Economia
La compagnia petrolifera saudita ARAMCO andrà in borsa per 50 miliardi

Saudi ARAMCO, la compagnia petrolifera del Regno dei Saud negli ultimi anni aveva lasciato intendere chiaramente l’intenzione di quotarsi in borsa. Si sarebbe trattato della più grande IPO della storia, un’offerta pubblica di acquisto senza precendenti, che avrebbe creato una società per azioni colossale, con incredibile potere economico – e geopolitico.
Il processo avrebbe al contempo reso la famiglia reale saudita, capitanata dal leader de facto del Paese Mohammed bin Salman (quello che invita ad eventi di promozione l’ex presidente del Consiglio Renzi, il quale chiama MbS «sua altezza»), ancora più ricca di quanto già non lo sia.
L’assassinio del giornalista saudita del Washington Post Jamal Khashoggi, dove il principe MbS fu ritenuto coinvolto, ha messo in pausa alcune ambizioni saudite.
Le cose ora sembrano cambiate.
Lo scorso venerdì il Wall Street Journal ha riportato che la direzione di ARAMCO ha deciso di rilanciare i suoi piani per una quotazione estera in un momento in cui le borse globali cercano disperatamente di recuperare tutti gli affari che hanno perso dalla Cina.
«Il management vuole vendere fino a 50 miliardi di dollari in azioni (circa il 2,5% della società) forse a Londra o Singapore, raccogliendo anche parte del denaro in un’offerta secondaria a Riyadh» scrive il WSJ.
ARAMCO è la più grande compagnia petrolifera al mondo, nonché una delle società di maggior valore. La quotazione in borsa per 50 miliardi sarebbe la più grande mai realizzata.
ARAMCO è la più grande compagnia petrolifera al mondo, nonché una delle società di maggior valore. La quotazione in borsa per 50 miliardi sarebbe la più grande mai realizzata
«La quotazione delle azioni sarebbe di gran lunga la più grande nella storia dei mercati dei capitali e potrebbe rivelarsi difficile da realizzare. La società ha stabilito il record precedente per la più grande offerta pubblica iniziale del mondo nel 2019 quando ha raccolto 29,4 miliardi di dollari al Tadawul, o la borsa valori saudita».
Tuttavia, «lo sforzo di vendita delle quote è ancora in fase di pianificazione e potrebbe ancora essere ritardato o modificato (…) Riyadh ha lanciato diversi piani nel corso degli anni volti a raccogliere fondi tramite Aramco, alcuni dei quali alla fine hanno vacillato o sono stati abbandonati»
ARAMCO è sorta negli anni Trenta come unione del Regno Saudita con la compagnia petrolifera californiana Standard Oil, ora Chevron. ARAMCO sta appunto per Arabian American Oil Company. L’importanza di questo legame è immensa per la storia dell’economia, della distribuzione energetica e della geopolitica mondiale, e spiega bene l’alleanza para-secolare tra la sedicente democrazia laica e la teocrazia wahabita della famiglia Saud.
Una partecipazione pari al 49% dell’attività dei gasdotti ARAMCO è stata venduta di recente ad un consorzio legato al colossale fondo USA BlackRock.
Secondo una vulgata diffusa, il giovane principe «amico» di Renzi, vorrebbe incassare più denaro possibile per diversificare le fonti energetiche e le attività economiche del Regno, all’interno di un quadro strategico chiamato Vision 2030 che sviluppa anche sanità, turismo, infrastrutture, etc.
«La quotazione delle azioni sarebbe di gran lunga la più grande nella storia dei mercati dei capitali e potrebbe rivelarsi difficile da realizzare»
Egli, secondo alcuni articoli, avrebbe altresì sul suo enorme yacht il celeberrimo quadro di Leonardo da Vinci Salvator Mundi, che era stato aggiudicato per 450 milioni di dollari a un’asta di Christies nel 2017.
Il principe MbS anni fa ha lanciato l’idea di costruire, dal nulla del deserto arabo, NEOM, una città avveniristica abitata solo da VIP, abbienti ed androidi. L’urbe ultra-tecnologica nei progetti sarebbe costruita in forma di linea e interamente alimentata a energia solare e gestita da robot – una sorta di Dubai automatica, per la quale il principe ha fissato un budget di mezzo trilione di dollari.
Nel frattempo, la stampa si sta occupando ancora una volta dei rapporti economici tra l’ex premier toscano e i sauditi.
Cina
La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

Il ministero del Commercio cinese, ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.
Questi controlli riguardano «l’estrazione, la fusione e la separazione delle terre rare, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio delle risorse secondarie delle terre rare». Le aziende potranno richiedere esenzioni per casi specifici. In assenza di esenzioni, il ministero della Repubblica Popolare obbligherà gli esportatori a ottenere licenze per prodotti a duplice uso non inclusi in queste categorie, qualora sappiano che i loro prodotti saranno utilizzati in attività connesse alle categorie elencate.
Il precedente tentativo del presidente statunitense Donald Trump di avviare una guerra tariffaria con la Cina si è rivelato un fallimento, principalmente a causa del dominio preponderante della Cina nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali delle terre rare. Delle 390.000 tonnellate di ossidi di terre rare estratti nel 2024, la Cina ne ha prodotte circa 270.000, rispetto alle 45.000 tonnellate degli Stati Uniti, e detiene circa l’85% della capacità di raffinazione globale.
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La decisione odierna della Cina avrà certamente un impatto a Washington, soprattutto in vista dell’incontro tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping previsto per fine mese. Oggi si è registrata una corsa all’acquisto delle azioni di MP Materials, il principale concorrente statunitense della Cina nella produzione di terre rare.
All’inizio dell’anno, il dipartimento della Difesa statunitense aveva investito in MP Materials, dopo che Trump aveva evidenziato il divario tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, tale investimento è stato considerato insufficiente e tardivo.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
Economia
Ritrovato morto a Kiev un trafficante di criptovalute

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Cina
Trump: gli USA imporranno dazi del 100% alla Cina

Il presidente Donald Trump ha dichiarato che, a partire dal 1° novembre 2025, gli Stati Uniti applicheranno dazi del 100% sui prodotti cinesi, in reazione a quelle che ha definito restrizioni commerciali «straordinariamente aggressive» introdotte da Pechino.
Giovedì, la Cina ha reso noti nuovi controlli sulle esportazioni di minerali strategici con applicazioni militari, giustificando la misura come necessaria per tutelare la sicurezza nazionale e adempiere agli obblighi internazionali, inclusi quelli legati alla non proliferazione.
In un messaggio pubblicato venerdì su Truth Social, Trump ha accusato la Cina di aver assunto «una posizione estremamente ostile in materia di commercio», annunciando l’intenzione di imporre «controlli su larga scala sulle esportazioni di quasi tutti i prodotti che producono, inclusi alcuni non realizzati da loro», secondo una comunicazione inviata a livello globale. Tali misure, ha sottolineato il presidente, avrebbero impatto su tutti i paesi «senza eccezioni».
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«In risposta a questa posizione senza precedenti della Cina, gli Stati Uniti imporranno un dazio del 100% sui prodotti cinesi, in aggiunta a qualsiasi tariffa attualmente in vigore», ha scritto Trump, specificando che, dalla stessa data, saranno introdotti controlli sulle esportazioni di «qualsiasi software critico».
Ad agosto, Stati Uniti e Cina avevano concordato una tregua tariffaria di 90 giorni, che ha ridotto i dazi americani sui prodotti cinesi dal 145% al 30% e quelli cinesi sui prodotti americani dal 125% al 10%. Questa tregua scadrà a novembre. Trump ha definito la mossa di Pechino «assolutamente inaudita nel commercio internazionale» e «una vergogna morale nei rapporti con altre nazioni», precisando di parlare esclusivamente a nome degli Stati Uniti, non di altre nazioni similmente minacciate.
L’annuncio ha provocato un forte impatto sui mercati globali, con un crollo delle borse statunitensi nella giornata di venerdì. Come visibile nella finance card sopra, l’indice S&P 500 ha registrato un calo del 2,7%, segnando la peggiore perdita giornaliera da aprile, mentre il Dow Jones Industrial Average è sceso di circa 900 punti, pari all’1,9%.
Il NASDAQ, fortemente legato al settore tecnologico, ha subito un ribasso del 3,6%, con gli investitori che hanno venduto titoli ad alta crescita, particolarmente vulnerabili alle interruzioni nelle catene di approvvigionamento cinesi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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