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Geopolitica

Intervento di Medvedev sull’Austria: «ecco l’Anschluss della NATO»

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Renovatio 21 traduce e ripubblica l’intervento dell’ex presidente della Federazione russa Dmitrij Medvedev e attuale vicepresidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa apparso su RT. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

I Paesi del Vecchio Mondo sono inebriati dalla frenesia militarista. Come falene incantate, si riversano nella fiamma distruttiva dell’Alleanza Atlantica. Fino a poco tempo fa, l’Europa aveva ancora Stati che capivano: la sicurezza poteva essere garantita senza unirsi a blocchi militari.

 

Ora la ragione sta cedendo il passo all’istinto del gregge. Dopo Finlandia e Svezia, l’establishment austriaco – istigato da una Bruxelles assetata di sangue – sta alimentando il dibattito pubblico sull’abbandono della neutralità sancita dalla Costituzione in favore dell’adesione alla NATO. La società austriaca è tutt’altro che entusiasta dell’idea. Il partito liberale Nuova Austria, guidato dal ministro degli Esteri Beate Meinl-Reisinger e desideroso di abbracciare il blocco, ha ottenuto meno del 10% dei voti alle ultime elezioni.

 

Al contrario, il Partito della Libertà austriaco [FPÖ, ndr], all’opposizione, fermamente contrario a copiare ciecamente l’agenda militarista di Bruxelles, ha ricevuto il sostegno del 37% dei cittadini. Ma nell’Europa di oggi, quando la volontà popolare si è davvero imposta?

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I tentativi di erodere la neutralità dell’Austria sono in corso da tempo. Già negli anni ’90, i revisionisti locali iniziarono a stringere legami militari con il pretesto della «partecipazione alla politica di sicurezza e difesa comune dell’UE». Fino al 2009, quando entrò in vigore il Trattato di Lisbona, si trattò per lo più di chiacchiere vuote – sul coordinamento dello sviluppo militare tra gli Stati membri dell’UE, ma senza obblighi vincolanti.

 

In seguito, la discussione cambiò: il trattato non specificava la portata o la tempistica dell’assistenza che «l’Europa unita» era tenuta a fornire in caso di attacco. E, in ogni caso, l’UE era ufficialmente considerata un’unione economica. Il fatto che la maggior parte dei suoi membri appartenesse già alla NATO fu opportunamente taciuto.

 

Allo stesso tempo, l’Austria stava espandendo la sua presenza militare oltre i confini europei, partecipando alle missioni di addestramento dell’UE, accrescendo così la sua visibilità a Bruxelles. E fu generosamente ricompensata: dal 2022 al 2025, la presidenza del Comitato militare dell’UE fu ricoperta dal generale austriaco Robert Brieger. Gli austriaci non brillavano così «luminosamente» sulla scena militare europea dalla Seconda guerra mondiale, quando i colonnelli generali della Wehrmacht Lothar Rendulic ed Erhard Raus e il comandante della Luftwaffe Alexander Löhr «si erano distinti».

 

Mentre l’UE espandeva le sue capacità di difesa, l’Austria stava silenziosamente subendo la militarizzazione e la NATO-izzazione. Vienna partecipava al «Partenariato per la Pace» dell’Alleanza, mentre il Paese era già di fatto parte integrante della logica del blocco. L’Austria, pur non essendo effettivamente un membro della NATO, è diventata un territorio di transito chiave per il blocco. Solo nel 2024, è stata attraversata da oltre 3.000 veicoli militari NATO e il suo spazio aereo ha ospitato oltre 5.000 voli NATO.

 

In questo contesto, a Vienna si è espresso il parere che un «vacillante consenso pacifista» e la «minaccia russa» offrono un’opportunità storica per liberarsi dalle «catene del passato», ovvero per abolire la neutralità. Eppure, la neutralità è insita nel tessuto stesso dello Stato austriaco, riprogettato dalle potenze alleate dopo la Seconda guerra mondiale. È sancita in tre documenti vincolanti del 1955: il Memorandum di Mosca, il Trattato di Stato per la Ricostituzione di un’Austria Indipendente e Democratica e la Legge Costituzionale Federale austriaca sulla Neutralità Permanente. Questi documenti costituiscono il fondamento giuridico del Paese. Se venissero rimossi, l’intero edificio dello Stato austriaco sarebbe destinato a crollare.

 

Cosa fare per Mosca, che è stata, in sostanza, uno degli architetti dell’Austria moderna? La risposta è dare una pacca sulla spalla agli entusiasti dell’isteria bellica nel quadro del diritto internazionale. Le risposte a due domande chiave – se l’Austria abbia il diritto di rinunciare unilateralmente alla sua neutralità sancita dalla legge e se possa decidere autonomamente di aderire alla NATO – sono entrambe inequivocabilmente negative.

 

L’articolo 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati stabilisce esplicitamente che nessuna disposizione del diritto interno di un Paese può giustificare la violazione di un trattato internazionale. Inoltre, la NATO non può essere considerata un’organizzazione regionale di difesa collettiva e, pertanto, l’adesione all’alleanza non garantirà a uno Stato permanentemente neutrale gli stessi benefici della sua neutralità garantita.

 

Queste disposizioni sono riconosciute da personalità autorevoli esperte in materia. Ad esempio, l’ex Ministro degli Esteri austriaco Karin Kneissl, ora a capo del Centro GORKI presso l’Università Statale di San Pietroburgo, sottolinea che la modifica dello status quo di neutralità richiede il consenso di tutte le potenze alleate che hanno firmato il trattato del 1955, inclusa la Russia in quanto successore legale dell’URSS. Mosca mantiene il diritto di veto all’adesione di Vienna alla NATO.

 

La fazione aggressiva dell’élite austriaca deve comprendere appieno l’entità delle perdite in politica estera che deriverebbero dall’abbandono della neutralità e dall’adesione alla NATO.

 

Oggi Vienna è un fulcro della diplomazia multilaterale, ospitando circa 20 organizzazioni intergovernative. Ciò garantisce il suo coinvolgimento nei processi globali e lo sviluppo di quadri giuridici per affrontare le sfide e le minacce emergenti. La decisione di istituire uffici dell’ONU, dell’AIEA, dell’OSCE e dell’OPEC a Vienna è stata in gran parte basata sul suo status di paese non allineato, che fornisce una piattaforma efficace per il dialogo e la cooperazione regionale.

 

Sostituire la neutralità con una mentalità di blocco mina lo stesso «spirito di Vienna» e rende impossibile per l’Austria mantenere relazioni equilibrate con i suoi diversi partner internazionali. Di conseguenza, il Paese sta perdendo il suo ruolo unico di mediatore e di fulcro per le principali istituzioni internazionali.

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Ciò porta a una conclusione ovvia: è giunto il momento di considerare il trasferimento delle sedi centrali delle organizzazioni internazionali in Paesi del Sud e dell’Est del mondo che possano offrire le condizioni necessarie per il loro funzionamento.

 

A tutto ciò si aggiunge il fatto che la svolta militarista dell’Austria sta indebolendo la sua immagine di pacificatrice, riducendo drasticamente il suo margine di manovra sovrano. Al contrario, aumenta significativamente il rischio che le unità austriache del Bundesheer possano essere incluse nei piani di missione a lungo termine delle Forze Armate russe

 

Un pacchetto di contromisure è stato adottato contro Svezia e Finlandia dopo la loro adesione alla NATO, e l’Austria non dovrebbe aspettarsi eccezioni in questo caso.

 

Renovatio 21 offre questo testo per dare una informazione a 360º, nella pluralità delle voci che il lettore può ascoltare per creare liberamente le sue opinioni. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Immagine di Dmitrij Mededev, allora presidente della Federazione Russa, con il Presidente austriaco Heinz Fischer, 19 maggio 2011.

Immagine di Kremlin.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

 

 

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Geopolitica

La Von der Leyen lancia un ultimatum alla Serbia

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La Serbia non potrà entrare nell’UE senza un pieno allineamento alla politica estera del blocco, incluse tutte le sanzioni contro la Russia, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.   La Serbia, che ha richiesto l’adesione all’UE nel 2009 e ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2012, è tra i pochi stati europei a non aver imposto restrizioni a Mosca. Belgrado ha sottolineato i suoi storici legami con la Russia e la dipendenza dalle sue forniture energetiche.   Mercoledì, durante una conferenza stampa a Belgrado accanto al presidente serbo Aleksandar Vucic, von der Leyen ha ribadito che la Serbia deve compiere «passi concreti» verso l’adesione e mostrare un «maggiore allineamento» con le posizioni dell’UE, incluse le sanzioni, evidenziando che l’attuale livello di conformità della Serbia alla politica estera dell’UE è del 61%, ma ha insistito che «serve fare di più», sottolineando il desiderio di Bruxelles di vedere Belgrado come un «partner affidabile».

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Vucic ha più volte dichiarato che la Serbia non imporrà sanzioni alla Russia, definendo la sua posizione «indipendente e sovrana». Tuttavia, il rifiuto di Belgrado ha attirato crescenti pressioni da parte di Bruxelles e Washington.   La settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Petroleum Industry of Serbia (NIS), parzialmente controllata dalla russa Gazprom Neft, spingendo la Croazia a interrompere le forniture di greggio. Vucic ha avvertito che tali misure potrebbero portare alla chiusura dell’unica raffineria petrolifera serba entro novembre, mettendo a rischio l’approvvigionamento di benzina e carburante per aerei.   Come riportato da Renovatio 21proteste sempre più violente si susseguono nel Paese, che Belgrado attribuisce a influenze occidentali volte a destabilizzare il governo.   Le proteste hanno già portato alle dimissioni del primo ministro Milos Vucevic e all’arresto di diversi funzionari, tra cui un ex ministro del Commercio, con l’accusa di corruzione.   Il presidente Aleksandar Vucic ha affermato che i disordini sono stati fomentati dall’estero e ha denunciato quella che ha definito «violenza mascherata da attivismo»: «mancano pochi giorni prima che inizino a uccidere per le strade» aveva detto lo scorso agosto davanti all’ennesima ondata di proteste violente.   Come riportato da Renovatio 21, le grandi manifestazioni contro Vucic di marzo erano seguite la visita pubblica del figlio del presidente USA Don Trump jr. al premier di Belgrado.

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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso mese il servizio di Intelligence estero russo (SVR) ha sostenuto che l’UE starebbe cercando di orchestrare un «Maidan serbo» per insediare un governo filo-Bruxelles. Belgrado nel dicembre 2023 produsse evidenti segni di «maidanizzazione» in corso. Già allora presidente serbo accusò le potenze occidentali di tentare di «ricattare» la Serbia affinché sostenga le sanzioni e di tentare di orchestrare una «rivoluzione colorata» – una sorta di Maidan belgradese –contro il suo governo a dicembre.   Vucic giorni fa ha accusato le potenze occidentali di aver cercato di orchestrare il suo rovesciamento. In un’intervista su Pink TV trasmessa lunedì, il presidente serbo aveva affermato che le «potenze straniere» hanno speso circa 3 miliardi di euro nell’ultimo decennio nel tentativo di estrometterlo dal potere.   Come riportato da Renovatio 21, il ministro degli Esteri Pietro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.

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Pakistan e Afghanistan concordano il cessate il fuoco

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Afghanistan e Pakistan hanno dichiarato un cessate il fuoco temporaneo, mettendo fine agli scontri iniziati mercoledì mattina tra le loro forze. Più di una dozzina di civili sono stati uccisi nell’ultimo conflitto armato tra i due paesi vicini.

 

Il ministero degli Esteri pakistano ha comunicato, alcune ore dopo lo scontro, che Kabul e Islamabad hanno concordato una tregua di 48 ore, con inizio alle 18:00 ora locale di mercoledì.

 

Nella sua nota, il ministero ha sottolineato che entrambe le parti «si impegneranno sinceramente attraverso il dialogo per trovare una soluzione positiva ai loro problemi complessi ma risolvibili».

 

In precedenza, il portavoce dei talebani afghani Zabihullah Mujahid aveva scritto su X che le forze pakistane avevano avviato un attacco, utilizzando «armi leggere e pesanti», causando la morte di 12 civili e il ferimento di oltre 100 persone.

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Il portavoce aggiunto che le forze afghane hanno risposto al fuoco, uccidendo un «gran numero» di soldati, confiscando armi e carri armati pakistani e distruggendo installazioni militari.

 

Ali Mohammad Haqmal, portavoce del distretto di Spin Boldak, in Afghanistan, luogo dello scontro, ha stimato che le vittime civili siano state 15. Secondo l’AFP, un funzionario dell’ospedale locale ha riferito che tra i feriti ci sarebbero 80 donne e bambini.

 

Islamabad ha definito le accuse «oltraggiose» e «palesi menzogne», sostenendo che i talebani afghani abbiano iniziato le ostilità attaccando una postazione militare pakistana e altre aree vicino al confine. L’esercito pakistano ha dichiarato di aver respinto l’assalto, uccidendo 37 combattenti talebani in due operazioni distinte.

 

Secondo l’agenzia Reuters, che cita fonti di sicurezza anonime, lo scontro sarebbe durato circa cinque ore.

 

Il conflitto segue un’escalation di scontri avvenuta nel fine settimana, durante la quale Afghanistan e Pakistan si sono accusati a vicenda per le vittime. I talebani hanno affermato di aver ucciso 58 soldati pakistani, mentre Islamabad ha dichiarato di aver conquistato 19 posti di frontiera afghani.

 

Le tensioni transfrontaliere tra Afghanistan e Pakistan sono aumentate negli ultimi anni, con entrambe le parti che si accusano ripetutamente di ospitare militanti.

 

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Israele accusa Hamas di aver restituito il corpo sbagliato

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Uno dei corpi restituiti martedì da Hamas non appartiene a nessuno degli ostaggi tenuti prigionieri dal gruppo armato palestinese a Gaza, hanno affermato le Forze di difesa israeliane (IDF).   Lunedì Hamas ha liberato gli ultimi 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio del rilascio di quasi 2.000 prigionieri palestinesi, nell’ambito di un accordo mediato da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia. Martedì, il gruppo ha iniziato a consegnare i cadaveri dei prigionieri deceduti a Israele, restituendone sette in due lotti tramite la Croce Rossa.   Tuttavia, le IDF hanno dichiarato mercoledì in una dichiarazione su X che un esame presso l’istituto forense Abu Kabir ha rivelato che uno dei quattro corpi del secondo lotto «non appartiene a nessuno degli ostaggi». Si ritiene che i resti appartengano a un palestinese, hanno aggiunto.     Gli altri tre corpi sono stati confermati come appartenenti ai prigionieri. Sono stati identificati come il sergente maggiore Tamir Nimrodi, 18 anni, Uriel Baruch, 35 anni, ed Eitan Levy, 53 anni, si legge nel comunicato.   Il capo di stato maggiore delle IDF, tenente generale Eyal Zamir, ha dichiarato in precedenza che Israele «non avrà pace finché non restituiremo tutti [gli ostaggi]. Questo è il nostro dovere morale, nazionale ed ebraico». Hamas detiene ancora i corpi di 21 prigionieri deceduti.   Questa settimana, rifugiati palestinesi e combattenti di Hamas sono tornati a Gaza City e in altre aree dell’enclave, dopo il ritiro parziale delle forze dell’IDF, in linea con l’accordo. A Gaza sono stati segnalati scontri sporadici tra Hamas e fazioni rivali.  

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