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Geopolitica

La Turchia guida gli sforzi per sospendere Israele dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite

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Lunedì il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan ha esortato le nazioni islamiche a impegnarsi per sospendere Israele dalla partecipazione alle riunioni e alle attività dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Lo riporta il quotidiano arabo Middle East Eye.

 

Intervenendo al vertice di emergenza dei ministri degli esteri dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC) tenutosi a Riyadh, in Arabia Saudita, Fidan ha affermato che i palestinesi hanno bisogno di un’azione collettiva per porre fine al presunto genocidio di Israele a Gaza e alla violenza dei coloni nella Cisgiordania occupata.

 

«Questo incontro si concentrerà su tre compiti urgenti: fermare la guerra, forgiare una risposta unitaria della ummah islamica e mobilitare la comunità internazionale», ha affermato il Fidan.

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Il ministro di Ankara ha sottolineato che «l’aggressione genocida» di Israele continua a Gaza, dove mezzo milione di persone affrontano una fame catastrofica, aggiungendo che l’ONU ha ora ufficialmente dichiarato lo stato di carestia nel territorio, osservando che Hamas ha già accettato un piano di cessate il fuoco proposto da Qatar ed Egitto, eppure il governo israeliano «continua a cercare di cancellare la Palestina».

 

«Pertanto, dobbiamo unire i nostri sforzi per sostenere e ampliare lo slancio verso il riconoscimento della Palestina, lanciando al contempo un’iniziativa all’interno delle Nazioni Unite per la piena adesione della Palestina e considerando la sospensione di Israele dai lavori dell’Assemblea generale», ha aggiunto il Fidano.

 

Lunedì, la riunione dei ministri degli esteri dell’OIC ha rilasciato una dichiarazione dopo il vertice in cui si afferma che «esorta gli Stati membri dell’OIC a esaminare ulteriormente se l’adesione di Israele alle Nazioni Unite sia in linea con la Carta delle Nazioni Unite, date le evidenti violazioni da parte di Israele dei requisiti per l’adesione e il suo costante disprezzo per le risoluzioni delle Nazioni Unite».

 

«Inoltre, dovrebbero essere coordinati gli sforzi per sospendere Israele dall’adesione alle Nazioni Unite», ha affermato. La richiesta di Fidan di sospendere Israele dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha un precedente.

 

Gli articoli 5 e 6 della Carta delle Nazioni Unite stabiliscono che un membro può essere sospeso o espulso se «viola persistentemente i principi contenuti nella Carta». Tuttavia, una mossa del genere richiede una raccomandazione del Consiglio di sicurezza, dove i cinque membri permanenti, tra cui gli Stati Uniti, detengono il potere di veto.

 

Esiste, tuttavia, un’altra via: l’Assemblea Generale stessa. Questa fu utilizzata nel 1974 contro il Sudafrica dell’apartheid. Il 27 settembre 1974, il Comitato per le Credenziali delle Nazioni Unite respinse le credenziali del Sudafrica, una procedura di routine prima delle riunioni dell’Assemblea Generale.

 

Tre giorni dopo, l’Assemblea generale approvò la risoluzione 3207, sollecitando il Consiglio di sicurezza a riesaminare l’adesione del Sudafrica alla luce delle sue continue violazioni della Carta.

 

Sebbene il Consiglio di sicurezza avesse posto il veto alla risoluzione, nel novembre dello stesso anno il presidente dell’Assemblea generale, l’algerino Abdelaziz Bouteflika, stabilì che, data la decisione del Comitato delle credenziali e l’adozione della risoluzione 3207, l’Assemblea generale avrebbe rifiutato di consentire alla delegazione del Sudafrica di partecipare ai suoi lavori.

 

Il Sudafrica rimase sospeso dall’Assemblea Generale fino al giugno 1994, dopo la fine dell’apartheid. Gli attivisti sostengono che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite potrebbe applicare lo stesso processo a Israele. Fanno notare che la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) nel luglio 2024 ha emesso un parere consultivo dichiarando «illegale» l’occupazione decennale dei territori palestinesi da parte di Israele e la sua quasi totale segregazione della popolazione in Cisgiordania una violazione del diritto internazionale sulla «segregazione razziale» e sull’«apartheid».

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La Corte Internazionale di Giustizia ha inoltre affermato che le politiche e le pratiche di Israele nella Palestina occupata costituiscono segregazione o apartheid, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione sull’eliminazione della discriminazione razziale (CERD).

 

Importanti organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, Human Rights Watch e l’israeliana B’Tselem, hanno descritto le azioni di Israele contro i palestinesi come costituenti un «apartheid» o un «regime di apartheid», scrive Middle East Eye.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel corso di questi mesi il Fidan ha dichiarato che lo Stato Ebraico rappresenta una «minaccia per la pace» in Siria, nonché che gli USA sono ostaggio di Israele. Il ministro a suo tempo annunciò che Ankara si univa al caso di genocidio contro Israele presentato alla Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia.

 

Il Fidan l’anno passato era stato a capo anche dello storico accordo in materia militare e di sicurezza tra Turchia e Iraq.

 

La Turchia era stata invitata l’anno scorso all’incontro della Lega Araba: si è trattato della prima volta in 13 anni.

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Immagine di Foreign, Commonwealth & Development Office via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

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Geopolitica

Per gli USA ora la normalizzazione delle relazioni con la Russia è un «interesse fondamentale»

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Gli Stati Uniti hanno indicato il rilancio dei rapporti normali con la Russia e l’interruzione rapida della guerra in Ucraina come priorità assolute nella loro nuova Strategia per la sicurezza nazionale, diffusa venerdì dalla Casa Bianca, ponendoli tra gli obiettivi cardine per gli interessi americani.   Il documento di 33 pagine delinea la prospettiva di politica estera delineata dal presidente Donald Trump, affermando che «è un interesse essenziale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina», al fine di «stabilizzare le economie europee, scongiurare un’escalation o un allargamento imprevisto del conflitto e ricostruire la stabilità strategica con la Russia».   Si evidenzia come il conflitto ucraino abbia «profondamente indebolito le relazioni europee con la Russia», minando l’equilibrio regionale.   Il testo rimprovera i dirigenti europei per le «aspettative irrealistiche» sull’evoluzione della guerra, precisando che «la maggioranza degli europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle politiche adottate».

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Washington, prosegue il rapporto, è disposta a un «impegno diplomatico sostanziale» per «supportare l’Europa nel correggere la sua rotta attuale», reinstaurare l’equilibrio e «ridurre il pericolo di scontri tra la Russia e gli Stati europei».   A differenza della strategia del primo mandato di Trump, che accentuava la rivalità con Russia e Cina, la versione attuale sposta l’asse sull’emisfero occidentale e sulla tutela del suolo patrio, dei confini e delle priorità regionali. Esorta a riallocare le risorse dai fronti remoti verso minacce più immediate e invita la NATO e i Paesi europei a farsi carico in prima persona della propria sicurezza.   Il documento invoca inoltre l’arresto dell’espansione della NATO, una pretesa a lungo avanzata da Mosca, che la indica come una delle ragioni principali del conflitto ucraino, interpretato come una guerra per interposta persona orchestrata dall’Occidente.   In sintesi, la strategia segna un passaggio dall’interventismo universale a un approccio estero più pragmatico e contrattuale, sostenendo che gli Stati Uniti debbano intervenire oltre i propri confini solo quando gli interessi nazionali sono direttamente coinvolti.   Si tratta del primo di una sequenza di rilevanti atti su difesa e politica estera che l’amministrazione Trump si accinge a emanare, tra cui una Strategia di Difesa Nazionale rivista, la Revisione della Difesa Missilistica e la Revisione della Postura Nucleare, tutti attesi in linea con l’impostazione del documento. SOSTIENI RENOVATIO 21
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Geopolitica

Israele potrebbe iniziare a deportare gli ucraini

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Decine di migliaia di rifugiati ucraini in Israele rischiano la deportazione entro la fine del prossimo mese, a causa del protrarsi del ritardo governativo nel rinnovare il loro status legale. Lo riporta il quotidiano dello Stato Giudaico Haaretz.

 

La tutela collettiva offerta a circa 25.000 ucraini in seguito all’aggravarsi del conflitto in Ucraina nel 2022 necessita di un’estensione annuale, ma gli attuali permessi di soggiorno scadono a dicembre.

 

Tuttavia, Israele non si è dimostrato particolarmente ospitale verso molti di questi migranti, in particolare quelli non eleggibili alla «Legge del Ritorno», una legge fondamentale dello Stato di Israele implementata dal 1950che garantisce a ogni ebreo del mondo il diritto di immigrare in Israele e ottenere la cittadinanza, basandosi sul legame storico e religioso del popolo ebraico con la Terra Promessa. Secondo i resoconti dei media locali, gli ucraini non ebrei ottengono spesso solo una protezione provvisoria, devono fare i conti con norme d’ingresso stringenti e sono esclusi dalla residenza permanente o dagli aiuti sociali, finendo intrappolati in un limbo legale ed economico.

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In carenza di un ministro dell’Interno ad interim, la competenza su tale dossier è passata al premier Benjamino Netanyahu, ma una pronuncia non è ancora arrivata, ha precisato Haaretz.

 

L’Autorità israeliana per la Popolazione e l’Immigrazione ha indicato che la pratica è in esame e che una determinazione verrà comunicata a giorni, ha aggiunto il giornale.

 

Anche nell’Unione Europea, l’assistenza ai profughi ucraini è messa alla prova, con vari esecutivi che stanno tagliando i piani di supporto per via di vincoli di bilancio. Dati Eurostat mostrano un recente incremento degli arrivi di maschi ucraini in età da leva nell’UE, in scia alla scelta del presidente Volodymyr Zelens’kyj di allentare i divieti di espatrio per la fascia 18-22 anni. Tale emigrazione continua di uomini abili al reclutamento sta acutizzando le già critiche carenze di forza lavoro in Ucraina.

 

Germania e Polonia, i due Stati membri che accolgono il maggior numero di ucraini, hanno di recente varato restrizioni sui sussidi, malgrado un calo del consenso popolare.

 

Il presidente polacco Karol Nawrocki ha annunciato il mese scorso che non rinnoverà gli aiuti sociali per i rifugiati ucraini oltre il 2026. A quanto pare, l’opinione pubblica polacca sui profughi ucraini si è inasprita dal 2022, per via di frizioni sociali e del diffondersi dell’idea che rappresentino un peso o una minaccia criminale.

 

Quest’anno, i giovani ucraini hanno provocato quasi 1.000 interventi delle forze dell’ordine per scontri, intossicazione alcolica e possesso di armi non letali in un parco del centro di Varsavia, ha rivelato all’inizio della settimana Gazeta Wyborcza.

 

Una sorta di cecità selettiva, o di compiacenza, di Tel Aviv nei confronti del neonazismo ucraino pare emergere anche da dichiarazioni dell’ambasciatore dello Stato Ebraico a Kiev, che ha detto di non essere d’accordo con il fatto che Kiev onori autori dell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale come eroi nazionali, tuttavia rassicurando sul fatto che tale disputa non dovrebbe rappresentare una minaccia per il sostegno israeliano al governo ucraino.

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Secondo un articolo del Washington Post, circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbero fuggiti dal Paese dall’inizio del conflitto con la Russia.

 

Come riportato da Renovatio 21le pressioni dell’amministrazione Biden su Tel Aviv per la fornitura di armi a Kiev risale ad inizio conflitto.

 

Tre anni fa l’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev aveva messo in guardia Israele dal fornire armi all’Ucraina in risposta alle affermazioni secondo cui l’Iran sta vendendo missili balistici e droni da combattimento alla Russia.

 

Israele a inizio 2022 aveva rifiutato la vendita di armi cibernetiche all’Ucraina o a Stati, come l’Estonia, che potrebbero poi rivenderle al regime Zelens’kyj.

 

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Arte

Quattro Stati UE boicotteranno l’Eurovision 2026 a causa della partecipazione di Israele

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Spagna, Irlanda, Slovenia e Paesi Bassi hanno annunciato il boicottaggio del prossimo Eurovision Song Contest in seguito alla conferma della partecipazione di Israele. All’inizio del 2025 diverse emittenti avevano chiesto all’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), organizzatrice dell’evento, di escludere Israele accusandolo di brogli nel voto e per il conflitto in corso a Gaza.   L’ultima tregua, mediata dagli Stati Uniti, avrebbe dovuto porre fine ai combattimenti e permettere l’arrivo di aiuti umanitari nell’enclave, ma da quando è entrata in vigore gli attacchi israeliani hanno causato 366 morti, secondo il ministero della Salute di Gaza.   Il tutto si inserisce in un anno di escalation iniziato con l’offensiva israeliana lanciata in risposta all’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, che provocò 1.200 morti e il rapimento di 250 ostaggi. Da allora, secondo le autorità sanitarie locali, l’operazione militare israeliana ha ucciso oltre 70.000 palestinesi.

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Le decisioni di ritiro sono arrivate giovedì, subito dopo l’approvazione da parte dell’EBU di nuove regole di voto più rigide, varate in risposta alle accuse di diverse emittenti europee secondo cui l’edizione 2025 era stata manipolata a favore del concorrente israeliano.   Poche ore più tardi l’emittente olandese AVROTROS ha comunicato l’addio al concorso: «La violazione di valori universali come l’umanità, la libertà di stampa e l’interferenza politica registrata nella precedente edizione dell’Eurovision Song Contest ha oltrepassato un limite per noi».   L’emittente irlandese RTÉ ha giustificato la propria scelta con «la terribile perdita di vite umane a Gaza», la crisi umanitaria in corso e la repressione della libertà di stampa da parte di Israele, annunciando anche che non trasmetterà l’evento.   Anche la televisione pubblica slovena RTVSLO ha confermato il ritiro: «Non possiamo condividere il palco con il rappresentante di un Paese che ha causato il genocidio dei palestinesi a Gaza», ha dichiarato la direttrice Ksenija Horvat.   Successivamente è arrivata la decisione della spagnola RTVE, che insieme ad altre sette emittenti aveva chiesto un voto segreto sull’ammissione di Israele. Respinta la proposta dall’EBU, RTVE ha commentato: «Questa decisione accresce la nostra sfiducia nell’organizzazione del concorso e conferma la pressione politica che lo circonda».

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Per far fronte alle polemiche, gli organizzatori dell’Eurovision hanno introdotto nuove misure anti-interferenza: limiti al televoto del pubblico, regole più severe sulla promozione dei brani, rafforzamento della sicurezza e ripristino delle giurie nazionali già nelle semifinali.   Come riportato da Renovatio 21, due anni fa arrivò in finale all’Eurovisione una sedicente «strega» non binaria che dichiarò di aver come scopo il «far aderire tutti alla stregoneria».   Vi furono polemiche quattro anni fa quando la Romania accusò che l’organizzazione ha cambiato il voto per far vincere l’Ucraina.   Due anni fa un’altra vincitrice ucraina dell’Eurovision fu inserita nella lista dei ricercati di Mosca.   Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha lanciato un’«alternativa morale» all’Eurovision, che secondo il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov sarà «senza perversioni».

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