Spirito
La morte di Benedetto XVI: analisi e commenti
La morte di Benedetto XVI il 31 dicembre 2022, all’età di 95 anni, seguita dai suoi funerali in piazza San Pietro a Roma, il 5 gennaio, ha suscitato una valanga di analisi e commenti sulla stampa. Per non perdersi in questa mole di documenti è utile raggrupparli in quattro sezioni.
1. La cerimonia funebre: sobrietà o meschinità?
La messa funebre, il 5 gennaio, ha riunito 130 cardinali, 400 vescovi, 3.700 sacerdoti e 50.000 fedeli; è stato seguito da più di 600 giornalisti provenienti da tutto il mondo. Arrivato in sedia a rotelle, Papa Francesco ha presieduto la celebrazione, ma è stato sostituito all’altare dal cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, a causa dei suoi persistenti problemi di salute al ginocchio.
L’omelia era attesa per sapere se Francesco avrebbe reso un omaggio personale al suo predecessore. Si è trattato di una breve meditazione sulle ultime parole di Cristo: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», che ha presentato come il «programma di vita» del pastore.
Sul suo blog, il 5 gennaio, Leonardo Lugaresi commenta: «purtroppo, qualunque cosa si pensi dell’omelia di Francesco (e in generale del suo comportamento in questo frangente), mi pare indiscutibile che si è trattato di un discorso assolutamente generico, che sarebbe andato bene per qualsiasi altro defunto, anzi fruibile quasi senza modifiche per ogni altra occasione».
Su Il Giornale dell’8 gennaio Nico Spuntoni annotava: «si sono diffusi i malumori per il mancato lutto in Città del Vaticano, il corteo-lampo dal monastero Mater Ecclesiae [dove risiedeva Benedetto XVI] alla Basilica di San Pietro su un semplice minibus, la prosecuzione delle attività ufficiali come l’udienza generale, la richiesta ai governi di partecipare ai funerali in forma privata e non con delegazioni ufficiali, con l’eccezione di quello italiano e di quello tedesco».
Da parte sua, il connazionale del papa argentino che firma The Wanderer non ha esitato, il 5 gennaio, a parlare di «meschinità», adducendo alcuni fatti:
«Molti cardinali e vescovi sono rimasti delusi di non potersi unire alla processione che ha portato le spoglie del defunto Papa dal monastero Mater Ecclesiae alla Basilica di San Pietro. In qualunque paese, in qualunque monarchia, questa processione assume una particolare e austera solennità, anche quando non si tratta della morte del monarca regnante (si ricordi il caso di Don Juan de Borbón, o della Regina Madre d’Inghilterra o del Principe Filippo di Edimburgo)».
«Le spoglie mortali di Benedetto XVI sono state trasportate in un furgone grigio. Né Francesco né il cardinale vicario hanno presieduto la processione. Dietro il veicolo c’erano semplicemente mons. Georg Gänswein e le donne che hanno assistito Benedetto XVI in questi anni. In curia, questo è stato percepito molto male: “Non lo si fa nemmeno per un vicino del paese più piccolo d’Italia”, si è detto».
«Molti vescovi e cardinali di tutto il mondo, venuti a salutare il papa emerito, sono rimasti stupiti – e lo hanno fatto sapere al loro entourage – per l’indolenza dei gesti e delle parole di papa Francesco nei confronti del suo predecessore. Uno di loro ha dichiarato: “Sfamare le anime e non le bocche, tale è la missione della Chiesa”».
Il sito in lingua spagnola Infovaticana del 6 gennaio ha ripreso il termine «meschinità» in particolare per l’omelia del Papa, riportando alcune delle osservazioni fatte dopo la cerimonia: «L’omelia di Francesco è già diventata motivo di scherno: “Non posso credere a ciò che ho sentito: non una parola sull’immensa eredità di Benedetto XVI”».
«Infatti, ha a malapena menzionato l’uomo, se non brevemente alla fine, per dire “benvenuto”. “Che atto vergognoso. Un segno di immensa mancanza di rispetto”. “Lo scandalo non è quello che ha detto Francesco, ma quello che non ha detto. Avrebbe potuto pronunciare la stessa omelia per il suo maggiordomo”».
2. Omaggi ambivalenti
Gli omaggi rivolti a Benedetto XVI sono stati ambivalenti, in quanto ognuno ha voluto conservare solo l’aspetto del papa emerito che gli conveniva. Così Francesco, la sera della morte, il 31 dicembre, ha parlato della «gentilezza» del suo predecessore – gentilezza che ha presentato come una «virtù civica» che gioca un ruolo importante nella «cultura del dialogo».
Allo stesso modo, durante l’udienza generale di mercoledì 4 gennaio, ha parlato del «grande maestro della catechesi» che, secondo lui, era Benedetto XVI, lodando il suo «pensiero acuto e garbato» che «non era autoreferenziale ma ecclesiale».
Nella prefazione che ha scritto per una raccolta di pensieri spirituali di Benedetto XVI, che è uscito il 14 gennaio alla Libreria Editrice Vaticana, Francesco afferma che il suo predecessore stava facendo «teologia in ginocchio», la stessa espressione che ha usato con il cardinale Walter Kasper nel 2014, durante il concistoro sulla famiglia, che stava preparando Amoris laetitia e la comunione dei divorziati «risposati».
Per l’arcivescovo di Parigi, mons. Laurent Ulrich, in una dichiarazione del 31 dicembre, Benedetto XVI è davvero un papa del Vaticano II:
«Ultimo papa ad aver partecipato al Concilio Vaticano II, Joseph Ratzinger ha meditato a lungo sul mistero della Chiesa nel nostro mondo, a partire dalla costituzione conciliare Lumen Gentium, per la quale ha lavorato come giovane teologo, nonché il posto del Popolo di Dio nel dialogo tra il Signore e gli uomini e le donne del nostro tempo».
«Al termine del suo pontificato, Benedetto XVI ha individuato proprio in questo dialogo, voluto da Dio, tra la Chiesa e l’umanità, i frutti che il Concilio ha continuato a portare per 60 anni, e di cui possiamo anche oggi stupirci: lo sviluppo costante della dottrina sociale della Chiesa, la libertà di coscienza, il dialogo interreligioso».
Questa ambivalenza degli omaggi resi a Benedetto XVI si spiega con il fatto che nella mole di dichiarazioni del papa emerito ciascuno può trovare ciò che gli fa comodo. La denuncia di una «dittatura del relativismo» convive con l’elogio della «laicità aperta» nello spirito della libertà religiosa promossa dal Vaticano II:
– «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». [Omelia della Messa Pro eligendo romano Pontifice, prima del conclave che lo avrebbe eletto, nel 2005]
– «Le religioni non possono avere paura di una laicità equa, una laicità aperta che permetta a ciascuno di vivere ciò che crede, secondo coscienza». [Video trasmesso il 25 marzo 2011, per i cattolici francesi il cui governo rilancia il dibattito sulla laicità]
In questo contesto equivoco, i presuli conservatori conservano soprattutto da Benedetto XVI l’opposizione al relativismo, non senza suggerire una contrapposizione con il relativismo dottrinale e morale che regna attualmente in Vaticano; cosicché l’omaggio reso al papa emerito diventa una critica sottilmente velata all’attuale papa.
Così scrive sul suo blog, ripreso da La Nuova Bussola Quotidiana del 4 gennaio, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, già vescovo di Hong Kong e oppositore della politica vaticana nei confronti della Cina comunista: «ha difeso la verità contro la dittatura del relativismo. Non ha avuto paura di sembrare retrogrado davanti a tanti che esaltano un pluralismo ad oltranza, un inclusivismo indiscriminato».
«Ha detto che l’amore senza un fondamento nella verità diventa un guscio che può contenere qualsiasi cosa». E aggiunge: «Da quando la parola “conservativo” significa un peccato? Purtroppo la fedeltà alla Tradizione può essere presa come “rigidità” o “indietrismo”».
– Quest’ultima parola è un neologismo coniato da Francesco [indietrismo], che può essere tradotto come «arretratezza» o «spirito retrogrado». Serve a castigare tutti coloro che l’attuale papa trova “rigidi” dottrinalmente, moralmente, liturgicamente…
Il presule cinese conclude con una critica mascherata alla politica vaticana di compromesso con le autorità comuniste, in opposizione a quanto stava facendo Benedetto XVI:
«Nell’Angelus del 26 Dicembre 2006, Papa Benedetto esortava i fedeli in Cina a perseverare nella fede, anche se nel momento presente tutto sembra essere un fallimento. Nonostante il suo grande sforzo, Papa Benedetto non era riuscito a migliorare la situazione della Chiesa in Cina. Non poteva accettare un compromesso qualunque».
Nello stesso spirito di velata critica, possiamo leggere su L’Homme Nouveau del 5 gennaio questa dichiarazione del cardinale Gerhard Ludwig Müller, già prefetto della Congregazione per la dottrina della fede: «Non dobbiamo lasciarci ingannare dalla promessa che la rinuncia all’affermazione della verità di Gesù Cristo porti alla tolleranza della diversità delle verità soggettive, mentre conduce piuttosto alla dittatura del relativismo».
«Lo vediamo nel brutale regno della dissolutezza dominante del mondo occidentale e nel disumano controllo assoluto del pensiero e del comportamento nelle dittature asiatiche. Per noi la parola di Cristo, unico Salvatore del mondo, è: “Così conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32)».
E ricorda il ruolo del successore di Pietro di confermare i suoi fratelli nella fede: «il Papa è il principio e il fondamento permanente della Chiesa nella verità della fede e nella comunione di tutti i vescovi e credenti, perché in lui tutta la Chiesa volge lo sguardo a Gesù e confessa: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente”».
«E indissolubilmente legata a questo è la promessa fatta a Pietro e ai suoi successori a Roma: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e il potere dell’inferno non la vincerà. Ti darò le chiavi del regno dei cieli”. (Mt 16, 18-19)».
3. Il pontificato di Francesco può cambiare dopo la morte di Benedetto XVI?
Su La Nuova Bussola Quotidiana del 7 gennaio, Stefano Fontana pone la questione dell’eredità di Benedetto XVI. Secondo lui, questo patrimonio consiste nel «nel riprendere in mano l’intera questione del concilio e del post-concilio da dove egli l’ha lasciata, proseguendo nel fermo delle tendenze dissolutrici e proseguendo nella ricostruzione. Per Francesco invece il dibattito su concilio e post-concilio è finito e la Chiesa è ancora in posizione di conservazione e non di uscita».
Afferma Stefano Fontana: «egli [Francesco] vuole essere post-postconciliare. È vero che egli richiama spesso il Concilio, ma proprio per dire che non è più il caso di attardarsi su di esso e sull’epoca da esso inaugurata. Il dibattito cu concilio e post-concilio per lui è finito».
«La prova più evidente di questa sua posizione, tra le infinite che potremmo ricordare, è stato il motu proprio Traditionis custodes il quale ha stabilito che la “questione liturgica” è finita e, con essa, la questione di una intera epoca. Ma proprio questa era invece la principale questione che secondo Benedetto XVI bisognava lasciare aperta».
Questo significa che con lui è morto il ruolo di «rallentatore» o «freno» svolto da Benedetto XVI? Il giornalista italiano pensa invece che «Benedetto e la sua eredità influiranno sulla Chiesa più di prima, più adesso, dopo la sua morte fisica, che prima, quando era ancora in vita. Tutti ricordiamo i suoi due ultimi interventi pubblici: l’uno a proposito degli abusi da parte del clero e l’altro sul celibato sacerdotale insieme al cardinale Sarah».
«Questi due interventi hanno “frenato” alcuni processi negativi e impedito decisioni che forse erano già stata prese ma che vennero congelate. Con la sua morte ciò non sarà più possibile, ma quest’opera, da ora in poi, sarà proseguita da quanti si sono fatti carico in questi giorni della sua eredità».
Questa ipotesi di Stefano Fontana solleva una domanda. Dobbiamo vedere «l’ermeneutica della riforma nella continuità» promossa da Benedetto XVI nel 2005, come capace di produrre concretamente solo il «rallentamento» di una caduta inesorabile?
Come un paracadute che rallenta la discesa, ma non impedisce la caduta a terra, rendendola solo meno brutale? Questa eredità di Benedetto XVI non è conforme al programma del pontificato di san Pio X: «Restaurare tutto in Cristo» (Ep 1, 10).
Per The Wanderer dell’8 gennaio, seguendo il Tagespost tedesco, «con la morte di Benedetto XVI inizia una nuova tappa del pontificato di Francesco, anzi della stessa Chiesa. E il motivo è che Ratzinger ha agito come una sorta di cuscinetto che ha smorzato la furia dei conservatori per gli eccessi di Bergoglio».
«Oppure, come ha detto il cardinale Müller, i conservatori potevano andare a farsi assistere al monastero Mater Ecclesiæ. Ora non c’è il cuscinetto e non c’è nemmeno la casa di cura. Il confronto è inevitabile».
Tuttavia, secondo il commentatore argentino, il contesto attuale modifica gli equilibri di potere: «la morte di Benedetto XVI è arrivata tardi; la storia sarebbe stata molto diversa se fosse accaduta cinque o sei anni fa. Adesso Bergoglio è un pontefice logoro e indebolito, e tutti intorno a lui, in circoli più o meno ristretti, attendono la sua morte. […]. Come dicono da qualche mese gli esperti, il Vaticano odora di conclave».
Inoltre, «lo stile di governo estremamente autoritario di Francesco gli ha creato nemici ovunque, anche tra coloro che condividono il suo progressismo. Pensiamo, ad esempio, a come il cardinale vicario e tutto il clero romano possano essere stati colpiti dalla costituzione apostolica da lui promulgata venerdì scorso [In Ecclesiarum comunione, 6 gennaio 2023], intervenendo di fatto nel governo della diocesi di Roma e obbligando il suo vicario, ad esempio, a consultarlo sulla nomina di tutti i parroci o sull’ordinazione dei seminaristi».
A Francesco, inoltre, «manca anche il sostegno delle più potenti forze progressiste: l’episcopato tedesco e, con esso, quello di altri Paesi nella sua orbita. Manca anche il sostegno popolare. Il popolo, il “popolo fedele”, non è vicino a papa Francesco. Basta guardare la scarsa affluenza a ciascuna delle sue apparizioni pubbliche».
«Bergoglio è quindi debole perché è vecchio e malato, perché il suo pontificato si è esaurito in tanto rumore per nulla, perché il suo stile di governo gli ha procurato innumerevoli nemici e perché gli manca il sostegno e la devozione popolare».
The Wanderer, però, non vede emergere una reazione da parte dei prelati conservatori che cita senza un ordine: «Cardinali Burke, Sarah; vescovi come Viganò o Schneider, sono forse i più noti. Ma includerei in questo gruppo anche i cardinali Müller, Pell [che ha da poco reso la sua anima a Dio, lo scorso 10 gennaio. Ndr], Erdö ed Eijk, e un buon numero di vescovi americani».
Non c’è nessuna reazione conservatrice, perché tra questi prelati non c’è un leader capace di unirli. Anche se attualmente la stampa progressista designa l’uomo da abbattere: monsignor Georg Gänswein, l’ex segretario particolare di Benedetto XVI, che il lancio del suo libro Nient’altro che la verità, la mia vita accanto Benedetto XVI, Edizioni Piemme, ha messo sotto i riflettori.
Il sito argentino ritiene che per catalizzare una reazione ci vorrebbe un evento particolarmente forte. Lo vede nella possibile nomina di un progressista chimicamente puro a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Negli ambienti vaticani gira voce che la vera intenzione di Francesco sia quella di nominare prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il vescovo tedesco Heiner Wilmer».
«È un personaggio descritto da tutti come ultraprogressista, allineato alle decisioni più estreme del Cammino sinodale tedesco. Per lui, ad esempio, la Santa Messa non è un elemento importante della vita cristiana, e propone una revisione completa dell’insegnamento della Chiesa sulla sessualità. Si dice che non sia ancora stato nominato per la forte opposizione che Francesco ha incontrato da parte di molti vescovi e cardinali, come il cardinale Müller».
«Ma se dovesse fare pressioni per questa nomina, cosa molto probabile date le circostanze, non c’è dubbio che la Chiesa entrerebbe in una lotta e divisione molto profonde, e nessuno sa come andrebbe a finire».
4. La questione della Messa tradizionale, pietra d’inciampo tra Benedetto e Francesco?
Una dichiarazione di mons. Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, mostra che i rapporti tra papa Francesco e il suo predecessore non sono sempre stati così fraterni come hanno mostrato le fotografie ufficiali. Rispondendo alle domande del vaticanista Guido Horst del Tagespost, il 2 gennaio il presule tedesco ha affermato a proposito del motu proprio Traditionis custodes che ha praticamente annullato il Summorum pontificum:
«Sì, credo che sia stata una ferita dolorosa. Quando Benedetto XVI ha letto questo motu proprio aveva il dolore nel cuore, perché lui voleva aiutare proprio coloro che hanno trovato nel rito antico la loro casa, a ritrovare la pace interiore e la pace liturgica, per tirarli via da Lefebvre».
«E non dobbiamo dimenticare che tanti giovani nati dopo il Concilio Vaticano II, e che non comprendono veramente tutto il dramma che ha riguardato il Concilio, anche la nuova Messa, hanno trovato nella Messa tradizionale una dimora spirituale, un tesoro spirituale. Strappare questo tesoro ai fedeli… devo dire che è una cosa che non mi piace».
Siamo felici di apprendere che Benedetto XVI e il suo segretario condividevano lo stesso attaccamento al tesoro spirituale della Messa tridentina, ma siamo sorpresi di sentire, per bocca di mons. Gänswein, che questo attaccamento doveva essere accompagnato da un distacco: abbandonare la posizione di Mons. Lefebvre.
Poiché il fondatore della Fraternità San Pio X non ha mai affermato di avere una dottrina personale, né una posizione originale, viene da chiedersi cosa significhi esattamente l’affermazione del prelato tedesco. Un elemento di risposta ce lo fornisce Luisella Scrosati su La Nuova Bussola Quotidiana del 5 gennaio:
«Il cardinale Joseph Ratzinger aveva, infatti, a lungo lavorato per permettere a quanti erano profondamente legati al rito antico di poter avere il loro posto nella Chiesa, senza che fossero considerati una riserva indiana di nostalgici, ma comprendendo il loro amore per quel rito venerando della Chiesa».
«Quando ci furono le ordinazioni episcopali senza mandato pontificio da parte di mons. Marcel Lefebvre e mons. Antônio de Castro Mayer, nel 1988, sembrava che l’unica possibilità per poter continuare ad abbeverarsi a quella inesauribile e sicura sorgente spirituale, fosse quella di seguire mons. Lefebvre nella creazione di una realtà canonicamente non riconosciuta dalla Chiesa e nell’adesione alle sue posizioni di sostanziale rifiuto dei documenti del Vaticano II, del magistero post-conciliare e della riforma liturgica».
Continua la giornalista italiana: «Ratzinger fu in prima linea nella creazione di una configurazione canonica perché intere comunità e singoli sacerdoti e fedeli non dovessero più trovarsi di fronte all’incredibile dilemma: o il rito antico o la comunione ecclesiale».
«Così venne creata la Pontificia Commissione Ecclesia Dei e i vari istituti sacerdotali e comunità monastiche e religiose ad essa afferenti. Fu un primo passo importante, ma era chiaro che in questo modo non si usciva dalla realtà della “zona protetta” e dall’idea che il rito antico fosse interesse di qualche nostalgico, magari anche un po’ fanatico. Il Summorum Pontificum fu il grande riconoscimento che quel rito appartiene pienamente all’espressione liturgica della Chiesa, nel rito romano».
In risposta al «dilemma» posto da Luisella Scrosatti, «o il rito antico o la comunione ecclesiale», non citeremo espressioni come «zona protetta di qualche nostalgico» o «magari anche un po’ fanatico», citeremo semplicemente un vescovo che non appartiene alla Fraternità San Pio X, ma che vede oggi quello che vedeva Mons. Lefebvre proprio all’inizio della crisi.
Infatti, in una videointervista trasmessa da LifeSiteNews il 13 settembre 2022, mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana in Kazakistan, ha detto della Fraternità fondata da mons. Lefebvre: «dobbiamo essere realisti. La situazione della Fraternità San Pio X è legata alla straordinaria crisi della Chiesa».
«Essi [i suoi sacerdoti] fanno solo quello che la Chiesa ha sempre fatto fino al Concilio: non ci sono cose nuove, semplicemente hanno continuato a fare quello che hanno fatto i santi stessi, e ripeto: la loro situazione è canonicamente irregolare a causa della grande crisi che stiamo attraversando dal Concilio. Dobbiamo essere onesti e vederlo».
«Ovviamente dobbiamo pregare affinché ottengano la piena struttura canonica e aiutarli, ma quando c’è un’emergenza in materia di fede, l’aspetto legale canonico è secondario. Viene prima la fede, la verità e la liturgia, e tutto questo la Chiesa l’ha sempre custodito, come avvenne nel IV secolo durante la crisi ariana».
«Sant’Atanasio fu scomunicato e disse: Loro [gli ariani] hanno preso tutte le chiese, ma noi abbiamo la fede. Loro hanno gli edifici, noi abbiamo la fede. Forse [i neo-ariani] hanno il potere canonico e le strutture, ma tanti vescovi non hanno la fede… o non hanno la piena fede».
E conclude: «dobbiamo quindi avere una visione globale, e pregare perché ci sia [un giorno] un Papa che riconosca e dia tutte le facoltà alla Fraternità San Pio X, e alle altre comunità che si sforzano di custodire la fede».
Il 21 novembre 1974 Mons. Lefebvre fece questa dichiarazione, divenuta famosa:
«Per questo ci atteniamo fermamente a tutto ciò che è stato creduto e praticato nella fede, i costumi, il culto, l’insegnamento del catechismo, la formazione del sacerdote, l’istituzione della Chiesa, della Chiesa di sempre e codificato nei libri apparsi prima dell’influenza modernista del Concilio, attendendo che la vera luce della Tradizione dissipi le tenebre che oscurano il cielo della Roma eterna».
E precisa: «così facendo siamo convinti, con la grazia di Dio, l’aiuto della Vergine Maria, di San Giuseppe, di San Pio X, di rimanere fedeli alla Chiesa Cattolica e Romana, a tutti i successori di Pietro e di essere i fideles dispensatores mysteriorum Domini Nostri Jesu Christi in Spiritu Sancto. Amen».
Quasi 50 anni dopo, la validità dei principi enunciati dal fondatore della Fraternità San Pio X si manifesta a vescovi, sacerdoti e fedeli che non lo conoscevano, ma che onestamente riconoscono che questi principi tradizionali illuminano la situazione attuale e rendono possibile lavorare per la salvezza delle anime.
Somma di articoli previamente apparsi su FSSPX.news.
Immagine di Agência Lusa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)
Pensiero
Mons. Viganò: dissonanza cognitiva e rivelazione del metodo, il colpo da maestro di Satana
Renovatio 21 pubblica questo scritto dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Le opinioni degli scritti pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

Ex fructibus igitur eorum cognoscetis eos.
Mt 7, 20
Premessa
La crisi nella Chiesa è di natura teologica, non canonica. Non solo: questa non è una crisi tra le tante, ma la crisi dell’Autorità, perché è appunto l’Autorità ad essere oggetto di un sovvertimento che fino a sessant’anni fa non era nemmeno immaginabile in seno alla Chiesa Cattolica. Se infatti l’Autorità, quando è esercitata per il bene, è certamente lo strumento più idoneo ad assicurare il buon governo dell’istituzione che presiede, così essa si può mutare in uno strumento altrettanto efficace per distruggerla, nel momento in cui chi la ricopre rescinde il proprio vincolo di obbedienza verso Dio, che dell’Autorità è supremo garante (1).
Questo hanno fatto i Giacobini nel 1789, questo hanno ripetuto i fautori della rivoluzione conciliare nel 1965: appropriarsi illegittimamente dell’Autorità per costringere i sudditi ad accettare di obbedire a ordini iniqui, finalizzati ad un piano eversivo. E tanto i Giacobini quanto i Modernisti si sono avvalsi non solo della collaborazione attiva dei propri complici e dell’inazione dei codardi, ma anche del consenso di coloro che obbedivano in buona fede e da una massa progressivamente indotta ad accettare in nome dell’obbedienza qualsiasi cambiamento (2).
L’idealizzazione dell’autorità
Nelle scorse settimane «conservatori» come Riccardo Cascioli, Luisella Scrosati, Daniele Trabucco e Giovanni Zanone hanno sostenuto che laici e chierici, dinanzi alla crisi della Gerarchia cattolica, non dovrebbero adottare forme di resistenza nei confronti di cattivi Superiori; né dovrebbero mettere in discussione la loro Autorità, dal momento che essa promana direttamente da Nostro Signore.
Costoro affermano che l’indegnità di un vescovo o del papa non inficia la legittimità della loro autorità, ma questo può essere vero nel caso di un’indegnità personale che non coinvolge l’esercizio dell’autorità stessa. L’autorità, tuttavia non può essere esercitata legittimamente al di fuori dei confini che le sono dati né tantomeno contro i propri fini o contro la volontà del divino Legislatore. Un vescovo che coopera consapevolmente ad uno scopo iniquo con atti di governo, inficia la legittimità di quegli atti e la sua stessa autorità, proprio perché sono posti in fraudem legis.(3)
La visione idealista e sconnessa dalla realtà degli Autori citati, secondo la quale l’Autorità non perderebbe la propria legittimità nemmeno quando i suoi ordini sono volti al male, rende evidente il cortocircuito logico tra la realtà di papi e vescovi eretici – formali o materiali, poco importa: è comunque una cosa inaudita – e la teoria di un’Autorità immune dall’eresia e dalle cattive intenzioni di chi ricopre quell’Autorità.
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Una crisi sistemica
Chi si ostina a giudicare i singoli fatti prescindendo dall’evidente coerenza che li lega tra loro e dal quadro complessivo che se ne evince, falsifica la realtà dandone una rappresentazione ingannevole. Questa è una crisi che dura da sessant’anni, sempre nella medesima direzione, sempre con la connivenza dell’Autorità, sempre contraddicendo gli stessi articoli di Fede e sostenendo i medesimi errori già condannati.
I responsabili di questa crisi sono tutti accomunati dalla volontà eversiva di appropriarsi e mantenere il potere per raggiungere gli scopi che si prefiggono. E a riprova che deep state e deep church agiscono di concerto, basti vedere come gli artefici di questa sovversione in campo ecclesiastico agiscono specularmente ai loro omologhi nella sfera civile, giungendo a mutuarne il lessico e le tecniche di manipolazione di massa. L’evidenza dei risultati disastrosi ottenuti dai papi e dai vescovi conciliari non li ha indotti a tornare sui propri passi e a riparare al danno compiuto, ma al contrario li vediamo proseguire ostinatamente sulla medesima linea, confermando dolo e premeditazione, ossia la mens rea. (4)
Ci troviamo in una situazione di gravissimo conflitto istituzionale, dal quale emerge che la maggior parte dei vescovi costituiti in Autorità – senza alcuna ombra di dubbio – agisce con l’intenzione determinata e volontaria di commettere atti illeciti contro il bene della Chiesa e delle anime, nella consapevolezza delle loro conseguenze.
Se in costoro non vi fosse intenzione di compiere il male – se, cioè, essi fossero in buona fede – non si ostinerebbero a ripetere i medesimi errori, nel perseguimento dei medesimi risultati. Né cercherebbero con ogni mezzo di indurre fedeli e sacerdoti a rinnegare ciò che la Santa Chiesa ha insegnato per secoli, facendo loro abbracciare quanto essa condannava e puniva con le pene più severe.
L’accettazione della frode
Abbiamo dunque una Gerarchia composta da vescovi e papi traditori che pretende dai propri fedeli non solo il silenzio inerte dinanzi ai peggiori scandali dei suoi membri, ma anche l’entusiastica accettazione e condivisione di questo tradimento, secondo quel principio esoterico che il satanista Aleister Crowley aveva così riassunto agli inizi del Novecento: «Il male deve nascondersi alla luce del sole, poiché le regole dell’universo impongono che chi viene ingannato acconsenta al proprio inganno».
Questo è il modus operandi del demonio e dei suoi servi, che troviamo confermato dalla narrazione delle tentazioni cui Satana sottopone Nostro Signore nel deserto: «Tutto questo io ti darò – dice il Maligno a Cristo – se prostrato mi adorerai» (Mt 4, 9). Nel pretendere di essere adorato come Dio, Satana chiede anzitutto l’accettazione della frode, ossia della premessa – Tutto questo io ti darò – che è assolutamente falsa, in quanto Satana non può cedere ciò che non gli appartiene. Se per assurdo Nostro Signore si fosse prostrato a Satana adorandolo, Egli non avrebbe avuto da lui nemmeno un granello di polvere del deserto e questo baratto si sarebbe rivelato una frode.
er questo il Signore gli risponde «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (ibid., 10). Con queste parole Nostro Signore svela l’identità del tentatore e i suoi inganni. Anche nell’Eden, tentando Eva, il Serpente aveva prospettato ai Progenitori di diventare sicut dii (Gen 3, 5).
Essi sapevano benissimo che Satana non sarebbe stato in grado di renderli come dèi e che avrebbero dovuto rispondere a Dio della loro orgogliosa disobbedienza, ma nonostante questo hanno consentito alla menzogna del Maligno come se fosse vera, rendendosi responsabili del sovvertimento di Bene e Male e agendo come se Dio non fosse onnipotente e in grado di punirli. È questa, in definitiva, la ὕβρις, la superbia che spinge l’uomo a sfidare Dio scegliendo di compiere il peccato, che ha come conseguenza la νέμεσις, ossia la punizione inevitabile che colpisce chi ha violato l’ordine divino oltrepassando i limiti imposti da Dio.
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La «Rivelazione del Metodo»
Lo storico ed esperto di ingegneria sociale Michael A. Hoffman ha affrontato il medesimo tema da una prospettiva differente, identificando un’élite nascosta che usa tecniche di manipolazione per controllare le masse. Essa non vuole solo conquistare il potere, ma intende condurre una guerra psicologica che trasforma la realtà in un rituale magico, alchemico (e in questo coincide con le parole di Crowley).
Questa élite non nasconde più tutto, ma rivela deliberatamente parti del suo piano (da qui la Rivelazione del Metodo), come atto di umiliazione dei sudditi e di affermazione della propria supremazia. Gli studi di psicologia sociale confermano che questo gioco crudele per soggiogare e dominare le vittime serve a provocare la dissonanza cognitiva, ossia quello stato di disagio psicologico che si verifica quando ci troviamo dinanzi a due affermazioni o fatti in conflitto tra loro, come ad esempio è avvenuto quando le autorità sanitarie sostenevano, mentendo, che il siero genico sperimentale fosse «sicuro ed efficace» ma allo stesso tempo chiedevano lo scudo penale per i medici inoculatori; o quando abbiamo sentito affermare da Jorge Bergoglio che «Dio non è cattolico».
Questa dissonanza cognitiva, questa percezione di una contradictio in terminis è voluta, perché ci demoralizza (siamo consapevoli della nostra impotenza), perché ci induce ad un consenso implicito (un consenso passivo, come dire: «Ti mostro cosa faccio, e tu non fai nulla, quindi acconsenti») e infine perché ci porta all’accettazione di un potere dispotico (anche se esso sbeffeggia le masse, rafforzando su di noi il proprio controllo psicologico).(5)
La «dissonanza cognitiva» e il «gaslighting» dei conservatori
Non ci deve dunque stupire se queste tecniche di manipolazione di massa sono usate anche nella sfera ecclesiastica, allo scopo di provocare la stessa dissonanza cognitiva nei fedeli, la stessa demoralizzazione, lo stesso consenso estorto, la medesima accettazione dell’autorità che ostenta la contraddizione ma pretende obbedienza. Pensiamo al paradosso di Leone che dichiara la libertà religiosa un diritto umano sulla base del Vaticano II e allo stesso tempo canonizza il Beato Bartolo Longo, che nei suoi scritti condanna l’indifferentismo religioso e il concetto di libertà religiosa (6); o che presiede incontri ecumenici con gli islamici, ma canonizza il Beato Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo armeno martirizzato dai maomettani per essersi rifiutato di apostatare la vera Fede.
Non ci deve stupire nemmeno che la Nuova Bussola si comporti esattamente come previsto in questi casi dai manuali di psicologia sociale, negando ostinatamente la contraddizione ancorché evidente, in un’operazione di vero e proprio gaslighting (7): «Ciò che hai visto non è mai successo».
Anche il ricorso a video o immagini generate dall’AI diventa strumento di destabilizzazione, perché queste contribuiscono a erodere la base sensibile della conoscenza della realtà, rendendo impossibile distinguere il vero dal falso e di fatto cancellando la nozione stessa di «reale» mediante la sua sostituzione con il «verosimile».
L’apparenza prende così il posto della sostanza, solo perché essendo veicolata dall’immagine che appare sul cellulare o sul computer noi non sappiamo se ciò che ci sembra vero lo è davvero o lo sembra soltanto. Come non vedere in questo nuovo fenomeno un attacco con cui Satana sfida con i suoi artifici teatrali e con i suoi effetti speciali la verità di Dio che è simplex, senza pieghe?
Questi sono test di massa per mettere alla prova la devozione alla religione sinodale, esattamente come in ambito civile avviene con la religiones anitaria o la religione green. E non è diverso chiedere al fedele di accettare la messa protestantizzata di Paolo VI se vuole avere il permesso di assistere alla Messa tridentina, che del Novus Ordo è l’antitesi.
Anche la «scomunica» che Jorge Bergoglio mi ha inflitto palesa una enorme contraddizione: da un lato io sono stato dichiarato scismatico per aver denunciato gli stessi errori che tutti i Papi fino a Pio XII incluso hanno condannato; dall’altro i veri eretici e scismatici sono ammessi alla communicatio in sacris con chi mi condanna, senza alcuna conseguenza canonica. Il messaggio è chiaro: «Possiamo mostrarti la contraddizione tra le nostre parole e le nostre azioni, e tu non farai nulla. Accetterai sia la menzogna che la prova di essa».
Ogni assurdità accettata indebolisce la capacità di discernimento dei fedeli e del Clero, per poter responsabilmente obbedire ai propri Pastori. Se la nostra Fede non è forte e convinta, questo ci porta ad una forma di apatia verso ogni nuova provocazione. È una forma di umiliazione rituale che funziona non più attraverso la segretezza, ma attraverso una sfacciata ostentazione, specialmente quando l’obbedienza all’Autorità che imparte ordini abusivi e addirittura criminali è richiesta come un sacrificio della propria razionalità, come un’immolazione della volontà mediante un concetto pervertito di autorità e di obbedienza.
Se l’Autorità della Gerarchia, fino ai suoi massimi vertici, si rende responsabile di questa manipolazione psicologica dei fedeli finalizzata a perpetuare il proprio potere per demolire la Chiesa, a chi dovrebbero rivolgersi, sacerdoti e laici, per veder condannati i colpevoli di tanto tradimento? A quegli stessi eretici manipolatori, incistati a Roma e in tutti gli organi e le istituzioni della Chiesa Cattolica?
Non stupisce che troppe vocazioni sacerdotali si perdano e che molti fedeli si rassegnino o abbandonino la pratica religiosa. È il risultato voluto e pianificato di questo crudele stillicidio.
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Il «colpo da maestro» di Satana
Il demonio vuole ottenere la nostra adesione al male non per inganno, ma portandoci ad accettare la menzogna con la quale egli definisce bene il male, e ad accettare la finzione mediante la quale ci presenta il bene come un male. Il colpo da maestro di Satana consiste in questo: nell’ottenere da noi un assenso irrazionale, pur dinanzi all’evidenza della frode e del sovvertimento che riconosciamo per tali ma che, in un atto di folle annientamento suicida, accettiamo come se fossero verità divinamente rivelate. Per il Cattolico la Fede non è mai irrazionale: rationabile sit obsequium vestrum, dice San Paolo (Rom 12, 1), perché Dio è autore della Fede e della ragione, e non vi può essere contraddizione nella Verità.
Satana, al contrario, essendo menzognero e padre della menzogna (Gv 8, 44) non può non dissimulare i propri inganni con la frode, per i quali pretende da noi non un’adesione razionale, ma un consenso superstizioso, un atto di fede al contrario, nel quale l’assenso dell’intelletto a errori e eresie evidenti è motivato non dall’autorità di un Dio verace, ma dall’usurpazione di quell’autorità da parte di una creatura ribelle, bugiarda e che sappiamo che ci vuole ingannare e perdere.
Satana vuole che abdichiamo alla ragione e allo stesso sensus fidei, trasformando l’atto di fede in una folle apostasia.
L’assolutizzazione dell’obbedienza
Assolutizzare l’obbedienza, scardinandola dalla necessaria coerenza che essa presuppone tra tutti i soggetti del corpo gerarchico in cui essa viene esercitata,[8] significa consegnare nelle mani dell’autorità vicaria della Gerarchia un potere che il supremo Legislatore non le ha mai concesso, ossia la facoltà di poter legittimamente legiferare contro la volontà del Legislatore stesso e in danno dei fedeli.
Qui non stiamo parlando di ordini incidentalmente sbagliati, o di singoli vescovi che abusano della propria autorità in un contesto ecclesiale in cui la Virtù è incoraggiata e il peccato condannato e punito. Qui stiamo parlando di un intero sistema gerarchico che è riuscito – nella Chiesa Cattolica come nella cosa pubblica – ad impossessarsi del potere, ottenendo riconoscimento e obbedienza dai sottoposti mediante l’uso di mezzi coercitivi.
Non solo: l’assolutizzazione dell’obbedienza nei riguardi dell’autorità finisce anche con l’essere deresponsabilizzante: un comodo alibi offerto ai tanti, troppi don Abbondio in veste filettata o in clergyman, ben attenti a non dispiacere ad alcuno, ad «evitare polarizzazioni» – secondo l’auspicio di Leone – a beneficiare dei favori del potente che si conosce come iniquo ma a cui si presta ossequio per viltà o interesse.
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Conclusione
La Sacra Scrittura, i Padri, i mistici e la stessa Vergine Maria a Fatima ci hanno messi in guardia su un’apostasia che la Chiesa dovrà affrontare negli ultimi tempi. Come possiamo pensare che questa apostasia si concretizzi, se non attraverso falsi pastori al posto di buoni pastori, e di pseudocristi e falsi profeti al posto di Cristo e dei Profeti? Come potrebbero gli eletti essere tratti in inganno dagli eretici e dagli scismatici (Mt 24, 24), se non nel momento in cui questi ricoprono ruoli d’autorità nella Chiesa? Ma la Chiesa è indefettibile, ripetono alcuni con petulanza.
E lo è davvero: nonostante la stragrande maggioranza dei suoi vescovi infierisca su di essa e agisca di concerto con nemici di Cristo. La Chiesa Cattolica è indefettibile nel senso che essa non può mai venir meno nella sua missione di custodire e trasmettere la Verità rivelata da Dio, né può cadere in errore definitivo nella sua Fede e nella sua Morale. E questo di fatto non accade nemmeno quando una Gerarchia eretica e corrotta cerca di oscurare o di sfigurare il sacro Deposito della Fede. Non dimentichiamo che la Chiesa non è solo quella militante su questa terra (hic) e oggi (nunc), ma è anche quella penitente in Purgatorio e trionfante in Paradiso.
La sua compagine celeste è garanzia di quell’indefettibilità che il suo divino Fondatore le ha promesso e che lo Spirito Santo le assicura. E se la chiesa conciliare-sinodale che oggi si presenta come militante contraddice quella di ieri, spezzando la continuità e l’unità nella Professione dell’unica Fede che la rende una e apostolica anche nel fluire del tempo e non solo nella sua diffusione nello spazio, essa non è più la stessa Chiesa.
Per questo il Signore non manca di suscitare una vox clamantis in deserto che rompa il muro di silenzio e di complicità dei congiurati: mi riferisco ai “dottori degli ultimi tempi” cui accenna Augustin Lémann (9) nel suo saggio L’Anticristo. Sono i nuovi Sant’Atanasio imprigionati, esiliati, perseguitati ma infine risarciti dalla Giustizia divina con la proclamazione della loro santità. Ecco come il grande Vescovo di Alessandria e Dottore della Chiesa si rivolge ai fedeli durante la grande eresia ariana (10):
Che Dio vi consoli! (…) Quello che rattrista (…) è il fatto che gli altri hanno occupato le chiese con violenza, mentre in questo periodo voi vi trovate fuori. È un dato di fatto che hanno la sede, ma voi avete la Fede apostolica. Possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la Fede abita in voi. Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente. Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta – quella che mantiene la sede o chi osserva la Fede? È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la Fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo… Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra Fede, che mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla Tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo. Essi sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale. Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese. Quanto più i violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono che rappresentano la Chiesa, ma in realtà sono quelli che ne sono a loro volta espulsi e vanno fuori strada. Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione sono ridotti a una manciata, sono loro che sono la vera Chiesa di Gesù Cristo.
L’accusa ricorrente che tanto i Conservatori e i Sinodali rivolgono a chi rimane saldo nella Fede e denuncia i loro errori è di volersi creare una propria chiesa, separandosi con lo scisma dalla Chiesa Cattolica, visibile e gerarchica, di cui essi si sono però impossessati con un vero e proprio golpe e nella quale pretendono di esercitare una legittima Autorità per gli scopi opposti a quelli che Nostro Signore le ha affidato.
Ma non sono stati forse costoro, con i loro errori condannati da tutti i Papi preconciliari, a crearsi una chiesa parallela che contraddice il Magistero immutabile e sovverte il Papato? Come può un’autorità ribelle a Cristo Capo del Corpo Mistico pretendere di esercitare l’Autorità di Cristo per contraddire la Sua Parola?
Come può chi si è separato dalla comunione ecclesiale con la vera Chiesa Cattolica Apostolica Romana accusare di scisma chi le rimane fedele?
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
24 Ottobre MMXXV
S.cti Raphaëlis Archangeli
NOTE
1) Il termine auctoritas deriva da auctor, nell’accezione di autore e garante riferita a Dio.
2) San Pio X ricordava che il successo dei malvagi è possibile anzitutto grazie all’ignavia dei buoni.
3) L’espressione in fraudem legis si riferisce a un comportamento o un atto giuridico compiuto con l’intenzione di eludere una norma, aggirandone lo scopo o l’applicazione, pur rispettandone formalmente la lettera. In altre parole, si tratta di un’azione che, pur apparendo conforme alla legge, viene posta in essere per ottenere un risultato che la legge stessa intende vietare o limitare. Le caratteristiche di questo comportamento sono la conformità formale, l’intenzione elusiva e l’effetto contrario alla mens del legislatore.
4 – La mens rea designa la componente psicologica del reato, ossia l’intenzione o la consapevolezza di violare la legge.
5) Scrive Hoffman: «Il principio alchemico della Rivelazione del Metodo ha come componente principale una beffarda derisione delle vittime, simile a quella di un clown, come dimostrazione di potere e macabra arroganza. Quando viene eseguito in modo velato, accompagnato da certi segni occulti e parole simboliche, e non suscita alcuna risposta significativa di opposizione o resistenza da parte dei bersagli, è una delle tecniche più efficaci di guerra psicologica e violenza mentale». Cfr. Michael A. Hoffman II, Secret Societies and Psychological Warfare, 2001.
6) Scriveva Bartolo Longo: Innanzi a Dio l’uomo non ha vera libertà di coscienza, libertà di culto e libertà di pensiero, come oggi s’intende, cioè facoltà di scegliersi una religione ed un culto come gli talenta; ma solo la libertà dei figliuoli di Dio, come dice S. Paolo, cioè di lasciare l’errore e le seduzioni del secolo per correre liberamente al Cielo. L’affermare, perciò, che l’uomo ha il diritto innanzi a Dio di pensare e di credere in religione come gli piace, è un errore. Cfr. Bartolo Longo, San Domenico e l’Inquisizione al Tribunale della Ragione e della Storia, Valle di Pompei, Scuola tipografica editrice Bartolo Longo, 1888.
7) Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica in cui una persona (o un gruppo) fa dubitare un’altra della propria percezione della realtà, della memoria o della sanità mentale, con l’obiettivo di controllare, indebolire o destabilizzare la vittima.
8) Non vi può infatti essere vera obbedienza se chi è costituito in autorità nella Gerarchia esige di essere obbedito ma allo stesso tempo disobbedisce a Dio, che è il garante e la fonte stessa dell’Autorità. Né vi può essere legittima autorità se chi la esercita in nome di Dio non si sottomette a propria volta alla Sua suprema Autorità.
9) Augustin Lémann, L’Anticristo, Marietti, 1919, pag. 53. «Il secondo campione della verità cristiana contro l’Anticristo sarà una falange di dottori suscitata da Dio in quei tempi di prova. […] Questa falange di dottori riceverà, per la difesa e consolazione dei buoni, una maggiore intelligenza delle nostre sante Scritture». Cfr. https://www.rassegnastampa-totustuus.it/cattolica/wp-content/uploads/2014/07/LANTICRISTO-A-Lemann.pdf
Il Canonico Augustin Lémann, ebreo francese, si convertì al Cattolicesimo insieme al fratello Joseph. Divenuti amici di Pio IX, furono entrambi consultori del Concilio Vaticano I.
10) Sant’Atanasio, Epistolæ festales, Lettera XXIX, in: Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, a cura di Caillaud e Guillon, vol. 32, pagg. 411-412.
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Renovatio 21 offre questo testo di monsignor Viganò per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Spirito
«Umiliazione della Chiesa dinanzi a un eretico concubinario globalista»: Mons. Viganò sulla preghiera congiunta del re britannico col papa
Migliaia di Martiri massacrati dalla furia anticattolica di Enrico VIII, Edoardo VI, Elisabetta I, Giacomo I, Carlo I e Carlo II si staranno chiedendo – increduli – come sia possibile che l’odierno successore di Clemente VII comunichi in sacris con il capo della chiesa… pic.twitter.com/cugRJvginQ
— Arcivescovo Carlo Maria Viganò (@CarloMVigano) October 23, 2025
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Spirito
Quarant’anni fa, l’arcivescovo Lefebvre diceva la verità
Nel 1985, l’arcivescovo Lefebvre pubblicò la sua Lettera aperta ai cattolici perplessi.
Quarant’anni dopo, nel 2025, il sito web americano The Remnant ha pubblicato, sotto la penna di Robert Morrison, un articolo intitolato «La sacra saggezza dell’arcivescovo Marcel Lefebvre sulla crisi della Chiesa cattolica», in cui citava ampi estratti di questa lettera aperta, riconoscendo che «le citazioni dell’arcivescovo Lefebvre suonano più vere oggi di quando le scrisse decenni fa, e illuminano il cammino da seguire per rimanere fedeli cattolici».
Due anni dopo, nel 1987, l’arcivescovo Lefebvre aveva pubblicato Lo hanno detronizzato: dal liberalismo all’apostasia, la tragedia conciliare. Nel 2025, sullo stesso sito, The Remnant , apparve un articolo di Andrew Pollard intitolato «Cristo Re deve essere re-incoronato per salvare il mondo».
Quarant’anni fa, agli occhi dei «moderati» impenitenti, l’arcivescovo Lefebvre poteva sembrare uno di quei «profeti di sventura» che Giovanni XXIII non voleva più sentire quando aprì il Concilio Vaticano II, con un ottimismo la cui ingenuità oggi fa sorridere… o piangere.
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Vediamo lo stato attuale della Chiesa: pratica religiosa al suo punto più basso, seminari deserti, conventi vuoti, chiese distrutte o trasformate in sale espositive. Oggi non siamo più «perplessi», ma convinti che la diagnosi di Monsignor Lefebvre fosse corretta.
I fatti gli danno ragione in modo inconfutabile e i rimedi da lui proposti sono più che mai attuali, proprio perché non sono suoi, ma quelli della Tradizione bimillenaria: «Ho trasmesso ciò che ho ricevuto».
Quarant’anni è il tempo impiegato dagli Ebrei ad attraversare il deserto verso la Terra Promessa. Non osiamo affermare che presto raggiungeremo la terra «dove scorre latte e miele», ma adottiamo l’atteggiamento coraggioso dei veri pellegrini.
Nel deserto spirituale in cui viviamo, non costruiamoci idoli a nostra immagine e somiglianza e non rimpiangiamo le “cipolle d’Egitto”: questa sazietà di beni materiali offerta dal progresso tecnico, in cambio della servitù all’ideologia consumistica promossa dai nuovi faraoni.
Andiamo avanti! Non seguendo idoli moderni, ma dietro l’icona della Santissima Vergine. Andiamo avanti! Non sazi delle cipolle appassite di un edonismo ampiamente biodegradato, ma ben fortificati dalla manna della Santa Eucaristia. Andiamo avanti! Con l’inossidabile certezza che alla fine di questa lunga marcia si trova il trionfo dei Cuori uniti di Gesù e Maria.
Smettiamo di lamentarci dell’aridità del deserto spirituale che ci circonda, con i suoi tanti accessori a buon mercato. Con la grazia di Dio, scaviamo dentro di noi un’avidità spirituale : la fame e la sete dell’Unico necessario.
Abate Alain Lorans
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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