Geopolitica
L’ayatollah Khamenei parla delle sofferenze dei musulmani in India. Nuova Delhi reagisce
Nuova Delhi ha dichiarato di «deplorare fermamente» i commenti della Guida suprema dell’Iran Sayyid Ali Hosseini Khamenei, dopo che quest’ultimo ha inserito l’India tra i luoghi in cui i musulmani stanno soffrendo.
In un post su X l’ayatollah Ali Khamenei aveva scritto che «i nemici dell’Islam hanno sempre cercato di renderci indifferenti riguardo alla nostra identità condivisa come Ummah islamica. Non possiamo considerarci musulmani se siamo inconsapevoli delle sofferenze che i musulmani stanno sopportando in Myanmar, Gaza, India o in qualsiasi altro posto».
The enemies of Islam have always tried to make us indifferent with regard to our shared identity as an Islamic Ummah. We cannot consider ourselves to be Muslims if we are oblivious to the suffering that a Muslim is enduring in #Myanmar, #Gaza, #India, or any other place.
— Khamenei.ir (@khamenei_ir) September 16, 2024
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Il ministero degli Affari Esteri indiano ha definito i commenti «disinformati» e «inaccettabili», affermando che «si consiglia ai paesi che commentano le minoranze di esaminare la propria situazione prima di fare osservazioni sugli altri».
La disputa si verifica nonostante una relazione generalmente forte tra le due nazioni. Il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar ha visitato Teheran a gennaio di quest’anno e i paesi hanno firmato un importante accordo per lo sviluppo del porto di Chabahar nel sud-est dell’Iran.
Il progetto amplierebbe le opzioni di Nuova Delhi per spedire merci in Asia centrale, Russia ed Europa. Avrebbe anche un ruolo chiave nel corridoio di trasporto internazionale nord-sud che collega l’India con la Russia e la regione della CSI attraverso l’Iran, aggirando le zone volatili del Medio Oriente.
Non è la prima volta che il leader spirituale iraniano critica il trattamento dei musulmani in India. Nel 2020, durante le rivolte comunali a Delhi che uccisero almeno 53 persone e ne ferirono centinaia, Khamenei definì gli eventi un «massacro di musulmani». Invitò Nuova Delhi a «affrontare gli indù estremisti» per impedire «l’isolamento dell’India dal mondo dell’Islam».
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L’ayatollah Khamenei espresse «preoccupazione» anche nel 2019, quando l’India ha abolito l’articolo 370 della Costituzione, che garantiva privilegi speciali allo stato a maggioranza musulmana di Jammu e Kashmir.
Esiste in India una folta presenza sciita soprattutto nel distretto di Kargil nel Ladakh, parte orientale del Kashmir. Entrando nella città si può venire accolti da grandi ritratti di Khomeini e Khamenei. La zona, sono controllo indiano, fu oggetto di una piccola guerra con il Pakistan nel 1999.
Nuova Delhi ha regolarmente respinto le accuse internazionali secondo cui i musulmani sarebbero maltrattati dal governo del premier Narendra Modi. Il partito Bharatiya Janata Party (BJP) guidato da Modi è stato accusato di prendere di mira la minoranza musulmana per ottenere guadagni elettorali.
Il BJP è un partito della cosiddetta hindutva («induità»), che predica forme di supremazia delle religioni autoctone indiane – in ispecie l’induismo – sulle altre presenti nel subcontinente, in particolare l’Islam, che è la più grande minoranza nel Paese, ma anche il Cristianesimo: le storie di persecuzioni induiste contro chiese e comunità cattoliche in India sono spesso riportate da Renovatio 21.
All’inizio di quest’anno, l’India aveva respinto i risultati del rapporto sulla libertà religiosa del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti del 2023, che segnalava un «aumento preoccupante» delle leggi anti-conversione e dei «discorsi d’odio» nel Paese dell’Asia meridionale.
Il ministro degli Esteri indiano aveva descritto il documento come «profondamente di parte» e privo di comprensione del «tessuto sociale dell’India».
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Immagine di Khamenei.ir via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Geopolitica
Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.
Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.
Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».
Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.
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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».
«Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.
Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.
Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».
«La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.
Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.
Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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