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Geopolitica

La dottrina Rumsfeld/Cebrowski

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21

 

 

 

Da due decenni il Pentagono applica al «Medio Oriente Allargato» la dottrina Rumsfeld/Cebrowski. Ha più volte valutato se estenderla al «Bacino dei Caraibi», ma vi ha sempre rinunciato, concentrandosi sul primo obiettivo. Il Pentagono agisce come centro decisionale autonomo che di fatto sfugge al potere del presidente. È un’amministrazione civile-militare che impone i suoi obiettivi agli altri settori militari.

Le cose si chiarirono solo nel 2005, quando il colonnello Ralph Peters  pubblicò la famosa carta del Consiglio dei capi di stato-maggiore: la carta del «rimodellamento» del Medio Oriente Allargato

 

 

 

A marzo 2002, nel libro L’incredibile menzogna (1) (2) scrivevo che gli attentati dell’11 Settembre avevano l’obiettivo di far accettare agli statunitensi:

 

  • all’interno, un sistema di sorveglianza di massa (il Patriot Act);
  • all’estero, la ripresa della politica imperiale, su cui all’epoca non esistevano documenti.

 

Le cose si chiarirono solo nel 2005, quando il colonnello Ralph Peters − allora commentatore di Fox News − pubblicò la famosa carta del Consiglio dei capi di stato-maggiore: la carta del «rimodellamento» del Medio Oriente Allargato (3). Fu uno choc per tutte le cancellerie: il Pentagono prevedeva di ridisegnare le frontiere ereditate dalla colonizzazione franco-britannica (gli Accordi di Sykes-Picot-Sazonov del 1916) senza riguardo verso alcuno Stato, nemico o alleato che fosse.

Fu uno choc per tutte le cancellerie: il Pentagono prevedeva di ridisegnare le frontiere ereditate dalla colonizzazione franco-britannica (gli Accordi di Sykes-Picot-Sazonov del 1916) senza riguardo verso alcuno Stato, nemico o alleato che fosse

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Da allora ogni Stato della regione cercò con ogni mezzo di evitare che la tempesta si abbattesse sulla propria popolazione. Invece di allearsi con i Paesi limitrofi per fronteggiare il comune nemico, ogni Paese tentò di spostare le grinfie del Pentagono sui vicini. Il caso più emblematico fu la Turchia, che più volte cambiò di spalla al fucile, dando di sé la fuorviante immagine di cane impazzito.

 

La carta rivelata dal colonnello Peters − che detestava il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld − non permetteva di cogliere l’insieme del progetto. Subito dopo gli attentati dell’11 Settembre, Peters pubblicò un articolo sulla rivista dell’esercito USA, Parameters (4), ove alludeva alla mappa − che tuttavia pubblicherà quattro anni più tardi − facendo intendere che il Comitato dei capi di stato-maggiore s’apprestava a realizzarla per mezzo di crimini atroci, che avrebbe appaltato per non sporcarsi le mani. Sul momento si pensò a eserciti privati, ma la storia dimostrò che nemmeno questi potevano imbarcarsi in crimini contro l’umanità.

Peters pubblicò un articolo sulla rivista dell’esercito USA, Parameters (4), ove alludeva alla mappa − che tuttavia pubblicherà quattro anni più tardi − facendo intendere che il Comitato dei capi di stato-maggiore s’apprestava a realizzarla per mezzo di crimini atroci, che avrebbe appaltato per non sporcarsi le mani. Sul momento si pensò a eserciti privati

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La chiave di volta del progetto era nell’Ufficio di Trasformazione della Forza (Office of Force Transformation) del Pentagono, creato da Rumsfeld nel periodo successivo all’11 Settembre. Lo dirigeva l’ammiraglio Arthur Cebrowski, celebre stratega, ideatore dell’informatizzazione delle forze armate (5). Si pensò che questo nuovo Ufficio fosse uno strumento per portare a compimento il progetto, benché nessuno più contestasse la riorganizzazione. Ebbene no, Cebrowski era lì per trasformare la missione delle forze armate USA, come attestano alcune registrazioni delle conferenze da lui tenute nelle accademie militari.

 

Per tre anni Cebrowski tenne lezioni a tutti gli ufficiali superiori USA, dunque a tutti coloro che oggi sono generali.

 

L’insegnamento impartito da Cebrowski nelle accademie militari era piuttosto semplice: l’economia mondiale si stava globalizzando; per rimanere la prima potenza mondiale, gli Stati Uniti dovevano adattarsi al capitalismo finanziario

L’insegnamento impartito da Cebrowski nelle accademie militari era piuttosto semplice: l’economia mondiale si stava globalizzando; per rimanere la prima potenza mondiale, gli Stati Uniti dovevano adattarsi al capitalismo finanziario.

 

Il mezzo migliore era garantire ai Paesi sviluppati lo sfruttamento delle risorse naturali dei Paesi poveri, senza dover affrontare ostacoli politici. Partendo da questo presupposto, divise il mondo in due: da un lato le economie globalizzate (incluse Russia e Cina), destinate a essere mercati stabili e, dall’altro, i Paesi rimanenti, che avrebbero dovuto essere privati delle strutture statali e fatti precipitare nel caos, in modo che le multinazionali potessero sfruttarne le ricchezze senza incontrare resistenze. Per conseguire il risultato, i popoli non-globalizzati devono essere divisi secondo criteri etnici e manovrati ideologicamente.

 

Il primo obiettivo avrebbe dovuto essere la zona arabo-mussulmana che si estende dal Marocco al Pakistan, a eccezione di Israele, nonché di due micro-Stati contermini, la Giordania e il Libano; questi tre Stati avrebbero dovuto far da barriera alla propagazione dell’incendio. È la zona che il Pentagono ha denominato Medio Oriente Allargato. Una zona definita non in funzione delle riserve petrolifere, bensì dei comuni elementi culturali degli abitanti.

 

Il mezzo migliore era garantire ai Paesi sviluppati lo sfruttamento delle risorse naturali dei Paesi poveri, senza dover affrontare ostacoli politici. Partendo da questo presupposto, divise il mondo in due: da un lato le economie globalizzate (incluse Russia e Cina), destinate a essere mercati stabili e, dall’altro, i Paesi rimanenti, che avrebbero dovuto essere privati delle strutture statali e fatti precipitare nel caos, in modo che le multinazionali potessero sfruttarne le ricchezze senza incontrare resistenze

La guerra immaginata dall’ammiraglio Cebrowski avrebbe dovuto riguardare in prima battuta l’intera regione. Non si dovevano più fare i conti con le divisioni della guerra fredda. Ormai gli Stati Uniti non avevano più gli amici o i nemici di un tempo. Non era più l’ideologia (i comunisti) o la religione (scontro di civiltà) che identificava i nemici, ma solo la loro non-integrazione nell’economia globalizzata del capitalismo finanziario. Niente poteva più proteggere coloro che avevano la sfortuna di non essere pecoroni, ossia di essere indipendenti.

 

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Questa guerra non doveva ottenere lo sfruttamento delle risorse naturali soltanto per gli Stati Uniti − com’era accaduto nelle guerre precedenti − ma per tutti gli Stati globalizzati. Del resto, gli Stati Uniti non erano più prioritariamente interessati all’appropriazione delle risorse naturali; volevano soprattutto dividere il lavoro su scala planetaria e fare lavorare gli altri per loro.

 

Ciò comportava cambiamenti tattici nel modo di condurre la guerra, visto che non si trattava, come in precedenza, di ottenere la vittoria, ma di portare avanti una «guerra senza fine», secondo l’espressione del presidente George W. Bush. In effetti, le guerre iniziate dopo l’11 Settembre su cinque fronti sono tutt’ora in corso: in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen.

 

Poco importa che i governi alleati interpretino queste guerre come vuole la propaganda statunitense; la realtà è che non sono guerre civili, ma tappe di un piano prefissato del Pentagono.

 

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La «dottrina Cebrowski» causò uno scossone nelle forze armate USA. L’assistente di Cebrowski, Thomas Barnett, fece un articolo per Esquire Magazine (5) e in seguito pubblicò un libro per meglio illustrare al grande pubblico la sua teoria: La Nuova carta del Pentagono (6).

Per conseguire il risultato, i popoli non-globalizzati devono essere divisi secondo criteri etnici e manovrati ideologicamente

 

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Il fatto che nel libro, pubblicato dopo la morte dell’ammiraglio Cebrowski, Barnett si sia attribuito la paternità della dottrina non deve trarre in inganno. È solo un mezzo del Pentagono per disconoscerne la paternità. Lo stesso accadde, per esempio, con lo «scontro di civiltà». All’inizio si trattava della «dottrina Lewis», uno stratagemma comunicativo studiato all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale per vendere nuove guerre all’opinione pubblica. La dottrina fu poi esposta al grande pubblico dall’assistente di Bernard Lewis, Samuel Huntington, che la presentò come dissertazione universitaria su una realtà ineluttabile.

 

Non era più l’ideologia (i comunisti) o la religione (scontro di civiltà) che identificava i nemici, ma solo la loro non-integrazione nell’economia globalizzata del capitalismo finanziario

L’attuazione della dottrina Rumsfeld/Cebrowski è incorsa in innumerevoli disavventure, alcune esito dell’azione del Pentagono stesso, altre per merito dei popoli che il Pentagono voleva annientare.

 

Così le dimissioni del comandante del Central Command, ammiraglio William Fallon, furono orchestrate per punirlo, perché aveva negoziato di propria iniziativa una pace ragionata con l’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Furono provocate da… Barnett stesso, con la pubblicazione di un articolo in cui accusava Fallon di discorsi ingiuriosi nei confronti del presidente Bush.

 

Oppure il fallimento della disorganizzazione della Siria, imputabile al popolo siriano e all’entrata in gioco dell’esercito russo. Il Pentagono è arrivato a incendiare i raccolti e a organizzare un embargo per affamare il Paese: azioni di ritorsione che ne dimostrano l’incapacità di distruggere le strutture statali siriane.

 

Durante la campagna elettorale, Donald Trump si era schierato contro la guerra senza fine e per il rientro dei GI’s in patria. Durante il mandato è riuscito a evitare di aprire nuovi fronti e a rimpatriare qualche soldato, ma non è riuscito a domare il Pentagono

Durante la campagna elettorale, Donald Trump si era schierato contro la guerra senza fine e per il rientro dei GI’s in patria. Durante il mandato è riuscito a evitare di aprire nuovi fronti e a rimpatriare qualche soldato, ma non è riuscito a domare il Pentagono. Quest’ultimo ha ampliato le Forze speciali senza «semiclandestine» ed è riuscito a distruggere lo Stato libanese senza far ricorso a uomini in uniforme. È la stessa strategia che sta mettendo in atto anche in Israele, ove organizza pogrom anti-arabi e anti-ebrei sfruttando lo scontro fra Hamas e Israele.

 

Il Pentagono ha più volte tentato di allargare la «dottrina Rumsfeld/Cebrowski» al Bacino dei Caraibi. Ha pianificato il rovesciamento, non già del regime di Nicolás Maduro, bensì della Repubblica bolivariana del Venezuela, ma è stato costretto alla fine a rinviarlo.

 

Si deve prendere atto che il Pentagono è diventato un potere autonomo. Dispone di un budget annuale gigantesco, quasi il doppio di quello dell’intero Stato francese (escluse collettività territoriali e sicurezza sociale).

 

In pratica, il suo potere si estende ben al di là degli Stati Uniti, dal momento che controlla l’insieme degli Stati membri dell’Alleanza Atlantica. Dovrebbe rendere conto della propria attività al presidente degli Stati Uniti, ma le esperienze dei presidenti Barack Obama e Donald Trump dimostrano il contrario. Il primo non è riuscito a imporre al generale John Allen la propria politica nei confronti di Daesh, il secondo si è lasciato trarre in inganno dal Central Command. Niente fa supporre che andrà diversamente con il presidente Joe Biden.

Il Pentagono ha più volte tentato di allargare la «dottrina Rumsfeld/Cebrowski» al Bacino dei Caraibi. Ha pianificato il rovesciamento, non già del regime di Nicolás Maduro, bensì della Repubblica bolivariana del Venezuela, ma è stato costretto alla fine a rinviarlo

 

La recente lettera aperta di ex generali USA (7) dimostra che più nessuno sa chi dirige le forze armate USA. Quel che conta non è la loro analisi politica − degna della guerra fredda − che non inficia la loro presa d’atto: amministrazione federale e generali non sono sulla stessa lunghezza d’onda.

 

Le analisi di William Arkin, pubblicate sullo Wasghington Post, hanno dimostrato che, dopo gli attentati dell’11 Settembre, lo Stato federale ha organizzato una nebulosa di agenzie, sottoposte alla supervisione del dipartimento per la Sicurezza della Patria (8).

 

Nel segreto più assoluto, esse intercettano e archiviano le comunicazioni di tutte le persone che vivono negli Stati Uniti. Arkin ha ora rivelato su Newsweek che il Dipartimento della Difesa ha creato forze speciali segrete, distinte da quelle in uniforme (9). Sono queste ad avere in carico la dottrina Rumsfeld/Cebrowski, quali che siano l’inquilino della Casa Bianca e la sua politica estera.

Si deve prendere atto che il Pentagono è diventato un potere autonomo. Dispone di un budget annuale gigantesco, quasi il doppio di quello dell’intero Stato francese

 

Quando nel 2001 il Pentagono attaccò l’Afghanistan e poi l’Iraq ricorse alle proprie forze armate classiche − non ne aveva altre a disposizione− e a quelle dell’alleato britannico.

 

Durante la «guerra senza fine» in Iraq, ha però costituito forze jihadiste irachene − sunnite e sciite − per far precipitare il Paese nella guerra civile (10). Una di queste forze, costola di Al Qaeda, fu utilizzata in Libia nel 2011; un’altra in Iraq nel 2014, sotto il nome di Daesh. Questi gruppi si sono progressivamente sostituiti alle forze armate USA per fare il lavoro sporco di cui parlava il colonnello Ralph Peters nel 2001.

 

Oggi nessuno vede soldati USA in uniforme in Yemen, Libano o Israele. Lo stesso Pentagono s’è fatto vanto del loro ritiro. In realtà, 60 mila uomini delle Forze speciali USA clandestine, ossia senza uniforme, attraverso la guerra civile seminano caos in questi Paesi.

La recente lettera aperta di ex generali USA (7) dimostra che più nessuno sa chi dirige le forze armate USA

 

 

Thierry Meyssan

 

NOTE

1) L’incredibile menzogna. Nessun aereo è caduto sul Pentagono, Thierry Meyssan, Fandango (2002).

2) Diversamente da quanto generalmente si crede, questo libro non riguarda gli attentati dell’11 Settembre. Soltanto la prima parte («Sanguinosa messinscena») dimostra l’impossibilità materiale della versione dominante. Le due parti successive riguardano la politica di controllo di massa («Morte della democrazia in America») e sul progetto imperiale futuro («L’impero attacca»)

3) «Blood borders. How a better Middle East would look», Ralph Peters, Armed Forces Journal, 1 giugno, 2006.

4) «Stability. America’s ennemy», Ralph Peters, Parameters, #31-4, Inverno 2001.

5) Transforming Military Force. The Legacy of Arthur Cebrowski and Network Centric Warfare, James R. Blaker, Praeger Security International (2007).

6) The Pentagon’s New Map: War and Peace in the Twenty-first Century, Thomas P. M. Barnett, Paw Prints (2004).

7) «Open Letter from Retired Generals and Admirals», Voltaire Network, 9 maggio 2021.

8) Top Secret America: The Rise of the New American Security State, William M. Arkin & Dana Priest, Back Bay Books (2012).

9) «Exclusive: Inside the Military’s Secret Undercover Army», William M. Arkin, Newsweek, May 17, 2021.

10) Sotto i nostri occhi, Capitolo «La fusione dei due Gladio e la preparazione di Daesh», Thierry Meyssan, edizioni La Vela (2018).

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Geopolitica

La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco

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Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.

 

Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.

 

«Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.

 

Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.

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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.

 

All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.

 

La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.

 

Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.

 

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Immagine di UK Government via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset

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La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.   Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.   Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».   Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.

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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».   «Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.   Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.   Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».   «La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.   Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.   Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».  

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Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania

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Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.

 

Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.

 

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.

 

Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)

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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.

 

Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».

 

«Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».

 

Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».

 

Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.

 

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