Economia
Il mercato delle criptovalute è più grande di quello dei Subprime della crisi 2008: ma i nuovi derivati sono molto peggio

A fine aprile un discorso alla Columbia University di New York, il membro del Comitato esecutivo della BCE Fabio Panettaha di fatto attaccato il mondo delle criptovalute, chiedendo un un approccio «meno tollerante» verso Bitcoin et similia.
«Il mercato delle criptovalute è ora più grande del mercato dei mutui subprime quando – del valore di 1,3 trilioni di dollari – ha innescato la crisi finanziaria globale» ha dichiarato il Panetta.
L’intervento a Nuova York del Panetta a ingenerato una domanda particolarmente significativa posta al segretario al Tesoro Janet Yellen durante un’audizione della commissione bancaria del Senato americano questa settimana.
La senatrice democratica del Nevada Catherine Cortez Masto ha chiesto:
«La scorsa settimana Fabio Panetta, uno dei sei membri del comitato esecutivo della Banca centrale europea, ha notato che il mercato delle criptovalute è ora più ampio del mercato dei mutui subprime che ha innescato la crisi finanziaria globale. … Dice che questo mercato [crypto] da $ 1,3 trilioni mostra dinamiche sorprendentemente simili …. Vede qualche rischio finanziario perché gli investitori professionali e le persone con un patrimonio netto elevato detengono quasi i due terzi dell’offerta di Bitcoin?» Yellen ha evitato il problema. I Bitcoin sono crollati del 55% dal loro massimo di 69.355 dollari lo scorso novembre, fino a 30.930 dollari lunedì 9 maggio.
Un articolo sul sito Wall Street on Parade firmato da Pam e Russ Martens quindi ha fatto un punto più ampio sulla crisi finanziaria:
«L’aspetto più sorprendente di questa audizione è che l’unica parola che racchiude la più grande e imminente minaccia alla stabilità del sistema finanziario degli Stati Uniti non è stata pronunciata nemmeno una volta dalla bocca di nessun senatore di nessuna delle parti. Quella parola è: derivati».
Secondo i Martens, ci sono «234 trilioni di dollari in derivati nozionali (importo nominale) sui libri contabili di queste megabanche» americane e che «solo cinque holding bancarie sono responsabili di $ 200,18 trilioni di tale esposizione o l’86% di il totale. Queste mega holding bancarie sono: JPMorgan Chase, Citigroup, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Bank of America».
«Ognuna di queste banche ha richiesto salvataggi durante e dopo la crisi finanziaria del 2008 e molte sarebbero completamente crollate senza tale assistenza. Ognuna di queste banche di Wall Street possiede anche una banca di deposito che detiene ingenti somme di depositi assicurati a livello federale. Se si vuole parlare di rischio “concentrato”, perché non parlare di 200 trilioni di rischio in derivati oltre ai 1,4 trilioni di rischio in cripto?».
Insomma: il babau delle criptovalute è uno specchietto per le allodole? È un’arma di distrazione di massa finanziaria, per non vedere il nuovo tsunami trilionario di derivati marci in arrivo?
Cina
La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

Il ministero del Commercio cinese, ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.
Questi controlli riguardano «l’estrazione, la fusione e la separazione delle terre rare, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio delle risorse secondarie delle terre rare». Le aziende potranno richiedere esenzioni per casi specifici. In assenza di esenzioni, il ministero della Repubblica Popolare obbligherà gli esportatori a ottenere licenze per prodotti a duplice uso non inclusi in queste categorie, qualora sappiano che i loro prodotti saranno utilizzati in attività connesse alle categorie elencate.
Il precedente tentativo del presidente statunitense Donald Trump di avviare una guerra tariffaria con la Cina si è rivelato un fallimento, principalmente a causa del dominio preponderante della Cina nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali delle terre rare. Delle 390.000 tonnellate di ossidi di terre rare estratti nel 2024, la Cina ne ha prodotte circa 270.000, rispetto alle 45.000 tonnellate degli Stati Uniti, e detiene circa l’85% della capacità di raffinazione globale.
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La decisione odierna della Cina avrà certamente un impatto a Washington, soprattutto in vista dell’incontro tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping previsto per fine mese. Oggi si è registrata una corsa all’acquisto delle azioni di MP Materials, il principale concorrente statunitense della Cina nella produzione di terre rare.
All’inizio dell’anno, il dipartimento della Difesa statunitense aveva investito in MP Materials, dopo che Trump aveva evidenziato il divario tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, tale investimento è stato considerato insufficiente e tardivo.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
Economia
Ritrovato morto a Kiev un trafficante di criptovalute

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Cina
Trump: gli USA imporranno dazi del 100% alla Cina

Il presidente Donald Trump ha dichiarato che, a partire dal 1° novembre 2025, gli Stati Uniti applicheranno dazi del 100% sui prodotti cinesi, in reazione a quelle che ha definito restrizioni commerciali «straordinariamente aggressive» introdotte da Pechino.
Giovedì, la Cina ha reso noti nuovi controlli sulle esportazioni di minerali strategici con applicazioni militari, giustificando la misura come necessaria per tutelare la sicurezza nazionale e adempiere agli obblighi internazionali, inclusi quelli legati alla non proliferazione.
In un messaggio pubblicato venerdì su Truth Social, Trump ha accusato la Cina di aver assunto «una posizione estremamente ostile in materia di commercio», annunciando l’intenzione di imporre «controlli su larga scala sulle esportazioni di quasi tutti i prodotti che producono, inclusi alcuni non realizzati da loro», secondo una comunicazione inviata a livello globale. Tali misure, ha sottolineato il presidente, avrebbero impatto su tutti i paesi «senza eccezioni».
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«In risposta a questa posizione senza precedenti della Cina, gli Stati Uniti imporranno un dazio del 100% sui prodotti cinesi, in aggiunta a qualsiasi tariffa attualmente in vigore», ha scritto Trump, specificando che, dalla stessa data, saranno introdotti controlli sulle esportazioni di «qualsiasi software critico».
Ad agosto, Stati Uniti e Cina avevano concordato una tregua tariffaria di 90 giorni, che ha ridotto i dazi americani sui prodotti cinesi dal 145% al 30% e quelli cinesi sui prodotti americani dal 125% al 10%. Questa tregua scadrà a novembre. Trump ha definito la mossa di Pechino «assolutamente inaudita nel commercio internazionale» e «una vergogna morale nei rapporti con altre nazioni», precisando di parlare esclusivamente a nome degli Stati Uniti, non di altre nazioni similmente minacciate.
L’annuncio ha provocato un forte impatto sui mercati globali, con un crollo delle borse statunitensi nella giornata di venerdì. Come visibile nella finance card sopra, l’indice S&P 500 ha registrato un calo del 2,7%, segnando la peggiore perdita giornaliera da aprile, mentre il Dow Jones Industrial Average è sceso di circa 900 punti, pari all’1,9%.
Il NASDAQ, fortemente legato al settore tecnologico, ha subito un ribasso del 3,6%, con gli investitori che hanno venduto titoli ad alta crescita, particolarmente vulnerabili alle interruzioni nelle catene di approvvigionamento cinesi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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