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Guida pratica al governo Addams

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Purtroppo non tutti i lettori conoscono l’antica serie TV, girata in bianco e nero, chiamata La famiglia Addams. Alcuni sono nati decisamente dopo che le TV italiane avevano smesso di mandare in onda le repliche, che servivano decisamente a coprire buchi di palinsesto. Forse qualche giovane può averne conosciuto i mosci remake tentati dal cinema e forse dal mondo dello streaming.

 

La storia era: una famiglia assortita in modo folle, con mostri e personaggi strambi di ogni sorta – una madre-strega nerovestita, un cugino peloso, una mano mozzata ambulante, un cameriere frankensteiniano, uno zio pelato con l’occhio spiritato, un padrone di casa con nome messicano – completamente inconsapevole della sua stranezza. Produceva Aaron Spelling, che era pure marito dell’attrice che faceva Morticia, noto alle generazioni successive come il papà di Tori Spelling, la ragazza brutta del serial ebete e classista Beverly Hills 90210.

 

Passano gli anni ma gli Addams riemergono spesso, specie quando si tira su la compagine di governo.

 

Ora, possiamo definire così anche la lista dei ministri del governo Meloni? Di certo, è una famiglia: c’è un cognato, un fratello…

 

C’è uno che le malelingue apostrofano come l’orco Shrek, ci sono figure riempite di botulino, un tempo patogeno letale, oggi invece creatura che cambia i connotati alle facce agée (lo chiaman Botox, e sembra il nome di un cattivo da fantascienza, in effetti).

 

Ci sono Ursi e Zangrilli, Calderoni e Calderoli… insomma verebbe voglia di dire che si tratta di un bestiario bello fitto, con la «f» minuscola, però.

 

Partiamo.

 

Abbiamo l’onorevole Antonio Tajani ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, anche vicepremier. Ricordate chi è? È un candidato a sindaco di Roma trombato (come la Meloni…), poi divenuto vice di Junker a Bruxelles, dover portò il suo capo Silvio a pochi giorni dalle elezioni 2018: bella foto di Berlusconi che stringe la mano all’eurotizio della sciatica, pensando di piacere all’elettorato moderato, che credevano esistesse ancora. Risultato elettorale: Forza Italia polverizzata, all’opposizione. Si era detto che dopo gli audio pro-Putin di Berlusconi, Forza Italia sarebbe stata tenuta lontana dagli Esteri: Giorgia ha invece pensato bene che l’occasione per de-ronzulizzare il partito, magari creando una scissione baby-gang stile Italia Viva, era troppo ghiotta.

 

 

Orazio Schillaci alla Salute ha fatto scartabellare per ore i no-vax per capire dove stava. Poi si è scoperto che non era un parente a caso del calciatore dei mondiali di Italia 90, ma  proprio quel rettore di Tor Vergata che aveva elogiato il «senso civico dei vaccini» andando in TV nel giorno del trapasso biologico nazionale, il 15 ottobre 2021. Per lui il green pass era «indispensabile».

 

 

Giancarlo Giorgetti, il leghista draghista, per alcuni l’anti-Salvini infrapartitico, va all’economia. Molti hanno sottolineato in questi giorni che non sa l’inglese. Renovatio 21 invece sottolinea che è cugino del banchiere e grand commis di Stato Massimo Ponzellini, a sua volta figlio d’arte (il padre era membro del consiglio della Banca d’Italia e abbiente sostenitore della nascita dell’editore bolognese Il Mulino) e allievo di Romano Prodi, con cui fonda la società Nomisma e con il quale lavora all’IRI dal 1983 al 1990. Ponzellini è stato presidente della grande società di appalti Impregilo nonché, nel 2009, della Banca Popolare di Milano. A fine 2021 Giorgetti cominciò a parlare pubblicamente di possibili blackout in arrivo.

 

Il MISE, ministero ambitissimo, va ad Adolfo Urso, quello del COPASIR, fresco di viaggi negli USA. Non sappiamo cosa aggiungere: noi tuttavia lo ricordiamo nel 2009 a Mosca durante la più grande missione fatta dall’Istituto del Commercio Estero (ICE) nella sua storia, dove il teatro dell’amicizia Berlusconi-Putin doveva attuarsi e fulminare qualsiasi cosa. Non accadde per il sisma dell’Aquila, per cui Silvio restò a casa, e Vladimir parlò di agromnaja tragedija, immane tragedia. Ad una conferenza Urso rivendicò una foto scattata pochi giorni prima al G20 di Londra (quello in cui la Regia rimproverò le urla di Silvio: «Mister Obamaaa»): si vedeva che, al momento della foto collettiva, Berlusconi era riuscito a prendere da parte il presidente russo Medvedev (quello che oggi parla di guerra atomica un giorno sì o uno anche) e l’appena insediato presidente USA Barack Obama (il mulatto della CIA), e a farsi fotografare dietro a loro mentre li spingeva l’uno vero l’altro, tutti sorridentissimi. Stando a quel che ricordiamo del suo discorso da quel palco a Mosca, a Urso quella foto piaceva. Piaceva anche a noi

 

 

L’ex magistrato veneziano Carlo Nordio, per anni riverito come rara avis della razza giudice-non-di-sinistra, è quello che si è distinto ultimamente per dichiarazioni di umiliazione a Putin: «l’aggressione del satrapo del Cremlino è contro ogni legge umana e divina». Leggero. «L’Ucraina va difesa con le armi perché le guerre si decidono sul campo di battaglia. Quando le guerre terminano con un negoziato è o perché uno dei due ha vinto sul campo o perché c’è stata una situazione di stallo». Ecco: il nuovo Guardasigilli sembrerebbe voler dare a Kiev armi sufficienti per mettere la prima superpotenza nucleare del pianeta KO, cosicché si possano evitare quelle brutte cose da perdenti che sono i negoziati.  Chiarissimo.

 

Guido Crosetto, gigante di origine DC finito nella cerchia più stretta di Giorgia – lo hanno definito lo Shrek della principessa Fiona Meloni – è chiacchierato per un possibile conflitto di interesse: ministro della Difesa, è uomo del settore aerospazio nonché a lungo presidente di AIAD, la Federazione, membro di Confindustria, che rappresenta le Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza. Lui minimizza.

 

Gennaro Sangiuliano, direttore del TG2 e grande biografo di Putin e pure di Xi Jinpingo, è ministro della Cultura: si era parlato di Giordano Bruno Guerri, l’attuale responsabile del Vittoriale. Diciamo che, rinunziando a D’Annunzio, non sono andati «verso la vita», come ebbe a dire quella volta in Parlamento il Vate quando si spostò a sinistra.

 

All’agricoltura e sovranità alimentare – nuovo conio che epperò è già usato dai governi macroniani – Giorgia ci ha messo Lollobrigida: che non è la diva amica di Fidel Castro, che pure era candidata a 91 anni con un partitino del dissenso. No, è Francesco Lollobrigida, suo cognato, il marito di quella sorella che il giorno della vittoria si è precipitata sui giornali per dichiarare che «non è vero che Giorgia è contro l’aborto». Ora: ci chiediamo semplicemente come, rimanendo sudditi di un’Europa che ci sta portando verso il consumo di insetti, si possa parlare di «sovranità alimentare». Ma forse è un problema nostro e non di chi dichiara che dalla prigione di Bruxelles mica vuol uscire.

 

Il neoministro dell’Università Annamaria Bernini, immarcescibile forzitalista, ha fatto dei video per i social in cui le immagini del suo giuramento scorrono con una canzone di Ambra Angiolini in sottofondo. Poi sembra che i video siano spariti. A noi tuttavia interessano le foto con il generale Figliuolo, che non capiamo perché sia divenuto ministro. Su Twitter il 19 luglio 2021 scriveva «Per contrastare la variante #Delta abbiamo 3 strade: nuovi lockdown, l’obbligo vaccinale o il green pass, perché è evidente che non ci sono ancora le condizioni per un “liberi tutti”. Fra queste tre opzioni credo che il #greenpass sia la soluzione più accettabile».

 

 

Ciriani, Abodi, Locatelli, i ministri che hanno perso il portafoglio, ammettiamo di non sapere chi siano, ma ci auguriamo che qualcuno lo trovi e glielo restituisca, magari con dentro tutto: soldi, documenti, carte, foto di famiglia, santino infilato dalla mamma.

 

Gilberto Pichetto Fratin, il nome alla Transizione Ecologica, ci fa pensare a proteste ambientaliste in saio. Non lo conosciamo, non sappiamo. Tuttavia lo scandalo è che tale ministero esiste ancora. Dice tante cose.

 

Quando è uscita la lista con il nome di Zangrillo una porzione non indifferente del popolo italiano ha pensato che si trattasse del medico di Berlusconi, noto per le sue posizioni aperturiste: invece si tratta di Paolo Zangrillo, il fratello del dottore. Qui si è materializzato il momento più Addams di queste ore. La Meloni sbaglia e inverte i nomi nella lista dei ministeri: a Zangrillo, invece che la pubblica amministrazione, affida la Transizione Ecologica.

 

A Pichetto Fratin, viceversa, invece che la Transizione Ecologica dà la Pubblica amministrazione: il Pichetto, contrariamente alla sua nomea, pare non aver protestato. Succede: capitò anche all’Oscar di qualche anno fa, quando sbagliarono la busta del miglior film, e invece che far vincere il capolavoro La la land premiarono un film di ragazzini neri spacciatori omosessuali qualsiasi.

 

Lo Zangrillo l’aveva comunque presa bene: «una nomina inaspettata che mi riempie di orgoglio e, soprattutto, di senso di responsabilità» aveva dichiarato all’Adnkronos con parole simili a quelle del giocatore sostituito che ribadisce la sua fiducia nel mister. «Si tratta di una delega importante, su un tema, la transizione e sicurezza energetica, che oggi penso sia la priorità numero uno non solo per l’Italia, ma per l’Europa. Ce la metterò tutta come ho sempre fatto». Poi il quid pro quo si è risolto e ciascuno è tornato al suo posto. Tuttavia, il fatto suggerisce una realtà di ministri intercambiabili, come nemmeno i giocatori del calcio sovietico. SCB. Sono cose belle.

 

Raffaele Fitto, abbiam presente. Mettere un pugliese agli Affari Europei, Coesione territoriale e PNNR è una mossa geniale.

 

Il neoministro dell’Interno, che ha ruolo precipuo di tener Matteo Salvini lontano da quell’ufficio, si chiama Matteo Piantedosi, un nome che ad alcuni farà pensare vegetali illegali, ma che si era già fatto conoscere come Prefetto di Roma visitatore di hub vaccinali assieme allo Zingaretti. Il 17 febbraio 2021 all’hub di Fiumicino, avrebbe dichiarato: «col vaccino proteggiamo i nostri ragazzi (forze dell’ordine), che sono a contatto con la gente e quindi proteggiamo anche la gente. In più, vista l’alta adesione a questa campagna vaccinale tra le forze di polizia e i vigili del fuoco, diamo anche un esempio alla popolazione sull’importanza della campagna vaccinale»

 

C’è poi il caso del Cencelli latitudinario: Un inedito, poetico ministero del «Sud e del Mare» a Nello Musumeci, ex governatore della Sicilia, misteriosamente non ricandidatosi alle ultime elezioni regionali. La sua funzione ministeriale, vediamo dopo, è anche qui neutralizzare Salvini. Tuttavia, Giorgia salomonicamente dividendo il Paese, ha voluto creare chiralmente un ministero per il Nord: eccoti Roberto Calderoli agli Affari Regionali e Autonomie.

 

Le Riforme alla Elisabetta Casellati. Il Turismo alla socia inseparabile di Flavio Briatore, la Daniela Santanché, che ora si fa chiamare Garnero Santanché, e il perché non lo sappiamo.

 

Riguardo al nuovo ministro del Lavoro Marina Calderone il manifesto ha pubblicato un j’accuse su presunti conflitti di interessi. Apprendiamo dal quotidiano comunista che «all’INPS però c’è il marito Rosario De Luca che fa parte del Cda in quota centrodestra. E qui il conflitto di interesse sarebbe evidente: l’INPS è sottoposto alla vigilanza del ministero del Lavoro e se Marina Calderone diventasse ministro dovrebbe vigilare sulle «attività del marito», come denuncia l’Usb: “Non sappiamo se giuridicamente si possa parlare di conflitto d’interesse ma riteniamo evidentemente inopportuna la contemporaneità dei due incarichi”, sottolinea».

 

Di Eugenia Roccella, neoministro della Famiglia, Natalità e delle Pari opportunità questo sito vi ha già parlato diffusamente. La stampa mainstream e i sinceri democratici sono saltati su inorriditi e in allarme: è una ultracattolica contro l’aborto e la pillola RU486. La realtà, riteniamo noi, è un attimino diversa. La sintetizza bene questa notizia battuta dal Corriere poche ore fa: «la ministra della Famiglia Roccella: «L’aborto? Non è roba mia, chiedetelo al ministro della Salute». Sì, è proprio il ministro della Natalità. Caro lettore, lo sai bene, se alla fine torni qui a leggere Renovatio 21: le cose non sono quelle che sembrano.

 

C’è il video.

 

 

Il caso più eclatante, e politicamente e programmaticamente rilevante è tuttavia quello di Matteo Salvini.

 

La sua posizione – ministro delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili (e avanti con il gergo della Necrocultura ONU!) può tranquillamente dirsi di castigo, dietro la lavagna, ad un passo dall’essere messo in ginocchio sui ceci con il cappello da asino filorusso. Per Salvini, come avevamo detto sopra, Giorgia aveva un programma tanto esplicito da essere perfino volgare: tenerlo lontano dagli Interni, dove quattro anni fa aveva fatto sfracelli – cioè, semplicemente, aveva svolto ottimamente il suo lavoro – ottenendone una popolarità a Nord Centro Sud che gli garantiva bagni di folla che nemmeno il Duce.

 

Quindi, ecco: tenete lontano il più possibile il Capitano dai porti – ecco che scatta la grottesca rapina della delega al mare, che finisce inspiegabilmente al ministero meridionale di Musumeci (il mare c’è anche al Nord).

 

Tenete lontano Salvini dall’immigrazione, un problema che sta a cuore agli italiani e che il milanese è in grado di risolvere, riguadagnandosi chiaramente poi i voti finiti in FdI.

 

Oltre alla competizione elettorale infra-alleata, non volere Salvini all’Interno può avere solo altre due spiegazioni:

 

1) Giorgia vuole risolvere da sé il problema, sulla scia di quanto aveva iniziato a fare Salvini nel 2018, realizzando la sempiterna promessa della destra italiana e ricevendone in cambio quel jackpot di popolarità sfrenata che sappiamo.

 

Oppure:

 

2) Giorgia e i suoi non hanno alcuna intenzione di risolvere la questione immigrazione, che è un diktat della centrale globale contro cui neanche i cowboy texani posson far qualcosa. In questo, semplicemente si accoderebbero al compitino di maggiordomi a capo dei soliti Paesi desovranizzati: sieri genici, transizioni ecologiche, green pass, Ucraina, immigrazione massiva – in attesa che si aggiunga tutto il resto, l’euro digitale, gli insetti a pranzo, il microchip sovra o sottocutaneo.

 

Ecco, diciamolo pure: cosa farà nelle prossime settimane la Meloni con l’immigrazione sarà la cartina tornasole della natura del suo governo. Perché si tratta del problema tecnicamente più facile da risolvere, sopra il quale – in teoria – non ci sono pressioni diplomatiche dirette (come per le armi ucraine), un problema con il quale FdI, e prima ancora AN, e prima ancora il MSI avevano raccolto voti in competizione con la Lega giurando che l’avrebbero cancellato con maschia ed immediata risoluzione.

 

Cominciate, quindi, a prestare attenzione a quello: se vedete ancora per strada marcantoni africani vestiti meglio di voi, con telefonino e cuffiette wireless, monopattino elettrico, pasti caldi portati dalla cooperativa e niente da fare tutto il dì, significa pure che questo governo vi vaccinerà con ogni mRNA supplementare richiesto dalla centrale internazionale, vi renderà ancora più chiaramente obiettivi di una rappresaglia atomica russa, vi toglierà il riscaldamento, il lavoro, la casa e il cibo, e forse pure, come abbiamo ipotizzato su Renovatio 21, nelle piazze della prossima protesta vi manganellerà come non ci fosse un domani. O peggio.

 

Nonostante le intenzioni, anche la Famiglia Addams, a pensarci bene, non è che facesse proprio ridere.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Immagine della Presidenza della Repubblica Italiana via Wikimedia; fonte Quirinale.it; immagine modificata

 

Politica

Eurodeputati trollano la Von der Leyen offrendo una promozione telefonica

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La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, nota per aver smarrito centinaia di messaggi telefonici fondamentali per indagini su accordi multimiliardari, è stata oggetto di scherno da parte di un gruppo di legislatori che hanno proposto, ironicamente, di fornirle un telefono con una memoria più capiente.

 

La Von der Leyen aveva precedentemente cancellato o «perso» centinaia di messaggi relativi alla negoziazione di un contratto da 700 milioni di euro durante il suo discusso incarico come ministra della Difesa tedesca e a un accordo da 35 miliardi di euro per i vaccini mRNA di Pfizer.

 

Di recente, il suo ufficio si è rifiutato di rendere pubbliche le comunicazioni con il presidente francese Emmanuel Macron, in cui questi la spronava a bloccare un accordo commerciale con il blocco sudamericano del Mercosur. La difenditrice civica europea Teresa Anjinho ha avviato un’indagine sulla mancata conservazione di queste comunicazioni cruciali.

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La Commissione ha giustificato la perdita dei messaggi, inviati tramite l’app Signal, citando motivi come le limitazioni di archiviazione che avrebbero portato alla loro cancellazione automatica.

 

Un emendamento, proposto dagli eurodeputati Christine Anderson (Germania) e Charlie Weimers (Svezia), chiede «finanziamenti adeguati per dotare la Presidente della Commissione di un telefono cellulare con capacità di archiviazione sufficiente e un supporto informatico adeguato per garantire la conservazione di tutti i messaggi senza eccezioni», come riportato da Politico.

 

L’iniziativa, cofirmata da 57 eurodeputati, prevalentemente di destra, è stata descritta come un’azione di «trollaggio».

 

La Corte di Giustizia dell’UE ha già stabilito che le comunicazioni ufficiali, anche da dispositivi personali, devono essere adeguatamente archiviate, e la Commissione si è impegnata a rivedere i propri protocolli in seguito a questa sentenza.

 

La Von der Leyen, ex medico e controverso ex ministro della Difesa tedesco (nonché moglie di uno specialista in mRNA), ha respinto le accuse come «bugie» e bollato i critici come complottisti, agenti di Putin (poi definito «predatore») e no-vax.

 

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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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Politica

Trump dice che risolvere Gaza potrebbe non bastare per andare in paradiso

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha suggerito, con tono scherzoso, che probabilmente non finirà in paradiso, nonostante i suoi sforzi per negoziare la pace tra Israele e Hamas.   Domenica, durante un volo sull’Air Force One diretto in Israele, Peter Doocy di Fox News ha chiesto a Trump se la fine della guerra a Gaza potesse aiutarlo a «guadagnarsi il paradiso».   «Sto cercando di fare il bravo», ha risposto Trump con un sorriso. «Non credo che qualcosa mi porterà in paradiso. Non penso di essere destinato a quel posto. Forse sono già in paradiso ora, volando sull’Air Force One. Non so se ci arriverò, ma ho migliorato la vita di molte persone», ha aggiunto.   Trump ha poi elogiato le sue doti di negoziatore, sostenendo che il conflitto tra Israele e Hamas sarebbe stata «l’ottava guerra che ho risolto».   Lunedì, Hamas ha rilasciato i 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio di circa 2.000 prigionieri palestinesi. L’esercito israeliano aveva precedentemente sospeso le operazioni offensive e si era ritirato da alcune aree della Striscia di Gaza.

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Nello stesso giorno, Trump e i leader di Egitto, Qatar e Turchia hanno firmato una dichiarazione a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai, approvando il cessate il fuoco e un percorso verso «accordi di pace globali e duraturi».   Il piano di pace in 20 punti di Trump prevede che Gaza diventi una «zona libera dal terrorismo e deradicalizzata». Sebbene Hamas abbia accettato lo scambio di prigionieri previsto dal piano, ha rifiutato di disarmarsi o cedere il controllo dell’enclave palestinese. Israele, da parte sua, non si è ancora impegnato per un ritiro completo dalla Striscia.   Trump, cresciuto nella fede presbiteriana, ha goduto di un forte sostegno tra i cristiani evangelici e dei cattolicidurante la sua carriera politica.   Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa Trump aveva affermato di voler «provare ad andare in paradiso, se possibile» mentre discuteva dei suoi sforzi per porre fine alla guerra in corso in Ucraina.   «Se riesco a salvare 7.000 persone a settimana dall’essere uccise, penso che sia questo il motivo per cui voglio provare ad andare in paradiso, se possibile», ha detto all trasmissione della TV via cavo americana Fox and Friends. «Sento dire che non sto andando bene, che sono davvero in fondo alla scala sociale. Ma se posso andare in paradiso, questo sarà uno dei motivi».  

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  Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
 
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Politica

Essere euroscettici oggi. Renovatio 21 intervista l’onorevole Antonio Maria Rinaldi

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Che fine ha fatto l’euroscetticismo? Renovatio 21 ha intervistato l’economista post-keynesiano Antonio Maria Rinaldi, già fondatore di Alternativa per l’Italia e oggi deputato della Lega a Roma, dopo l’esperienza dal 2019 al 2024 come europarlamentare a Bruxelles.

 

Partirei dalla sua esperienza al Parlamento europeo. Molti dei suoi interventi sono stati spesso di critica verso l’establishment europeista. Quanta libertà di movimento e di parola ha un parlamentare europeo e quanto incide, di fatto, un voto al parlamento europeo?

Bisogna fare una distinzione. La prima distinzione è il movimento che ha un parlamentare europeo nell’ambito del proprio partito politico, ed è una cosa. Per quanto riguarda invece la sua funzione come parlamentare per poter modificare qualcosa nella struttura europea, è un’altra. Per la prima cosa, per quanto uno può essere indipendente, posso dire quello che mi riguarda.

 

Come ho detto più volte pubblicamente, io nella Lega ho avuto la massima e assoluta libertà. Non sono mai stato censurato, ma anzi sono sempre stato caldeggiato ad andare avanti e quindi non posso altro che ringraziare, perché a dire la verità, non avendo mai svolto nessuna funzione politica prima della mia elezione a parlamentare europeo, avevo paura che entrando sarei stato condizionato. Invece no. La mia esperienza mi dice anche che altri partiti nei confronti dei propri esponenti sono diversi, ossia che sono estremamente condizionati e devono seguire di più quelle che dice il partito, diciamo così. Io ho avuto la fortuna di non avere questo condizionamento.

 

Per quanto riguarda l’azione in generale di un parlamentare europeo nell’ambito delle proprie funzioni all’interno dell’emiciclo, a dire la verità sono pochissime. Anzi scarsissime. Viene quasi l’idea che il Parlamento europeo sia un’istituzione fatta apposta per far credere ai cittadini europei di contare qualche cosa, ma quando in effetti contano poco. Perché la sola parola Parlamento rimanda ai parlamenti nazionali. Non è assolutamente così. 

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La battaglia dell’euro appare un po’ sopita in questo momento, ma in futuro c’è qualche speranza che questa moneta unica possa cambiare rispetto all’assetto che ha in questo momento?

Sarò lapidario. Non ho la palla di vetro, però una cosa la posso dire senza problemi: fintanto che l’euro creava problemi ai Paesi PIGS, Italia compresa, nessuno ha sentito l’esigenza di cambiare qualcosa. In questo momento in cui l’Italia fortunatamente è in una situazione di forza per una stabilità politica e ha dimostrato più di tutti di riuscire a rimettere in ordine i propri conti, ci troviamo in una situazione in cui i cosiddetti «padroni del vapore», Francia e Germania, si trovano invece per la prima volta in serissimi problemi.

 

Non credo di essere un falso profeta, ma cambieranno le regole per loro. Regole che loro stessi hanno dettato quando è stata scritta Maastricht. Se non lo faranno molto probabilmente tutta la costituzione europea avrà vita breve, perché non ci sono i presupposti per cui possa andare avanti.

 

Cosa accade con l’euro digitale?

La questione è stata esaminata quando negli anni passati ho fatto parte della commissione ECON e chiaramente del dibattito. Posso dire una cosa: l’Europa ha un vizio in generale e cioè è regolamenta all’interno senza tener conto di quello che succede nel resto del mondo. O ci si mette d’accordo tutti, altrimenti non ha senso per quanto riguarda la valuta digitale se noi non cerchiamo di fare un qualche cosa di comune accordo con tutti gli altri attori mondiali. Rischiamo di fare un buco nell’acqua, anche perché la globalizzazione dei mercati, volente o nolente, fa sì che noi possiamo regolamentare quello che ci pare, ma poi chiaramente il mondo è fatto in maniera tale per il quale con la globalizzazione ci sfugge tutto subito. 

 

I contratti farmaceutici Pfizer hanno mostrato un serio problema di trasparenza e lei in sede di Parlamento europeo ha vissuto la vicenda ed ha anche visionato parte di quella documentazione. 

Stai parlando con colui il quale ha fatto, insieme ad altri colleghi, la famosa interrogazione alla commissione per conoscere i contenuti dei celeberrimi messaggini intercorsi fra la signora Ursula von der Leyen e l’amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla. Ci hanno risposto in maniera estremamente evasiva, come era ovvio, però ho visto che ultimamente la procura belga si sta muovendo, quindi chissà.

 

Abbiamo fatto bene ad andare avanti, anche perché siamo convinti che contratti di quel genere non è che si possano decidere sul telefonino. Con il telefonino possiamo decidere dove andare a mangiare la pizza, ma non contratti di quel genere che hanno avuto un peso specifico importante, perché ce lo ricordiamo tutti quel periodo. Quantomeno avere un minimo di trasparenza e di protocollo. Evidentemente queste persone non hanno mai lavorato nell’economia reale, perché in genere si protocolla tutto con tanto di numero, sia in entrata che in uscita, con delle mail. Perché non lo hanno fatto anche loro, ma lo hanno fatto tramite messaggino di WhatsApp come fanno i liceali? Eh no, mi dispiace, così non si fa.

 

L’Europa post pandemica ha imposto delle politiche green che al momento sta ampiamente ritrattando. Vi è invece una corsa al riarmo. Dove sta puntando l’obiettivo dell’economia dell’Unione europea?

L’economia green così come è stata concepita e realizzata – e non ho difficoltà a sostenerlo perché l’ho detto in aula diverse volte nel peggiore dei modi possibili – ha affidato solo all’elettrico la transizione, quando invece era possibile, col principio della neutralità, poter usufruire anche di altre tecnologie. C’è sempre un motivo e ricordiamo che la precedente legislatura, l’XI, quella dal 2019 al 2014, la signora Ursula von der Leyen si reggeva con una maggioranza dove naturalmente c’era il PPE, il partito popolare europeo, dove la faceva da padrone la compagine tedesca, e quel governo era supportato anche dai verdi e quindi doveva per forza riflettere certi dogmi per non modificare gli equilibri di casa anche in Europa.

 

Abbiamo visto le conseguenze. Oggi non ci sono più certe forze al governo della nuova coalizione e vedo che per la von der Leyen è cambiato il vento, perché osserviamo che le aziende tedesche stanno chiudendo, la Volkswagen sta chiudendo degli stabilimenti, come tantissime altre case automobilistiche che stanno riducendo drasticamente il proprio personale, e stanno rivedendo le cose. Vediamo cosa faranno. Vediamo se ammettono di aver fatto degli errori così macroscopici.

 

Di errori ne hanno fatti tanti e continuano, purtroppo, a farne ancora tanti. 

 

Le posso fare una domanda personale? 

Prego.

 

Lei ha un figlio con una disabilità e ho visto che non ne ha parlato in moltissime sue interviste. Immagino tutte le vostre difficoltà emotive, ma anche di carattere pratico. Ecco, la politica attiva come si pone in concreto dinnanzi a queste problematiche che molte famiglie devono affrontare?

Io facevo parte a Bruxelles anche di un intergruppo sulla disabilità per ovvi motivi. Una volta feci un bell’intervento in aula, molto forte, in cui dissi: «In questo momento vi parlo come padre di un ragazzo disabile, perché l’Europa ha totalmente disatteso le aspettative e le giuste istanze di questo mondo. Adesso invece parlo da membro di questo parlamento e voi non ve ne state assolutamente all’interno occupando. Siete molto sensibili a tantissime cose, ma io credo» – e questa è la frase che ho detto forte – «che la civiltà di un popolo si misuri con l’attenzione che rivolge nei confronti delle persone disabili e qui purtroppo l’Europa non è civile». 

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Lei insegna all’università. C’è una vera libertà di insegnamento all’interno degli atenei italiani?

No. L’università dovrebbe essere il tempio del confronto. Chiunque può esprimersi in maniera democratica e civile e non certo in maniera manesca, ma questo vedo che non avviene né in Italia, né nel resto del mondo. D’altronde noi abbiamo delle università in cui è stato negato di poter parlare a un papa. Adesso sto vedendo che si stanno chiudendo i portoni a professori di religione ebraica, il che mi sembra veramente vergognoso. Mi ritornano in mente le evocazioni di quello che è avvenuto prima della guerra. Si vede che la storia non ha insegnato assolutamente nulla.

 

Chiunque, ripeto chiunque, di qualsiasi colore politico, in maniera democratica e civile dovrebbe potersi esprimersi in qualsiasi università. È alla base del concetto stesso dell’università, altrimenti non è un’università.

 

Torneremo a un’Europa di Stati veramente sovrani?

Qui c’è una specie di cortocircuito. Noi siamo chiamati i cosiddetti «sovranisti», perché ribadiamo che la sovranità appartiene esclusivamente al popolo. L’unione europea che combatte questi sovranismi di fatto è il primo sovranista, perché vuole evocare a sé questa sovranità per toglierla ai vari Paesi membri che l’hanno ottenuta con il suffragio universale sancito nelle costituzioni.

 

Cioè, tu mi vuoi togliere la sovranità per prendertela te, però tu da chi sei investito? Io, come paese, sono investito dal popolo, tu no! Solo da burocrati che non si sa chi è che ce li ha messi e a chi rispondono – magari qualche domanda ce la facciamo e qualche risposta la vediamo – e quindi si tratta di un trasferimento di sovranità da un soggetto che è titolato ad averla, che è lo Stato per mezzo del suffragio universale, a un’entità che esercita una sovranità senza averne titolo di validità. Questo è il vero problema. 

 

Prof. Rinaldi, grazie.

Grazie a lei.

 

Francesco Rondolini

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