Gender
La Russia verso il divieto per i cambi di sesso
Lo scorso mercoledì il Parlamento russo ha avanzato la proposta di vietare quasi tutti gli interventi chirurgici di riassegnazione del sesso, nonché i cambiamenti di genere sui documenti ufficiali. Lo riporta il sito russo RT.
Il portavoce della Duma di Stato Vjacheslav Volodin ha citato le statistiche statunitensi come argomento per procedere rapidamente e «vietare tutta questa fornicazione» (sic).
Gli emendamenti a due leggi sono stati approvati da oltre 400 dei 450 deputati in prima lettura, e ora sono diretti alle regioni e ai ministeri per la consultazione. Volodin ha detto ai giornalisti che spera che la versione finale venga adottata prima della fine dell’attuale sessione legislativa, nella primavera del 2024.
Uno degli emendamenti vieterebbe agli operatori sanitari «interventi medici volti a cambiare il sesso di una persona, inclusa la formazione delle caratteristiche sessuali primarie e (o) secondarie dell’altro sesso».
Un altro bloccherebbe le richieste amministrative di cambio di sesso su documenti ufficiali senza la prova di un intervento chirurgico, che peraltro sarebbe presto bandito. Gli emendamenti proposti consentirebbero tuttavia alcune procedure chirurgiche per porre rimedio alle «anomalie congenite» nei bambini.
In un discorso in aula, Volodin ha detto che secondo le leggi esistenti, un russo potrebbe andare in una clinica, pagare 30-60.000 rubli (dai 328 ai 656 euro) per un cambio di sesso, ottenere i documenti che confermano il loro nuovo nome, e poi «contrarre matrimonio e – Dio non voglia! – adottare un bambino».
«La parte peggiore è l’abuso sui bambini», ha detto Volodin ai legislatori russi. «Negli Stati Uniti, dove vengono promossi questi nuovi pseudo-valori, la percentuale di persone transgender tra gli adolescenti è già tre volte superiore a quella tra gli adulti. Questo è il risultato della propaganda. Il numero di bambini sottoposti a terapia ormonale è più che raddoppiato in cinque anni. Pompare i bambini con gli ormoni inizia all’età di otto anni. In soli cinque anni, tra il 2017 e il 2021, sono stati eseguiti più di 2.000 interventi di cambio di genere su ragazzi dai 13 ai 17 anni».
Il portavoce del Parlamento russo ha quindi esortato il ministero della Salute a non inventare emendamenti basati su preoccupazioni per il benessere delle persone. Il modo corretto di prendersi cura delle persone è «vietare questa fornicazione», ha sostenuto Volodin usando questa espressione.
Il ministero ha risposto alla proposta con una lettera «molto emotiva», ha detto alla camera il vicepresidente Petr Tolstoj, che ha parafrasato l’argomentazione del ministero affermando che il disegno di legge causerebbe «problemi etici, medici e sociali» a individui la cui documentazione non «corrisponderà più alla realtà che si è sviluppata nelle loro teste» e che di conseguenza potrebbero suicidarsi.
Il vice ministro della Sanità Oleg Salagay ha affermato che i transessuali continueranno a ricevere le normali cure mediche se gli emendamenti fossero approvati, osservando che un totale di 996 persone hanno presentato richieste di cambio di sesso sui loro passaporti nel 2022, ma «molte meno» si sono sottoposte a interventi chirurgici.
Lo scorso novembre, Volodin aveva guidato l’adozione di un divieto di tutta la «propaganda LGBTQ, pedofilia e cambio di sesso» in tutte le pubblicità, i libri, i film e i media, sostenendo che la mossa avrebbe «protetto i nostri figli, il futuro del Paese, dall’oscurità diffusa dagli Stati Uniti e dagli Stati europei».
Come riportato da Renovatio 21, a inizio giugno l’ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede ha esposto una bandiera omosessualista che non presenta solo il classico arcobaleno invertito, ma anche il triangolo nero-marrone-azzurro-rosa-bianco tipico del vessillo dei transessuali. La missione diplomatica USA presso la Santa Sede sei mesi fa ha celebrato il «Transgender Day of Remembrance», il «giorno del ricordo transgender che offre un omaggio «a quelli della comunità transgender che sono stati assassinati a causa dell’odio».
Come noto, i transessuali americani, oramai organizzati in gruppi isterici e pure armati, avevano indetto per lo scorso 1° aprile un «giorno della vendetta transgender». Secondo molti, tra aggressioni, roghi di libri e insurrezioni per chiedere la chirurgia trans sui più piccoli, siamo davanti ad un fenomeno di radicalizzazione consistente, fiancheggiato con decisione da una certa parte della classe medica e financo dalla Casa Bianca stessa.
Nel frattempo continuano nel mondo a fioccare storie, e querele, di ex transessuali (i cosiddetti «detransizionati») che hanno avuto gli organi sessuali e parti del corpo asportati chirurgicamente in operazioni di «riassegnazione del genere», una pratica sempre più controversa pure in Occidente, che nasconde pure una storia oscura.
Negli USA si sta registrando una presa di coscienza del problema che da manifestazioni di massa è passato a tradursi in leggi che vietano i trattamenti gender paragonandoli all’abuso sui minori.
Gender
La prima donna primo ministro del Giappone si oppone al «matrimonio» omosessuale
La nuova prima ministra giapponese, Sanae Takaichi, prima donna a ricoprire questa carica, si oppone al «matrimonio» omosessuale.
Takaichi, insediatasi martedì, ha espresso durante un dibattito elettorale dello scorso mese la sua contrarietà al «matrimonio» omosessuale, pur definendo «giusta» una relazione omosessuale, secondo il sito di informazione LGBT Them.
Nel 2023, durante una riunione della commissione bilancio del governo, ha descritto la legalizzazione del «matrimonio» omosessuale come una «questione estremamente complessa», citando un articolo della costituzione giapponese che definisce il matrimonio come basato sul «consenso reciproco di entrambi i sessi».
Le posizioni di Takaichi sul «matrimonio» omosessuale, non legale in Giappone, sono in contrasto con l’opinione pubblica del Paese, prevalentemente laica. Un sondaggio Pew del 2023 ha rilevato che circa il 70% dei giapponesi sostiene il «matrimonio» omosessuale, il tasso di approvazione più alto tra i Paesi asiatici analizzati.
Diverse città e località giapponesi emettono «certificati di unione» per le coppie omosessuali. Ad esempio, nel 2015 il distretto di Shibuya a Tokyo ha approvato una normativa che riconosce le coppie omosessuali «come partner equivalenti a quelli sposati per legge».
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Inoltre, l’anno scorso un’Alta corte giapponese ha stabilito che il divieto del codice civile sul «matrimonio» omosessuale viola il principio costituzionale contro la discriminazione basata su «razza, credo, sesso, status sociale o origine familiare». Tuttavia, le Alte corti giapponesi non possono abrogare il divieto, rendendo la sentenza simbolica.
Paradossalmente, nonostante sia la prima donna a capo del governo giapponese, l’amministrazione di Takaichi è stata criticata dalla sinistra come un ostacolo per la «parità di genere» e i «diritti delle minoranze sessuali». L’emittente pubblica americana PBS News l’ha definita «non femminista».
Takaichi sostiene la successione esclusivamente maschile della famiglia imperiale, che ha un ruolo cerimoniale, e si oppone alla possibilità per le coppie sposate di mantenere cognomi separati, sostenendo che ciò potrebbe «minare la struttura sociale basata sulle unità familiari». Tuttavia, non insiste sul fatto che la donna debba adottare il cognome del marito. Curiosamente, il marito di Takaichi, il politico LDP Taku Yamamoto, ha preso il suo cognome quando si sono risposati, per cui ora legalmente si chiama Taky Takaichi
«La nascita della prima donna primo ministro giapponese è storica, ma (Takaichi) rappresenta un’ombra per la parità di genere e i diritti delle minoranze sessuali», ha dichiarato a PBS Soshi Matsuoka, attivista LGBT. «Le opinioni di Takaichi su genere e sessualità sono estremamente conservatrici e potrebbero costituire un grave ostacolo per i diritti, in particolare per le minoranze sessuali».
Il Giappone resta uno dei pochi Paesi sviluppati, insieme a Paesi come Corea del Sud e Repubblica Ceca, a non aver legalizzato il «matrimonio» omosessuale.
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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution 4.0 International
Gender
Il Parlamento austriaco vieta il linguaggio «inclusivo di genere» nelle sue comunicazioni ufficiali
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Gender
Il transgenderismo è in declino tra i giovani americani: «una moda in declino»
Un recente rapporto indica un calo nell’identificazione transgender tra i giovani americani, dopo il picco registrato durante l’amministrazione Biden.
Il rapporto, intitolato «The Decline of Trans and Queer Identity among Young Americans», redatto dal professor Eric Kaufmann, analizza i dati di studenti universitari negli Stati Uniti attraverso sette fonti.
I risultati mostrano che l’identificazione transgender è scesa a circa la metà rispetto al massimo raggiunto nel 2023, passando dal 7% al 4%.
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Tra il 2024 e il 2025, meno studenti universitari del primo anno si sono identificati come «trans o queer» rispetto agli studenti dell’ultimo anno, invertendo la tendenza osservata nel 2022-2023.
Anche l’identificazione come «non binario» (né uomo né donna) è diminuita della metà in tre delle cinque fonti di dati dello studio. L’identificazione eterosessuale è in aumento, pur rimanendo inferiore rispetto al 2020, mentre quella gay e lesbica è rimasta stabile.
«Questo suggerisce che la non conformità di genere/sessuale continuerà a diminuire», ha scritto Kaufmann su X, commentando i risultati, definendo l’identità transgender e queer una «moda» ormai in declino.
«Il calo delle persone trans e queer sembra simile allo svanire di una tendenza», ha affermato, sottolineando che tale cambiamento è avvenuto indipendentemente dalle variazioni nelle convinzioni politiche o nell’uso dei social media, ma con un ruolo significativo del miglioramento della salute mentale.
«Gli studenti meno ansiosi e, soprattutto, meno depressi [sono] associati a una minore percentuale di identificazioni trans, queer o bisessuali», ha aggiunto.
Come riportato da Renovatio 21, gennaio, il presidente Trump – che prima di rientrare alla Casa Bianca aveva promesso di fermare la «follia transgender» dal primo giorno della sua presidenza –ha firmato un ordine esecutivo per vietare al governo federale di finanziare o promuovere la transizione di genere nei minori. «Questa pericolosa tendenza sarà una macchia nella storia della nostra nazione e deve finire», ha dichiarato.
Sono seguiti interventi dell’amministrazione Trump contro il reclutamento di trans nell’esercito (nonché la cacciata dei già recluati) e la partecipazione di transessuali maschi alle gare sportive delle donne. «la guerra allo sport femminile è finita» ha dichiarato il presidente americano.
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Secondo il Williams Institute, il 76% delle persone transgender (circa 2,8 milioni) ha meno di 35 anni, di cui il 25% (724.000) è tra i 13 e i 17 anni. Il rapporto evidenzia che la composizione razziale delle persone transgender riflette quella degli Stati Uniti. Circa un terzo si identifica come donna, un terzo come uomo e un terzo come non binario.
Dal 2022, il Williams Institute stima che il numero di persone transgender sia cresciuto da 1,6 milioni a 2,8 milioni, un aumento del 75% in tre anni.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa uno studio dell’ente americano Public Religion Research Institute (PRRI) aveva rivelato che più di un americano su quattro (28%) di età compresa tra 18 e 25 anni, nota come Generazione Z, si è identificato come LGBT.
La «moda» ora può essere finita. Tuttavia, ci chiediamo: quale ne è stato il prezzo?
Quanti ragazzi castrati per sempre? Quante ragazze mutilate dei seni? Quanti adolescenti intossicati di steroidi sintetici? Quante famiglie lacerate e distrutte?
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