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Scuola

L’abisso del Piano Scuola 4.0

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Il «Piano Scuola 4.0» è la tabella di marcia che segna le progressive tappe da spuntare, da qui al 2025, nel processo di digitalizzazione della didattica e della organizzazione scolastica italiana – dagli asili nido alle università – secondo le linee di investimento previste da PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

 

Si suddivide in quattro sezioni, denominate rispettivamente: la prima «Background»; la seconda e la terza «Framework»; la quarta «Roadmap». Uno poco avvezzo alle produzioni letterarie dei nostri apparati burocratici si potrebbe chiedere se davvero si parli di scuola italiana: ebbene sì, siamo in Italia, e lo scempio linguistico rientra nell’ordinario sfoggio di compiuta colonizzazione «culturale» di cui troppi vanno fieri come fosse una medaglia al valore. 

 

Il documento offre la puntuale descrizione della palingenesi tecnologica che deve investire in modo assorbente le nuove generazioni attraverso la formazione scolastica; e che implica, com’è ovvio, il previo addestramento dei docenti chiamati ad assisterle in questa incalzante fase di transizione – in attesa della sostituzione del personale umano con una adeguata dotazione di più efficienti e resistenti robot. 

 

In base alle proprie «competenze digitali», i docenti sono suddivisi in sei livelli: A1 Novizio, A2 Esploratore, B1 Sperimentatore, B2 Esperto, C1 Leader, C2 Pioniere. Proprio così. Una classifica da far invidia alle Giovani Marmotte e che, insieme a tutto il degradante malloppo nel quale si trova inscritta, dovrebbe quantomeno accendere nella categoria interessata una scintilla di orgoglio e suscitare un moto di ribellione. In chi poi abbia presente l’epilogo della operazione – che poggia sul presupposto della fungibilità della manovalanza umana – dovrebbe muovere pure il più elementare istinto di sopravvivenza. Ma chissà.

 

In prima battuta, la lettura del prontuario può produrre nel lettore ignaro un effetto esilarante, perché la veste formale e lessicale del testo – l’italiano, questo sconosciuto – si spinge oltre la parodia, arriva dritta all’insulto del senso estetico e del senso comune, ammesso che, in barlume, esistano ancora. Ma si tratta di una reazione effimera, che non può non tramutarsi ben presto in sdegno, incredulità, preoccupazione.

 

Vero è, infatti, che tutto quanto vi si legge si trovava già scritto in agenda, da tempo. Tuttavia, dentro queste trentanove cartelle si tocca con mano lo iato che passa tra l’esposizione di un generico programma politico-ideologico e la sua reale applicazione forzata secondo una scansione temporale precisa quanto stringente. Il ricatto economico – il cappio brandito da Bruxelles – funge da garanzia dell’adempimento, del quale si percepisce tutta l’incombente prossimità. Ed è una sensazione raccapricciante.

 

A partire dalle pagine introduttive, è spiegato come il primo fondamentale passaggio sulla strada della innovazione integrale della scuola riguardi l’ambiente dell’apprendimento. Si legge che, mentre «fin dalla nascita della scuola, lo spazio di apprendimento tradizionale è stato configurato secondo il rigido modello di un’aula di forma quadrata o rettangolare, con le file di banchi disposti di fronte alla cattedra del docente», oggi questo modello va urgentemente smantellato.

 

Infatti, «la ricerca nazionale e internazionale» (!!!) avrebbe mostrato come esso, tuttora prevalente, «non sia più in linea con le esigenze didattiche e formative delle studentesse e degli studenti rispetto alle sfide poste dai cambiamenti culturali, sociali, economici, scientifici e tecnologici del mondo contemporaneo».

 

Ecco quindi che – secondo le menti del Piano – è necessario ridisegnare gli «ecosistemi di apprendimento» con «arredi e tecnologie a un livello più avanzato rispetto a quelli oggi in uso, al fine di rendere sostenibile il processo di transizione digitale». 

 

Vale qui la pena di riportare testualmente qualche altro pezzo del Piano, per farsi un’idea di dove andremo a parare.

 

Tipo: «Gli ambienti fisici di apprendimento non possono essere oggi progettati senza tener conto anche degli ambienti digitali (ambienti on line tramite piattaforme cloud di e-learning e ambienti immersivi in realtà virtuale) per configurare nuove dimensioni di apprendimento ibrido. L’utilizzo del metaverso in ambito educativo costituisce un recente campo di esplorazione, l’eduverso, che offre la possibilità di ottenere nuovi “spazi” di comunicazione sociale, maggiore libertà di creare e condividere, offerta di nuove esperienze didattiche immersive attraverso la virtualizzazione, creando un continuum educativo e scolastico fra lo spazio fisico e lo spazio virtuale per l’apprendimento, ovvero un ambiente di apprendimento onlife» (i grassetti sono originali). Sottolineiamo l’orwelliana novità del lemma onlife, evidente calco di online, assurto quest’ultimo a entità primaria da cui derivare il resto della esperienza umana.

 

La cosa bella è che, subito dopo l’esibizione di tanto estremismo cibernetico, funzionale allo straniamento e alla alienazione assoluti, si precisa come, beninteso, debbano essere garantiti «i requisiti comuni di sicurezza, di benessere, di privacy…anche con la previsione di specifiche azioni didattiche circa i rischi connessi all’utilizzo improprio delle tecnologie». Al che, davvero, non si sa se ridere o se piangere: a questi scolari mettono in testa un casco che li estrania dalla realtà, li «immergono» e annegano nel nulla, nel frattempo fanno finta di munirli di un boccaglio di gomma per prendere un refolo d’aria che non c’è. Nella bisca delle parole truccate, vale tutto.

 

In concreto, l’obiettivo dell’azione «Next Generation Classrooms» è quello di trasformare, grazie ai finanziamenti del PNRR, almeno 100.000 aule delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado. Deve avvenire insomma una totale metamorfosi delle aule: fondamentale, come abbiamo visto sopra, che esse non siano più uno spazio quadrato o rettangolare (quindi? rotondo? ovale? ottagonale?) e non abbiano più sedie, banchi e cattedra, tutti attrezzi pedagogicamente obsoleti (il pavimento può starci? e il soffitto?).

 

Sicché, «sulla base di un format comune reso disponibile dall’Unità di missione del PNRR», ciascuna istituzione scolastica dovrà adottare un documento chiamato «Strategia Scuola 4.0» dove vengano declinati «il programma e i processi che la scuola seguirà per tutto il periodo di attuazione del PNRR con la trasformazione degli spazi fisici e virtuali di apprendimento, le dotazioni digitali, la innovazioni della didattica, i traguardi di competenza in coerenza con il quadro di riferimento DigComp 2.2, l’aggiornamento del curricolo e del piano dell’offerta formativa, gli obiettivi e le azioni di educazione civica digitale, la definizione dei ruoli guida interni alla scuola per la gestione della transizione digitale, le misure di accompagnamento dei docenti e la formazione del personale».

 

Dovrà farlo ciascuna istituzione scolastica. Affinché l’imperativo categorico sia chiaro, si ribadisce: «È necessario che la progettazione didattica, disciplinare e interdisciplinare, adotti il cambiamento progressivo del processo di insegnamento e declini la pluralità delle pedagogie innovative (ad esempio, apprendimento ibrido, pensiero computazionale, apprendimento esperienziale, insegnamento delle multiliteracies e debate, gamification, etc.)».

 

E ancora. «Le nuove classi, oltre ad avere uno schermo digitale, dispositivi per la fruizione delle lezioni anche in videoconferenza e dispositivi digitali individuali o di gruppo (notebook, tablet, etc.), dovranno avere a disposizione, anche in rete tra più aule, dispositivi per la comunicazione digitale, per la promozione della scrittura e della lettura con le tecnologie digitali, per lo studio delle STEM, per la creatività digitale, per l’apprendimento del pensiero computazionale, dell’intelligenza artificiale e della robotica, per la fruizione dei contenuti attraverso la realtà virtuale e aumentata». Eccetera eccetera.

 

Benvenuti dunque nel mondo che non c’è, ma in cui i nostri figli dovranno evaporare, fluttuare, intripparsi e rimbambirsi, per volere delle istituzioni. Sarà tutto bellissimo perché modernissimo e bisogna scrollarsi di dosso qualsiasi residua remora gretta e senile.

 

A beneficio dell’«utenza», chiamata a salutare festante l’avvento della propria schiavitù, della propria sostituzione e del proprio annientamento programmato, gli apparati di cui sopra hanno pure la delicatezza di fornire una pezza giustificativa alla operazione – così, per tacitare qualche resto di coscienza – e mettono lì un elenco di parole a caso, usate all’incontrario (tanto, si sa, basta il suono).

 

Gioite dunque, o genti, delle magnifiche sorti vostre e dei vostri figli, poiché: «Le Next Gen Classrooms favoriscono l’apprendimento attivo di studentesse e studenti con una pluralità di percorsi e di approcci, l’apprendimento collaborativo, l’interazione sociale fra studenti e docenti, la motivazione ad apprendere e il benessere emotivo, il peer learning, il problem solving, la co-progettazione, l’inclusione e la personalizzazione della didattica, il prendersi cura dello spazio della propria classe. Contribuiscono a consolidare le abilità cognitive e metacognitive (pensiero critico, pensiero creativo, imparare a imparare e autoregolazione), le abilità sociali ed emotive (empatia, autoefficacia, responsabilità e collaborazione), le abilità pratiche e fisiche (uso di nuove informazioni e dispositivi di comunicazione digitale)». 

 

Straordinario. Straordinario tutto, ma in particolare laddove si dice che il vuoto pneumatico, lo spazio ormai totalmente sterilizzato, smaterializzato e devitalizzato, favorirebbe «l’interazione sociale tra studenti e docenti». Capolavoro di bipensiero.

 

Quanto ai Next Generation Labs, da istituire con urgenza presso gli istituti superiori, essi mirano «allo svolgimento di attività autentiche e di effettiva simulazione dei contesti, degli strumenti e dei processi legati alle professioni digitali, di esperienze di job shadowing… di azioni secondo l’approccio work based learning, e possono consistere in un unico grande spazio aperto, articolato in zone e strutturato per fasi di lavoro, oppure in spazi comunicanti e integrati, che valorizzano il lavoro di gruppo all’interno del ciclo di vita del progetto (project based learning)… Essi si caratterizzano per essere coperti da una connettività diffusa in banda ultra larga, e sono aperti alla sperimentazione della tecnologia 5G». 

 

Praticamente, occorre allestire delle basi spaziali.

 

E non pensi, qualche preside antiquato di qualche scuola antiquata, di poterla fare franca, perché «la Roadmap del Piano Scuola 4.0 prevede una procedura di assegnazione delle risorse sulla base di un piano di riparto nazionale dei fondi a tutte le istituzioni scolastiche italiane e di un sistema informativo di monitoraggio e di rendicontazione online. Le scuole gestiranno le azioni di progettazione, allestimento e utilizzo dei nuovi ambienti e dei laboratori secondo un cronoprogramma nazionale». Ripetiamo: un cronoprogramma nazionale. Da lustri ci martellano in testa la cosiddetta autonomia scolastica, strumento effettivamente servito per polverizzare e deprimere il sistema italiano di istruzione; ma, quando si tratta di applicare l’agenda, l’autonomia puf, si azzera, per cedere il passo al controllo più penetrante e più invasivo che c’è.  

 

A margine, sorge spontanea una constatazione: in questo fantasmagorico panorama, è evidente che il liceo classico è un morto che cammina, una dead school walking. Si blatera solo di STEM (acronimo per: Science, Technology, Engineering, Mathematics). Per lorsignori, la formazione umanistica è una spina nel fianco, una la piccola brace ancora viva da soffocare definitivamente, inghiottendola nel silenzio senza nemmeno nominarla, perché capace di emettere qua e là qualche segnale di fumo. Fine della constatazione.

 

Ora, i virgolettati qui sopra sono solo dei piccoli stralci, presi a campione, per capire qual è la musica. Lo spartito è lungo 39 cartelle e verrà suonato nelle scuole italiane a partire da oggi. Anzi, da ieri. Perché nel documento si dice espressamente che questi lavori di demolizione di tutto ciò che di reale, umano, materiale e insieme spirituale (ché le due cose viaggiano inseparate) resiste nella scuola – quel che insomma ne costituisce l’essenza, e il perché – hanno subito un significativo impulso grazie alla pandemia. 

 

«La pandemia – ci informa infatti il nostro documento – ha avuto un rilevante impatto nell’accelerazione dell’utilizzo di tecnologie basate sulla intelligenza artificiale, la robotica, l’automazione, e-commerce e blockchain, la realtà virtuale e aumentata, la stampa 3D/4D, cloud computing, internet delle cose, etc.». Acquisire competenze digitali specialistiche – secondo gli innovatori – è il prerequisito inderogabile per «ottenere posti di lavoro di qualità e intraprendere percorsi professionali gratificanti». Lo hanno deciso loro. Studiosi, contemplativi, poeti, artisti, artigiani, contadini, manovali, si attacchino: sono per definizione una manica di falliti.

 

Del resto, a chi non si fosse ancora convinto della strumentalità della «emergenza» ai fini di un cambio epocale di paradigma, andrebbe una volta di più ricordato che si era ancora agli albori dell’era pandemica – primavera del 2020 – quando l’UNESCO annunciava in gran pompa l’avvio dell’«esperimento di più vasta scala nella storia dell’istruzione»; ovvero, un esperimento nell’esperimento, pensato ad hoc per il luogo privilegiato in cui si forgiano le generazioni future.

 

Ed eccoci qui. Esperimento riuscitissimo.

 

Dopo aver disintegrato i più giovani, nel fisico e nella psiche; dopo averli portati a forza al condizionamento interiorizzato; dopo aver depresso il grado di istruzione fino all’analfabetismo manifesto; dopo avere inibito sul nascere ogni potenzialità logica e creativa; insomma, dopo questo trattamento d’urto inflitto a coronamento di un lungo logorio pregresso, era maturo il tempo di organizzare finalmente la transumanza nel metaverso: vale a dire l’immersione in apnea in un universo onirico funzionale al controllo totale sui corpi e sulle menti.

 

La Scuola 4.0 è la metascuola. Il 4 non si sa bene da dove venga, ma evoca la cifra ricorrente della rivoluzione progettata da noti consessi filantropici, tipo per esempio quello del signor Schwab e dei suoi compagni di merende, coronati e no. L’edizione italiana del manuale di istruzioni scritto da Schwab per il bene dell’umanità è casualmente prefatto da John Elkann. Sempre casualmente, la Fondazione Agnelli, col suo osservatorio Eduscopio e tutti i satelliti intorno, da decenni ospita la cabina di regia del sistema scolastico italiano. Come si legge nel suo sito, la fondazione «ha concentrato attività e risorse sull’education (scuola, università, apprendimento permanente) come fattore decisivo per il progresso economico e l’innovazione…» eccetera eccetera.

 

Il titolo del nuovo manifesto rivoluzionario sulla nostra scuola parrebbe quindi, ma potremmo sbagliarci, un omaggio allo Schwab e al suo illuminato programma di Quarta Rivoluzione Industriale. Un salto quantico verso la coltivazione differenziata della popolazione: da una parte i piani alti, che si istruiscono alla maniera di sempre (probabilmente persino in aule quadrate o rettangolari); dall’altra le masse subalterne, piazzate davanti agli schermi a galleggiare nella fiction, a premere tastini ed emettere suoni disarticolati, come tante scimmie ammaestrate, preda di automatismi indotti da stimoli diramati dalla centrale, sottratte all’esperienza, al contatto con le cose, alla vista, all’udito, al gusto, al tatto e all’olfatto. Destinate alla atrofia cerebrale. 

 

Sguardi, suoni, movimento, tutta quella fisicità e sensorialità che è parte integrante del processo di apprendimento, e che lo nutre, lo sostanzia e lo vivifica, nel disegno dei manovratori devono sparire.

 

Deve sparire il «corpo a corpo» della lezione, deve sparire la palestra di vita che ogni classe rappresenta, e ha rappresentato per ognuno di noi.

 

Deve sparire la penna, così come la carta, il libro e tutte le operazioni, a partire dalla calligrafia che, si sa, non si esauriscono nell’esercizio della manualità fine, che è già parecchio, ma sono collegate allo sviluppo di una serie infinita di attitudini superiori.

 

Soprattutto, deve sparire l’umanità, fatta di carne e spirito, di pensiero e di creatività.

 

Gli adulti sedotti dall’avanguardia digitale non ne comprendono appieno il grado di distruttività, perché nella loro esistenza hanno beneficiato del confronto con la realtà vera, nel suo bene e nel suo male, anche se ne sono dimentichi. In qualche modo, nella loro inconsapevole memoria immunitaria, possiedono ancora gli ultimi strumenti per padroneggiare i meccanismi della macchina. Non sarà così per quei figli che si vorrebbero far crescere nella landa gelida e desolata del nulla. 

 

A chiunque senta il rumore dell’onda di piena che sta travolgendo tutto quel patrimonio di bellezza e di senso che ci fa ancora da sfondo lontano, spetta il compito non procrastinabile di mettere in salvo il seme.

 

 

Elisabetta Frezza

 

 

 

Pensiero

Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.

 

L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.

 

Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.

 

Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.

 

Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.

 

Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.

 

Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.

 

Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.

 

Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.

 

Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.

 

Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.

 

I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.

 

Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».

 

Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.

 

Patrizia Fermani

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Scuola

Mostri nei loro barattoli e nella loro formaldeide

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Lo splendore della fede professata nel pellegrinaggio giubilare nella Città Eterna, la bellezza luminosa dei dipinti di Georges de La Tour, i sontuosi ricami delle Orsoline di Amiens, l’importanza di una cultura che non trasgredisce la natura ma la trascende, sono questi i temi di Nouvelles de Chrétienté per il nuovo anno scolastico.   Sotto un’apparente diversità, questi temi sono profondamente uniti in un’intenzione comune espressa con «vigore e chiarezza» da Padre Calmel, quando chiede agli insegnanti cristiani di aprire «i loro studenti ai valori dell’arte nelle sue diverse forme», rendendoli al contempo «capaci di una fiera indipendenza e di un bel disprezzo per tutte le anomalie, infezioni, purulenze e mostruosità, che hanno l’audacia di esigere da loro un’ammirazione complice adornandosi della realtà dell’arte e più spesso della sua apparenza».   Il frate domenicano esprime un desiderio preciso: «I mostri torneranno ai loro barattoli e alla loro formaldeide, gli scorpioni artistici reintegrano i loro buchi artistici, il giorno in cui un certo numero di esseri giovani e determinati, non certo per barbarie ma per sovrano rispetto della cultura, tratteranno con disprezzo i prodotti immondi della cultura. La cultura non ha alcun diritto contro i diritti della decenza e dell’onore».   Aggiunge: «non deve essere lontano il tempo in cui l’insidioso sofisma “onestà significa stupidità” sarà privo di ogni credibilità, perché sarà diventata chiara la prova che ciò che è normale è bello e che, in una civiltà degna di questo nome, l’intelligenza, la sottigliezza, la leggerezza, la finezza e l’arte marciano di concerto con l’onestà, la santità, il rifiuto inflessibile dei veleni e delle ignominie. La scuola cristiana deve affrettare l’arrivo di questi tempi di libertà». (Ecole chrétienne renouvelée, cap. XXIX, tre sensible en chrétien aux valeurs d’art, pp. 188-189, ed. Téqui)   Padre Calmel scrisse queste potenti righe alla fine degli anni ’50, lontano dal wokismo, dalla cultura della cancellazione, dello sradicamento e dell’incoscienza… E si aspettava che le suore, autentiche insegnanti, avessero «idee non solo corrette, ma idee che cantano dentro [di loro] e che incantano [i loro] piccoli alunni», per «comunicare loro una verità canterina e germinante». (Ibid., pp. 129 e 131).   È una bella frase da scrivere in cima a un quaderno, in questi giorni di ritorno a scuola!   Abate Alain Lorans   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine da FSSPX.News
 
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Scuola

«Estremismo violento nichilista»: l’FBI indaga su 1700 casi del nuovo terrorismo domestico. Che forse parte da quello che si insegna anche nelle scuole italiane

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Il direttore dell’FBI Kash Patel ha confermato martedì, nel suo intervento davanti alla Commissione Giustizia del Senato, che l’ufficio sta indagando su oltre 1.700 casi di terrorismo interno.

 

«Abbiamo 3500 indagini sul terrorismo internazionale… 1700 indagini sul terrorismo interno, una gran parte delle quali riguardano l’estremismo violento nichilista… coloro che commettono atti violenti motivati ​​da un profondo odio per la società», ha detto il Patel agli avvocati in una dichiarazione preparata. «Solo quest’anno l’FBI ha registrato un “aumento del 300% dei casi aperti rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso».

 

Nel suo intervento, Patel ha fatto riferimento anche al gruppo “764”, una rete internazionale decentralizzata di predatori online classificata come gruppo estremista.

 

La sua apparizione martedì davanti alla Commissione Giustizia del Senato rappresenta la prima udienza di controllo del mandato del Patello, in un contesto di crescenti preoccupazioni sulla violenza politica all’interno degli Stati Uniti.

 

Il direttore del Bureau è tornato in commissione per la prima volta dopo l’udienza di conferma tenutasi a gennaio.

 

Il vicepresidente JD Vance e il consigliere della Casa Bianca Stephen Miller hanno dichiarato lunedì che intendono avviare indagini su organizzazioni non governative di sinistra e altri gruppi, e Miller ha affermato che le reti che hanno organizzato rivolte, violenze di strada e altre attività potrebbero costituire un «movimento terroristico interno».

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«Le campagne di doxing organizzate, le rivolte organizzate, la violenza di strada organizzata, le campagne organizzate di disumanizzazione e denigrazione, la pubblicazione degli indirizzi delle persone, combinate con messaggi progettati per innescare e incitare alla violenza, e le cellule organizzate che attuano e facilitano la violenza. È un vasto movimento terroristico interno», ha detto Miller al «The Charlie Kirk Show», condotto da Vance pochi giorni dopo l’assassinio di Kirk la scorsa settimana nello Utah.

 

Il nichilismo è una corrente filosofica e un atteggiamento esistenziale che nega l’esistenza di valori, significati o scopi assoluti nella vita e nell’universo. Sostiene che non ci siano verità universali, morali intrinseche o certezze metafisiche, portando a un senso di vuoto o assenza di significato. Nato in ambito filosofico, soprattutto con il filologo sifilitico tedesco Federico Nietzsche, che lo descrisse come la conseguenza del crollo delle certezze tradizionali, come la religione e i sistemi morali, il nichilismo può manifestarsi in forme diverse: dal rifiuto attivo di ogni valore (nichilismo attivo) a un’accettazione passiva dell’assenza di senso (nichilismo passivo).

 

Il Nietzsche – un uomo talmente pazzo da amare Torino e Recoaro Terme, oltre che improbabili rapporti a tre (dove probabilmente reggeva il moccolo) – vedeva il nichilismo come l’opportunità per realizzare la sua teoria della Umwertung aller Werte, la «trasmutazione di tutti i valori», che in ultima non può che essere il rovesciamento della società umana in una dimensione completamente satanica.

 

Nietzsche oggi viene scandalosamente insegnato nelle scuole, dopo che la generazione dei boomer che hanno fatto Lettere e Filosofia hanno subito il lavaggio del cervello con l’importazione di Nietzsche da destra a sinistra, un’operazione decisa dalla casa editrice Adelphi con la cura dell’opera completa nicciana portata avanti da Giorgio Colli e Mazzino Montinari (prima ancora che in Germania!) e continuata con personaggi come il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, oppositore della narrazione COVID che infine, come un Socrate mRNA, accettò la vaccinazione con siero genico sperimentale.

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Dopo Nietzsche, un altro filosofo di devastazione morale cui era programmato il trasbordo dalla cultura nazista a quella progressista stile Repubblica era Martino Heidegger. Questo progetto, tuttavia, sembra fallito a seguito del ritrovamento dei cosiddetti «Quaderni neri» heideggeriani, di cui chiunque conoscesse il filosofo aveva contezza ma sui quali i manovratori – che intendevano utilizzare in senso anticristiano il pensieri heideggerista – guardavano con prosciutto oftalmico evidente, sperando che anche il lettore del ceto medio riflessivo (cioè per lo più dipendenti pubblico del ministero dell’istruzione, abbonati dei giornali «laici» del «laico» Eugenio Scalfari, consumatori di cineforum e Feltrinelli).

 

Quindi: quando si parla del «nichilismo fra i giovani», tema che ha fatto scrivere ridicolmente pure qualche libro, non si affronta l’elefante nella stanza: la filosofia nichilista è tranquillamente diffusa nelle librerie come pensiero sano dello Stato moderno («laico», ovviamente, e programmaticamente «non-etico»)  e pure insegnata a scuola da stuole di insegnanti convinti da un’operazione di decenni fa della bontà filosofica e sociale di Nietzsche e dei suoi epigoni.

 

L’effetto, stiamo vedendo in America, può essere il terrorismo – oltre che la droga, l’animalismo, il transessualismo, ogni estremismo che poi, in mancanza di alcun valore per la vita umana, si può rivolgere in espressione violenta e catastrofica.

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