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Persecuzioni

La Pasqua è stata soppressa nella Repubblica Democratica del Congo

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Nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC), ai cattolici è stato impedito di celebrare la Pasqua a causa dei raid mortali effettuati dal gruppo ribelle ugandese ADF – Forze Democratiche Alleate – affiliato all’organizzazione Stato Islamico (IS).

 

Nella provincia del Nord Kivu lo spirito è quello di non celebrare la Pasqua: «Sono cattolico. Prima i sacerdoti venivano tutte le domeniche e durante il triduo pasquale organizzavano il catechismo e le messe serali, ma ora questo è impossibile. Ci siamo riuniti nella nostra cappella, ma oggi tutti restano a casa; abbiamo paura che i ribelli ci attacchino lì durante la messa», confida Zahabu Kavira, residente a Maleki, un piccolo villaggio vicino a Oicha, nella parte orientale del Paese.

 

Nella notte tra il 2 e il 3 aprile 2024, in piena settimana di Pasqua, almeno dieci persone hanno perso la vita nella regione e diversi edifici sono stati dati alle fiamme in seguito ad un attacco attribuito agli islamisti dell’ADF.

 

Tra le strutture prese d’assalto dagli aggressori c’era il centro sanitario locale, parzialmente bruciato, oltre a una dozzina di abitazioni ed edifici commerciali. Da parte loro, gli abitanti del villaggio non capiscono come gli aggressori abbiano potuto agire così facilmente in una zona dove sono presenti soldati congolesi e ugandesi.

 

L’ADF è un gruppo ribelle ugandese da tempo stabilito nel Nord Kivu e nell’Ituri, che terrorizza le popolazioni locali. Nel 2019 il gruppo ha annunciato la sua affiliazione all’organizzazione dello Stato Islamico e ha preso il nome ISCAP (Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico).

 

Uno dei principali bersagli degli islamisti sono i giovani che vogliono essere tagliati fuori dall’ambiente educativo in cui la Chiesa è molto presente. Quasi trentamila studenti, tra cui undicimila ragazze, non possono più andare a scuola nel territorio di Irumu nell’Ituri e nel settore Eringeti nel Nord Kivu.

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Secondo una recente indagine condotta da un team di ispettori scolastici, 79 scuole primarie e secondarie di queste zone sono state chiuse a causa dell’insicurezza. Alcuni edifici scolastici furono bruciati dai ribelli.

 

Gli attacchi jihadisti contro i villaggi di Beni non hanno risparmiato le chiese. Attualmente le erbacce crescono attorno alle cappelle abbandonate. Frà Omer Sivendire è parroco della chiesa dello Spirito Santo di Oicha. Parla delle sue difficoltà nello svolgere il suo ministero in una regione sempre più afflitta dall’insicurezza.

 

Contrariamente alla sua abitudine, il sacerdote non ha potuto unirsi ai suoi parrocchiani per celebrare la Messa della Resurrezione: «in passato potevamo spostarci facilmente ovunque, ma oggi è impossibile, poiché i nostri cristiani vivono nell’insicurezza e anche noi. Abbiamo difficoltà ad arrivarci. Speriamo che l’anno prossimo potremo andare ovunque, ma quest’anno purtroppo no», lamenta il sacerdote cattolico.

 

Ma gli islamisti non sono gli unici a gettare la parte orientale della RDC in un caos spaventoso: da diversi mesi, altri ribelli conosciuti come M23 (Movimento 23 marzo) destabilizzano la regione con il sostegno attivo del vicino Ruanda che desidera esercitare controllo su una regione di transito per le risorse minerarie del Congo.

 

Un anno fa, il coordinatore del programma di disarmo, smobilitazione, recupero comunitario e stabilizzazione della RDC (P-DDRCS) identificò 266 gruppi armati presenti e attivi in ​​cinque province della parte orientale della RDC.

 

Le province di Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu, Maniema e Tanganica ospitano 252 gruppi armati locali e 14 gruppi stranieri.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di United Nations Photo via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

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Cina

Partita autunnale tra Santa Sede e Pechino

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Mentre il Partito Comunista Cinese aumenta la pressione sulla Chiesa cattolica in Cina, la consacrazione episcopale del nuovo vescovo ausiliare di Shanghai, il 15 ottobre 2025, riaccende le tensioni e illustra tutta la complessità del dossier avvelenato ora sulla scrivania di Papa Leone XIV.   L’ordinazione episcopale del vescovo Wu Jianlin si è svolta il 15 ottobre con misure di sicurezza degne di quelle imposte durante l’epidemia di COVID-19 nel Regno di Mezzo. Al punto che alcuni testimoni l’hanno descritta come una «cerimonia gremita»: circa seicento fedeli, tra sacerdoti, religiosi e laici, selezionati con cura, hanno partecipato all’evento, ma sono stati sottoposti a rigorosi controlli.   Consegna obbligatoria dei cellulari all’ingresso, controlli di accesso e una laconica dichiarazione ufficiale dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, che ignora le varie parole – peraltro molto consensuali – pronunciate dai prelati sul posto.   La cerimonia non ha mancato di lasciare un retrogusto: il prelato che ha presieduto la cerimonia non era altri che mons. Joseph Shen Bin, vescovo di Shanghai e presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, non riconosciuto da Roma e strettamente soggetto al Partito Comunista Cinese (PCC).

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Il vescovo Shen Bin, la cui nomina nell’aprile 2023 è stata imposta unilateralmente da Pechino, prima di essere ratificata retroattivamente da papa Francesco il 15 luglio, era circondato da tre vescovi riconosciuti in base all’accordo provvisorio concluso tra la Santa Sede e il Vaticano nel 2018: il vescovo Yang Yongqiang di Hangzhou, il vescovo Li Suguang di Nanchang e il vescovo Xu Honggen di Suzhou.   La situazione non è migliore per il vescovo ordinato il 15 ottobre: ​​l’elezione del vescovo Wu Jianlin, 55 anni e originario del distretto di Chongming, risale al 28 aprile 2025, periodo in cui la sede papale è vacante. Non si tratta di una circostanza di poco conto: ha permesso al regime cinese di aggirare i fragili meccanismi di consultazione previsti dall’accordo provvisorio del 2018.   Il nuovo prelato, che ha assunto l’incarico di amministratore diocesano dopo la morte del precedente vescovo nel 2013, incarna la fedeltà alla linea del presidente Xi Jinping. La sua approvazione da parte di Papa Leone XIV, datata 11 agosto 2025, è stata rivelata dalla Sala Stampa vaticana il giorno stesso dell’ordinazione: un modo per dimostrare che la Santa Sede si è trovata ancora una volta di fronte al fatto compiuto.   La consacrazione del 15 ottobre risuona come un gesto di fragile unità, illustrato dal messaggio inviato dal vescovo Thaddée Ma Daqin, l’altro vescovo ausiliare di Shanghai, confinato nel seminario di Sheshan per tredici anni per essersi dimesso dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, dimostrando così la sua distanza dal PCC.   Assente alla cerimonia, il vescovo Ma Daqin, ordinato nel 2012 con l’accordo del Vaticano, ha espresso il suo auspicio per l’armonia sulla rete WeChat controllata da Pechino: «sono lieto di apprendere che il vescovo Shen Bin ha ordinato stamattina padre Wu Jianlin come vescovo ausiliare. Credo fermamente che, con questo collaboratore, il vescovo Shen potrà guidare le opere della Chiesa cattolica a Shanghai verso uno sviluppo sempre maggiore, per la maggior gloria del Signore».   Eppure, lungi dal suscitare una gioia unanime, questa ordinazione provoca una lacerazione personale tra i cattolici di Shanghai, come testimonia una voce anonima raccolta da AsiaNews il 16 ottobre 2025: «a Shanghai, dovremmo gioire o dovremmo piangere?», si chiede questo fedele locale.   L’incoronazione del vescovo Wu Jianlin avviene in un contesto di relazioni sino-vaticane erose nel tempo: Sandro Magister interpreta questa sequenza come una manifestazione dell’arroganza di Pechino, amplificata dalla «sinizzazione» delle religioni voluta da Xi Jinping. L’accordo del 2018, che affida alle autorità cinesi la proposta iniziale dei candidati episcopali prima dell’approvazione papale, verrebbe così «disprezzato», nelle parole dell’esperto vaticano.   E il Vaticano, dopo aver protestato nel 2023 contro l’insediamento del vescovo Shen Bin, si accontenterebbe di una conferma silenziosa, ratificando peraltro altre tre nomine cinesi dall’elezione di papa Leone XIV. «Se ignoriamo la verità dei fatti; se non interveniamo nella reclusione di un vescovo già legittimamente consacrato (…), è ancora questa la comunione voluta da Cristo?», si chiede il vaticanista italiano, che parla di uno «schiaffo in faccia» dato al nuovo sovrano pontefice.   Più che uno schiaffo in faccia per un papa – Xi Jinping non è certo Filippo il Bello – potrebbe trattarsi di una prova? Da bravi giocatori di Go, gli inventori del gioco più antico del mondo elogiano l’efficacia delle famose «mosse sentite», che costringono l’avversario a rispondere per mantenere l’iniziativa. La sfida per Roma sarebbe ora quella di riconquistare il vantaggio perso, probabilmente durante il precedente pontificato.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Persecuzioni

La Turchia espelle i cristiani perché minacciano la sicurezza nazionale

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In Turchia i cristiani vengono espulsi dal Paese con l’accusa di rappresentare una «minaccia alla sicurezza nazionale». Lo riporta LifeSite.

 

Durante la conferenza sui diritti umani tenutasi a Varsavia il 13 ottobre, Lidia Rieder, esperta legale di Alliance Defending Freedom International, ha denunciato che i cristiani sono nel mirino del governo turco. «Classificare i pacifici residenti cristiani come “minacce alla sicurezza” è un evidente abuso del diritto e un attacco alla libertà religiosa», ha dichiarato le Rieder. «Quando i governi manipolano i sistemi amministrativi o di immigrazione per escludere le persone solo per la loro fede, ciò compromette lo stato di diritto e i principi di tolleranza e coesistenza pacifica che l’OSCE è stata creata per difendere».

 

La popolazione turca è composta per circa il 99% da musulmani, con meno dell’1% di cristiani. Sotto il governo autoritario di destra di Recep Erdogan, la Turchia riveste un ruolo geopolitico chiave grazie alla sua posizione strategica tra Europa e Medio Oriente. Sebbene membro della NATO, mantiene stretti legami con paesi musulmani come Qatar e Azerbaigian, che di recente, con il supporto di armi turche, hanno costretto oltre 100.000 cristiani a fuggire dal Nagorno-Karabakh verso l’Armenia.

 

Un comunicato di ADF ha riportato che dal 2020 «più di 200 lavoratori cristiani stranieri e le loro famiglie, circa 350 persone, sono stati espulsi dalla Turchia, molti dei quali residenti da decenni». Il ministero degli Interni ha assegnato a questi individui «codici di sicurezza» come N-82 e G-87, vietandone il rientro e classificandoli come minacce alla sicurezza nazionale.

 

Un rapporto del 2024 della Freedom of Belief Initiative ha confermato le conclusioni di ADF, indicando i cristiani come la minoranza religiosa più perseguitata in Turchia, con oltre 50 episodi di violenza contro di loro dal 2020.

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Interpellata da Fox News Digital, l’ambasciata turca a Washington ha rimandato a una dichiarazione del Centro per il Contrasto alla Disinformazione del Paese, che il 15 ottobre ha respinto le accuse di Rieder, definendole «infondate e parte di una campagna di disinformazione deliberata». «Il rispetto delle fedi e il pluralismo sono elementi essenziali dell’ordine democratico del nostro Paese», si legge. «La Turchia, come ogni Stato sovrano, può adottare decisioni amministrative sui cittadini stranieri per vari motivi, come violazioni dei visti, disturbi dell’ordine pubblico o mancanza di permessi legali».

 

Rieder ha citato il caso Wiest contro Turchia, che sarà esaminato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il caso riguarda Kenneth Wiest, un cristiano americano residente legalmente in Turchia per oltre trent’anni, a cui è stato negato il rientro nel 2019 senza prove di illeciti.

 

«I divieti di ingresso e le espulsioni sono sempre più usati per silenziare i lavoratori cristiani stranieri, mentre la formazione teologica rimane fortemente limitata», ha affermato ADF. «Ai seminari protestanti è negato lo status legale, l’educazione biblica è vietata, mentre i corsi di teologia islamica sono permessi sotto supervisione statale. Anche le proprietà ecclesiastiche subiscono restrizioni ingiuste, con comunità come quella protestante di Bursa costrette ad abbandonare luoghi di culto storici».

 

Come riportato da Renovatio 21, in questi anni la Turchia è stata teatro di attacchi contro chiese, come quello nel quartiere Sariyer di Costantinopoli, ascritto all’ISIS. Vi è inoltre il fenomeno di cristiani uccisi in storie su dispute su terreni. La persecuzione anticristiana è parimenti alimentata dall’islam e dal nazionalismo turco.

 

Bombe turche hanno distrutto una chiesa assira nel Nord-Est della Siria tre anni fa. Altri luoghi sacri cristiani, come Santa Sofia (convertita all’Islam alla presenza dell’Erdogano) e Chora (dove sono stati coperti affreschi e mosaici, e dove persino il museo diviene luogo di culto musulmano) a Costantinopoli e la cattedrale di Ani sono divenute moschee.

 

All’inizio di questa settimana, l’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre ha pubblicato il rapporto 2025 sulla persecuzione religiosa globale, evidenziando che 5,4 sugli 8 miliardi di persone del pianeta subiscono discriminazioni per le loro convinzioni religiose. Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha espresso preoccupazione martedì, affermando che «uomini e donne meritano ovunque libertà da ogni forma di coercizione in materia di fede».

 

Come riportato da Renovatio 21, il Parolin ha negato che in Nigeria vi sia in atto una persecuzione di cristiani: quello nigeriano «non è un conflitto religioso, è più un conflitto di tipo sociale, per esempio tra gli allevatori e gli agricoltori», ha dichiarato il segretario di Stato Vaticano, suscitando gli strali di monsignor Carlo Maria Viganò.

 

 

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Immagine dalla chiesa di Santa Irene, Costantinopoli

Immagine di Carole Raddato via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

 

 

 

 

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Persecuzioni

Ultras rumeni espongono lo striscione «Difendiamo i cristiani nigeriani» durante le qualificazioni ai Mondiali

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In un gesto significativo per attirare l’attenzione globale sulla persecuzione dei cristiani in Nigeria, i tifosi della nazionale di calcio rumena hanno esposto un grande striscione con la scritta «DIFENDETE I CRISTIANI NIGERIANI» durante una partita di qualificazione alla Coppa del Mondo a Bucarest.   Questa dimostrazione di solidarietà si inserisce nel contesto dei continui e brutali attacchi, spesso mortali, compiuti da gruppi terroristici islamici contro le comunità cristiane nel Paese africano.     La persecuzione anticristiana in Nigeria si è aggravata dopo il 1999, quando 12 stati del Nord hanno adottato la sharia. L’ascesa di Boko Haram nel 2009 ha segnato un’ulteriore escalation, con il gruppo noto per il rapimento di centinaia di studentesse nel 2014, di cui 87 risultano ancora disperse.   Recentemente, attacchi nel Paese hanno incluso rapimenti e omicidi di sacerdoti e seminaristi cattolici. A luglio, la diocesi di Auchi, nello Stato di Edo, ha riferito che uomini armati hanno attaccato il Seminario Minore dell’Immacolata Concezione, uccidendo una guardia e rapendo tre seminaristi.

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Come riportato da Renovatio 21, rapporto pubblicato quest’estate dalla Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha evidenziato numerosi attacchi sponsorizzati dallo Stato contro i cristiani in Nigeria.   La situazione è deteriorata al punto che il rapporto 2025 della Lista Rossa di Global Christian Relief (GCR) ha indicato la Nigeria come uno dei luoghi più pericolosi per i cristiani. Nella primavera del 2023, la Società Internazionale per le Libertà Civili e lo Stato di Diritto ha riferito che oltre 50.000 persone sono state uccise nel Paese per la loro fede cristiana dal 2009.   Nel suo rapporto del 2025, l’USCIRF ha esortato il governo statunitense a designare la Nigeria come «paese di particolare preoccupazione», esprimendo delusione per la lentezza, e a volte apparente riluttanza, del governo nigeriano nel rispondere a questa violenza, creando un clima di impunità per gli aggressori.  

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Immagine di TUBS via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine modificata
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