioni legate alla risposta antivirale in entrambi i gruppi. Le reti associate all’interferone (IFN) sono state identificate nelle reti di interazione proteina-proteina (PPI) in entrambi i gruppi.

 

Inoltre, è stato utilizzato un algoritmo di deconvoluzione dei leucociti per rilevare i cambiamenti cellulari correlati alla psoriasi. L’algoritmo ha rivelato differenze significative nelle frazioni cellulari della pelle lesionata rispetto a quelle della pelle psoriasica sana e non lesionata.

 

Le caratteristiche funzionali del microbioma erano significativamente diverse tra lesioni psoriasiche e non lesioni e pelle sana. Il clustering gerarchico delle famiglie di geni microbici ha rivelato due cluster distinti all’interno del gruppo delle lesioni psoriasiche.

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Il Micrococcus luteus era meno abbondante nelle lesioni psoriasiche rispetto alla pelle psoriasica sana o non lesionata e nel cluster 1 rispetto al cluster 2.

 

Il cluster 1 presentava una minore espressione di vie metaboliche microbiche, fatta eccezione per la respirazione aerobica I, mentre l’espressione di geni ospiti, come interleuchina (IL)-19 e IL-36A, era sovraregolata. Il cluster 1 era arricchito per vie correlate alla risposta lipopolisaccaridica e alla risposta cellulare agli stimoli biotici.

 

Lo studio ha studiato la relazione tra i geni dell’ospite e le caratteristiche microbiche nella psoriasi. I risultati indicano associazioni tra risposte antivirali e C. simulans con gravità psoriasica.

 

«I nostri dati suggeriscono il ruolo benefico di condurre terapie immunomodulanti e di modulazione del microbiota in parallelo e di adattare queste terapie per la futura gestione della psoriasi» scrive la ricerca. «In breve, la gestione immunomodulatoria mira ad alleviare i sintomi e controllare la progressione della malattia, mentre la modulazione del microbiota cerca di regolare la composizione del microbiota cutaneo o di colpire i microbi elevati nei pazienti affetti da psoriasi per alleviare i sintomi.»

 

«Inoltre, una gestione personalizzata mirata a pazienti provenienti da cluster diversi può produrre risultati più efficaci» raccomandano i ricercatori. «Nel complesso, i nostri risultati forniscono nuove informazioni sull’associazione tra l’espressione del gene ospite e il microbioma cutaneo nella psoriasi e aprono la strada a terapie su misura per i pazienti affetti da psoriasi».

 

Come riportato da Renovatio 21, l’importanza del microbioma è oramai riconosciuta anche riguardo ai bambini, in particolare al momento della nascita naturale. Il bimbo – che è microrganicamente sterile finché si trova in grembo –nascendo riceve dal canale vaginale materno il microbiota che lo colonizzerà in pochi minuti dalla nascita.

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Farmaci

Il microbiota alterato dai farmaci antireflusso

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Gli inibitori della pompa protonica (PPI) sono farmaci antiacido molto diffusi nell’affrontare la malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), il bruciore di stomaco e altri disturbi correlati a un’elevata acidità gastrica.   Tali problemi sono sempre più comuni a causa di cattive abitudini alimentari, scarsa attività fisica, fumo, stress e uno stile di vita poco salutare che compromette la digestione. Lo riporta il sito Microbioma News. Un ultimo studio sulla materia è stato pubblicato dalla rivista scientifica Microorganism lo scorso 10 maggio.   I farmaci antireflusso vengono utilizzati insieme agli antibiotici per trattare l’infezione da Helicobacter pylori, un batterio responsabile di gastriti e ulcere gastroduodenali. Questo batterio è molto diffuso: secondo uno studio recente, si stima che ci siano circa 4,4 miliardi di persone positive a livello globale.

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Gli inibitori della pompa protonica agiscono riducendo la secrezione di acido cloridrico (HCl) nello stomaco, diminuendo così l’irritazione della mucosa gastrica e del cardias, la valvola che separa lo stomaco dall’esofago, importante per prevenire il reflusso gastroesofageo.   Questi farmaci hanno rappresentato un grande progresso nel trattamento dell’ulcera gastrica, una condizione una volta curabile solo con interventi chirurgici rischiosi. Con i PPI, gli effetti indesiderati possono verificarsi nelle prime settimane di terapia o dopo un uso prolungato, specialmente se associati ad altri trattamenti cronici che possono causare problemi gastrici. Uno dei possibili effetti collaterali è l’alterazione del microbiota gastrico e intestinale.   Il microbiota comprende tutti i microrganismi che vivono su superfici come tessuti e mucose, interagendo in un equilibrio con il nostro organismo. Svolgono un ruolo nell’ottimizzazione delle funzioni degli organi e nella protezione dalle colonizzazioni di batteri dannosi.   Lo stomaco e l’intestino ospitano microbioti diversi, influenzati da vari fattori come dieta, stress, fumo, alcol e farmaci, specialmente gli antibiotici. Il microbiota intestinale, particolarmente diversificato, ha profonde implicazioni sulla salute e sullo sviluppo di disturbi in caso di squilibri (disbiosi).   Lo stomaco ha un microbiota meno ricco a causa dell’ambiente altamente acido (pH intorno a 1,4), che favorisce solo batteri acidofili adattatisi all’ambiente.   Recenti studi indicano che nonostante la sua limitata composizione, il microbiota gastrico svolge un ruolo nella protezione da infezioni e patologie come il tumore dello stomaco.   Gli inibitori della pompa protonica (PPI) aumentano il pH gastrico, riducendo l’acidità dei succhi gastrici e degli alimenti parzialmente digeriti che raggiungono l’intestino tenue (duodeno).   Tuttavia, questo aumento del pH può indurre disbiosi gastrica, disturbando l’equilibrio tra i diversi microrganismi e potenzialmente causando disturbi digestivi. Inoltre, il pH gastrico basso rappresenta una barriera contro batteri patogeni, il cui aumento del rischio di colonizzazione può derivare dall’aumento del pH causato dai PPI.   Quindi, sebbene gli inibitori della pompa protonica siano efficaci nel trattamento di disturbi gastrici, il loro impatto sul microbiota gastrico e il rischio di conseguenze indesiderate sottolineano la necessità di un uso attento e ponderato di tali farmaci.   Per quanto riguarda l’intestino, oltre a una dieta equilibrata ricca di fibre vegetali, vitamine e antiossidanti, e alla riduzione dello stress e all’eliminazione del fumo, l’uso di probiotici può essere utile per ripristinare l’equilibrio del microbiota e migliorare il benessere gastrointestinale.   Per quanto riguarda lo stomaco, alcuni studi suggeriscono che l’assunzione di probiotici potrebbe aiutare a prevenire disbiosi del microbiota gastrico durante il trattamento con inibitori della pompa protonica (PPI).

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Come riportato da Renovatio 21, ricerche recenti stanno portando avanti nuovi tipi di antibiotici che risparmiano il microbiota.   Da anni si discute l’importanza dell’esposizione dei bambini ai microrganismi.   Una ricerca dello scorso anno ha dimostrato che i vaccini mRNA COVID-19 riducono i batteri appartenenti al genere Bifidobacteria, un batterio intestinale comune e benefico. La vaccinazione contro il COVID è stata anche collegata alla ridotta biodiversità intestinale.   Come ripetiamo su Renovatio 21, il microbioma è con molta probabilità alla base di una grande rivoluzione medica nei prossimi anni.

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