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Geopolitica

Il biografo teocon di Wojtyla parla di guerra alla Russia

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In un articolo apparso questo mese sul National Catholic Register, il biografo di Papa Giovanni Paolo II, George Weigel, ha definito la Russia «un moderno Moloch, il dio cananeo assetato di sangue contro cui si scagliarono i profeti dell’antico Israele», in una critica senza fiato agli sforzi di pace del presidente Trump in Ucraina.

 

Lo scorso Il 12 febbraio il Weigel ha scritto un’invettiva pubblicata da The Denver Catholic, testata ufficiale dell’arcidiocesi di Denver. Intitolata «La sacrilega guerra della Russia all’Ucraina», l’articolo sosteneva sostanzialmente la continuazione della guerra in Ucraina finché la Russia non avesse perso.

 

«Non esiste una soluzione felice o giusta all’aggressione di Putin che non finisca con la sconfitta di Putin. Come ciò accada è oggetto di dibattito. Ma Putin deve perdere, sia per il bene dell’Ucraina che per quello della Russia… per il bene dell’America e per quello del mondo».

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Il Weigel ha fatto parte del consiglio direttivo del National Endowment for Democracy (NED), ente da alcuni ritenuto correlato alla CIA, in compagnia di Victoria Nuland, ricorda il sito Oneleggedparrot. L’amministrazione Trump ha sospeso i finanziamenti per la NED, ed Elon Musk l’ha definita un’«organizzazione malvagia che deve essere sciolta».

 

Negli anni il Weigel si è occupato della questione ucraina, da lui trattata ancora in tempi perfino precedenti al golpe di Maidan.

 

«Seguendo i recenti precedenti russi, una delle nuove leggi “contro l’estremismo” tenta anche di tagliare fuori gli attivisti della società civile e le loro organizzazioni dai loro alleati occidentali» scriveva Weigel nel gennaio 2014, attaccando le azioni del governo Yanukovich prima che scoppiasse il caos. «L’intento è abbastanza chiaro: qualsiasi organizzazione della società civile ucraina che accetti fondi per il lavoro della società civile o pro-democrazia da, ad esempio, il National Endowment for Democracy degli Stati Uniti (piena trasparenza: faccio parte del consiglio di amministrazione del NED)… sarà considerata un “agente straniero”. Deve identificarsi come “un’associazione civile che svolge le funzioni di un agente straniero”. Deve presentare mensilmente resoconti finanziari e di programma allo Stato e ora deve pagare le tasse sul reddito».

 

Nell’articolo, intitolato «lo sventramento della democrazia in Ucraina, il Weigel aveva definito le misure proposte dallo Yanukovich staliniste e antidemocratiche.

 

Pochi giorni dopo, sempre nel primo mese del fatale 2014, Weigel aveva vergato un pezzo sul Kyiv Post per definire il governo di Yanukovich una «dittatura», una «thugocrazia» (potere degli «sgherri») e i suoi leader dei «banditi», ad indicare che gli insorti che avrebbe iniziato il procedimento per rovesciare il governo democraticamente eletto erano un «movimento democratico», che necessitava poi di «tecnocrati competenti».

 

Il Weigel è stato etichettato negli anni come un «teocon» (abbreviazione di «Theoconservative»), figure del mondo cattolico ascrivibili all’agenda dei neocon (che sono, in larga parte, giudei), quindi promuoventi le guerre americane in Iraq e Afghanistan e lo scontro sempre più diretto con Mosca. Secondo Wikipedia, Weigel ha avuto rapporti anche con il Project for the New American Century, la think tank neo-conservatrice tra i principali fautori della guerra in Iraq.

 

Per quanto possa sembrare impossibile e persino grottesco, epigoni del Weigel e del teoconismo sono ancora, non si sa per quanto, attivi in Italia, diffondendo, dopo l’allarme per la questione islamica (ma giammai per quella ebraica…) panzane come quella della «Russia rimasta comunista», difendendo la guerra ucraina in modo parossistico (al punto da attaccare lo stesso presidente Trump, da sempre nemico dei neocon) e arrivando persino a manipolare il messaggio di Nostra Signora di Fatima.

 

Nonostante non abbiano oggidì più nessun credito (non sono più gli anni 2000 de Il Foglio di Giuliano Ferrara), non è chiaro per quanto tempo ancora continueranno figure del genere prima di finire definitivamente nell’oscurità.

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Nel frattempo, il Weigel continua a pontificare da una parte e l’altra dell’Atlantico: pochi giorni fa era intervistato su La Verità, ovviamente presentato come «il biografo ufficiale di Giovanni Paolo II» e foto del papa polacco a corredo, con il giornalista italiano che lo chiama «professore» (come altri del giro…) e chiede lumi su futuri conclavi e futuro della chiesa.

 

Non tutti, tuttavia, sono disposti a tollerare. Anni fa, ad un evento organizzato a Roma, Weigel – sempre forte della relazione letteraria con il papa morto – prese la parola ed alcune persone, tra cui un importante attivista pro-life statunitense, uscì dalla stanza, confessando a Renovatio 21 che non poteva stare dentro a sentire un’uomo che aveva, diceva, spinto per la guerra in Iraq.

 

È accettabile quindi, oggi, un cattolico che spinge per una guerra che può avere ramificazioni termonucleari apocalittiche?

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Immagine di S L O W K I N G via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution NonCommercial Unported 3.0

 

 

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Geopolitica

Orban come John Snow

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Il principale negoziatore russo Kirill Dmitriev ha paragonato il primo ministro ungherese Vittorio Orban al personaggio di Jon Snow della serie Il Trono di Spade, raffigurandolo come l’unico baluardo a difesa del diritto europeo mentre l’UE procede al congelamento a tempo indeterminato degli asset sovrani russi.   In un post su X pubblicato venerdì, Dmitriev ha lodato lo Orban per aver «difeso il sistema legale e finanziario dell’UE dai folli burocrati guerrafondai dell’Unione», sostenendo che il leader ungherese stia lottando per «ridurre la migrazione, accrescere la competitività e ripristinare buonsenso, valori e pace».   Dmitriev ha allegato una sequenza tratta dalla celeberrima «Battaglia dei Bastardi», una delle scene più memorabili della fortunata serie. Il frammento mostra Jon Snow, isolato sul campo di battaglia, che estrae la spada mentre la cavalleria della Casa Bolton gli si avventa contro. Nella saga, i Boltoni sono noti per la loro crudeltà e spietatezza, mentre Snow è dipinto come un condottiero riluttante che antepone il dovere all’ambizione personale, spesso a caro prezzo.  

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Venerdì, Orban – che in numerose occasioni ha criticato duramente le politiche conflittuali dell’UE nei confronti della Russia – ha accusato Bruxelles di «violentare il diritto europeo», riferendosi alla decisione che ha permesso all’Unione di bypassare il requisito dell’unanimità per prorogare le sanzioni sugli asset sovrani russi, valutati in circa 210 miliardi di euro. Mosca ha bollato il congelamento come «furto», minacciando azioni legali in caso di confisca da parte dell’UE.   In un altro post, Dmitriev ha attaccato il segretario generale della NATO Mark Rutte, paragonandolo al Re della Notte, il principale antagonista di Game of Thrones, che guida un esercito di non-morti ed è completamente privo di empatia.  

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Il paragone è arrivato in risposta alle dichiarazioni di Rutte, che ha accusato la Russia di «riportare la guerra in Europa» e ha invitato i membri della NATO a prepararsi a un conflitto su scala paragonabile a quelli affrontati dalle generazioni passate. Il Dmitriev ha quindi affermato che Rutte «non ha famiglia né figli» e «desidera la guerra», aggiungendo però che «alla fine prevarrà la pace».   Dmitriev, figura chiave negli sforzi per risolvere il conflitto in Ucraina, ha fatto eco alle critiche del ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto, che aveva accusato Rutte di «alimentare le tensioni belliche».  

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Geopolitica

Orban: i funzionari dell’UE «violano la legge»

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Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha accusato i funzionari dell’UE di «violazione sistematica della legge» per il loro piano di privare gli Stati membri del diritto di veto sul congelamento degli asset russi.

 

Venerdì pomeriggio la Commissione Europea ha votato una proposta per attivare l’articolo 122 dei trattati UE, una clausola di emergenza che permette di adottare decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità. Tale misura consentirebbe all’Unione di mantenere indefinitamente il blocco dei beni sovrani russi e di destinare i profitti o gli interessi generati a sostegno dell’Ucraina, anche in presenza di opposizioni da parte di singoli Stati membri.

 

«Con la procedura di oggi, i burocrati di Bruxelles aboliscono con un solo tratto di penna l’obbligo di unanimità, un atto palesemente illegale», ha scritto Orban su X venerdì. «Lo stato di diritto nell’Unione Europea sta giungendo al termine e i leader europei si pongono al di sopra delle regole. Anziché garantire il rispetto dei trattati UE, la Commissione Europea viola sistematicamente il diritto europeo».

 

Orban ha denunciato che i «burocrati» e i guerrafondai dell’UE stanno spingendo per «protrarre la guerra in Ucraina, un conflitto che è chiaramente impossibile vincere».

 


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«Con questo passo, lo stato di diritto nell’UE viene sostituito dal governo dei burocrati. In altre parole, si è instaurata una dittatura di Bruxelles», ha aggiunto. «L’Ungheria protesta contro questa decisione e farà tutto il possibile per ripristinare un ordine legittimo».

 

Dopo l’escalation del conflitto ucraino nel 2022, i partner occidentali di Kiev hanno congelato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, la maggior parte dei quali depositati presso Euroclear a Bruxelles. Nelle ultime settimane è scoppiata una forte controversia tra i Paesi europei favorevoli all’utilizzo di tali fondi come garanzia per un «prestito di riparazione» a Kiev e quelli contrari, che invocano rischi legali e finanziari.

 

L’attivazione della clausola di emergenza per un congelamento a tempo indeterminato toglierebbe a Stati oppositori come l’Ungheria la possibilità di veto sul rinnovo semestrale. Secondo il piano, il blocco rimarrebbe in vigore fino al pagamento da parte della Russia delle riparazioni post-conflitto all’Ucraina e fino a quando l’UE non riterrà cessata «una minaccia immediata» ai propri interessi economici derivante da possibili ritorsioni legali.

 

Mosca ha condannato come illegittimo qualsiasi tentativo di appropriazione dei suoi beni. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha dichiarato questa settimana che la Russia reagirà a ogni espropriazione, aggiungendo che «derubare» il Paese rappresenta l’ultima carta rimasta ai sostenitori europei dell’Ucraina per continuare a finanziare Kiev nel conflitto con Mosca.

 

L’Ungheria si oppone da tempo a ulteriori aiuti a Kiev: Orban li ha paragonati al «mandare un’altra cassa di vodka a un alcolizzato». Budapest non è tuttavia isolata: anche il Belgio, che custodisce la maggior parte dei fondi, ha criticato duramente il piano, con il primo ministro Bart De Wever che lo ha definito «equivalente a rubare» denaro russo.

 

I capi di Stato e di governo dell’UE voteranno la proposta al vertice della prossima settimana.

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Immagine di Manfred Weber via Flickr con licenza CC BY-NC-SA 2.0

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Geopolitica

Trump fa pressione su Zelens’kyj affinché ceda terreni alla Russia

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta esercitando forti pressioni su Volodymyr Zelens’kyj affinché accetti di cedere territori alla Russia per porre fine alla guerra tra Kiev e Mosca. Lo riporta il giornale tedesco Bild, citando fonti anonime.   Sabato il quotidiano ha scritto che la Casa Bianca sta «esercitando una pressione intensa sul leader ucraino per ottenere concessioni». Secondo l’articolo, Trump potrebbe «sfruttare la vulnerabilità interna di Zelens’kyj» causata da uno scandalo della corruzione miliardaria di Kiev.   Il mese scorso le agenzie anticorruzione ucraine, sostenute dall’Occidente, hanno reso noti i risultati preliminari di un’inchiesta su presunte tangenti per circa 100 milioni di dollari nel settore energetico, coinvolgendo figure vicine all’entourage del presidente. A seguito dello scandalo si sono dimessi la ministra dell’Energia Svetlana Grinchuk, il ministro della Giustizia German Galushchenko e il principale consigliere nonché stretto collaboratore di Zelens’kyj, Andrey Yermak.   La Bild sostiene che i negoziati di pace promossi dagli Stati Uniti si trovino nella fase più avanzata dall’inizio dell’escalation del conflitto in Ucraina, nel febbraio 2022. Trump starebbe cercando di chiudere un accordo tra Mosca e Kiev in tempi brevi, indicando il Natale come possibile scadenza.

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Kiev ha sempre escluso il riconoscimento delle ex regioni ucraine del Donbass come territorio russo. Le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk hanno aderito alla Federazione Russa in seguito ai referendum del 2022. Zelensky ha tuttavia ammesso che l’Ucraina potrebbe indire un referendum su eventuali concessioni territoriali.   Il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov ha replicato che il Donbass è territorio sovrano russo e che Mosca, prima o poi, riprenderà il controllo sulle aree ancora occupate dalle forze ucraine, aggiungendo che Zelens’kyj si è finora opposto al ritiro delle truppe dalla regione, nonostante questa richiesta figuri tra le proposte di pace avanzate da Washington.   Giovedì Trump ha dichiarato ai giornalisti alla Casa Bianca che «a parte il presidente Zelens’kyj, il suo popolo ha apprezzato il concetto dell’accordo di pace» da lui proposto il mese scorso. Il presidente americano ha precisato che il processo è «un po’ complicato perché si tratta di dividere il territorio in un certo modo».   Nel frattempo, le truppe russe proseguono la loro avanzata nel Donbass, avendo recentemente liberato la importante piazzaforte di Seversk.   In un’intervista rilasciata a Politico lunedì, Trump ha affermato che lo Zelens’kyj «dovrà rimboccarsi le maniche e cominciare ad accettare le cose».   Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi giorni Trump ha esortato l’ex attore ucraino ad essere «realista», chiosando che «in Ucraina tutti tranne Zelens’kyj hanno apprezzato il mio piano». Lo stesso presidente americano, che si era detto «deluso» dalla mancata risposta di Kiev alla sua proposta di pace, aveva quindi esortato il presidente ucraino ad indire le elezioni.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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