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Il padre della TV trash è morto. La sua spazzatura è ancora con noi
Renovatio 21 pubblica questo articolo apparso su Mondoserie.
Jerry Springer è morto, viva Jerry Springer. Ho chiesto al direttore di Mondoserie di lasciarmi fare un pezzo che fosse un The Best of che raccogliesse i momenti epici che ancora si trovano in rete. Ha detto di sì, e anche subbito.
Del resto, Mondoserie è un sito che si occupa di intrattenimento seriale, e quindi è impossibile non parlare di una trasmissione con 28 stagioni all’attivo – per 4.969 episodi! – e una dose pressoché infinita di momenti di goduriosa allucinazione, sparsi ora come clip sgranate in rete (a breve ne parliamo e ne mostriamo pure qualcuno) che chissà quanto dureranno.
L’era perduta della TV
Dovete capire che siamo in pochi a conoscere e ad apprezzare Jerry Springer. Proveniente da una famiglia di ebrei profughi dell’Olocausto, cresciuto nel Queens, come Cindy Lauper e Donald Trump, lo Springer ebbe una carriera di politico per il Partito Democratico USA, arrivando ad essere sindaco di Cincinnati. Non è che c’è da stupirvi: se avete mai visto le videointerviste fatte ai giovani a caso nei centri commerciali da Bernie Sanders sapete qual è il fascino che i membri del partito dell’asino avevano per il mezzo televisivo.
Perché, essenzialmente, stiamo parlando di questo oggetto finito in una obsolescenza latente: la televisione. Se non avete mai visto una puntata del Jerry Springer Show, che in realtà si chiamava solo Jerry Springer, è perché si tratta proprio di roba dell’era televisiva, quando non c’era internet e quindi – pazzesco a pensarci – le uniche immagini in movimento che arrivavano dagli USA venivano sotto forma di pellicola (i film), nastri magnetici (VHS) e quel poco che si poteva vedere sui nostri canali, che importavano serie a BZF, non era mai la vera TV statunitense – i talk show venivano prodotti, talvolta scopiazzando oscenamente gli americani, in Italia.
Ecco, c’è questa cosa da dire: forse non avete mai visto un episodio del Jerry Springer, ma la sua cifra è percolata decisamente nella nostra TV, in ispecie quella pomeridiana, fatta per le signore. Se improvvisamente, da qualche parte a fine anni Novanta, sono iniziate a comparire figure sguaiate, urla, scenate, volgarità gratuite e situazioni interpersonali al di fuori della decenza, ebbene, quello è un effetto indiretto di Jerry Springer, perché i network, e gli autori che «pettinavano» (si dice così) i programmi, pendevano sempre dalla labbra catodiche dello Zio Sam.
Vita di Jerry
Il Jerry ci aveva messo un po’ a focalizzarsi. La politica era il suo pane. Aveva lavorato alla campagna presidenziale di Bob Kennedy nel 1968, e dopo l’esperienza in consiglio comunale a Cincinnati prima come consigliere e poi come sindaco. Vale la pena di riportare che nel 1974 si dovette dimettere da consigliere dopo aver ammesso di aver adescato una prostituta, ma nel 1975 venne rieletto con una vittoria a valanga, per poi diventare sindaco nel 1977. Le controversie, è possibile abbia imparato a quel punto, gli portavano bene,
La politica, tuttavia, non sempre gli usciva col buco. La sua candidatura alle primarie democratiche per correre come governatore dell’Ohio si arenarono. Riparò lavorando in radio, e poi come giornalista TV per un’affiliata locale della NBC.
Negli anni intanto si stava incubando il suo capolavoro, il Jerry Springer Show, che abbiamo detto si chiamava solo Jerry Springer (come se il Maurizio Costanzo Show si fosse chiamato solo Maurizio Costanzo: suona in modo inaffrontabile).
Si trattava di un talk show che doveva affrontare temi scabrosi. Per le prime due stagioni si concentrò sulla politica, ma ebbe un indice di gradimento bassissimo.
«Il peggior programma televisivo di tutti i tempi»
Jerry quindi ricalibrò il programma. Perché, deve essersi chiesto, di parlare di cose a cui il pubblico – compreso quello in sala – reagisce immediatamente?
Eccoti un talk che invita personaggi, supposti reali, che parlano delle loro storie di adulterio, di relazioni familiari marce sino all’indescrivibile (dove l’incesto, bleah, non è più un tabù), usando parolacce e violenza fisica, magari vestiti in modo succinto?
Il risultato fu l’archetipo, e al contempo il vertice forse ineguagliato, della TV spazzatura. La puntata pilota andò in onda su NBCUniversal il 30 settembre 1991 – e da lì fu uno schifo ininterrotto, che durò 27 anni, tuttavia è riconosciuto che l’apice fu raggiunto negli anni Novanta.
In momenti sconvolgenti, che sfidavano la credulità dello spettatore, venivano raccontate storie bizzarre e agghiaccianti, presentati personaggi improbabili, spaccate famiglie, umiliate persone e gruppi sociali, toccate profondità di abiezione umana.
E poi, soprattutto, botte, tante botte, botte da ogni parte – al punto che lo Steve Wilko, uno dei membri del team della Security – che interveniva di continuo a sedare gli animi che trascendevano in modi che in confronto Sgarbi vs D’Agostino è roba softcore – divenne ad una certa un personaggio talmente famoso da sostituire in alcuni episodi lo stesso Jerry e a farsi un programma tutto suo lo Steve Wiko show.
La critica lo definì «il peggior show televisivo di tutti i tempi», e Jerry ne andò fiero, usando il giudizio per annunciare l’apertura di ogni puntata. L’America, tuttavia, segretamente apprezzava: era un guilty pleasure, un vizio privato irresistibile per i telespettatori di quegli anni.
Le scene più brutte che avete mai visto
Il perché lo capite se vi lasciate guidare in questo carosello di clip che Mondo Serie ha preparato per i suoi lettori.
Una presenza immancabile era quella dei ragazzi del Ku Klux Klan, che si presentavano bardati dei loro grembiuloni colorati e i celeberrimi cappucci.
Non di rado scattava, anche immantinente, la rissa con i vari personaggi con cui venivano invitati a «parlare»: neri, ebrei, chiunque, con, talvolta, picchiatori che si levavano dal pubblico per menare i KKK e il loro irresistibile accento Southern.
Anche loro, salta fuori, hanno i loro problemi familiari
Il programma era il trionfo visibile dei Redneck, che in TV in effetti non si erano mai visti davvero. Gli esemplari rappresentati erano ragguardevoli, e molto offensivi della categoria
Non mancavano pure le risse amoroso- familiari tra Hillbillies, una categoria per comprendere la quale rimandiamo al film Netflix di Ron Howard Elegia americana
Anche i senzatetto drogati, specie se inguardabili, trovavano rifugio dal Jerry.
Il caso umano del padre adolescente di quattro figli con tre donne adulte diverse (ma è legale? Non in tutti gli Stati, a quanto ricordiamo dal caso di una famosa dark lady del cinema romano) poteva non esservi?
Incredibili rivelazioni dal mondo del lesbismo.
Fidanzate che tradiscono il fidanzato cieco.
Relazioni pericolose con nani spogliarellisti
In un momento di grande avanguardia, si presentò anche un personaggio affetto da una parafilia di cui oggidì si è cominciato a parlare: l’apotemnofilia, ossia il desiderio di essere amputati.
Oltre all’uomo che aveva sposato il suo cavallo, ad un certa comparve anche quello che amava il suo panda.
Voi pensate che oggi come oggi, scene del genere con i transessuali fischiati dal pubblico siano ancora possibili? Erano gli anni Novanta, bellezze mie, si poteva tutta – mica come in questi orwelliani anni 2020.
Un altro pattern ripetuto negli anni era quello dell’annuncio in diretta della rivelazione del tipo «non sei tu il padre» (i test del DNA in farmacia erano di là da venire)
La cosa del transessuale che seduce il bravo ragazzo inconsapevole fu un pattern che si ripeteva negli anni, coinvolgendo tutte le razze. «Surprise, I’am a man!». E il pubblico in deliquio.E giubbotte.
Botte, botte a tutti. Botte in famiglia. Botte tra rivali. Botte durante le proposte di matrimonio.
Botte tra cugini che si sposano.
Botte all’interno dei triangoli amorosi.
Botte nei pentagoni amorosi.
Botte tra cornute.
Botte interraziali tra conoscenti.
Botte fra gemelle omozigote.
Botte tra afroamericani omosessuali.
Botte in quello che è uno degli scontri più epici mai concepiti nella storia umana, «prostitute contro papponi»
Non possiamo, tuttavia, dimenticare gli epici momenti di midget fight, cioè di «botte fra nani», perché i triangoli amorosi violenti vi sono anche lì. Qui bisogna capire che il Jerry fa regredire il telespettatore al medioevo in cui questo tipo di spettacoli erano usi. Il pubblico in studio, invece, esaltato e berciante, regredisce a stadi dell’evoluzione biologica ancora più indietro nel tempo.
Poi c’era la variante più organolettica, il food fight: i protagonisti, quasi sempre donne, si tiravano addosso il cibo, conciandosi in modo rivoltante.
Esistono video compilativi di ogni sorta delle grandi risse al Jerry Springer.
Una polemica recente ha visto i membri della security (tra i quali, ad un certo punto, figurò anonimamente anche lo storico campione di arti marziali miste Bas Rutten) ammettere che la violenza in scena era in realtà fasulla.
Sarà, tuttavia c’è stato qualche caso davvero sinistro. Una donna, Nancy Campbell-Panitz accusata in un episodio dall’ex marito Ralf Panitz e dalla nuova moglie di stalking, fu trovata morta. L’ospite di Springer fu trovato mentre scappava in Canada: passato in giudizio, gli fu comminato l’ergastolo. Davanti ai microfoni di Larry King lo Springer negò che vi fosse qualsiasi correlazione tra il programma e il brutale omicidio.
Tuttavia, restava il fatto che lo show potesse rendere popolari, glamour, le devianze sessuale più oscene ed aggressive.
Gli ultimi giorni del re della TV spazzatura
Negli ultimi anni, il mito di Springer si era afflosciato. Tuttavia, vi sono pellicole, viste e meno viste, che cercavano di includere il suo mito per effetti comici.
Nel secondo Austin Powers – Austin Powers – la spia che ci provava (1989) – al Jerry Springer Show appare il dottor male che vorrebbe riconciliarsi con suo figlio, ma finisce per fare a botte con chiunque, compresi gli immancabili tizi del Ku Klux Klan.
È apparso anche nel film Sharknado (2013), quello del tornado fatto di squali affrontato con una motosega da uno dei protagonisti di Beverly Hills 90210 (quello biondo di seconda scelta, non Dylan), dove viene divorato con un inguardabile effetto digitale da pesce che si fingeva morto.
A fine anni 2000 aveva fatto, senza troppa gloria, il giurato ad America’s Got Talent, una specie di X-Factor americano.
Aveva riprovato la politica, cercando di correre per il Senato federale nel 2000 e nel 2004, ma l’associazione con lo show più trash della storia era troppo forte, e dovette rinunziare. Nel 2018 decise di riprovare a divenire governatore dell’Ohio, prima di rendersi conto di essere troppo vecchio.
Il suo lascito è stato nella cultura popolare, e non solo Nel 2003 a Londra cominciò ad andare in scena un’opera lirica ispirata al programma, Jerry Springer: The Opera. Nel 1998 era uscito un film in cui il presentatore interpretava se stesso, The Ringmaster.
Rimangono pure i giudizi sulla sua persona e sul suo operato. Un libro del 2005 intitolato Le 100 persone che stanno fottendo l’America, definiva Jerry «la più bassa forma di vita della TV», un pioniere nello sfruttamento del disagio dei suoi ospiti e della stupidità della sua audience.
Jerry è morto nella sua casa di Evanston, Illinois, il 27 aprile 2023 all’età di 79 anni. La famiglia ha fatto sapere che gli era stato diagnosticato un cancro al pancreas pochi mesi prima della sua morte.
Ma non disperate: lo schifo che ha portato in TV per decenni, è ancora tutto qua.
Articolo previamente apparso su Mondoserie.it
Immagine di Travis Wise via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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Carol of the Bells, la musica di sottofondo della vostra vigilia di Natale
Come ogni anno Renovatio 21 pubblica un articolo per celebrare la bellezza del canto di Natale Carol of the Bells, che condividiamo qui in varie sue esecuzioni al fine di fornire al lettore il sottofondo ideale per le sue attività natalizie.
Si tratta di un canto di natale molto conosciuto in America, ma quasi sconosciuto da noi in Europa. È un lavoro corale: le quattro voci raccontano, in un ostinato sempre più rarefatto, la felicità degli attesi rintocchi delle campane che annunziano il Natale. L’ha messa in circolazione compositore americano Peter Wilhousky (1902–1978) nel 1936, copiandola però dal compositore ucraino Mikola Dmitrovič Leontovič (1877–1921) che nel 1914 aveva riadattato una canzone del folklore ucraino chiamandola Ščedryk («munifica»).
Nella musica originale, scritta per celebrare il capodanno celebrato in primavera nelle terre slave pre-cristiane (quelle viste nei giorni corruschi ed enigmatici di Andrej Rublev di Andrej Tarkovkij), una rondine appariva a casa di una famiglia contadina per segnalare l’arrivo un anno di prosperità nei raccolti.
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La polifonia spiraliforme di Carol of the Bells riecheggia potente in tantissime persone, che la hanno esperita per tramite dei prodotti audiovisivi americani (film, dischi, serie, etc.).
È forse perfino controintuitivo associarla al Natale perché ha un tono più meditativo, financo dolente, rispetto ad altri canti natalizi.
Forse perché vi possiamo proiettare delle questioni di calendario umano: dicembre porta via l’anno che è sempre un anno di fatiche e dolori, seppellirle è necessario per far rinascere la vita, ma è giusto registrarle come tali. Anche i Re Magi, anche Giuseppe, forse, arrivarono stanchi, dopo viaggi ed incertezze, alla mangiatoia.
Essere al cospetto del Dio che nasce, il Dio che è la Vita, significa aver consumato le proprie energie, aver sacrificato. Bisogna riconoscerlo per poter vivere la gioia in modo autentico.
Eccovi una carrellata di versioni di questa musica struggente. Decidete quella che fa al caso vostro, e riascoltetela a loop.
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Buon Natale ai nostri lettori!
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Famoso regista di Hollywood e moglie trovati morti in casa. Sospettato il figlio.
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Svelate le vetrate contemporanee per la Cattedrale di Notre-Dame
Dopo due anni di polemiche, e nonostante la forte opposizione delle associazioni per la tutela del patrimonio, la sostituzione delle vetrate di Viollet-le-Duc, rimaste intatte dall’incendio che ha colpito la Cattedrale di Notre-Dame il 15 aprile 2019, con creazioni contemporanee sta prendendo forma: i modelli sono ora esposti.
La mostra D’un seul souffle è stata inaugurata il 10 dicembre 2025 nella Galleria 10.2 del Grand Palais (Parigi, VIII arrondissement). I visitatori possono scoprire i modelli a grandezza naturale, i bozzetti e altri lavori preparatori per le sei vetrate create da Claire Tabouret, vincitrice del concorso indetto dal ministero della Cultura.
Queste vetrate sono destinate a sostituire le creazioni ottocentesche di Viollet-le-Duc in sei cappelle della navata sud, vetrate progettate dall’architetto in linea con le origini gotiche della cattedrale. La petizione che ne richiede la conservazione spiega: «oltre alle vetrate narrative del deambulatorio, del coro e del transetto, le cappelle della navata presentano vetrate a grisaglia puramente decorative».
«Qui si manifesta una ricerca di unità architettonica e di gerarchia spaziale che è parte integrante della sua opera e che il restauro ha specificamente mirato a riscoprire. Inoltre, il progetto in corso ha incluso la pulizia e il consolidamento di tutte queste vetrate, vetrate che non sono state toccate né danneggiate dall’incendio e che sono classificate come monumenti storici, proprio come il resto dell’edificio».
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Una sostituzione fortemente controversa
La decisione di installare vetrate contemporanee nella Cattedrale di Notre-Dame è un’iniziativa personale di Emmanuel Macron, annunciata durante la sua visita al cantiere l’8 dicembre 2023 e sostenuta dall’arcivescovo di Parigi Laurent Ulrich. «Che vengano cambiate e che portino l’impronta del XXI secolo», dichiarò il Presidente all’epoca.
La sostituzione delle vetrate di Viollet-le-Duc, sopravvissute all’incendio del 2019, aveva scatenato un’accesa controversia. Nel luglio 2024, la Commissione Nazionale per il Patrimonio e l’Architettura ha respinto il progetto, sostenendo che la creazione artistica non dovrebbe sacrificare elementi del patrimonio di interesse pubblico.
La Tribune de l’Art ha lanciato una petizione che, ad oggi, ha raccolto quasi 300.000 firme. L’associazione Sites & Monuments ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo di Parigi per annullare o risolvere l’appalto pubblico. Il ricorso è stato respinto dal tribunale a fine novembre.
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Nel frattempo, lo Stato vuole trarre profitto dal restauro di Notre-Dame
Didier Rykner, il dinamico direttore de La Tribune de l’Art, che si oppone a questa sostituzione, ha appena pubblicato un editoriale in cui denuncia l’avidità dello Stato, che pretende fondi privati per coprire spese che dovrebbero essere a suo carico.
Come sottolinea il giornalista, l’istituzione pubblica responsabile della conservazione e del restauro della Cattedrale di Notre-Dame non dovrebbe essere mantenuta. «Ora che le tracce dell’incendio sono scomparse, non vi è alcuna giustificazione per cui questa struttura, creata esclusivamente per questo restauro, continui a funzionare».
«Notre-Dame ha ora bisogno di restauro, ma questi lavori dovrebbero continuare, come di consueto, sotto la direzione del DRAC Île-de-France, ovvero il ministero della Cultura, senza bisogno di un’istituzione pubblica. Un’istituzione del genere, i cui costi di gestione sono considerevoli, non è più giustificata, a meno che non si decida di creare istituzioni pubbliche per il restauro di tutti i principali monumenti statali…»
Inoltre, permane un «surplus» di fondi privati donati per il restauro della cattedrale più famosa del mondo, che sarà utilizzato per il restauro dell’abside e degli archi rampanti che la sostengono, e anche, a quanto pare, per la sacrestia, i tre grandi rosoni e le facciate nord e sud del transetto. Ma Philippe Jost, direttore dell’istituzione pubblica, chiede altri 140 milioni.
E Didier Rykner ha concluso: «non dobbiamo più dare un solo centesimo a Notre-Dame per sostituire uno Stato in rovina che si rifiuta di adempiere ai propri obblighi. Le cattedrali, come Notre-Dame, devono essere restaurate e mantenute dal loro proprietario, lo Stato. E l’istituzione pubblica, che ha fatto la sua parte e ora vuole deturpare la cattedrale rimuovendo le vetrate di Viollet-le-Duc, non ha più ragione di esistere. Deve essere chiusa».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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