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Italia sede prescelta per un esperimento sociale di controllo digitalizzato dell’individuo: il discorso dell’on. Francesca Donato

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Renovatio 21 rilancia il video e il testo dell’intervento dell’europarlamentare Francesca Donato (da poco uscita dalla Lega) in merito all’introduzione del green pass in Italia. 

 

Renovatio 21 si compiace che qualcuno fra i politici si stia rendendo conto del terrificante progetto di sorveglianza bioelettronica sottinteso al certificato verde.

 

Sosteniamo l’eurodeputata di origine veneta, augurandoci che altri nel suo ex partito si rendano conto con che cosa stanno collaborando.

 

 

 

 

Siamo a ridosso dell’entrata in vigore dell’obbligo di greenpass, ovvero lasciapassare sanitario, per tutti i lavoratori del settore pubblico e privato.

 

A fronte di una percentuale complessiva di vaccinati nel nostro Paese dell’85%, e con una situazione assolutamente sotto controllo per quanto riguarda contagi e ricoveri per COVID-19, in Italia, e solo in Italia, si introduce la più eclatante discriminazione verso una minoranza dei cittadini mai vista dai tempi del regime fascista.

 

Le stesse limitazioni un tempo riservate ai non-ariani – divieto di accesso a locali pubblici, musei, teatri, scuole di ogni ordine e grado, posti di lavoro di ogni tipo, ristoranti e palestre – sono oggi previste per gli Italiani non vaccinati

Le stesse limitazioni un tempo riservate ai non-ariani – divieto di accesso a locali pubblici, musei, teatri, scuole di ogni ordine e grado, posti di lavoro di ogni tipo, ristoranti e palestre – sono oggi previste per gli Italiani non vaccinati, a meno che non si sottopongano ad un tampone ogni 48 ore per provare di non essere infetti da COVID.

 

Si è introdotta così, a tutti i livelli, una vera e propria presunzione di infettività a carico dei cittadini non vaccinati contro il COVID, a prescindere dalla loro effettiva situazione immunitaria, in quanto vengono considerati potenziali «untori» anche i soggetti immuni da guarigione, con anticorpi e immunità cellulare certificata.

 

Nessun fondamento scientifico giustifica né può essere richiamato per legittimare tale misura di stampo puramente razzista, nel senso più ampio del termine utilizzato dalla nostra Costituzione all’art. 3.

La medicina ufficiale, le stesse case farmaceutiche produttrici dei vaccini, e da ultimo anche l’associazione nazionale dei medici aziendali e competenti, hanno più volte chiaramente dichiarato che la vaccinazione non esclude affatto la possibilità di contrarre l’infezione né di trasmetterla, pertanto il possesso del green pass per completata vaccinazione non assicura affatto la sicurezza dei luoghi di lavoro né dei locali per cui è prescritta la sua esibizione.

 

Si è introdotta così, a tutti i livelli, una vera e propria presunzione di infettività a carico dei cittadini non vaccinati

Studi scientifici e dati resi pubblici (anche da Anthony Fauci, responsabile della sanità USA) hanno precisato che i vaccinati infetti da COVID hanno la stessa carica virale, e quindi la stessa capacità di contagiare altri soggetti, dei non vaccinati. Ed anche che l’immunità da guarigione, molto più forte e duratura di quella ottenibile da qualsiasi vaccino, è l’unica vera barriera alla circolazione del virus.

 

I maldestri tentativi dei portavoce del governo Draghi e degli organi di informazione, ormai quasi totalmente cooptati come organi di propaganda filogovernativa, che cercano di rendere presentabile tale osceno abuso di potere a danno di un intero popolo, si fanno sempre più inefficaci.

Nessun fondamento scientifico giustifica né può essere richiamato per legittimare tale misura di stampo puramente razzista, nel senso più ampio del termine utilizzato dalla nostra Costituzione all’art. 3.

 

La reazione dell’opinione pubblica, visibile nelle piazze che protestano contro il green pass e per la libertà ed il lavoro, evidenzia un crollo di consenso dell’operato di Draghi sempre più marcato, la replica che si sente giungere ad oggi è addirittura la minaccia di introdurre un obbligo vaccinale per tutta la popolazione, in caso di fallimento del green pass.

Le voci dissenzienti, all’interno del mondo della cultura, dell’università, della scienza e delle varie categorie produttive, vengono costantemente bollate come «fasciste», «complottiste» o altri epiteti infamanti e denigratori, e in taluni casi sanzionate con procedimenti disciplinari dagli ordini professionali, espulsioni da università, sospensioni dal servizio per chi esercita funzioni pubbliche.

 

Il clima di repressione del dissenso e di ghettizzazione, discriminazione e persecuzione feroce contro i non vaccinati è sempre più pesante.

 In nessun altro Paese europeo è richiesto un lasciapassare sanitario per poter lavorare e in pochissimi Stati esiste il green pass per accedere a locali o eventi

E tutto ciò risulta ancor più sconcertante se confrontato a quanto accade nel resto d’Europa e del mondo: in nessun altro Paese europeo è richiesto un lasciapassare sanitario per poter lavorare e in pochissimi Stati esiste il green pass per accedere a locali o eventi.

 

Anzi, ormai l’intera area scandinava ha ufficialmente abbandonato ogni restrizione per il COVID: in Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia oggi si vive e si circola liberamente, senza alcun obbligo né limitazione, nemmeno mascherine al chiuso, come prima della comparsa del COVID.

 

Ma anche nei Paesi dell’est europeo, e in Russia, non esistono misure come quelle in vigore in Italia.

 

Il clima di repressione del dissenso e di ghettizzazione, discriminazione e persecuzione feroce contro i non vaccinati è sempre più pesante.

La stampa estera, specialmente britannica, ci osserva con sbigottimento classificandoci come un regime fascista, mentre le Istituzioni europee restano inerti nonostante le macroscopiche violazioni dei diritti umani in corso nel nostro Paese.

La sensazione, sempre più netta ormai, è che l’Italia sia la sede prescelta per un esperimento sociale vero e proprio, che punta al controllo spasmodico dell’individuo ed alla schedatura di tutti i cittadini con sistemi digitalizzati ed intercomunicanti, al fine di coartarne la volontà e le scelte tramite un sistema di libertà condizionata ad una serie di adempimenti.

 

I segnali di questo progetto sono manifesti sia nelle normative europee sui sistemi di identità digitale, sia nella legislazione nazionale, ed in particolare nel cosiddetto «decreto sostegni» dello scorso aprile che, con i decreti legge del 31 maggio 2021 e 17 giugno 2021, hanno messo in piedi – su basi già predisposte – la ciclopica piattaforma nazionale del Digital green certificate, per l’emissione, il rilascio e la verifica dei certificati verdi.

La sensazione, sempre più netta ormai, è che l’Italia sia la sede prescelta per un esperimento sociale vero e proprio, che punta al controllo spasmodico dell’individuo ed alla schedatura di tutti i cittadini con sistemi digitalizzati ed intercomunicanti, al fine di coartarne la volontà e le scelte tramite un sistema di libertà condizionata ad una serie di adempimenti

 

Tutti i database coinvolti sono infrastrutture aperte all’interoperabilità con terze parti e si basano sulla tecnologia della blockchain che rende impossibile la contraffazione. E questo sistema è pronto per essere usato per impieghi addizionali e tipologie di certificazioni diverse.

 

Quello che oggi viene imposto a noi Italiani in nome dell’emergenza COVID, domani potrebbe esserlo nuovamente, con ulteriori o diverse restrizioni o coercizioni, per un’emergenza diversa, come quella climatica ad esempio, o sulla base di diversi presupposti.

 

Non possiamo più accettare che le nostre vite siano stravolte, controllate, manipolate ed asservite ad interessi più grandi di noi, che ci vengono spacciati come «bene comune» quando in realtà sono ben altro: profitto privato o potere geopolitico.

 

Quello che oggi viene imposto a noi Italiani in nome dell’emergenza COVID, domani potrebbe esserlo nuovamente, con ulteriori o diverse restrizioni o coercizioni, per un’emergenza diversa, come quella climatica

Dobbiamo alzarci tutti e dire basta: disobbedire ad ordini antidemocratici significa difendere la democrazia.

 

Combattere le misure discriminatorie significa riconoscere l’uguaglianza di tutti gli esseri umani.

 

Resistere alle pressioni ed ai ricatti equivale oggi ad esercitare la resistenza ad un regime autoritario.

 

Non possiamo più accettare che le nostre vite siano stravolte, controllate, manipolate ed asservite ad interessi più grandi di noi, che ci vengono spacciati come «bene comune» quando in realtà sono ben altro: profitto privato o potere geopolitico.

Dipende da noi, dipende da voi: in ballo ci sono le nostre vite e il nostro futuro.

 

Restiamo uniti e insieme, pacificamente e solidalmente, ne usciremo.

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Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

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L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.

 

Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».

 

«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».

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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.

 

«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.

 

Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.

 

Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.

 

Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

 

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Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il primo ministro giapponese ha annunciato ieri le dimissioni dopo settimane di tensioni con i membri del Partito Liberaldemocratico, in difficoltà di fronte alla perdita di consenso tra gli elettori conservatori. Diversi candidati si sono già fatti avanti segnalando la volontà di succedere a Ishiba nella presidenza del partito, ma resta il nodo della guida del governo senza la maggioranza in parlamento.   A meno di un anno dal suo insediamento, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni, aprendo una nuova fase di incertezza politica. La decisione è una conseguenza delle crescenti pressioni all’interno del suo stesso partito, il Partito Liberaldemocratico (LDP), che alle ultime elezioni ha subito significative sconfitte, arrivando a perdere la maggioranza in entrambe le Camere.

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Ishiba si è assunto la responsabilità per i pessimi risultati dell’LDP alle elezioni della Camera dei Consiglieri a luglio e ha sottolineato che le sue dimissioni servono a prevenire un’ulteriore spaccatura all’interno del partito. Già a luglio, il quotidiano giapponese Mainichi aveva per primo riportato che Ishiba si sarebbe dimesso, basandosi su informazioni raccolte tra il premier e i suoi più stretti collaboratori.   Le prime indiscrezioni indicavano che i preparativi per la corsa alla presidenza dell’LDP sarebbero iniziati entro agosto. Ishiba, tuttavia, aveva pubblicamente smentito queste notizie e nelle sue affermazioni aveva sottolineato l’importanza di portare a termine le trattative sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva imposto il primo agosto come scadenza ultima.   Nel suo discorso di ieri, Ishiba ha spiegato che l’annuncio delle dimissioni a luglio avrebbe indebolito la posizione del Giappone: «chi negozierebbe seriamente con un governo che dice “ci dimettiamo”?», ha detto.   Ishiba ha poi cercato di placare le pressioni interne all’LDP minacciando di sciogliere la Camera dei Rappresentanti e indire elezioni anticipate, una mossa che ha esacerbato le divisioni e spinto il principale partner di coalizione, il partito Komeito, a ritenere inaccettabile la decisione. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo, l’ex primo ministro Yoshihide Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi entrambi tenuto colloqui con il premier sabato, evitando una scissione all’interno del partito e aprendo la strada all’annuncio delle dimissioni di ieri.   Ora l’attenzione si sposta sulla scelta del prossimo leader dell’LDP, che potrebbe assumere anche la carica di primo ministro se ci fosse una qualche forma di sostegno o di accordo anche con le opposizioni. Tra i principali contendenti ci sono membri del partito che avevano già sfidato Ishiba in passato, tra cui Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica, che ha ricevuto il 23% dei consensi in un recente sondaggio di Nikkei. Takaichi fa parte dell’ala conservatrice e ha una forte base di sostegno tra i fedelissimi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, di cui è considerata l’erede, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche, che potrebbero favorire una ripresa dei mercati azionari. Takaichi ha inoltre la reputazione di andare d’accordo con il presidente Donald Trump.   Anche Shinjiro Koizumi, attuale ministro dell’Agricoltura e figlio dell’ex leader Junichiro Koizumi, è un altro papabile candidato, dopo essere riuscito ad abbassare i prezzi del riso appena entrato in carica. Il sondaggio di Nikkei ha registrato un 22% dei consensi nei suoi confronti.   Altri membri del partito hanno segnalato la volontà di candidarsi, tra cui Yoshimasa Hayashi, attuale segretario capo del Gabinetto e portavoce principale del governo Ishiba, che si è classificato quarto nella corsa per la leadership del partito del 2024. Tra gli altri contendenti figurano Takayuki Kobayashi, un altro ex ministro per la sicurezza economica che gode di un maggiore sostegno all’interno dell’ala centrista, e Toshimitsu Motegi, ex segretario generale dell’LDP e il più anziano tra i candidati con i suoi 69 anni.   L’LDP oggi si trova in una posizione di forte debolezza. Molti elettori conservatori alle ultime elezioni hanno preferito il partito di estrema destra Sanseito anche a causa dell’allontanamento di Ishiba dall’ala conservatrice.

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Secondo un sondaggio di Kyodo, condotto prima che fossero riportate le dimissioni di Ishiba, l’83% degli intervistati ha dichiarato che un chiarimento pubblico del partito sulle ultime sconfitte non avrebbe comunque aumentato la fiducia degli elettori. È chiaro, quindi, che il compito del prossimo presidente di partito sarà quello di ripristinare la credibilità del centrodestra.   Chiunque verrà scelto si troverà davanti a un’importante decisione: se indire elezioni anticipate per cercare di riconquistare la maggioranza alla Camera bassa o rischiare di perdere il potere del tutto. Quest’ultima scelta rischierebbe di aprire una nuova fase di instabilità politica senza precedenti, che richiederebbe la ricerca di sostegno anche tra i partiti dell’opposizione per approvare le leggi e i bilanci.   Secondo diversi commentatori, il prossimo leader dovrà prima di tutto godere di una genuina popolarità sia all’interno che all’esterno del partito per affrontare sfide come l’invecchiamento della società, la forza lavoro in calo, l’inflazione e i timori che gli Stati Uniti possano abbandonare il loro ruolo di garanti della sicurezza nella regione asiatica.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Il governo francese collassa

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Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.

 

Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.

 

Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.

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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.

 

Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.

 

La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.

 

Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.

 

Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.

 

Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».

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