Civiltà
La Siria, il suo re e la sua regina
Un video emerge dalla rete. Mostra immagini tratte dalla visita del presidente della Repubblica Araba di Siria e della sua consorte negli ospedali dove sono ricoverati i feriti a seguito dell’immane sisma della settimana scorsa. La catastrofe per la quale noi, «l’Occidente», abbiamo già detto di non voler inviare aiuti per non favorire chi non se lo merita.
Alla classe radiosa di questa coppia eravamo già abituati. Li abbiamo visti altre volte incontrare il loro popolo, li abbiamo visti anche negli ospedali quando a uccidere i siriani a migliaia non erano i terremoti, ma i terroristi e gli islamisti takfiri, più o meno tutti pagati dagli USA.
La pioggia di sangue scatenata dalla primavera araba – cioè, dal progetto americano volto a ribaltare ogni Stato mediorientale per infilare al potere i Fratelli Musulmani – si abbatteva sulla Siria ormai dodici anni fa.
La disgrazia certo non è finita: ancora oggi, non sono i tagliagole dello Stato Islamico a bombardare aeroporti, strade, città (perfino Damasco), ma i jet dello Stato Ebraico indisturbati dai media occidentali. Come altri Paesi liberi, la Siria, che porta in sé i semi della storia del mondo, va rasa al suolo.
Bashar e Asma Assad visitano un ospedale dopo il terremoto pic.twitter.com/RjbDtwiCZ4
— Renovatio 21 (@21_renovatio) February 12, 2023
Nell’arco di questo tempo di attacchi e di dolori, gli Assad sembrano non essere invecchiati di un giorno. Sono uniti, belli, coraggiosi. Sono umili. Non si nascondono, nemmeno dissimulano le proprie credenze e le proprie abitudini: Asma, che non indossa il velo, incontra con incantevole naturalezza la vecchietta che invece ce l’ha, e va bene così. La molteplicità tollerante dello Stato siriano – fatto di sunniti, di cristiani, di alauiti (come Assad) – è un dato di fatto, un’armonia civile che i padroni del mondo, scatenando contro Damasco il fondamentalismo wahabita più sanguinario, hanno cercato invano di cancellare. E sì, sono proprio gli stessi signori che nelle scuole occidentali fanno cantare insistentemente ai nostri figli i ritornelli della inclusione, della diversity, della equality, e di tutte quelle belle cose lì, vuote di senso e piene di menzogna.
Dobbiamo ammetterlo: la coppia di Damasco sprigiona un fascino antico, qualcosa che forse è diventato indicibile e si ha quasi paura a parlarne, perfino a pensarlo – nel sovrano, giustizia, bontà e bellezza si fondono insieme.
Si capisce quanto questa idea vada completamente contro il mondo moderno e il sistema politico chiamato a sorreggerlo. La democrazia ti impone di farti andar bene, più o meno temporaneamente, quello che passano le elezioni, anche se sia con evidenza privo degli attributi minimi per cui lo si possa ammirare, tantomeno amare. L’eletto, così come le sue appendici famigliari, sono gli unti dello stigma democratico e tanto deve bastare.
Guardando il video, viene quindi spontanea la comparazione con quanto c’è in circolo nel blasonato Occidente.
Negli USA, un tizio in stato di conclamata demenza senile esibisce una moglie che tutti devono chiamare doctor chissà perché e che pochi giorni fa ha baciato in bocca il first-vice-husband, marito di Kamala Harris; la first-famiglia si completa con il perverso figlio Hunter, già dipendente dal crack (mentre il padre è autore della legge che punisce manda in galera migliaia di consumatori), amante della cognata vedova, utilizzatore finale di prostitute i cui video, ritrovati nel famoso laptop, sono stati caricati perfino su siti porno; ai tre si aggiunge la figlia Ashley, pure lei munita di problemi psichici non indifferenti se nel suo diario (recuperato con un raid dell’FBI a casa del giornalista che ne era entrato in possesso dopo che lei lo aveva lasciato in giro) scrive che, forse, la sua sex-addiction potrebbe derivare dall’abitudine di fare la doccia col padre.
La Casa Bianca, ricordiamolo, rappresenta l’esempio morale che sta negando gli aiuti ai siriani indegni, perché l’embargo deve continuare.
Ma quello americano non è il solo quadretto grottesco offerto dal decadente potere occidentale.
In Francia abbiamo una situazione di coppia presidenziale sulla quale è bello tacere. Anche perché ciò che appare è appena una parte delle complicate passioni del capo dello Stato.
A Londra un ridente e misterioso indiano, discepolo del finanziere che per primo investì nella startup Moderna nel 2011, ha appeso il cappello in una famiglia di tecnocrati ultramiliardari di Bangalore. Giornali e popolazione dell’India stanno impazzendo per capire a quale casta appartenga il premier, che, molto stranamente per un PIO (Person of Indian Origin), egli giammai ha rivelato.
In Germania non è dato sapere con chi si accompagni il cancelliere, ma tanto è del tutto ininfluente, come lui. Prima anche lì c’era un first-Mann: il defilato professore universitario di chimica quantistica, marito della Merkel, che appena la moglie ha mollato il potere si è precipitato a insegnare a Torino.
In Italia, per ragioni di vedovanza, abbiamo una first-figlia (come già nel caso dell’indimenticato Oscar Luigi Scalfaro), ma è risaputo che di lui non si può, per legge e non solo, proferire parola.
Dopo questa veloce carrellata, riportiamo la mente alle immagini del video: alla semplice maestà degli Assad. Quattro anni fa sulla figura del presidente siriano scrivemmo un articolo, in occasione della bella intervista che gli dedicò Monica Maggioni senza tuttavia ottenere grande risalto sui media.
«In una guerra nazionale come questa, in cui quasi tutte le città sono state danneggiate dal terrorismo o dai bombardamenti esterni, allora puoi parlare di tutti i siriani come sopravvissuti…Faccio parte di quei siriani, non posso essere disconnesso da loro».
L’intervista diceva tutto: «non c’è stata una guerra settaria, non c’è stata una guerra etnica, non c’è stata una guerra politica: erano terroristi, sostenuti da potenze estere che avevano denaro e armamenti e occupavano quelle aree».
A Bergoglio che in quei giorni gli dava lezioni di umanità, Assad rispondeva con una lezione di logica, spiegando come «senza il sostegno del popolo non puoi avanzare politicamente, militarmente, economicamente e in ogni aspetto. Non avremmo potuto sostenere questa guerra per nove anni senza il sostegno pubblico. E non avremmo potuto avere sostegno pubblico mentre si stavano uccidendo civili. Questa è una equazione, una equazione evidente, nessuno può smentirla».
Diceva di difendere «l’integrità e la sovranità» del suo Paese, a costo della sua stessa esistenza: «il mio lavoro non è quello di essere contento di quello che sto facendo o di non essere felice o altro, non riguarda i miei sentimenti, riguarda gli interessi della Siria, quindi ovunque andranno i nostri interessi, lì andrò anch’io».
Questa disposizione dell’animo, nel sovrano e nella sua consorte, si percepisce come qualcosa di non costruito, di non artefatto; ma quale frutto naturale di una terra e di una civiltà che, intrise di storia, di cultura e di bellezza, ne irradiano i figli prediletti.
Per il mondo della dissoluzione liberaldemocratica, è qualcosa di intollerabile, che dunque va negato, nascosto, bombardato quanto prima. Il sovrano amato dal popolo, il sovrano retto, il sovrano che si immola per la sua gente (quante comode proposte di esilio gli saranno state fatte? Quante?) agisce come la luce del sole per i vampiri, che corrono isterici da tutte le parti.
Viviamo in un mondo di vampiri, e un sovrano come Assad, unito alla sua bella moglie fedele, rappresenta un sole.
È bello, è caldo, disinfetta.
Quanto ne avremmo bisogno anche noi?
Roberto Dal Bosco
Elisabetta Frezza
Immagine di Ricardo Stuckert/ABr via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Brazil (CC BY 3.0 BR)
Civiltà
Gli Stati Uniti mettono in guardia l’Europa dalla «cancellazione della civiltà»
L’Europa rischia la «cancellazione della civiltà», in quanto i leader del continente promuovono la censura, soffocano le voci dissidenti e ignorano gli effetti dell’immigrazione incontrollata, avverte la nuova Strategia per la sicurezza nazionale diffusa dall’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump.
Il testo, dal tono aspro e innovativo, reso pubblico venerdì, rileva che, sebbene l’Unione Europea mostri chiari segnali di stagnazione economica, è il suo deterioramento culturale e politico a costituire una minaccia ben più grave.
La strategia denuncia le scelte migratorie dell’UE, la repressione dell’opposizione, i vincoli alla libertà di espressione, il crollo della natalità e la «perdita di identità nazionali e di autostima», ammonendo che il Vecchio Continente potrebbe risultare «irriconoscibile entro 20 anni o anche meno».
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Secondo il documento, numerosi governi europei stanno «intensificando i loro sforzi lungo la traiettoria attuale», mentre Washington auspica che l’Europa «rimanga europea» e si liberi dal «soffocamento regolatorio», un’allusione evidente alle tensioni transatlantiche sulle norme digitali dell’UE, accusate di penalizzare colossi tech americani come Microsoft, Google e Meta.
Tra le priorità degli Stati Uniti figura il «coltivare la resistenza alla traiettoria odierna dell’Europa all’interno delle nazioni europee», precisa il testo.
La strategia trumpiana esalta inoltre l’emergere dei «partiti patriottici europei» come fonte di «grande ottimismo», alludendo al boom di consensi per le formazioni euroscettiche di destra che invocano restrizioni ferree ai flussi migratori in tutto il blocco.
Il documento sentenzia che «l’era delle migrazioni di massa è conclusa». Sostiene che questi flussi massicci abbiano prosciugato le risorse, alimentato la criminalità e minato la coesione sociale, con l’obiettivo americano di un ordine globale in cui gli Stati sovrani «collaborino per bloccare anziché solo gestire» i movimenti migratori.
Tale posizione si inserisce nel contesto delle spinte di Trump affinché i partner europei della NATO incrementino le spese per la difesa. In passato, il presidente aveva ventilato di non tutelare i «paesi inadempienti» in caso di aggressioni, qualora non avessero accolto le sue istanze. Durante un summit europeo all’inizio dell’anno, l’alleanza ha approvato un piano per elevare la spesa complessiva in difesa fino al 5% del PIL, superando di gran lunga la soglia del 2% a lungo stabilita dalla NATO.
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Civiltà
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Civiltà
Chiediamo l’abolizione degli assessorati al traffico
Renovatio 21 propone una soluzione apparentemente drastica, ma invero assai realistica, ad uno dei problemi che affligge l’uomo moderno: il traffico.
Non si parla di una questione da niente, e ci rendiamo conto che essa pertiene propriamente alla catastrofe del mondo odierno, e proprio per questo serve una modifica radicale di carattere, soprattutto, istituzionale.
Lo aveva capito il genio di Marshall McLuhan: «La strada è la fase comica dell’era meccanica (…) Il traffico è l’aspetto comico della città» (Gli Strumenti del comunicare, 1964). Il culmine comico dell’era dell’industria: la civiltà costruisce strade ed automobili per muoversi in libertà e rapidità, e si ritrova imbottigliata per ore, innervosita, massacrata da miriadi di leggi, restrizioni, multe.
Il traffico è un fenomeno generatore di caos e dolore, di isterie e sprechi – il tutto subito sulla nostra pelle, ogni singolo giorno – al quale nessuno sembra trovare soluzione, soprattutto quanti sarebbero preposti a risolverlo. Costoro sembrano invece, consapevoli o no, impegnati nell’aggravarsi del dramma.
Davanti a noi abbiamo la degradazione continua, inarrestabile della mobilità urbana. È difficile trovare qualcuno che possa dire che il traffico è migliorato, o che una soluzione azzeccata adottata su una qualche strada non sia stata poi azzerata da una scelta successiva, calata, come tutte, dall’alto, sul cittadino schiavo inerme.
Crediamo che uno dei motivi di tale regressione diacronica ed ubiqua sua l’esistenza dei cosiddetti assessorati al traffico, che si chiamano in vari modi (uffici mobilità, dipartimento dei trasporti, direzione viabilità), ma che sono tutti costruiti attorno ad uno assunto semplice: spendere un determinato budget per cambiare le strade.
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Probabilmente la questione è davvero così semplice: nell’impossibilità di non spendere l’ammontare di danaro assegnato (grande tabù per qualsiasi ente pubblico: i soldi che risparmi non generano un premio, ma una diminuzione della cifra che arriva l’anno dopo) gli assessori e i loro scherani non possono che mettere mano ovunque, con decisioni a volte incomprensibili, a volte ideologiche, e quasi sempre dannosissime.
Ecco che, perché l’assessorato deve fare qualcosa, invertono un senso unico, cagionando il disorientamento totale del cittadino automunito, che d’un tratto si trova non solo multato, ma anche al centro di un pericolo per sé e per gli altri. Ricordiamo le tecniche dei missionari: cambiare la forma del villaggio è aprire la mente dell’indigeno all’altro, qui tuttavia non c’è il Vangelo a dover essere diffuso, ma il nulla di una decisione burocratica stupida e gratuita – gratuita per modo di dire, perché anche per un’inezia del genere vi è un costo non indifferente per il contribuente.
Ecco che, perché l’assessore deve finire sui giornali, l’area viene pedonalizzata: ZTL laddove prima potevi passare per portare i figli a scuola o fermarti nel negozietto (che ne patirà, ovvio, le conseguenze). Sempre considerando che le ZTL sono da vedersi come riserve indiane degli elettori dei partiti di sinistra, gli unici che possono permettersi di vivere in centro.
Ecco che, perché l’assessore deve far carriere nel partitello con le fisime ecologiche, laddove c’erano due corsie ce ne troviamo una sola, con una, perennemente vuota, riservata ad autobus che fuori dalle ore di scuola sono oramai solo utilizzati da immigrati che con grande probabilità non pagano il biglietto e in caso potrebbero pure picchiare il controllore (succede, lo sapete). Il risultato è, giocoforza, un imbottigliamento ancora più ferale, un’eterogenesi dei fini per politica ecofascista che è, in ultima analisi, solo una mossa di PR inutile quanto oscena.
Ecco la sparizione di parcheggi gratuiti – grande segno della fine della Civiltà – così da scoraggiare, come da comandamento di Aurelio Peccei, l’uso dell’auto che produce anidride carbonica, orrenda sostanza per qualche ragione alla base della chimica organica e quindi della vita stessa, soprattutto quella umana. Chi va all’Estero – non in Giappone, ma in un Paese limitrofo come l’Austria – sogna vedendo la quantità di parcheggi sotterranei creati attorno alle cittadine, senza tanti problemi per gli scavi al punto che, con recente politica, il rampollo Porsche si è fatto il suo tunnel che lo porta da casa al centro di Salisburgo in un batter d’occhio.
Il superamento del traffico attraverso la dimensione infera è stato compreso, con la solita mistura di genio e concretezza, da Elon Musk con la sua Boring Company: se vuoi migliorare la tragedia del traffico l’unico modo di farlo è andando verso il basso, anche se sembrerebbe che il prossimo misterioso modello di Tesla, la Roadster, potrebbe poter operare verso l’alto. Noi, tuttavia, non abbiamo Elone, abbiamo gli assessori al traffico.
E poi, i capolavori – sempre trainati da ideologia verde, interessi cinesi impliciti e tagli di nastro sul giornale – della «micromobilità», con i monopattini e le bici «free-floating» rovinate, abbandonate e utilizzate, in larghissima parte, dalle masse di eleganti africani, che magari con esse si spostano con più agilità per certe loro attività, come lo spaccio di droga: massì, vuoi non pagargli, oltre che vitto-alloggio-acqua-gas elettricità-internet-telefonino-avvocato-sanità-bei vestiti alla moda anche dei mezzi di trasporto con cui, appunto, possono evitare il traffico? Tipo: un inseguimento di una gazzella della Polizia nel traffico contro un criminale in monopattino, come finisce? L’eterogenesi dei fini qui non è nemmeno comica, è tragicomica, o tragica e basta.
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Potremmo continuare con la lista. Laddove c’era una rotonda che funzionava meglio di un semaforo (ogni tanto, qualcuna la devono azzeccare, ma non dura) ecco che te la cancellano e ci mettono cordoli, fiori, pianticelle, magari perfino un monumento orrendo o una fontana lercia.
Laddove c’era una strada larga, eccotela divorata da un nuovo mega-marciapiede che non usa nessuno, se non i ciclofascisti zeloti, i quali tuttavia divengono presto vittime della follia viabilitaria, con sensi unici e corsie di trenta centimentri anche per i velocipedi.
Laddove c’era una strada dritta che in 50-100 metri ti portava allo snodo, loro, per farti arrivare al medesimo punto, ti costruiscono una deviazione di mezzo chilometro che ti manda sotto un supermercato, un tribunale, una palestra, una pizzeria, appartamenti di lusso e uffici pubblici – insomma un bel progetto di complessone che qualcuno deve aver costruito e in qualche modo venduto, con tutti incuranti del fatto che se all’esame di urbanistica all’Università proponevi una cosa del genere venivi bocciato seduta stante.
Laddove devono costruire una tangenziale, magari con decenni di ritardo, ti rendi conto che si dimenticano di fare le uscite nei comuni che attraversa e ci fanno l’immissione con uno stop invece di una corsia di accelerazione, con il risultato che entri a 0 km/h in una strada dove da sinistra ti arriva uno che viaggia ufficialmente a 70-90 km/h, che poi divengono sempre 100-120 km/h se non, nel caso del tizio con l’Audi in leasing, cinque vaccini e chissà cos’altro in corpo, perfino di più.
E non parliamo dei casi di corruzione che saltano fuori in quegli uffici – dove ci sono appalti, ci sono mazzette, uno pensa. Ma non è nemmeno questo il punto: nel disastro, gli effetti della malizia possono essere indistinguibili da quelli dell’ebetudine conclamata dei soggetti e del sistema.
È difficile, davvero, trovare qualcosa di positivo in quello che fanno quanti sono politicamente preposti al miglioramento della mobilità – cioè dell’esistenza – dei cittadini. Il motivo, lo ripetiamo, è strutturale: gli assessorati sono macchine strutturate per modificare, cioè complicare, le cose. In pratica, sono l’essenza stessa della burocrazia, con effetti fisici però immediati e devastanti.
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La soluzione a tutto questo potrebbe essere davvero facile-facile: abolizione completa degli assessorati al traffico. Con essa, si perderebbe l’incentivo strutturale a cambiare sempre e comunque tutto, e a valutare con più responsabilità le innovazioni.
Immaginiamo che se la viabilità fosse fra le mansioni dirette del sindaco, cioè se la responsabilità fosse la sua, le decisioni sulla mobilità sarebbero più dosate e sensate, perché esposte al popolo con il quale il primo cittadino ha certo un rapporto più diretto, nonché mediato dal voto, passato e soprattutto futuro.
È una proposta che non sappiamo se sia già stata fatta. Certo si possono valutare cose anche più radicali: come la punizione per quanti complicano e distruggono la viabilità delle nostre città. Lo sappiamo, è la mancanza di castigo che crea aberrazioni ed orrori, con la devastazione di tanta parte d’Italia dovuta a questo principio di irresponsabilità della casta politico-burocratica.
La realtà è che, per ottenere qualcosa, il cittadino sincero-democratico automunito deve arrabbiarsi molto di più. Non basta ringhiare al bar, o imprecare dentro l’abitacolo, magari pure, a certe latitudini, suonando il clacsone. Non serve alimentare un sistema che, alla fine, continua a produrre assessori al traffico, e traffico.
No, serve davvero di più. Perché l’auto è davvero un mezzo di libertà, e aggiungiamo, di vita – l’auto è uno strumento della famiglia. Chi vuole togliervela – come quelli di Davos, le cui idee percolano poi giù giù fino al vostro assessorino – odia la vita, odia voi e i vostri figli.
Chiedere l’abolizione degli assessorati al traffico ci sembra il minimo che possiamo fare se vogliamo sul serio lottare per la Civiltà.
Roberto Dal Bosco
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