Spirito
Leone XIV concede una seconda udienza al patriarca ortodosso Bartolomeo in soli 11 giorni
Papa Leone XIV ha ricevuto oggi in udienza nuovamente il patriarca ecumenico Bartolomeo I, pochi giorni dopo che il patriarca aveva comunicato ai media che il Papa avrebbe visitato Nicea più avanti quest’anno. Lo riporta LifeSite.
Ieri mattina presto, Leone XIV ha avuto il secondo incontro privato con il patriarca Bartolomeo I del suo ancora giovane pontificato. La tempistica è notevole, dato che Leone è in carica da meno di un mese e ha già concesso due udienze al patriarca ortodosso orientale.
Dopo il primo incontro, il 19 maggio, Bartolomeo ha dichiarato ai media che il Papa potrebbe recarsi a Nicea più avanti nel corso dell’anno:
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«Sua Santità e il nuovo Papa hanno inoltre concordato di incontrarsi a Nicea verso la fine di novembre, in prossimità della festa di Sant’Andrea, per commemorare insieme il 1700° anniversario del primo Concilio ecumenico, svoltosi nell’anno 325. Durante questa visita storica, Papa Leone potrebbe anche visitare la sede del Patriarcato ecumenico, al Fanar di Costantinopoli».
Finora il Vaticano non ha commentato le dichiarazioni di Bartolomeo su un possibile viaggio di Leone, e un’eventuale conferma del vociferato viaggio di novembre potrebbe arrivare più avanti in estate. Originariamente, Papa Francesco avrebbe dovuto recarsi a Nicea questo mese, per celebrare il 1700° anniversario del Concilio di Nicea.
Si prevedeva che il viaggio papale sarebbe stato un evento importante nel calendario ecumenico, in quanto ricco di significato ecumenico, e molti speravano in una svolta nelle relazioni.
Sin dal Grande Scisma del 1054, la Chiesa ortodossa orientale ha interrotto la comunione con la Sede di Roma e, negli ultimi decenni, sono stati avviati sforzi ecumenici per tentare di sanare la frattura. Sebbene i sacramenti ortodossi orientali siano validi, la Chiesa non accetta il primato papale.
La dichiarazione reciproca di scomunica tra le sedi di Roma e Costantinopoli fu ritirata alla fine del Concilio Vaticano II da Papa Paolo VI e dal Patriarca ecumenico Atenagora.
Sebbene Francesco nutrisse un’amicizia personale con il patriarca Bartolomeo, non era altrettanto diffuso tra i fedeli ortodossi orientali un calore simile nei confronti del papa.
Leone ha già fatto del risanamento delle relazioni ecumeniche una priorità nel suo pontificato nascente. Rivolgendosi ai delegati ecumenici in Vaticano il 19 maggio, il giorno dopo la sua messa di insediamento, Leone ha sottolineato il suo desiderio di raggiungere l’unità tra le Chiese:
«La mia elezione è avvenuta nell’anno del 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea. Quel Concilio rappresenta una pietra miliare nella formulazione del Credo condiviso da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali. Mentre siamo in cammino verso il ristabilimento della piena comunione tra tutti i cristiani, riconosciamo che questa unità può essere solo unità nella fede» ha detto il pontefice.
«Come Vescovo di Roma, considero una delle mie priorità quella di ricercare il ristabilimento della comunione piena e visibile tra tutti coloro che professano la stessa fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo».
Nel normale corso del dialogo ecumenico tra le sedi di Roma e Costantinopoli, le delegazioni visitano le rispettive sedi in occasione delle feste patronali di San Pietro e Paolo, il 29 giugno a Roma, e di Sant’Andrea, il 30 novembre a Istanbul.
Nell’ambito del raro allineamento della data della Pasqua per tutti i cristiani quest’anno, il Vaticano ha sostenuto le richieste fatte in precedenza dal Patriarca Bartolomeo per decidere una data comune per la Pasqua per tutti i cristiani, sebbene non sia stata data alcuna indicazione su quale calendario prevarrà in tale impresa.
Le controversie e i dibattiti sulla data della Pasqua risalgono ai primi secoli della Chiesa e hanno avuto un ruolo importante nella divisione tra Oriente e Occidente.
Prima del Concilio di Nicea, la Pasqua veniva celebrata in date diverse, e pertanto il concilio stabilì che da allora in poi sarebbe stata celebrata la prima domenica dopo il plenilunio dell’equinozio di primavera. Tuttavia, da allora sono emerse discrepanze tra due calendari: il calendario giuliano, in uso al tempo di Nicea, e il calendario gregoriano, che sostituì il giuliano in Europa nel 1582 per ordine di Papa Gregorio XII, a causa della mancata sincronizzazione del calendario giuliano con le stagioni.
La Sede di Roma determina la data della Pasqua seguendo il calendario gregoriano e celebrandola la prima domenica dopo la luna piena dell’equinozio di primavera del 21 marzo. Al contrario, gli ortodossi seguono il calendario giuliano e utilizzano anche loro un insieme preciso di regole per determinare la data della Pasqua. Poiché il calendario giuliano è meno preciso, il giorno che utilizza non coincide sempre con l’equinozio di primavera, causando date pasquali diverse.
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Sebbene il calendario gregoriano sia maggiormente in linea con le stagioni dell’anno, il Vaticano ha lasciato aperta la questione su quale calendario seguire per determinare una data comune per la Pasqua. Tuttavia, per quanto notevole sia la divergenza nella data della Pasqua, la questione del primato papale sarà probabilmente la più importante da affrontare nelle relazioni ecumeniche tra le sedi di Roma e Costantinopoli.
Bartolomeo fu fondamentale nella creazione di una chiesa ortodossa separatista in Ucraina, l’OCU, che è al servizio del governo di Kiev, aprendo così alla repressione della tradizionale UOC, considerata influenzata dal Patriarcato di Mosca, e quindi oggetto negli ultimi anni di persecuzioni indicibili di cui abbiamo dato notizia con costanza su Renovatio 21.
Per questo e per altre vicende, in questo ultimo decennio sono piombate sull’arcivescovo ortodosso, specie da parte russa, accuse di essere vicino alle posizioni americani o addirittura alla stessa CIA.
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Pensiero
Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale
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Spirito
Cristo Re, il cosmo divino contro il caos infernale. Omelia di Mons. Viganò
Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Cristo Re dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

Israël es tu Rex
Omelia nella festa di Cristo Re
Israël es tu Rex,
davidis et inclyta proles;
nomine qui in Domini,
Rex benedicte, venis.
D’Israele Tu sei il Re,
di David la nobile prole;
Tu che vieni, Re benedetto,
nel Nome del Signore.
Teodolfo di Orléans,
Inno Gloria laus et honor.
Gloria, laus et honor tibi sit, Rex Christe Redemptor. Al canto di questo inno antichissimo, intonato nella Domenica delle Palme dinanzi alle porte serrate della chiesa, la processione del clero e dei fedeli entra solennemente nella nuova Gerusalemme, spalancandone i robusti battenti con il triplice colpo della Croce astile.
La suggestiva cerimonia della seconda Domenica di Passione rievoca l’ingresso trionfale di Nostro Signore nella Città santa, di cui era figura l’ingresso di Salomone (1Re 1, 32-40). Essa ha dunque un’indole eminentemente regale, perché con questa presa di possesso del Tempio, Egli è riconosciuto e osannato come Dio, come Messia e come Re dei Giudei: il Cristo, Χριστός, l’Unto del Signore. La Sua divina Regalità era già stata testimoniata e onorata dai Magi, nella grotta di Betlemme: con l’oro al Re dei Re, l’incenso al Dio Vivo e Vero, la mirra al Sacerdote e Vittima.
Poco meno di cent’anni fa, l’11 Dicembre 1925, il grande Pontefice lombardo Pio XI promulgò l’immortale Enciclica Quas primas, nella quale è definita la dottrina della universale Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo: Egli è Re in quanto Dio, in quanto discendente della stirpe regale della tribù di Davide e per diritto di conquista mediante la Redenzione.
L’istituzione di questa festa non ha in verità introdotto nulla di nuovo. Essa è stata voluta da Pio XI per contrastare e combattere la peste del liberalismo laicista, il massonico Libera Chiesa in libero Stato e la folle presunzione di estromettere Gesù Cristo dalla società civile. Pio XI non fu il solo a ribadire solennemente la dottrina cattolica: prima di lui Clemente XII, Benedetto XIV, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XIV, Pio IX, Leone XIII e San Pio X avevano severamente condannato le logge segrete, la carboneria, la Massoneria e tutti gli errori che i nemici di Cristo avevano sparso e alimentato nel corso degli ultimi due secoli.
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Dopo la grande frattura del Protestantesimo nel Cinquecento, i tre secoli successivi hanno visto affrontarsi in una serie di terribili battaglie la Chiesa Cattolica e l’Antichiesa, cioè la Massoneria: da una parte, il Principe della Pace e le Sue schiere angeliche e terrene; dall’altra, la scelesta turba, la folla sciagurata, aizzata dai mercanti asserviti a Lucifero.
Il mito del «popolo sovrano» ha sepolto sotto le rovine della Rivoluzione secoli di civiltà cristiana, mostrando sino a quali aberrazioni l’uomo potesse giungere. I Martiri di questi secoli di violenze inaudite e di eccidi ancora impuniti ci guardano dai loro scranni in cielo, chiedendo giustizia per il sangue che essi hanno versato, e con il loro silenzio – quasi di notte oscura per la Chiesa, alla vigilia della sua passione – essi osservano increduli i papi di questi ultimi decenni deporre le armi spirituali e cooperare con i nemici di Cristo.
Da quegli scranni ci guardano anche i Pontefici guerrieri che – anche a costo della propria vita, come Pio VI, imprigionato da Napoleone e morto di stenti in carcere – seppero affrontare a testa alta i più feroci attacchi contro Dio, contro il Papato, contro la Gerarchia Cattolica, contro i fedeli. Se la Storia non fosse stata falsificata dai momentanei vincitori di questa guerra – come avviene ancora oggi – nelle scuole i nostri figli studierebbero non la presa della Bastiglia, non le menzogne dell’epopea del Risorgimento, non le gesta di mercenari cospiratori o di ministri corrotti, ma le fasi del genocidio contro i Cattolici delle Nazioni un tempo cristiane.
Quando venne istituita la festa di Cristo Re, la Chiesa Cattolica non poteva più avvalersi della cooperazione dei Sovrani cattolici, che nelle leggi civili e penali avevano fatto osservare i principi del Vangelo e della Legge naturale. La prima autorità dell’ancien régime a cadere fu infatti la Monarchia di diritto divino, che attinge alla Regalità di Cristo la potestà vicaria nelle cose temporali.
La seconda autorità cadde pochi decenni dopo, e fu quella dei pontefici asserviti alla Rivoluzione. Con la deposizione della tiara papale, Paolo VI suggellò l’abdicazione della potestà di Cristo nelle cose spirituali e la resa alle ideologie anticristiche e anticattoliche della Sinagoga di Satana. «Anche noi, più di ogni altro abbiamo il culto dell’uomo», disse Montini alla chiusura del Vaticano II (1). E sotto le volte della Basilica Vaticana echeggiarono queste parole: «La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità», parole che solo pochi anni prima avrebbero scandalizzato qualsiasi Cattolico.
Paolo VI – e con lui il predecessore Giovanni XXIII – furono gli iniziatori del processo di liquidazione della Chiesa di Cristo e su di essi incombe la responsabilità di aver disarmato la Cittadella e averne spalancate le porte per meglio farvi entrare il nemico, salvo poi ipocritamente denunciare che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (2). E nulla si salvò da quell’operazione di disarmo: né la dottrina, né la morale, né la liturgia, né la disciplina.
Così venne sfigurata anche la festa di Cristo Re, la cui data fu spostata alla fine dell’anno liturgico, assumendo una valenza escatologica: Cristo Re del mondo a venire, non delle società terrene. Perché la Signoria del Verbo Incarnato non doveva rappresentare un ostacolo al dialogo con «l’uomo contemporaneo» e con l’idolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
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I fautori di questo smantellamento suicida ebbero a rallegrarsi che finalmente si fosse posto fine al trionfalismo postridentino di una Chiesa che voleva convertire il mondo a Cristo, e non adattare la divina Rivelazione all’antievangelo dell’Antichiesa; di una Chiesa che onorava il proprio Signore come Re universale e a Lui voleva condurre tutte le anime, perché nel regnum Christi esse potessero vivere nella pax Christi.
Scelesta turba clamitat: regnare Christum nolumus (3) – cantiamo nel magnifico inno della festa odierna – La folla scellerata schiamazza: Non vogliamo che Cristo regni! Questa bestemmia è il grido di battaglia delle orde di Lucifero, dei figli delle tenebre; lo stesso grido che risuonò quando lo spirito ribelle e orgoglioso di Satana vomitò il suo Non serviam. Un grido che sovverte il κόσμος divino, fondato in Nostro Signore Gesù Cristo, nel Dio incarnato per obbedienza all’Eterno Padre, e per obbedienza morto sulla Croce propter nos homines et propter nostram salutem.
Alla fine dei tempi, ormai prossima, l’Anticristo contenderà a Cristo proprio la Sua universale Signoria, cercando di sedurre i popoli con prodigi e falsi miracoli, addirittura simulando la propria resurrezione. Affascinante, seducente, simulatore, orgoglioso, pieno di sé, l’Anticristo combatterà la Santa Chiesa senza esclusione di colpi, ne perseguiterà i Ministri e i fedeli, ne adultererà la dottrina, ne corromperà i chierici facendone dei propri servi.
Quello che vediamo accadere nella sfera civile e religiosa da almeno da due secoli, in un continuo crescendo, è la preparazione di questo piano infernale, volto a spodestare Nostro Signore, a rifiutarLo come Dio, come Re e come Sommo Sacerdote, a calpestare empiamente l’Incarnazione e l’opera della Redenzione.
Con la festa di Cristo Re noi cooperiamo al ripristino dell’ordine, del κόσμος divino contro il χαός infernale. Restituiamo a Cristo la corona che già Gli appartiene, lo scettro che Gli ha strappato la Rivoluzione. Non perché stia a noi rendere possibile la restaurazione dell’ordine, di cui sarà artefice unico Nostro Signore, ma perché non è possibile prendere parte a questa restaurazione senza che noi vi contribuiamo.
Ai tempi della prima Venuta del Salvatore, il regno di Israele e il tempio non avevano né un Re legittimo, né legittimi Sommi Sacerdoti: l’autorità civile e religiosa era ricoperta da personaggi di nomina imperiale. Nella seconda Venuta alla fine del mondo questa vacanza dell’autorità sarà ancora più evidente, perché Nostro Signore ricomporrà in Sé tutte le cose – Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10) – in un momento storico in cui sarà il Male a dominare in tutti gli ambiti della vita quotidiana, in tutte le istituzioni, in tutte le società.
E sarà una vittoria trionfale, schiacciante, totale, inesorabile, su tutte le menzogne e i crimini dell’Anticristo e della Sinagoga di Satana.
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Facciamo nostra la preghiera dell’inno Te sæculorum Principem:
O Christe, Princeps Pacifer,
Mentes rebelles subjice:
Tuoque amore devios,
Ovile in unum congrega.
O Cristo, Principe che porti la vera Pace: sottometti le menti ribelli e riunisci in un solo ovile quanti si sono allontanati dal Tuo amore. E così sia.
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
26 Ottobre MMXXV
D.N.J.C. Regis
Dominica XX post Pent., ultima Octobris
NOTE
1) Cfr. Discorso di Paolo VI alla IX Sessione Pubblica del Concilio Vaticano II, 7 Dicembre 1965.
2) Paolo VI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972.
3) Inno Te sæculorum Principem nella festa di Cristo Re.
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Immagine di Dominikosaurus via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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