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«Il papa strumento della propaganda di Mosca »: la reazione di Kiev a Bergoglio che loda la tradizione russa

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Tempesta ucraina su Bergoglio per le sue parole sulla storia e la tradizione russa: il papa è ora accusato dai vertici di Kiev di essere «strumento della propaganda russa».

 

«Siete eredi della grande Russia: la grande Russia dei santi, dei governanti, la grande Russia di Pietro il Grande, di Caterina la Grande, di quel grande impero illuminato, di grande cultura e di grande umanità. Non rinunciate mai a questa eredità» aveva detto il romano pontefice, in italiano, durante un discorso video a circa 400 giovani cattolici russi a San Pietroburgo venerdì scorso.

 

I commenti facevano parte di un periodo di domande e risposte e quindi non sono stati inclusi nella trascrizione ufficiale del Vaticano delle sue osservazioni preparate. Un video della risposta del Papa, con sottotitoli in russo, è arrivato sui social media durante il fine settimana – ed è stato accolto con condanne da Ucraina, Polonia e Paesi Baltici.

 

 

«È davvero un peccato che le idee russe del grande Stato, che sono la causa dell’aggressione cronica della Russia, escano consapevolmente o inconsapevolmente dalla bocca del Papa», ha detto su Facebook il portavoce del ministero degli Esteri ucraino Oleg Nikolenko.

 

Le parole del Papa hanno causato «grande dolore» tra il clero e «grande delusione» nella società civile ucraina, ha detto al Wall Street Journal il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina.

 

Nei post sui social media, l’ex presidente estone Toomas Hendrik Ilves ha definito le osservazioni del Papa «veramente rivoltanti» e ha soprannominato la sede della Chiesa cattolica romana «il Vatnikan», usando un insulto ucraino per i russi.

 

La testata polacca Nexta ha sottolineato che «i cattolici di Polonia, Lituania e Bielorussia hanno sollevato tre volte insurrezioni contro questo “impero illuminato”».

 

La reazione più dura arriva, tuttavia dal vertice del regime di Kiev. Mikhailo Podolyak, alto consigliere del presidente Zelens’kyj, ha dichiarato al Corriere della Sera che il papa «si è fatto strumento della propaganda russa», impegnandosi in un «discorso distruttivo per l’umanesimo contemporaneo».

 

Secondo il Podoliak, Mosca usa l’esempio di personaggi storici come Pietro I (1672-1725) e Caterina la Grande (1729-1796) per motivare i suoi soldati a combattere in Ucraina. «Il Papa li esalta e Putin li usa per eliminare la nostra identità. Ancora non mi capacito come la Santa Sede non abbia compreso la dannata futilità e il nulla della prospettiva storica insita nell’essenza genocida della moderna Mosca» dice al Corsera il Podolyak, già noto per aver parlato di un programma di «massima uccisione dei russi».

 

«C’è solo un piano: l’avanzata più brutale con la massima uccisione di russi su questa rotta» aveva ha detto Podolyak in TV, osservando che Kiev «non può semplicemente fermarsi da qualche parte e dire “va bene, pensiamo e parliamo di qualcosa ora”».

 

Ora il consigliere in cima alla banda di Kiev è offeso con il papa, e le sue parole – pubblicate a chiare lettere sul maggiore quotidiano italiano – sono tremende.

 

«Se valutiamo con mente aperta le frasi del Papa, vediamo che sono un incoraggiamento incondizionato all’imperialismo aggressivo, un plauso all’idea sanguinaria del “mondo russo”, che implica la brutale distruzione delle libertà e degli stili di vita altrui» dice.

 

«Francesco incoraggia l’ideologia misantropica di Putin, le sue manie genocide» continua, per infine mettere in discussione la Chiesa cattolica tutta e il cristianesimo stesso.

 

«C’è da chiedersi cosa sia la Chiesa cattolica, cosa il cristianesimo, cosa sia l’Ucraina insanguinata di vittime innocenti».

 

Come riportato da Renovatio 21, il regime di Kiev sta perseguitando la Chiesa Ortodossa Ucraina canonica (UOC), arrestando e condannando i suoi preti e vescovi, privandoli della cittadinanza, proibendo le preghiore in russo, assediando con i militari i luoghi di culto facendoli sgombrare dall’antico monastero della Lavra. Bergoglio aveva in passato fatto un timido appello per i monaci di Kiev, a quanto pare inascoltato, o sommerso dalle velleità diplomatiche della nuova Santa Sede, che pure in assenza dell’antico prestigio e potere diplomatico, vorrebbe portare Mosca e Kiev ad un negoziato, ricevendo plateali porte in faccia pure quando ospita Zelens’kyj presso il Sacro Palazzo.

 

Va notato anche come un sacerdote greco-cattolico ucraino, quindi in comunione con Roma e Bergoglio, sia stato attaccato e costretto a scusarsi per essersi permesso una preghiera Dio per la pace durante un’omelia. Al momento, per questa grave violazione della libertà religiosa di un sacerdote cattolico, non una parola è stata detta dal Vaticano.

 

Lunedì l’ambasciata papale a Kiev ha reagito alle critiche spiegando cosa intendeva realmente il pontefice.

 

«Secondo alcune interpretazioni, Papa Francesco avrebbe incoraggiato i giovani cattolici russi a prendere esempio da alcuni personaggi storici russi, conosciuti per le idee ed azioni imperialiste ed espansioniste, realizzate a detrimento dei popoli vicini, compreso quello ucraino.», ha affermato la nunziatura vaticana di Kiev in una nota.

 

«Questa Rappresentanza Pontificia rifiuta fermamente le suddette interpretazioni, in quanto Papa Francesco non ha mai incoraggiato idee imperialiste. Al contrario, egli è un convinto oppositore e critico di qualsiasi forma di imperialismo o colonialismo, in tutti i popoli e situazioni. In questa stessa chiave vanno interpretate anche le parole del Romano Pontefice, pronunciate il 25 agosto scorso».

 

L’Ucraina moderna considera il capo cosacco Ivan Mazepa un eroe nazionale, e l’imperatore russo Pietro il Grande – che Mazepa tradì a Poltava nel 1708 – un occupante straniero. Allo stesso modo insultano Caterina II la Grande, sotto il cui regno la Crimea divenne russa e fu fondata Odessa, città da sempre russofona ma per qualche ragione non ancora inglobata nell’area dell’operazione militare speciale russa.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Ucraina odierna ha proposto di tirare giù la statua di Caterina la Grande e sostituirla con l’effigie di un attore omosessuale inglese.

 

La figura di Caterina II potrebbe essere rilevante per capire meglio le radici profonde del quadro: Bergoglio è un membro dell’ordine dei gesuiti, che onora l’imperatrice Caterina per aver dato loro rifugio durante la persecuzione da parte del papato alla fine del 1700.

 

Può sembrare ad alcuni pure che Bergoglio volesse recuperare dopo il grave incidente diplomatico di quando, l’anno scorso, insultò alcune etnie russe, attirandosi la giusta condanna da parte del ministero degli Esteri russo.

 

Ad ogni modo, sottomissione della Santa Sede nei confronti di Kiev, nuovo Agnello degno del culto delle genti di tutto il mondo, è sempre più oscena ed intollerabile.

 

Oltre alle persecuzioni religiose contro la Chiesa Ortodossa, è noto che nell’Ucraina attuale vi sia un rifiorire del paganesimo, in ispecie in truppe come il Battaglione Azov, dove si torna ad onorare, anche con monumenti e riti di sangue, gli antichi dei degli Slavi in revival della religione precristiana (e anticristiana) chiamata Rodnovery che già sta mostrando segni di mostruosa crudeltà.

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

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Geopolitica

Il presidente dell’Iran ucciso mentre viaggiava in elicottero

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Il presidente iraniano Ebrahim Raisi è stato ucciso insieme al ministro degli Esteri in un incidente in elicottero domenica nelle montagne nordoccidentali del Paese. Lo hanno riportato lunedì i media statali iraniani.

 

Le notizie sulla sua morte non erano state confermate fino a poche ore fa. Canali israeliani davano per certa la sua morte.

 

Ieri il gabinetto del presidente Raisi ha tenuto una riunione d’emergenza, lasciando vuoto il suo posto al centro del tavolo della conferenza come commemorazione simbolica, come mostrano le foto pubblicate dall’agenzia di stampa statale IRNA. L’agenzia successivamente ha annunciato il decesso dicendo che era stato «martirizzato durante il servizio».

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Il gabinetto ha rilasciato una dichiarazione elogiando il suo servizio al Paese e al popolo iraniano e promettendo di seguire le sue orme.

 

La morte del presidente Raisi è stata annunciata dal podio del santuario sciita più venerato dell’Iran, il mausoleo dell’Imam Reza, nella sua città natale di Mashhad, nel Nord-Est del Paese. Una grande folla di sostenitori del governo si era radunata lì durante la notte per tenere una veglia di preghiera. La gente ha lanciato forti grida e lamenti quando fu fatto l’annuncio.

 

L’agenzia di stampa Tasnim, affiliata alle Guardie rivoluzionarie iraniane, ha pubblicato un comunicato affermando che il presidente Raisi e il ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian sono rimasti uccisi nell’incidente in elicottero, mostrando una foto del Raisi con un titolo che lo chiamava martire. Tasnim ha anche detto che il governatore della provincia dell’Azerbaigian Orientale, un imam e due alti ufficiali militari responsabili della sicurezza presidenziali sono morti nello schianto, insieme al pilota e al copilota.

 

Le prime foto e filmati del luogo dell’incidente pubblicati sui siti di notizie iraniani mostravano detriti e parti rotte dell’elicottero. A bordo dell’elicottero, oltre al presidente e al ministro degli Esteri, c’erano anche un religioso e il governatore della provincia orientale dell’Azerbaigian.

 

«Trovando la posizione dell’elicottero e vedendo la scena, non c’è traccia che nessuno dei passeggeri fosse vivo», ha detto alla televisione di stato il capo della Mezzaluna Rossa (l’equivalente della nostra Croce Rossa) iraniana, Pirhossien Koulivand, che si trovava sul posto.

 

Le operazioni di ricerca e soccorso hanno impiegato ore per raggiungere il luogo dell’incidente, ma facendo trasparire poco dei progressi, in condizioni meteorologiche avverse al punto che sono stati dati per dispersi anche tre uomini addetti alle ricerche.

 

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Vari Paesi hanno inviato aiuti per la ricerca e il salvataggio, tra cui Russia e Turchia. Secondo l’agenzia turca per la gestione dei disastri AFAD, l’Iran ha richiesto un elicottero di ricerca e salvataggio con visione notturna alla Turchia.

 

L’elicottero che trasportava il presidente iraniano Ebrahim Raisi, il ministro degli Esteri e altri funzionari è precipitato in una remota regione settentrionale mentre tornava da una visita ufficiale in Azerbaigian domenica scorsa, secondo alcuni un viaggio per una diga in costruzione.

 

Come riportato da Renovatio 21, il confine azero è «caldo» per Teheran, che vi conduce esercitazioni militari dimostrative e non ha mai nascosto di sostenere l’Armenia nel conflitto con l’Azerbaigian.

 

La Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, ha chiesto preghiere per Raisi e i funzionari scomparsi assicurando stabilità all’interno della leadership del governo.

 

Una forte presenza militare sta venendo segnalata nella capitale Teheran. Secondo quanto riportato, membri del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (i pasdaran) hanno affermato di aver preso posizione vicino a diversi edifici governativi.

 

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Raisi era a bordo di un vecchio elicottero Bell, secondo alcuni rapporti aveva più di 40 anni. L’aviazione iraniana è piagata da decenni di sanzioni americane che rendono più difficile trovare i ricambi.

 

 

Che si tratti di un ulteriore momento-Sarajevo 1914?

 

L’ipotesi è quella che abbiamo fatto anche vedendo le immagini dell’attentato contro il premier slovacco Fico, e le numerose minacce di morte a vari leader di Paesi europei.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’idea è stata ripetuta da Orban poche ore fa: l’attentato di Fico è legato alla preparazione del prossimo conflitto.

 

Che la guerra debba partire a tutti i costi? Che la guerra debba essere fatta subito, prima delle elezioni americane di novembre?

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Immagine di Tasnim News Agency via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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La Spagna si è rifiutata di attraccare una nave che trasportava armi verso Israele

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Il 16 maggio la Spagna ha rifiutato la richiesta di una nave che trasportava armi destinate a Israele di attraccare nel porto di Cartagena, ha riferito la rete spagnola EFE, secondo la testata israeliana Ynet.   La nave Marianne Danica sarebbe partita dalla città di Chennai (un tempo conosciuta come Madras) in India con un carico di circa 27 tonnellate di esplosivo.   La notizia è stata confermata dal ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, il quale ha affermato che alla nave era stato rifiutato l’ingresso dopo che aveva chiesto il permesso di fare scalo a Cartagena il 21 maggio.   Secondo il sito di localizzazione navale Vessel Finder, la Marianne Danica è una piccola nave da carico secco che naviga sotto bandiera danese.

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Amnesty International riferisce che è gestito dalla H. Folmer & Co., che a quanto pare è specializzata nel trasporto di munizioni.   Lo scorso novembre il primo ministro Pedro Sanchez aveva dichiarato che la Spagna è disposta ad andare avanti da sola sulla questione del riconoscimento dello Stato palestinese, anche se preferirebbe agire insieme ad altri membri dell’UE.   Come riportato da Renovatio 21, lo scorso ottobre il ministro spagnuolo per i diritti sociali Ione Belarra ha esortato i leader europei a intraprendere azioni immediate contro Israele, paventando la possibilità che altrimenti la UE diventi «complice del genocidio».   A marzo parlamentari spagnuoli avevano firmato – assieme ad altri circa 200 colleghi di Australia, Belgio, Brasile, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti – un appello intitolato «Non saremo complici della grave violazione del diritto internazionale da parte di Israele» per esprimere opposizione ai «Paesi esportatori di armi verso Israele», chiedendo un embargo immediato sulle armi spedite da Paesi partner militari dello Stato Ebraico.   All’appello non pare abbia partecipato alcun parlamentare italiano.

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Immagine di Øyvind Holmstad via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Geopolitica

L’operazione israeliana a Rafah si espande. Con conseguenze disastrose

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Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato ieri che l’esercito invierà più truppe per «intensificare» l’invasione. Gallant si è ventato che «stiamo logorando Hamas». Israele sostiene che ci sono sei battaglioni di Hamas ora a Rafah insieme agli ostaggi presi il 7 ottobre, e altri due battaglioni sarebbero nel centro di Gaza.

 

Nel suo ultimo articolo intitolato «Bibi va a Rafah», il reporter indipendente premio Pulitzer Seymour Hersh riferisce che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno allagato 5 dei 12 tunnel di Hamas sotto Rafah, e «alcuni battaglioni israeliani agguerriti, i cui ranghi includono molti ingegneri di combattimento esperti in demolizione, si stanno facendo strada nei tunnel bui e pieni di trappole esplosive verso Yahya Sinwar, il leader di Hamas che è l’obiettivo finale di Netanyahu».

 

Secondo un informato funzionario americano citato da Hersh, Netanyahu ha promesso che «moriranno tutti nei tunnel».

 

Si stima che circa 730.000 palestinesi siano fuggiti da Rafah. L’Ufficio del Coordinatore degli Affari Umanitari (OCHA) delle Nazioni Unite riferisce che un totale di 285 kmq, ovvero circa il 78% della Striscia di Gaza, sono ora soggetti agli ordini di evacuazione dell’IDF. Viene riferito di continui bombardamenti «dall’aria, dalla terra e dal mare… su gran parte della Striscia di Gaza».

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Nel Nord ci sono state incursioni di terra dell’IDF e pesanti combattimenti nel campo profughi di Jabalia e anche a Deir al Balah, nel centro di Gaza. I carri armati israeliani si sono spinti nel centro stesso di Jabalia, affrontando i razzi anticarro e i colpi di mortaio dei militanti di Hamas. Al Jazeera riferisce che ci sono vittime da entrambe le parti e che i carri armati e gli aerei israeliani hanno spazzato via «quasi tutto» a Jabalia.

 

Secondo il Times of Israel, l’IDF riferisce di aver ucciso qui 200 uomini armati di Hamas. Anche se Jabalia era stata precedentemente «autorizzata» dall’IDF, a quanto pare non era andata abbastanza in profondità nel campo per trovare i militanti di Hamas che vi avevano sede.

 

Il valico di Rafah resta chiuso. Israele chiede che l’Egitto si unisca a lui nella supervisione del valico di Rafah, ma l’Egitto rifiuta, insistendo sul fatto che solo i palestinesi dovrebbero farlo.

 

Il Programma Alimentare Mondiale, nel frattempo, avverte che «sono necessari più punti di ingresso per gli aiuti per invertire sei mesi di condizioni di quasi fame ed evitare una carestia». È necessario un flusso costante di scorte di cibo ogni giorno, ogni settimana, avverte. «La minaccia della carestia a Gaza non è mai stata così grande».

 

Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir aveva minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.

 

I carrarmati entrati a Rafah, dove hanno distrutto perfino le scritte «I LOVE GAZA», avrebbero la benedizione degli USA. Atroci filmati sono usciti già nelle prime ore dell’invasione di Rafah da parte dei soldati dello Stato degli ebrei.

 

L’Egitto ha avvertito Israele che l’invasione di Rafah potrebbe porre fine al trattato di pace siglato nel 1979. Il Cairo ha inoltre segnalato di voler partecipare al processo per «genocidio» della Corte Internazionale di Giustizia.

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