Geopolitica
Le potenze del Golfo Persico rifiutano di concedere agli USA l’accesso alle basi per gli attacchi contro l’Iran

I paesi del Golfo Persico avrebbero detto agli Stati Uniti di non lanciare alcun attacco contro l’Iran dal loro territorio o dallo spazio aereo in mezzo alle ribollenti tensioni regionali. Lo riporta la testata araba Middle East Eye.
Fonti, tra cui un alto funzionario statunitense, hanno detto al Middle East Eye che le monarchie del Golfo hanno «fatto gli straordinari» sulla pista diplomatica «per chiudere strade che potrebbero collegarle a una rappresaglia statunitense contro Teheran o i suoi delegati da basi all’interno dei loro regni».
I Paesi coinvolti includono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman e Kuwait, con i loro leader che, secondo quanto riferito, «sollevano domande» sui dettagli degli accordi di base statunitensi e adottano misure per impedire l’uso delle loro basi adiacenti alla Repubblica Islamica dell’Iran, scrive il sito russo Sputnik.
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Secondo quanto riferito, la Turchia, membro della NATO avrebbe vietato agli Stati Uniti di utilizzare il proprio spazio aereo per attacchi contro l’Iran, tuttavia la notizia non è ancora data per verificata.
«È un disastro», ha detto un alto funzionario americano, riferendosi ai grattacapi che l’amministrazione Biden deve affrontare mentre si prepara a un potenziale attacco di ritorsione iraniano contro il suo principale alleato regionale, Israele, in seguito all’attacco di Tel Aviv del 1° aprile al complesso dell’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria.
L’articolo di Middle East Eye fa seguito a un pezzo della testata statunitense Axios di venerdì che citava funzionari statunitensi che affermavano che l’Iran ha avvertito privatamente gli Stati Uniti che prenderà di mira le forze americane in Medio Oriente se Washington sarà coinvolta in uno scontro militare tra Iran e Israele.
Si stima che gli Stati Uniti abbiano più di 40.000 militari nelle basi sparse in Medio Oriente, inclusa la base aerea di Al Udeid in Qatar, che ospita almeno 10.000 soldati e funge da quartier generale avanzato del Comando Centrale degli Stati Uniti, il comando combattente responsabile delle forze armate. operazioni in tutto il Medio Oriente.
Il vicino Bahrein ospita fino a 7.000 soldati e la Quinta Flotta degli Stati Uniti, che opera nel Golfo Persico, nel Mar Rosso e nel Mar Arabico e in parte dell’Oceano Indiano. Gli Stati Uniti hanno anche una guarnigione di 15.000 soldati in Kuwait, almeno 5.000 soldati negli Emirati Arabi Uniti e circa 2.700 soldati e aerei da combattimento nella base aerea Prince Sultan in Arabia Saudita.
L’Oman ospita alcune centinaia di soldati statunitensi e consente all’aeronautica americana di effettuare sorvoli e sbarchi, e alle navi da guerra di effettuare 80 scali all’anno.
La politica estera sempre più indipendente delle potenze del Golfo rappresenta potenzialmente un grave ostacolo per Washington, che per molti decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale (e soprattutto dopo la guerra fredda) ha potuto fare affidamento sulle monarchie del Golfo Persico per le sue operazioni militari nei Paesi ricchi di petrolio.
L’accordo principale fu stipulato nel 1945 tra il presidente americano Franklin Delano Roosevelt e il re saudita Abdulaziz Ibn Saud – il cosiddetto patto del Grande Lago Amaro, di cui Renovatio 21 vi ricorda spesso, ossia la creazione del petrodollaro, fonte della grande ricchezza e durevole influenza di Washington nel mondo. Il patto prevedeva che, in cambio dell’uso del dollaro nel commercio del petrolio, gli USA avrebbero fornito alla famiglia reale saudita protezione anche militare. Qualcuno fa notare che si parlava della famiglia reale, non della difesa del Paese in sé.
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I Paesi del Golfo guidati dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti hanno recentemente adottato una serie di sorprendenti misure che sembrano volte a rompere con la dipendenza economica, politica e militare dagli Stati Uniti, con Riyadh che si muove per rompere il monopolio del petrodollaro nel commercio di petrolio con la Cina, mettendo in pausa la sua campagna militare contro la milizia Houthi nello Yemen, ripristinando i rapporti diplomatici con l’Iran e, insieme ad Abu Dhabi, unendosi al blocco BRICS Plus.
La crisi israelo-palestinese ha allontanato i leader degli Stati del Golfo e le loro popolazioni dall’idea di ulteriori «Accordi di Abramo» come nell’era Trump – ossia la normalizzazione dei rapporti dei Paesi del Golfo con Israele –e ha raffreddato i legami con gli Stati Uniti grazie al pieno sostegno dell’amministrazione Biden a Tel Aviv nel corso della guerra di Gaza.
Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa si parlava di colloqui segreti tra il principe saudita Mohammed bin Salman e Netanyahu. A fine 2023, dopo l’inizio della guerra di Gaza, l’Arabia Saudita ha dichiarato che ogni piano di accordo con Israele è sospeso.
Secondo sondaggi di pochi mesi fa il 96% dei sauditi si oppone ai legami con Israele, mentre Hamas tra i sudditi dei Saud cresce in popolarità.
La situazione nell’area è precipitata al punto che tre mesi fa Mohammed bin Salman ha dichiarato che il Regno dei Saud è pronto a dotarsi dell’atomica se lo farà l’Iran. Tra Riyadh e Teheran era pochi mesi prima arrivato un accordo stipulato sotto l’auspicio cinese.
Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa quando furono firmati gli Accordi di Abramo i palestinesi lasciarono la presidenza della Lega Araba.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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Geopolitica
Orban: i leader UE «vogliono andare in guerra» con la Russia

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha dichiarato giovedì che i leader dell’UE sembrano intenzionati a trascinare il blocco in un conflitto con la Russia.
In un post su X, il noto critico delle politiche occidentali verso l’Ucraina ha avvertito che «sono in discussione proposte apertamente favorevoli alla guerra», riferendosi ai colloqui tenuti durante un vertice informale dei leader dell’UE a Copenaghen questa settimana.
«Vogliono destinare i fondi dell’UE all’Ucraina. Cercano di accelerare l’adesione dell’Ucraina con vari espedienti legali. Vogliono finanziare la fornitura di armi. Tutte queste proposte dimostrano chiaramente che i burocrati di Bruxelles vogliono la guerra», ha scritto Orbán, promettendo che Budapest si opporrà a tali iniziative.
📍 Copenhagen, day two. The situation is serious. Outright pro-war proposals are on the table. They want to hand over EU funds to Ukraine. They are trying to accelerate Ukraine’s accession with all kinds of legal tricks. They want to finance arms deliveries. All these proposals… pic.twitter.com/86qEC83kIX
— Orbán Viktor (@PM_ViktorOrban) October 2, 2025
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L’incontro di Copenaghen è stato convocato in risposta a una serie di avvistamenti di droni non identificati in Europa. La premier danese Mette Frederiksen ha dichiarato che il suo governo non è in grado di identificare l’origine dei velivoli, ma ha sostenuto che «possiamo almeno concludere che c’è un solo Paese che rappresenta una minaccia per la sicurezza dell’Europa, ovvero la Russia».
I leader dell’UE hanno discusso l’idea di un «muro di droni», un sistema vagamente definito per contrastare le minacce aeree. Secondo i media, i colloqui hanno prodotto pochi progressi: Politico ha descritto la sessione come caduta in un «tipico stallo», mentre Bloomberg ha definito il muro di droni più un’«etichetta pubblicitaria» che un piano concreto.
Nel frattempo, Mosca ha accusato l’Ucraina e i suoi alleati europei di orchestrare provocazioni per inasprire le tensioni.
Come riportato da Renovatio 21, Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) ha affermato questa settimana che la recente incursione di droni nello spazio aereo polacco – attribuita da Varsavia alla Russia – fosse in realtà un’operazione ucraina sotto falsa bandiera, prevedendo ulteriori incidenti simili in futuro.
La leadership dell’UE continua a spingere per un maggiore sostegno a Kiev e per una crescente militarizzazione degli Stati membri. In quest’ottica, Bruxelles ha cercato di limitare il potere di veto di nazioni dissenzienti come l’Ungheria sulle decisioni di politica estera e di sicurezza.
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata su indicazioni.
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