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Geopolitica

I primi reparti dell’Esercito Russo sono entrati nel Donbass

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Il riconoscimento da parte di Mosca delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk è stato seguiti immediatamente dall’azione concreta: l’esercito russo è entrato nel territorio appena riconosciuto.

 

Il Cremlino parla di un contingente volto al peacekeeping. Si tratta, di fatto, di un intervento diretto che significa in sostanza l’annessione delle due regioni.

 

Le truppe in arrivo vanno ad aggiungersi ai circa 3-4000 soldati russi che, si stima, erano già presenti in Donbass.

 

Con questa mossa Putin fa entrare il conflitto in atto in una nuova fase, mettendo grande pressione sul presidente-attore comico ucraino Zelens’kyj, che pure, russofono da sempre, era arrivato a dichiarare di voler incontrare de visu Putin per risolvere la situazione.

 


Ora il governo di Kiev si trova in difficoltà logistica e decisionale anche rispetto al supporto alleato: parrebbe che nella notte gli americani abbiano evacuato i diplomatici da Leopoli, città dell’Ovest roccaforte del nazionalismo ucraino, dove si erano spostati dopo essere fuggiti nelle scorse settimane dalla capitale Kiev.

 

Zelens’kyj ora dovrà spiegare all’opinione pubblica ucraina come sia stato possibile arrivare a questo punto, e cioè alla disintegrazione di fatto dell’integrità territoriale del Paese, un tema che, immaginiamo, renderà furiosi i nazionalisti «banderisti» (cioè paranazisti) che combattono in Donbass e hanno ramificazioni politiche forti. Alcuni di essi, come riportato da Renovatio 21, sarebbero stati addestrati in USA con un programma CIA volto a «uccidere i russi».

 

Ora la situazione potrebbe pure arrivare ad uno stallo: Putin potrebbe accontentarsi, e l’Occidente, pure, potrebbe ritenersi soddisfatto delle distruttive sanzioni economiche che imporrà. Tuttavia le zone di Donetsk e Lugansk sotto controllo filorusso e ora russo non coincidono con l’intera oblast’ (cioè, regione) delle due realtà. Un’altro obbiettivo, secondo alcuni, potrebbe essere l’avanzata verso il grande porto di Mariupol’.

 

Dopo il riconoscimento da parte del Cremlino, ieri sera la popolazione del Bacino del Don ha festeggiato in piazza, con bandiere russe, fuochi di artificio, e cortei di auto.

 


In principio, l’entrata in Donbass dell’esercito russo rappresenta una violazione della sovranità territoriale dell’Ucraina, che, sostanzialmente, Putin, come ha fatto capire nel discorso alla Nazione di iersera, non riconosce.

 

Il presidente russo aveva infatti affermato che l’Ucraina moderna è stata interamente disegnata dalla Russia ai tempi della dissoluzione sovietica, per poi accusare l’attuale governo di Kiev di essere niente altro che un fantoccio nelle mani degli USA. L’Ucraina, ha finalmente fatto capire Putin, è insomma poco altro che un problematico Stato artificiale.

 

Il tutto, sottolineando il concetto storico ed etnografico indicante la prossimità, se non l’unicità, tra terre e genti ucraine con quelle russe.

 

Il mondo si trova quindi davanti, ancora una volta dopo la Crimea nel 2014, al fait accompli dello statista del Cremlino.

 

Si attendono ora le reazioni del mondo, in particolare dell’Europa, oltre che degli USA. È probabile l’arrivo di tremende sanzioni contro la Russia.

 

L’espressione riferita alla reazione –«swift and severe» (rapida e severa) – dopo essere stata pronunziata dal presidente Biden, è stata ripetuta dalla vicepresidente Kamala Harris: si tratta di una minaccia in codice, per niente criptico, rispetto all’esclusione dell’economia russa dal circuito interbancario mondiale SWIFT.

 

L’opzione di sospensione dallo SWIFT è stato paragonata da alcuni analisti ad una sorta di bomba atomica economica.

 

Come riportato da Renovatio 21, il presidente Putin aveva anticipato che il fine dell’escalation era di tipo economico: distruggere lo sviluppo della Nazione russa.

 

Un’altra fondamentale dichiarazione delle ultime settimane di Putin, mai arrivata ai grandi giornali, è stata, nella conferenza stampa con Macron, riguardo alla possibile guerra atomica «senza vincitori» in Europa – forse ne avete letto su questo sito, nessun media mainstream ne ha parlato davvero, nonostante essa poteva dare spazio alle testate di dipingere Putin come un minaccioso tiranno.

 

I giornali hanno parimenti ignorato gli sviluppi – dichiarati apertamente dal Cremlino con grande pubblicità – dei missili Tsirkon, ossia missili ipersonici contro i quali non vi è ancora difesa possibile. La Russia ha completato i test, gli USA sostengono di non essere ancora in grado di produrre una tecnologia bellica ipersonica utilizzabile.

 

Renovatio 21 da un anno oramai insiste sull’importanza della nuova missilistica ipersonica, e di ciò che implica a livello di equilibrio mondiale.

 

 

 

 

Geopolitica

Trump annuncia attacchi terrestri in Venezuela «presto»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che gli USA potrebbero avviare «molto presto» operazioni terrestri contro presunte reti di narcotraffico collegate al Venezuela, dopo aver quasi completamente interrotto i flussi di stupefacenti via mare. Caracas ha respinto con forza ogni accusa di legami con i cartelli della droga.

 

Parlando venerdì con i giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha annunciato che il traffico di droga marittimo legato al Venezuela è calato del 92%, sostenendo che le forze americane stanno «eliminando la droga a livelli mai visti prima». «Abbiamo bloccato il 96% degli stupefacenti che arrivavano via mare», ha precisato, per poi aggiungere: «Presto le operazioni inizieranno anche sulla terraferma».

 

Il presidente statunitense non ha tuttavia fornito indicazioni su eventuali obiettivi o sull’estensione di tali azioni.

 

Da settembre le forze USA hanno intensificato sensibilmente la presenza militare nei Caraibi e nel Pacifico orientale, conducendo oltre 20 interventi contro imbarcazioni sospette di traffico di droga e causando la morte di decine di persone. Trump ha affermato che queste operazioni hanno salvato decine di migliaia di vite americane, impedendo l’ingresso di narcotici nel Paese.

 

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha sempre rigettato le accuse di Trump su presunti rapporti tra Caracas e i narcocartelli, sostenendo che Washington utilizzi la campagna antidroga come pretesto per destabilizzare e rovesciare il suo governo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.

 

Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.

 

Questa settimana le autorità statunitensi hanno sequestrato anche la petroliera Skipper al largo delle coste venezuelane, una nave cargo che secondo gli USA trasportava petrolio dal Venezuela e dall’Iran. Le autorità di Caracas hanno condannato l’operazione definendola «furto manifesto» e «pirateria navale criminale».

 

Come riportato da Renovatio 21, nel frattempo, la Russia – da tempo alleata stretta del Venezuela – ha rinnovato pubblicamente il suo sostegno a Maduro. Secondo il Cremlino, il presidente Vladimir Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio appoggio alla ferma determinazione del governo Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne». I due leader hanno inoltre confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico siglato a maggio.

 

Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.

 

Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Geopolitica

La Slovacchia «non sosterrà nulla» che contribuisca a prolungare il conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha annunciato che la Slovacchia si opporrà a qualsiasi misura che permetta di impiegare i beni russi congelati per fornire armi all’Ucraina, mettendo in guardia sul fatto che ulteriori sostegni militari non farebbero che protrarre l’«insensata uccisione quotidiana di centinaia di migliaia di russi e ucraini».   In seguito all’escalation del conflitto nel 2022, gli alleati occidentali di Kiev hanno bloccato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, in gran parte depositati nell’UE. Da quel momento è divampata una disputa tra i Paesi intenzionati a usare tali fondi come collaterale per un «prestito di riparazione» a favore di Kiev e quelli che si oppongono fermamente. La decisione finale spetterà ai membri dell’UE nel voto previsto per la prossima settimana.   Fico, da sempre critico del piano, ha illustrato la propria posizione in dettaglio in una lettera inviata all’inizio della settimana al Presidente del Consiglio europeo António Costa. In un post su X pubblicato venerdì, ha riferito di aver poi avuto un colloquio telefonico con Costa, durante il quale ha ribadito il suo rifiuto all’invio di armi a Kiev. Fico ha dichiarato di aver avvertito che proseguire con i finanziamenti prolungherebbe le ostilità e accrescerebbe le vittime, mentre Costa «ha parlato solo di soldi per la guerra».   «Se per l’Europa occidentale la vita di un russo o di un ucraino non vale un cazzo, non voglio far parte di un’Europa occidentale del genere», ha affermato Fico. «Non appoggerò nulla, anche se dovessimo restare a Bruxelles fino al nuovo anno, che comporti il sostegno alle spese militari dell’Ucraina».  

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Vari Stati membri dell’UE hanno manifestato riserve sul programma di prestiti, evidenziando rischi di natura legale e finanziaria. Secondo Politico, venerdì Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno sollecitato la Commissione europea a considerare opzioni alternative al sequestro degli asset, quali un meccanismo di prestito comunitario o soluzioni temporanee. Obiezioni sono arrivate anche da Ungheria, Germania e Francia.   Venerdì la Commissione Europea ha dato il via libera a una norma controversa che potrebbe prorogare indefinitamente il congelamento dei beni russi, qualificando la materia come emergenza economica e non come misura sanzionatoria. Questo passaggio è interpretato come propedeutico all’attuazione del «prestito di riparazione», in quanto permette decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così i veti dei Paesi dissidenti.   Mosca ha stigmatizzato come illegittimo ogni tentativo di appropriarsi dei suoi asset. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato questa settimana che, con il programma di «prestiti di riparazione», l’Europa sta adottando un comportamento «suicida». Riferendosi al voto di venerdì, ha etichettato l’UE come «truffatori».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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Orban come John Snow

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Il principale negoziatore russo Kirill Dmitriev ha paragonato il primo ministro ungherese Vittorio Orban al personaggio di Jon Snow della serie Il Trono di Spade, raffigurandolo come l’unico baluardo a difesa del diritto europeo mentre l’UE procede al congelamento a tempo indeterminato degli asset sovrani russi.

 

In un post su X pubblicato venerdì, Dmitriev ha lodato lo Orban per aver «difeso il sistema legale e finanziario dell’UE dai folli burocrati guerrafondai dell’Unione», sostenendo che il leader ungherese stia lottando per «ridurre la migrazione, accrescere la competitività e ripristinare buonsenso, valori e pace».

 

Dmitriev ha allegato una sequenza tratta dalla celeberrima «Battaglia dei Bastardi», una delle scene più memorabili della fortunata serie. Il frammento mostra Jon Snow, isolato sul campo di battaglia, che estrae la spada mentre la cavalleria della Casa Bolton gli si avventa contro. Nella saga, i Boltoni sono noti per la loro crudeltà e spietatezza, mentre Snow è dipinto come un condottiero riluttante che antepone il dovere all’ambizione personale, spesso a caro prezzo.

 

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Venerdì, Orban – che in numerose occasioni ha criticato duramente le politiche conflittuali dell’UE nei confronti della Russia – ha accusato Bruxelles di «violentare il diritto europeo», riferendosi alla decisione che ha permesso all’Unione di bypassare il requisito dell’unanimità per prorogare le sanzioni sugli asset sovrani russi, valutati in circa 210 miliardi di euro. Mosca ha bollato il congelamento come «furto», minacciando azioni legali in caso di confisca da parte dell’UE.

 

In un altro post, Dmitriev ha attaccato il segretario generale della NATO Mark Rutte, paragonandolo al Re della Notte, il principale antagonista di Game of Thrones, che guida un esercito di non-morti ed è completamente privo di empatia.

 

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Il paragone è arrivato in risposta alle dichiarazioni di Rutte, che ha accusato la Russia di «riportare la guerra in Europa» e ha invitato i membri della NATO a prepararsi a un conflitto su scala paragonabile a quelli affrontati dalle generazioni passate. Il Dmitriev ha quindi affermato che Rutte «non ha famiglia né figli» e «desidera la guerra», aggiungendo però che «alla fine prevarrà la pace».

 

Dmitriev, figura chiave negli sforzi per risolvere il conflitto in Ucraina, ha fatto eco alle critiche del ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto, che aveva accusato Rutte di «alimentare le tensioni belliche».

 

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