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La Chiesa Ortodossa Ucraina dichiara l’indipendenza da Mosca?

Persino i grandi giornali, solitamente per nulla avvezzi a trattare di questioni ecclesiastiche ortodosse, hanno presentato stamane titoli relativi a una presunta separazione della Chiesa Ortodossa Ucraina dal Patriarcato di Mosca.
Poco importa se questi stessi giornali fino a ieri cianciavano insistentemente di un inesistente «Patriarcato ucraino autocefalo» (e noi avevamo contestato qui questa baggianata): per i giornalisti oggi era importante rilanciare questa notizia.
Cosa c’è di vero? Mettiamo un po’ di ordine.
La risoluzione del Concilio della Chiesa Ucraina del 27 maggio
Nella mattinata di ieri, venerdì 27 maggio, presso la Chiesa di S. Pantaleone nel parco di Feofanija a Kiev, dopo un breve incontro del Santo Sinodo, si è riunito il Concilio locale della Chiesa Ortodossa Ucraina.
Il Concilio locale è una prerogativa di diritto della Chiesa Ucraina, in quanto dotata di una speciale forma di larga autonomia all’interno della Chiesa Russa, garantita dal Patriarca Alessio II di Mosca con un tomos speciale nel 1990, e include la partecipazione di tutti i vescovi canonici dell’Ucraina.
Alla conclusione dei lavori, in serata, segnata dalla celebrazione di un servizio commemorativo per i caduti della guerra, è stata pubblicata una risoluzione conciliare, con i seguenti punti:
1)
Il Concilio condanna la guerra come una violazione del comandamento di Dio Non uccidere (Es. 20, 13), ed esprime le proprie condoglianze a tutti quelli che han sofferto a causa della guerra.
2)
Il Concilio si appella alle autorità dell’Ucraina e alle autorità della Federazione Russa perché continuino i processi negoziali e ricerchino un forte e ragionevole accordo che possa metter fine allo spargimento di sangue.
3)
Il Concilio esprime il proprio disaccordo con la posizione del Patriarca Cirillo di Mosca e di tutta la Rus’ riguardo la guerra in Ucraina.
4)
Il Concilio ha adottato importanti emendamenti e addizioni allo Statuto dell’amministrazione della Chiesa Ortodossa Ucraina, indicando la completa autosufficienza e indipendenza della Chiesa Ortodossa Ucraina.
5)
Il Concilio ha approvato le risoluzioni del Concilio dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Ucraina e le decisioni del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Ucraina che si è riunito nel periodo intercorso dall’ultimo Concilio (8 luglio 2011).
Il Concilio approva le attività della Cancelleria e delle istituzioni sinodali della Chiesa Ortodossa Ucraina.
6)
Il Concilio ha considerato di restaurare la pratica di consacrare il Crisma nella Chiesa Ortodossa Ucraina.
7)
Per il periodo della legge marziale, quando i rapporti tra le eparchie e il centro di governo della Chiesa sono complicati o assenti, il Concilio ritiene opportuno conferire ai vescovi diocesani il potere di prendere decisioni autonome su diverse questioni della vita diocesana, che rientrano nella competenza del Santo Sinodo o del primate della Chiesa ortodossa ucraina, informandone il clero, se possibile.
8)
Di recente, la Chiesa ortodossa ucraina ha dovuto affrontare una nuova sfida pastorale. Durante i tre mesi di guerra, oltre 6 milioni di cittadini ucraini sono stati costretti a lasciare il Paese. Si tratta principalmente di ucraini delle regioni meridionali, orientali e centrali dell’Ucraina. Sono in gran numero fedeli della Chiesa ortodossa ucraina.
Pertanto, la metropolia di Kiev della Chiesa ortodossa ucraina sta ricevendo da vari Paesi richieste di aprire parrocchie ortodosse ucraine. Ovviamente molti dei nostri compatrioti torneranno in patria, ma molti rimarranno in residenza permanente all’estero.
A questo proposito, il Concilio esprime la sua profonda convinzione che la Chiesa ortodossa ucraina non può lasciare i suoi fedeli senza cure spirituali, e che deve stare al loro fianco nelle loro prove e fondare comunità ecclesiali nella diaspora.
9)
Consapevole della sua speciale responsabilità dinanzi a Dio, il Concilio si rammarica profondamente per la mancanza d’unità nell’Ortodossia ucraina. L’esistenza dello scisma è vista dal Concilio come una ferita profonda e dolorosa nel corpo della Chiesa.
È particolarmente deplorevole che le recenti azioni del patriarca di Costantinopoli in Ucraina, che hanno portato alla formazione della «Chiesa ortodossa dell’Ucraina», abbiano solo approfondito l’equivoco e portato allo scontro fisico. Ma anche in tali circostanze di crisi, il Concilio non perde la speranza di riprendere il dialogo.
Affinché il dialogo abbia luogo, i rappresentanti della «Chiesa ortodossa dell’Ucraina» devono:
a) Fermare il sequestro di chiese e il trasferimento forzato delle parrocchie della Chiesa ortodossa ucraina.
b) Rendersi conto che il loro status canonico, come sancito dallo «Statuto della Chiesa ortodossa in Ucraina», è in realtà non autocefalo e di gran lunga inferiore alle libertà e alle opportunità per le attività ecclesiastiche previste dallo Statuto di governo della Chiesa ortodossa ucraina.
c) Risolvere la questione della canonicità della gerarchia della «Chiesa ortodossa dell’Ucraina», perché per la Chiesa ortodossa ucraina, così come per la maggior parte delle Chiese ortodosse locali, è abbastanza chiaro che per il riconoscimento della canonicità della gerarchia della «Chiesa ortodossa dell’Ucraina» è necessario ripristinare la successione apostolica dei suoi vescovi.
Il Concilio esprime la sua profonda convinzione che la chiave del successo del dialogo deve essere non solo il desiderio di restaurare l’unità ecclesiale, ma anche una sincera aspirazione a costruire la propria vita sulla base della coscienza cristiana e della purezza morale.
10)
Riassumendo il lavoro svolto, il Concilio offre una preghiera di ringraziamento al Signore misericordioso per la possibilità della comunione fraterna ed esprime l’auspicio per la fine della guerra e la riconciliazione delle parti belligeranti. Nelle parole del santo apostolo ed evangelista Giovanni Teologo, «grazia, misericordia e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo, Figlio del Padre, nella verità e nella carità» (2 Giovanni 1, 3) siano con tutti noi, specialmente con i fratelli e le sorelle in Cristo risorto.
Interpretazione, commenti e conseguenze delle decisioni conciliari
Se i punti 1-3, che esprimono in modo chiaro la posizione della Chiesa Ucraina sulle questioni belliche, hanno un valore del tutto relativo a livello ecclesiologico, ben più rilevanti appaiono altri punti del documento conciliare.
Anzitutto il punto 4, da leggere in associazione al punto 6, che ha fatto scatenare i giornalisti nostrani: il documento parla di emendamenti allo Statuto che ne rafforzano l’indipendenza, ma non menziona quali siano questi emendamenti.
Inoltre, il documento conciliare non usa esplicitamente la parola «autocefalia». L’Arciprete Nikolaj Danilevich, rappresentante della Chiesa Ucraina per le relazioni esterne, ha commentato a riguardo con queste parole:
«L’UOC si è disassociata dal Patriarcato di Mosca e ha confermato il suo stato d’indipendenza, e ha operato adeguati cambiamenti al proprio statuto. Ogni riferimento alla connessione dell’UOC con la Chiesa Ortodossa Russa sono stati rimossi dagli statuti. Di fatto, gli statuti dell’UOC sono ora quelli di una Chiesa autocefala».
Non sappiamo se le parole di padre Danilevich debbano essere prese alla lettera; infatti, il Santo Sinodo della Chiesa Ucraina, riunitosi qualche settimana fa, rispondendo alle richieste provenienti da alcuni vescovi che chiedevano a gran voce l’autocefalia, aveva insistito che le decisioni del futuro Concilio non avrebbero dovuto travalicare il campo canonico, né introdurre ulteriore divisione nella Chiesa di Cristo.
In effetti, benché la Chiesa Ucraina abbia uno stato di ampia autonomia, non può ovviamente proclamare se stessa autocefala, ma deve ricevere un riconoscimento da parte del Patriarcato di Mosca che ne detiene la giurisdizione canonica.
Ad esempio, per dare un’idea di come si dovrebbero svolgere le procedure canoniche, durante la riunione di ieri del Santo Sinodo della Chiesa Russail metropolita Innocenzo di Vilnius ha portato all’attenzione del Sinodo la richiesta di indipendenza della Chiesa Lituana: i vescovi riuniti hanno preso nota della richiesta e istituito una commissione, presieduta dal Patriarca Cirillo, che valuterà la fondatezza delle richieste lituane e prenderà le adeguate decisioni. La Chiesa Ucraina non ha fatto nulla di tutto ciò.
Inoltre, la questione della consacrazione del Crisma non è necessariamente un’indicazione di autocefalia, benché negli ultimi 100 anni nella mentalità russa la possibilità di consacrare il Crisma sia stata intesa come il segno maggiore dell’autocefalia di una Chiesa.
Le Chiese di tradizione ellenica, ad esempio, benché autocefale o addirittura Patriarcati antichi, non consacrano il loro Crisma ma lo ricevono da Costantinopoli; nella Chiesa Russa, fino alla Rivoluzione, il Crisma veniva consacrato in quattro o cinque luoghi diversi in tutto il territorio imperiale, inclusa anche Kiev, ove fu consacrato per l’ultima volta nel 1913.
Vladimir Legoida, capo del servizio stampa della Chiesa Ortodossa Russa, ha dichiarato che Mosca non rilascerà alcun commento finché non saranno presentati dei documenti ufficiali che illustrano quali siano gli emendamenti adottati dalla Chiesa Ucraina.
Intanto, il metropolita Ilarion, capo del dipartimento delle relazioni estere della Chiesa Russa, ha rilasciato un breve video in cui spiega che, a quanto gli risulta, la Chiesa Ucraina ha soltanto reso più esplicite le indicazioni dello stato di autonomia (e non autocefalia) che già possiede dal 1990.
Ad ogni modo, alla Liturgia di questa mattina al Monastero delle Grotte di Kiev, sede del metropolita Onofrio di Kiev e di tutta l’Ucraina, è stato regolarmente commemorato il Patriarca Cirillo (nel video sotto, al minuto 1:08:20).
La situazione resta ingarbugliata, e non manca chi ha pensato di leggere in questa decisione conciliare una mossa astuta dettata da Mosca stessa, in un periodo in cui le autorità civili nazionaliste spingono per una campagna contro la Chiesa Ortodossa Ucraina e – addirittura – in alcuni luoghi essa è stata bandita come organizzazione antinazionale; agitare uno spettro di autonomia da Mosca, sebbene indefinito, potrebbe essere un modo di garantire una relativa tranquillità alla Chiesa Ucraina nel periodo bellico, per poi ripristinare lo stato canonico al termine dell’operazione militare speciale.
Infine, merita assolutamente una nota il punto 9, in cui la pseudo-Chiesa nazionalista guidata da Epifanio Dumenko e riconosciuta da Costantinopoli è identificata nella sua non-canonicità, segnalandone peraltro la condizione di inaccettabile subordinazione a Costantinopoli (b) e la mancanza di valida successione apostolica (c).
Un colpo netto a Bartolomeo e ai suoi amici d’oltreatlantico.
Nicolò Ghigi
Immagine screenshot da YouTube
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Il cardinale Sarah afferma che papa Leone è «consapevole della battaglia» sulle restrizioni alla messa in latino

Il cardinale Robert Sarah ha condiviso in un’intervista pubblicata lunedì di aver parlato con papa Leone XIV delle preoccupazioni di coloro che hanno partecipato alla messa tradizionale in latino e che il pontefice è consapevole delle loro difficoltà.
«Continuiamo a litigare per la liturgia, continuiamo a fare bullismo contro certe persone», ha dichiarato Sarah alla pubblicazione francese Tribune Chrétienne in un’intervista esclusiva, suggerendo che i cristiani che partecipano e sostengono la Messa in latino non possono essere giustamente privati della Messa in latino, anche perché questi cattolici praticano la loro fede in modo pieno e autentico.
«In realtà, quando guardiamo davvero ai cristiani praticanti oggi, sono loro ad andare alla Messa tradizionale. Allora perché proibirglielo? Al contrario, dovremmo incoraggiarli», ha detto il presule. «Non so cosa farà il papa, ma è consapevole di questa battaglia. È consapevole di questa difficoltà».
Il cardinale ha affermato di aver avuto «l’opportunità» di discutere la questione quando ha incontrato papa Leone, ma non ha rivelato alcun dettaglio specifico sulla loro conversazione, incluso se Leone abbia indicato una linea d’azione riguardo alla messa in rito antico.
Tuttavia, ha espresso la speranza che Leo tenga conto delle esigenze dei cattolici che frequentano la Messa tridentina. Quando il suo intervistatore gli ha fatto notare che il cardinale Raymond Burke ha ottenuto una Messa tradizionale nella Basilica di San Pietro, Sarah ha risposto:
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«Ciò avverrà, ma a tutti deve essere dato spazio. Il papa è il padre di tutti, di ognuno di noi. È il padre dei tradizionalisti. È il padre dei progressisti, il padre di tutti. Non può ignorare i suoi figli. Ognuno ha il suo carattere, la sua sensibilità. Tutti devono essere tenuti in considerazione. Credo che cercherà di agire in questo modo».
In precedenza nella sua intervista, Sarah aveva sottolineato che la Messa è diventata un «campo di battaglia tra tradizionalisti e progressisti» e si era chiesto il perché, incoraggiando i fedeli a riflettere sulla provenienza dell’autorità di proibire una Messa.
«Penso che dobbiamo riflettere su questo. È l’unico momento in cui l’uomo è in rapporto faccia a faccia con Dio», ha detto riferendosi alla Messa. «È l’unico momento in cui l’uomo è in contatto diretto con Dio, quando Dio lo ascolta, quando l’uomo parla con Dio».
«Perché dobbiamo combattere? Perché proibire questo? Perché proibire quello? Chi ci dà questo diritto? Chi ci dà questo potere? Qualcuno che ha un rapporto personale con Dio? Non abbiamo mai visto una cosa del genere nella storia della Chiesa», ha continuato il cardinale, riferendosi al divieto senza precedenti di una venerabile liturgia sviluppatasi organicamente nel corso di molti secoli.
«Quindi penso che se il papa cerca di capirlo non sia facile, perché la questione è una questione di fede. Come crediamo, come preghiamo», ha detto Sarah, invertendo il detto latino «Lex orandi, lex credendi».
Quando Leone ha finalmente affrontato pubblicamente la questione il mese scorso, ha evitato di dare una risposta chiara sulla sua posizione in merito alla legittimità delle restrizioni al TLM, affermando che l’argomento è «molto complicato».
Il papa ha inoltre definito la messa in latino un «argomento scottante» e ha rivelato di aver già ricevuto «numerose richieste e lettere» sull’argomento.
La messa tradizionale della Chiesa è stata sottoposta a pesanti restrizioni nel luglio 2021 a causa della Traditionis Custodes di papa Francesco e delle successive misure imposte dal cardinale Arthur Roche nel suo ruolo di prefetto della Congregazione per il Culto Divino.
Mentre il Vaticano, sotto Leone XIII, ha concesso a una parrocchia del Texas una proroga di due anni per celebrare la messa latina tradizionale, il papa non ha finora dato alcuna indicazione, nemmeno in questa decisione, che dichiarerà abrogata la Traditionis Custodes o ne modificherà i diktat.
La Traditionis Custodes è stata fermamente condannata dal clero e dagli studiosi come un ripudio della pratica perenne della Chiesa cattolica e perfino del solenne insegnamento della Chiesa.
Il cardinale Burke ha affermato che la liturgia tradizionale non può essere proscritta, nemmeno dal Papa stesso. «Si tratta di una realtà oggettiva della grazia divina che non può essere modificata da un mero atto di volontà, nemmeno dalla più alta autorità ecclesiastica», ha scritto il cardinale statunitense nel 2021.
La bolla Quo Primum di San Pio V del 1570 autorizzò in modo permanente la Messa tradizionale, dichiarando che poteva essere usata «liberamente e lecitamente» «in perpetuo» e che persino l’ira di Dio si sarebbe abbattuta su coloro che avessero osato limitare o abolire la Messa di sempre.
«(…) Decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò, non ostanti: precedenti costituzioni e decreti Apostolici; costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concilii sia Provinciali che Sinodali; qualunque statuto e consuetudine in contrario (…)» scrive Quo Primum.
«Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo».
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Messi in vendita gli effetti personali di Pio XII

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Mons. Eleganti critica duramente il Vaticano II e la nuova liturgia

Il vescovo Marian Eleganti era vescovo ausiliare della diocesi di Coira, in Svizzera, quando era vescovo il vescovo Vitus Huonder. Dopo il suo ritiro, ha criticato apertamente le politiche vaticane, incluso il disastroso Sinodo sulla sinodalità. Di recente, insieme ad altri tre vescovi, ha riparato la profanazione della Basilica di San Pietro da parte del pellegrinaggio LGBT.
Attacca il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica in un articolo pubblicato sul suo blog, dal titolo evocativo: «Vaticano II: la primavera annunciata non è arrivata». Con la sua consueta semplicità, mons. Eleganti racconta di aver servito la Messa nel rito tradizionale, prima di essere formato alla nuova Messa. Poi è arrivato il grande sconvolgimento. I sottotitoli sono della redazione.
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Un’infanzia segnata dal Concilio
«Da bambino, ho assistito all’iconoclastia nella venerabile Chiesa della Santa Croce nella mia città natale. Gli altari gotici scolpiti furono demoliti davanti ai miei occhi infantili. Tutto ciò che rimase fu un altare comune, una sala del coro vuota, la croce nell’arco del coro, Maria e Giovanni a sinistra e a destra su pareti bianche e spoglie».
«Nuove vetrate inondavano la chiesa con il sole che sorgeva a est. Niente di più: era una deforestazione senza precedenti. Noi bambini trovavamo tutto questo normale e appropriato e risparmiavamo con fervore per il nuovo pavimento in pietra, così da dare il nostro contributo alla riforma o al rinnovamento della chiesa. L’euforia del Concilio veniva trasmessa dai sacerdoti; venivano convocati sinodi, ai quali io stesso partecipavo da adolescente. Non avevo assolutamente idea di cosa stesse succedendo».
Un’accettazione sicura ma lucida
«All’età di 20 anni, come novizio [benedettino, ndr], ho sperimentato da vicino e dolorosamente le tensioni liturgiche tra tradizionalisti e progressisti tra i riformatori. Furono introdotte nuove professioni ecclesiastiche, come quella di assistente pastorale (principalmente per i coniugati)».
«Ricordo i miei commenti critici su questo perché le tensioni e i problemi che stavano lentamente emergendo tra ordinati e non ordinati erano prevedibili fin dall’inizio. Il calo del numero di candidati al sacerdozio era prevedibile e divenne rapidamente evidente».
«Da giovane, ho sostenuto con tutto il cuore il Concilio e in seguito ne ho studiato i documenti con fede e fiducia. Tuttavia, fin dall’età di vent’anni, ho notato diverse cose: la desacralizzazione del santuario, del sacerdozio, del Santissimo Sacramento, così come la ricezione della Santa Eucaristia, e l’ambiguità di alcuni passaggi nei documenti conciliari. Da giovane laico ancora poco versato in teologia, ho notato tutto questo molto presto».
«Sebbene il sacerdozio fosse la scelta che mi stava più a cuore fin dall’infanzia, non sono stato ordinato sacerdote fino all’età di 40 anni. Sono cresciuto con il Concilio, ho raggiunto l’età adulta e ho potuto osservarne gli effetti fin da quando ha avuto luogo. Oggi ho 70 anni e sono vescovo».
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La consapevolezza del fiasco conciliare
«Guardando indietro, devo dire che la primavera della Chiesa non è mai arrivata; ciò che è arrivato è stato invece un declino indescrivibile nella pratica e nella conoscenza della fede, una diffusa mancanza di forma liturgica e una certa arbitrarietà (alla quale io stesso ho in parte contribuito senza rendermene conto)».
«Guardando indietro, sono sempre più critico verso tutto, compreso il Concilio, i cui testi la maggior parte delle persone ha già abbandonato, pur invocandone costantemente lo spirito. Cosa non è stato confuso con lo Spirito Santo e attribuito a lui negli ultimi 60 anni? Cosa è stato chiamato “vita” senza apportare vita, ma al contrario dissolvendola?»
«I cosiddetti riformatori volevano ripensare il rapporto della Chiesa con il mondo, riorganizzare la liturgia e rivalutare le posizioni morali. E continuano a farlo. Il segno distintivo della loro riforma è la fluidità nella dottrina, nella moralità e nella liturgia, l’allineamento con le norme secolari e una rottura spietata, post-conciliare, con tutto ciò che era venuto prima».
«Per loro, la Chiesa è, soprattutto, ciò che è stata dal 1969 (Editio Typica Ordo Missae, Cardinale Benno Gut). Ciò che è venuto prima può essere trascurato o è già stato rivisto. Non si può tornare indietro. I più rivoluzionari tra i riformatori sono sempre stati consapevoli dei loro atti rivoluzionari. Ma la loro riforma postconciliare, i loro processi, sono falliti – su tutta la linea. Non sono stati ispirati. L’altare del popolo non è un’invenzione dei padri conciliari».
«Io stesso celebro la Santa Messa secondo il nuovo rito, anche in privato. Tuttavia, grazie alla mia attività apostolica, ho riscoperto l’antica liturgia della mia infanzia e ne noto la differenza, soprattutto nelle preghiere e nelle posture, e naturalmente nell’orientamento».
«A posteriori, l’intervento postconciliare sulla forma molto coerente della liturgia, vecchia di quasi duemila anni, mi sembra una ricostruzione piuttosto violenta e provvisoria della Santa Messa negli anni successivi alla conclusione del Concilio, che è stata associata a grandi perdite che devono essere colmate. È stato fatto anche per ragioni ecumeniche».
«Molte forze, anche protestanti, furono direttamente coinvolte in questo sforzo di allineare la liturgia tradizionale con la Cena del Signore protestante e forse anche con la liturgia del Sabato ebraico. Ciò fu fatto in modo elitario, dirompente e sconsiderato dalla Commissione Liturgica Romana e imposto all’intera Chiesa da Paolo VI, non senza causare gravi fratture e divisioni nel corpo mistico di Cristo, che persistono ancora oggi».
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Giudica l’albero dai suoi frutti
«Una cosa è certa per me: se si può giudicare un albero dai suoi frutti, è urgente una rivalutazione spietata e onesta della riforma liturgica postconciliare: storicamente onesta e meticolosa, non ideologica e aperta, a immagine della nuova generazione di giovani credenti che non conoscono né leggono i testi del Concilio.
«Non hanno nemmeno problemi con la nostalgia, perché conoscono la Chiesa solo nella sua forma attuale. Sono semplicemente troppo giovani per essere tradizionalisti. Tuttavia, hanno sperimentato come funzionano attualmente le parrocchie, come celebrano la liturgia e cosa rimane della loro socializzazione religiosa attraverso la parrocchia? Molto poco! Per questo motivo, non sono nemmeno progressisti».
«Dalla prospettiva odierna, il cattolicesimo liberale o progressismo degli anni Settanta – più recentemente sotto le mentite spoglie del “cammino sinodale” – ha fatto il suo corso e ha condotto la Chiesa in un vicolo cieco. La frustrazione è ancora maggiore. Lo possiamo vedere ovunque. Le funzioni domenicali e feriali sono frequentate principalmente dagli anziani. I giovani sono assenti, tranne che in alcuni luoghi di culto molto affollati. La riforma sta avvenendo da sola, perché nessuno ci va più né ne legge i risultati».
«Come è possibile che la riforma postconciliare possa essere ancora oggi considerata in modo così acritico e limitato, a giudicare dai suoi frutti? Perché un esame onesto della tradizione e della nostra storia (della Chiesa) non è ancora possibile? Perché non si vuole vedere che siamo a un punto di svolta e che dovremmo fare il punto della situazione, soprattutto a livello liturgico?»
«”Essere o non essere”, in termini di fede e vita ecclesiale, si decide sulla base o sui fondamenti della liturgia. È qui che la Chiesa vive o muore. Tradizionalisti e progressisti hanno correttamente valutato questo aspetto fin dal 1965. Allora perché la tradizione è in aumento tra i giovani? Cosa la rende così attraente per i giovani? Pensateci! I piedi votano, non i concili. Forse dovremmo semplicemente cambiare direzione! Capito?»
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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