Geopolitica
Leader dei Montagnard espulso dalla Tailandia per l’estradazione in Vietnam
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nonostante il riconoscimento dello status di rifugiato da parte dell’UNHCR il tribunale ha accolto la richiesta di estradizione di Y Quynh Bdap presentata da Hanoi. L’attivista ha presentato appello e una nuova richiesta d’asilo all’ambasciata canadese. L’atteggiamento ambiguo della Thailandia che apre le sue porte all’accoglienza temporanea ma non essendo firmatario della Convenzione ONU non offre vere garanzie.
Le autorità thailandesi hanno deciso nei giorni scorsi l’espulsione di Y Quynh Bdap, noto attivista vietnamita per la difesa delle minoranze etniche del suo Paese e fondatore dell’organizzazione Montagnards Stand for Justice, che si occupa fra l’altro di documentare per le Nazioni Unite i limiti imposti dalle autorità vietnamite alle attività religiose e alle libertà fondamentali.
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Y Quynh Bdap si trova dal 2018 in Thailandia con il riconoscimento dall’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR): se verrà realmente espulso l’attende una condanna a 10 anni di carcere dopo che a gennaio in Vietnam è stato giudicato in contumacia colpevole di terrorismo.
La decisione del tribunale di Bangkok ha accolto la richiesta di estradizione presentata da Hanoi per il presunto coinvolgimento dell’attivista nell’attacco dello scorso anno a posti di polizia nell’area del Vietnam centro-settentrionale abitata dalla trentina di etnie diverse comunemente indicate come Montagnards (gente delle montagne).
Il 1 ottobre, giorno precedente la sentenza, l’attivista aveva incontrato funzionari dell’ambasciata canadese alla quale aveva presentato richiesta di asilo. Su questo, oltre che su un ricorso basato sul rischio di violazione dei diritti umani al rientro, fonda le speranze di una soluzione più favorevole della sua vicenda.
Molti hanno espresso preoccupazione per la sorte dell’attivista 32enne attivista, ma la vicenda è una conferma del trattamento che Bangkok riserva a chi ha cercato rifugio nel Paese che non è firmatario della Convenzione ONU sui rifugiati, pur restando più di altri aperto all’accoglienza temporanea.
Nel recente passato, gruppi di rifugiati dell’etnia Rohingya perseguitata in Myanmar sono stati rimpatriati contro la loro volontà, come pure cinesi di etnia uigura in fuga dalla provincia dello Xinjiang, Hmong sfuggiti alla persecuzione in Laos e cristiani vittime di discriminazione e minacce in Pakistan.
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La presenza di profughi che cercano di salvarsi da conflitti o da persecuzione politica e religiosa è per Bangkok fonte di imbarazzo, nonostante il contributo internazionale all’assistenza, e i rapporti bilaterali con i Paesi di provenienza spingono spesso alla decisione di rimpatriare in modo coatto contingenti di profughi.
La scorsa settimana ha sollevato perplessità e qualche manifestazione di dissenso anche la bocciatura con ampia maggioranza parlamentare della proposta di legge sull’integrazione delle minoranze etniche, che sono una sessantina e contano complessivamente il 10 per cento degli abitanti della Thailandia. In diversi casi sono state sottoposte a discriminazione, allontanamento forzato dalle loro terre ed esclusione da diritti fondamentali.
La motivazione data da un parlamentare conservatore è che il riconoscimento delle etnie come «popolazioni indigene della Thailandia» sarebbe potuto risultare «ingiusto» per la maggioranza thai.
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Geopolitica
La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco
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Geopolitica
Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.
Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.
Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».
Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.
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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».
«Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.
Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.
Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».
«La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.
Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.
Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania
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