Alimentazione
In Medio oriente crescono i timori di una crisi alimentare «senza precedenti»
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
È quanto emerge dai dati di un sondaggio di al-Monitor e Premise Data in Turchia, Yemen, Iraq, Tunisia ed Egitto. Il 68% dei rispondenti dice di essere in qualche modo «preoccupato» di trovare cibo entro i prossimi sei mesi. I timori maggiori fra i turchi dove il dato sale al 75%. Pesa la guerra russa in Ucraina.
Crescono i timori di una crisi senza precedenti fra gli abitanti della regione che, mai come oggi, guardano al futuro con incertezza e la paura di non avere denaro sufficiente per l’acquisto di alimenti e materie prime.
Almeno questo è quanto emerge da una inchiesta commissionata e pubblicata da Al-Monitor in cinque Paesi arabi sparsi fra Medio Oriente e Nord Africa, secondo cui il 68% degli interpellati si dice «preoccupato» circa la propria capacità di «accesso al cibo».
Inflazione e costo delle derrate sono temi sensibili per le popolazioni locali e la ragione principale dietro l’ondata di proteste che hanno contraddistinto le cosiddette Primavere arabe nel 2011. Oggi, secondo gli esperti, a pesare è la guerra russa in Ucraina.
L’inchiesta ha riguardato Egitto, Turchia, Yemen, Tunisia e Iraq e ha preso in esame le prospettive nel breve-medio periodo, proiettando lo sguardo ai prossimi mesi in una fase storica in cui secondo la FAO (agenzia ONU per il cibo e l’agricoltura) i prezzi nel 2022 sono cresciuti del 14,3%. Per gli esperti si tratta dell’aumento più consistente mai registrato dagli anni ‘90 ad oggi.
Il sondaggio di Al-Monitor e Premise Data ha preso in esame quasi 4.500 intervistati, con un margine di errore del 3% circa, fra il 15 dicembre 2022 e il 10 gennaio 2023. Se finora la maggioranza (62%) ha detto di essere in grado di trovare cibo per fronteggiare le necessità, guardando al futuro cresce la preoccupazione: il 41% è in qualche modo preoccupato e il 27% manifesta «profonda preoccupazione» di riuscire a mettere cibo in tavola entro i prossimi sei mesi.
I timori maggiori vengono dai cittadini turchi, dove il 75% nutre una qualche forma di timore più o meno profonda (44% e 31%). A seguire la Tunisia con il 73%, ma la situazione non è certo di molto migliore altrove.
Interpellati sull’aumento dei prezzi di cibo e bevande, la grande maggioranza conferma l’escalation con un 46% che parla di prezzi «molto più alti» e il 36% secondo cui sono «in qualche modo più elevati».
Da notare il caso dell’Egitto in cui per il 75% dei rispondenti i prezzi sono «molto più alti» e per il 25% sono «un po’ più elevati»; del resto nel Paese dei faraoni l’inflazione a dicembre ha fatto registrare un più 21,9%, in aumento rispetto al 19,2% del mese precedente. E agli aumenti nei generi alimentari si sommano quelli del gas, dell’elettricità e degli alloggi per un quadro complessivo che desta più di un timore per i suoi abitanti, anche per la forte dipendenza (80% circa) dal mercato russo.
In Turchia l’inflazione annuale ha raggiunto il massimo degli ultimi 24 anni toccando quota 84,4% a novembre, per scendere al 64,27% a dicembre, ma si tratta di un rallentamento parziale per una congiunzione favorevole legata alla fine dell’anno. I prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati di quasi l’1,9% a dicembre rispetto al mese precedente, mentre l’inflazione su base annua per i generi alimentari è del 78% circa secondo i dati dell’Istituto di statistica turco.
In Iraq, dove lo scorso anno soprattutto al sud si sono registrate proteste per l’aumento dei generi alimentari, l’aumento dei prezzi sarebbe da imputare all’invasione russa dell’Ucraina. Per lo Yemen, devastato da una guerra sanguinosa, le organizzazioni internazionali parlano di condizioni che rasentano la carestia mentre il Paese dipende per oltre il 40% dalle forniture di Mosca e Kiev in tema di grano.
Non sorprende che la maggior parte dei partecipanti al sondaggio abbia registrato un aumento più significativo nei prezzi del pane proprio nell’ultimo mese, con l’Egitto nella situazione peggiore tanto che il 54% parla di crescita «consistente» dei prezzi.
Negli altri Paesi presi in esame questo dato è sempre inferiore al 50% e ciò può essere in parte attribuito al fatto che il consumo pro capite di pane al Cairo oscilla tra 150 e 180 kg, più del doppio della media globale di 70-80 kg.
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Immagine da Envato
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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