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Storia

Gli USA e la perdita del canale di Panama

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Renovatio 21 pubblica il terzo capitolo della serie di articoli riguardo alla storia del canale di Panama, oggetto proprio in queste ore della visita del neosegretario di Stato Marco Rubio al governo del Paese mesoamericano, dove, nonostante le promesse del presidente José Mulino di resistere, è stata rivendicata la volontà del presidente americano Trump di tornare in controllo dello stretto. 

 

La proprietà statunitense del canale di Panama venne messa in discussione durante una grande protesta antiamericana da parte degli universitari panamensi nel 1964. I tumulti scoppiarono sulle proprietà statunitensi a lato del canale dove i rivoltosi portarono la bandiera nazionale sostituendo quella a stelle e strisce. Gli scontri che seguirono portarono a ventidue morti tra i contestatori e quattro tra i soldati americani. Oltre 500 furono i feriti. Il Giorno dei Martiri, da allora diventato festa nazionale a Panama, viene considerato come il giorno in cui l’inerzia cominciò a cambiare. 

 

Successivamente agli scontri tra gli universitari panamensi e i soldati americani a guardia del canale, cominciò a prendere forma una trattativa. Il governo di Panama voleva ridiscutere i termini dei rapporti tra le due nazioni riguardo il tema del possesso del canale e dell’ingerenza statunitense. I punti focali dell’accordo, portati avanti da Kissinger nel 1974, riguardavano la conduzione del canale, la sua proprietà e il diritto d’intervento di Washington. Nonostante la sintonia raggiunta tra le parti, nessun documento ancora in quel momento venne firmato. 

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Durante la presidenza Carter, il presidente stesso si incaricò di portare avanti le condizioni per la firma con il governo panamense. Senza includere nelle trattative altri senatori e non contribuendo ad una chiara informazione sul suo operato. Soltanto nell’agosto del 1977 comunicò il raggiungimento di un accordo con il governo di Panama.

 

La notizia fortemente inattesa causò un immediato malcontento. Oltre alla decisione di cedere una risorsa strategica di tale importanza esplosero le critiche soprattutto repubblicane per non aver incluso nessun diritto di intervento unilaterale a difesa sia del canale che delle diverse proprietà americane sulle sue sponde. La questione si concluse con un accordo successivo assieme ad un riluttante Torrijos, presidente di Panama, in cui si trovava costretto ad accettare un diritto di intervento bilaterale in caso di emergenza militare.

 

Lungo le sponde del canale vi erano diverse basi militari americane, tra queste aveva avuto sede la Scuola delle Americhe dal 1946 al 1984 (dal 1946 al 1963 Scuola dei Caraibi). Principale luogo di addestramento in funzione anticomunista per l’America latina, divenne di fondamentale importanza durante gli anni del piano Condor soprattutto per formare i futuri proxy da spendere nel continente.

 

La maggioranza dei governi sudamericani ha avuto tra le sue fila nomi usciti dalle aule panamensi: Leopoldo Galtieri, Manuel Noriega, Roberto D’Aubuisson, Vladimiro Montesinos, Manuel Contreras… Trasferita negli Stati Uniti a Fort Benning in Georgia dopo la firma del trattato, venne ripresa e rimodellata dal governo Reagan nel 1984. Nell’arco di 50 anni è stata responsabile dell’addestramento di più di 60000 soldati e in seguito della fine della guerra fredda e alle critiche sui numerosi casi di abusi dei diritti umani, venne chiusa a cavallo del nuovo millennio. 

 

La restituzione della piena proprietà del canale allo stato di Panama era stato in quegli anni un tema fondamentale nei dibattiti tra Democratici e Repubblicani. Carter vedeva il canale come il centro della discordia con le popolazioni centroamericane. Secondo il Presidente l’assoluto controllo statunitense del passaggio interoceanico stava avvelenando le relazioni con Panama e rovinando l’immagine degli Stati Uniti in America Latina.

 

Il candidato alle primarie del 1976, Ronald Reagan, invece, aveva dichiarato: «l’abbiamo costruito, l’abbiamo pagato, è nostro e dovremmo dire a Torrijos e agli altri che ce lo terremo»” Il tema della perdita del Canale di Panama fu l’elemento fondamentale che trainò la vittoriosa corsa alla presidenza di Reagan congegnata da Bill Casey, futuro direttore della CIA e primo direttore nella storia statunitense a partecipare al cabinet del presidente. 

 

Durante l’incontro del Sottocomitato della Camera sugli Affari Inter-Americani, il 2 gennaio 1982, Thomas Enders, Sottosegretario di Stato per gli Affari Interamericani, affermò: «quanto tempo ancora ci vorrà prima che i maggiori interessi strategici statunitensi – il Canale di Panama, le rotte navali, i rifornimenti di petrolio – vengano messi in pericolo?».

 

Il 13 marzo 1982 William Casey dichiarò come fosse molto più facile e molto meno costoso sostenere un’insurrezione piuttosto che resistervi. Secondo Casey l’imperialismo sovietico aveva due obiettivi: i pozzi di petrolio in Medio Oriente e l’istmo del Centro America. Ad un convegno a Hot Springs in Virginia dichiarò: «non è una coincidenza che oggi le undici insurrezioni in atto nel mondo supportate da Russia, Cuba, Libia e lo Yemen del Sud accadano vicino a risorse naturali o a chokepoints…»

 

Dal 1977 e soprattutto dal 1999 il possesso e la conduzione del canale di Panama sono rimaste saldamente in mano panamense. Gli aiuti prestati dai governi statunitensi a D’Aubuisson in El Salvador contro i rivoltosi del FMLN (Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale) e la devastante guerra sporca, o guerra a bassa intensità, messa in atto in Nicaragua contro i Sandinisti seguirono la concezione politica reaganiana del Roll Back. Operazioni coperte, destabilizzazione economica, operazioni psicologiche e campagne di propaganda furono i mezzi prediletti da Washington per raggiungere i propri scopi.

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Un attacco controrivoluzionario da parte di un proxy, supportato da una severa pressione economica e di continue dichiarazioni d’intervento militare, miravano a rovinare il bersaglio e a screditarlo verso i loro seguaci. La campagna di propaganda invece serviva a convincere l’opinione pubblica americana che, in qualche modo, l’intervento era da considerarsi come un fatto di estrema sicurezza nazionale. L’obiettivo politico dell’amministrazione Reagan, infine, era quello di dimostrare che le teorie di Brezhnev sull’invincibilità comunista erano errate. 

 

L’approccio di Reagan al Centro America si può considerare emblematico della sua idea di promozione della democrazia nel mondo. Considerando il clima della guerra fredda agli inizi degli anni Ottanta e la storica, strategica importanza del Centro America per la sicurezza degli Stati Uniti, l’amministrazione Reagan inquadrò questi temi con la massima preoccupazione. «Per noi», disse Jeane Kirkpatrick, autrice dell’articolo «Dictatorships and Double Standards», base ideologica per la politica estera reaganiana, la regione era «molto semplicemente il luogo più importante del mondo».

 

La capitale panamense, trasformata la sua skyline nell’arco di due decadi e scossa negli ultimi anni dallo scandalo dei Panama papers, ha subito da qualche settimana un’ulteriore turbolenza. Quello che ormai sembrava un caso chiuso e sepolto sotto i libri di storia si sta ripresentando in una nuova veste. Le dichiarazioni di Trump sulla volontà di Washington di volersi riprendere la proprietà del canale, controllato, secondo lui, da funzionari e soldati cinesi, aprono a infinite possibilità. 

 

Marco Dolcetta Capuzzo

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Cancro

Come la Repubblica italiana ci ha dato una teoria alternativa sul cancro

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Ecco, puntuali, le celebrazioni politico-militari per l’istituzione della Repubblica italiana, senza neanche però un Silvio Berlusconi ad applaudire – felice, maschio, umano – le belle crocerossine.   Per Renovatio 21 si tratta di un’ulteriore occasione persa, come il 25 aprile, per festeggiare James Jesus Angleton, definito «madre della CIA» e per noi, volendo, «padre» dell’Italia postbellica. Per lui nemmeno un fiorellino, una menzione, un ricordo sbiadito, nulla: del resto il suo lavoro era proprio quello di stare nell’ombra.   Eh sì che negli ultimi tempi, con gli intellettuali filo-Trump che cercano di scrivere la storia del Deep State americano, la questione italiana è tornata alla ribalta: a galvanizzare George Kennan, principe della diplomazia USA (e arcinemico dell’idea della NATO), furono propri gli ottenimenti elettorali degli americani alle elezioni del dopoguerra italiano, che sancirono la vittoria di Washington sui sovietici dietro al PCI. Un modello, quello della sovranità limitata elettorale inflitta all’Italia, che Kennan disse doveva ripetersi in ogni parte del mondo, perché gli USA a questo punto avevano bisogno di una longa manus, un «dipartimento dei trucchetti sporchi» per mantenere la sua egemonia di superpotenza vincitrice.

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È qui, con i voti italiani a ridosso della fine del fascismo, che nasce la dottrina della plausible deniability che diverrà poi dogma della CIA fondata poco dopo: se ti beccano mentre sovverti un Paese, puoi sempre negare, la Casa Bianca deve uscire intonsa, più bianca del bianco. La dottrina della «negabilità plausibile» che è ancora oggi ben visibile, se pensiamo ai programmi usati per spiare gli stessi cittadini americani (perché trumpiani, no-vax, no-gender a scuola, pro-life etc.) magari fatti passare attraverso il GCHQ, il servizio di Intelligence informatica britannico, di modo da non infrangere, almeno non apertamente, la ridicola legge per cui la CIA non può operare su suolo americano. (Diteglielo alla famiglia Kennedy, mi raccomando).   E invece, niente: ogni 2 giugno bisogna ricordarsi, tra carrarmati e presidenti ingobbiti, di una vittoria al referendum che ha disinstallato la monarchia dal Paese – cacciando i Savoia, con tanto di discriminazione sessuale (solo gli eredi maschi). Intendiamoci: la fine del triste regno del Casato piemontese è una cosa giustissima, bellissima, e non potremmo essere più d’accordo, tanto che ci chiediamo per quali pressioni politiche sono stati fatti rientrare (una legge costruita… contro lo spirito arcaico di tutto il sistema repubblicano… per Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto, cioè due persone?)   A questo punto però, visto che vogliono per forza che pensiamo alla storia, ho voglia di ricordarmi di un’altra conseguenza della Repubblica italiana, una ramificazione tragica ed enorme, drammatica e romantica, che viene direttamente dalla fine della monarchia in Italia: la teoria del dottor Hamer.   Renovatio 21 ne aveva parlato l’anno scorso quando perì il principe savoiardo che sarebbe stato, senza referendum, re d’Italia (aiuto!). Avevamo scritto un’articolo sulla scorta della bella serie documentaria della principessa Beatrice Borromeo, la cui madre è, per grande amicizia con una protagonista, coinvolta nella vicenda.   Il lettore forse conosce i fatti.   Il 17 luglio 1978, un gruppo di giovani benestanti di Roma (e oltre), tra cui i cosiddetti «pariolini» come Giovanni Malagò, oggi presidente del CONI, e Nicky Pende, chirurgo e noto playboy (cugino della giornalista Stella Pende), capace di conquistare donne ambite come Stefania Sandrelli, trascorre le vacanze in Sardegna. Nel gruppo ci sono anche diverse ragazze di famiglie agiate. Si tratta di un’allegra comitiva di ventenni e trentenni, ricchi e spensierati, che decidono di fare una traversata in barca verso l’isola di Cavallo, all’estremità meridionale della Corsica.   Prima della partenza, alcuni del gruppo incontrano in piazza una splendida ragazza che già conoscevano da Roma: Birgit Hamer. Birgit è in Sardegna in vacanza con la sua famiglia. Suo padre, Ryke Geerd Hamer, è un medico tedesco trasferitosi a Roma per promuovere i suoi brevetti chirurgici, tra cui il «bisturi di Hamer». La madre, Ursula, è anche lei medico, e la famiglia comprende altri tre figli: Ghunield, Berni e Dirk.   Dirk, 19 anni, frequenta la scuola tedesca di Roma, si dedica con passione all’atletica (si allena nei 400 metri con Pietro Mennea) e alla pittura. Birgit, che nel 1976 è stata Miss Germania e ha rappresentato il suo Paese a Miss Universo a Hong Kong, chiede al padre il permesso di unirsi al gruppo per l’escursione in barca. Il dottor Hamer acconsente, a patto che porti con sé il fratello Dirk.  
  Il gruppo, composto da circa trenta persone, parte su tre barche, immerso in un’atmosfera di entusiasmo e spensieratezza tipica dell’estate e della gioventù. L’isola di Cavallo, però, ha una peculiarità possibilmente scaturita dal referendum: è una sorta di enclave dominata da Vittorio Emanuele di Savoia, che vi possiede una villa dall’architettura insolita. A causa della legge, del resto, il Savoia e suo figlio non possono villeggiare in Italia, appena al di là del mare.   I giovani ormeggiano le barche davanti alla villa e scendono a terra per cenare in un ristorante sulla spiaggia. Qui hanno i primi contatti con il principe esiliato. Il gruppo è rumoroso e Vittorio Emanuele, infastidito, sembra aver pronunciato frasi come «italiani di merda vi ammazzo tutti», secondo alcuni testimoni, anche se non è chiaro se queste parole siano state dette durante la serata o in un momento successivo più drammatico. La frase, comunque, è significativa per chi aspira a essere il re degli italiani, e indica programmi per la popolazione tuttavia non dissimili da quelli poi portati avanti dalla Repubblica tra aborti, provette, vaccini.   A causa del mare agitato, i ragazzi sono costretti a passare la notte sull’isola. Alcuni dormono nella dinette delle barche, altri sul ponte, altri ancora sulla spiaggia. Qualcuno utilizza un gommone Zodiac sul pontile, che si scoprirà appartenere a Vittorio Emanuele.   A tarda notte, mentre tutti dormono, Vittorio Emanuele si sarebbe avvicinato alle barche ancorate armato di un fucile, successivamente identificato come «arma da guerra». Scoppia una lite con Pende e, durante lo scontro, parte un colpo che attraversa la barca e colpisce Dirk, addormentato, recidendo la sua arteria femorale. Segue una tragedia. Dirk rimane senza cure per quattro ore prima di essere soccorso; in ospedale, per tentare di salvargli la vita, gli amputano una gamba. Nonostante gli sforzi, muore dopo mesi di sofferenze, con Birgit e la famiglia al suo fianco. Giornali e rotocalchi riportano il dramma della famiglia Hamer in ogni dettaglio.   Birgit Hamer porterà avanti una battaglia legale per 45 anni, e in questo lungo periodo assisteremo a ogni sorta di evento: armi che spariscono, confessioni che svaniscono, un processo a Parigi che, a circa dodici anni dai fatti, assolverà il principe. Su tutto aleggia un’ombra densa e impenetrabile: non è difficile ricordare che il Savoia era affiliato alla P2, con connessioni che, volendo, potevano raggiungere qualsiasi livello.   «Politica, aristocrazia e massoneria si mobilitarono per depistare il processo. Fu una farsa. Vittorio Emanuele è stato assolto. Si parlò di una seconda pistola, inesistente invece» dice oggi Birgit, ma mentre il suo lutto prende la forma di inesauste battaglie sui tribunali e sulla stampa, quello degli altri famigliari prende vie tremende, inaspettate.   Ursula, la madre, morirà di cancro al seno nel 1985. Il padre, il dottor Hamer, svilupperà invece un tumore subito dopo la morte del figlio: un carcinoma al testicolo, che gli verrà rimosso chirurgicamente.   La perdita di Dirk e il trauma del tumore sconvolgeranno profondamente non solo la vita di Hamer, ma anche il suo approccio alla medicina. Notando la comparsa del tumore poco dopo la tragedia, Hamer elabora una teoria personale: le malattie, definite da lui «conflitti biologici», avrebbero origine da traumi drammatici irrisolti, che impedirebbero la guarigione. Chiama questa teoria «Sindrome Dirk Hamer», basata sull’idea dello shock biologico.

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Successivamente, il dottor Hamer svilupperà le cosiddette «cinque leggi biologiche» e teorie controverse sulla cura delle malattie, come l’uso di batteri, considerati non dannosi ma utili alla guarigione, e sull’origine psicologica dei tumori.   Hamer inizia così a trattare pazienti che rifiutano le terapie oncologiche tradizionali, come la chemioterapia, considerata un dogma intoccabile. Questo lo porta a una vita che dire turbolenta è eufemistico: viene radiato dall’ordine dei medici, denunciato, condannato, incarcerato, arrestato più volte, diventa un fuggitivo, viene estradato e scappa di nuovo. Nel frattempo, visita pazienti in tutta Europa. I media europei parlano di una «setta», mentre lui registra il marchio Neue Germanische Medizin, «Nuova Medicina Germanica».   I tribunali lo accusano di esercizio abusivo della professione medica, e le authority indagano sui casi di pazienti trattati con il suo metodo, con denunce anche contro i medici che lo seguono. Alcuni pazienti muoiono – un destino che può capitare anche nei centri oncologici tradizionali, dove però la chemioterapia è indiscussa. Quando un paziente in chemioterapia muore, magari dopo mesi di trattamenti che lo hanno lasciato calvo e debilitato, spesso nei necrologi si ringrazia il «professore» di turno.   Hamer si rifugia in Norvegia, dove l’estradizione è più complicata poiché non è un Paese UE. Qui emergono accuse di antisemitismo: Hamer fa dichiarazioni contro gli ebrei e scrive una lettera al settimo e ultimo rebbe dei Chabad-Lubavitcher, il rabbino Menachem Mendel Schneerson (di cui un seguace aveva recentemente annunciato di voler uccidere Candace Owens, che aveva dichiarato sulla scorta di alcuni studi israeliani che il rabbì odiava i non-giudei), sostenendo che gli ebrei neghino le scoperte della Nuova Medicina Germanica, ma le usino in segreto per curarsi.   Non è tutto: Hamer viene accusato di negare l’Olocausto, lo sbarco sulla Luna e persino gli attentati dell’11 settembre, che secondo lui non sarebbero legati al terrorismo islamico. Gli viene contestato il reato di «incitamento all’odio razziale» ai sensi dell’articolo 130 del Codice Penale Tedesco. Di fatto, viene dipinto come un vero e proprio mostro, più demonizzato di Bin Laden, il cui nascondiglio era noto, mentre per Hamer i difensori della medicina oncologica mainstream temono che possa operare in qualche Paese europeo, supportato da una rete segreta di medici, pazienti e sostenitori. Brutta gente che rifiuta la chemio…   Hamer sosteneva di aver seguito oltre 30 mila casi. Non sappiamo, però, quale percentuale di questi pazienti sia morta in modo doloroso e quale, invece, possa essere effettivamente guarita. È d’obbligo ricordare che il dato non interessa soprattutto la medicina ufficiale, che reputa un sacrilegio la rinuncia da parte del paziente della chemioterapia. (Citofonare Di Bella)

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Il dottor Hamer muore a Sandefjord, vicino Oslo, nel 2017. Su Wikipedia potete vedere la scia di processi contro di lui e i dottori che promuovevano le sue teorie e il suo metodo, con relativa lista dei morti.   Qualcuno può dire che le teorie di Hamer non sono lontanissime da quello che molti, almeno una volta nella vita, anche senza aver mai sentito parlare del dottore tedesco, hanno pensato: l’idea secondo cui i tumori vengono da questioni psichiche, spirituali, sono psicosomatici, come tante altre malattie. La medicina ufficiale, che certo non può quantificare i problemi dello spirito (ma pretende di curarli con psicofarmaci assassini), sulle origini del cancro invece non ha una teoria condivisa.   Così, nel giorno dei soldati che salutano i politici, nel giorno della «democrazia» piombata dal cielo (sì, come Pippo, il bombardiere devastatore USA) sul nostro Paese, voglio tenere a mente questa bizzarra conseguenza dell’instaurazione della Repubblica, una ramificazione che tocca tanti destini, in drammi indicibili, e continuerà a farlo.   Strana, la vita. Strana, l’Italia.   Roberto Dal Bosco

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Storia

Rivelato il progetto Blair-Bush che ha portato al potere Al-Qaeda in Siria

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Le origini angloamericane dell’ascesa del potere islamista di Al Qaeda in Medio Oriente sono state analizzate con profondità storica dal sito Uk Column.

 

In un articolo del 27 maggio intitolato «Il progetto Blair-Bush che ha portato al potere Al-Qaeda», l’attivista e blogger Vanessa Beeley documenta, mostrandone la continuità storica, che la malvagia alleanza tra il premier britannico Tony Blair, il Presidente degli Stati Uniti George W. Bush e il servizio segreto esterno britannico MI6, che diede il via al rovesciamento del regime iracheno di Saddam Hussein il 20 marzo 2003, ha portatoanche al potere Al Qaeda in Siria, rovesciando il presidente siriano Bashar al-Assad l’8 dicembre 2024.

 

La Beeley sottolinea come la Siria sia tornata ad essere una nazione sovrana dopo essersi liberata dal Trattato Sykes-Picot del 1916, con il quale, in un trattato segreto, francesi e britannici «divisero l’Impero Ottomano in sfere d’influenza britannica e francese». La giornalista cita il documento Clean Break del 1996, redatta dagli agenti statunitensi Richard Perle e Douglas Feith per Israele, come punto di partenza per le successive operazioni contro la Siria.

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Tale dottrina affermava che «Israele può modellare il proprio ambiente strategico, in cooperazione con Turchia e Giordania, indebolendo, contenendo e persino arretrando la Siria. Questo sforzo può concentrarsi sulla rimozione di Saddam Hussein dal potere in Iraq, un importante obiettivo strategico israeliano di per sé, come mezzo per sventare le ambizioni regionali della Siria».

 

Dopo aver esposto molti dati storici utili, la Beeley riconnette il disegno con il presente: «facciamo un salto al dicembre 2024 e assistiamo alla caduta definitiva della capitale siriana, Damasco, dopo una rapida avanzata delle forze del terrore sotto il controllo di Turchia e Israele, con le mani occulte di Regno Unito e Stati Uniti che controllano gli eventi dietro le quinte».

 

«La “Guerra al Terrore” inventata, innescata dai tragici eventi dell’11 settembre, orchestrati dagli Stati Uniti e dallo stato profondo, è culminata nella presa del potere in Siria da parte del terrorismo. Al-Qaeda ora governa in Siria, guidando pogrom di pulizia etnica contro tutte le minoranze e le comunità musulmane sunnite che rifiutano le politiche oscure dell’alleanza dei coloni takfiri».

 

 

La scrittrice fa un nome in particolare, quello di Jonathan Powell, ritenuto dalla Beeley «fondamentale» in tutto il processo. Per oltre un decennio (1997-2007), Powell è stato capo dello staff e braccio destro di Tony Blair, venendo coinvolto anche nel controverso caso delle armi di distruzione di massa, annunciate ma mai trovate.

 

Nel 2011, Powell ha fondato Inter-Mediate (IM). Beeley sostiene che l’ONG britannica avrebbe lavorato per consigliare Ahmad al-Sharaa, cioè al-Jolani, l’emiro di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) dal 2017 al 2025, l’organizzazione erede di Al Qaeda.

 

Al-Jolani ha contribuito a rovesciare il presidente Bashar al-Assad e, dal gennaio 2025, è presidente della nuova Siria. La Beeley cita dalla testata Independent Arabia: «Fonti informate hanno rivelato a Independent Arabia che l’organizzazione britannica che ha fornito supporto politico e addestramento al presidente siriano Ahmad al-Sharaa è l’Inter-Mediate, con sede a Londra».

 

La storia, tuttavia, non è finita. Powell nel 2014 era stato nominato come ambasciatore speciale per la Libia nel 2014. Oggi, Powell è il consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro britannico Keir Starmer, perpetuando l’influenza di Blair.

 

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Storia

Ex maggior generale accusa la leadership israeliana di uccidere i bambini «per hobby»

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Yair Golan, leader del Partito Democratico Israeliano, ha scatenato una tempesta di polemiche in Israele con le sue recenti dichiarazioni sulla leadership dello Stato Ebraico all’emittente pubblica Kan.   Golan è un maggior generale in pensione ed ex Vice Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) e ora milita presso il Partito Democratico, formazione politica che è il risultato della fusione, avvenuta nel giugno 2024, tra i partiti Laburista e Meretz, che ora detiene quattro seggi alla Knesset, il Parlamento dello Stato Israeliano.   Nell’intervista a Kan, il Golan ha avvertito che «Israele sta per diventare uno Stato paria, come lo è stato il Sudafrica, se non torniamo a comportarci come un paese sano di mente», aggiungendo che un Paese sano di mente non combatte contro i civili, non uccide bambini per hobby e non si pone l’obiettivo di espellere popolazioni».

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Dopo aver criticato duramente la condotta israeliana nella guerra nella Striscia di Gaza, in un’apparizione al programma matutino di Kan, Golan ha dichiarato che «questo governo è pieno di personaggi vendicativi, poco intelligenti e immorali», aggiungendo che tale condotta è ben lontana dall’ebraismo, nonostante molti dei partiti della coalizione siano religiosi.   «Questi ministri sono semplicemente orribili. Non è possibile che noi, il popolo ebraico, che abbiamo subito persecuzioni e pogrom, ci trasformiamo in coloro che fanno questo agli altri», ha riportato i24News.   L’ex vertice militare ha anche affermato con insistenza che il governo israeliano è impegnato in una «guerra per motivi di sopravvivenza, non di sicurezza», riferendosi al fatto che il primo ministro Beniamino Netanyahu sta usando la guerra per evitare di finire in prigione a causa di accuse di corruzione, per non parlare di accuse più gravi che potrebbe dover affrontare in conseguenza della guerra in Palestina.  
  Il Netanyahu è quindi andato su tutte le furie, rilasciando una dichiarazione: «condanno con veemenza la selvaggia istigazione di Yair Golan contro i nostri eroici soldati e contro lo Stato di Israele». «L’IDF è l’esercito più morale del mondo» ha assicurato il premier dello Stato degli ebrei, definendo i commenti di Golan come «spregevoli calunnie antisemite contro i soldati dell’IDF».   Altri leader di partiti allineati all’attuale politica bellica dello Stato Giudaico hanno rilasciato dichiarazioni simili.

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Le parole del Golan rappresentano una crescente volontà da parte di israeliani e di altri di denunciare finalmente ad alta voce il disastro genocida implementato in questi anni dalla leadership israeliana.   Come riportato da Renovatio 21, altre voci di funzionari levatesi in questi mesi hanno trovato il culmine nel caso di Ronen Bar, il capo dei servizi di sicurezza interni Shin Bet, che ha denunciato i coloni estremisti come un pericolo con Israele, ricevendo in cambio dal ministro sionista Itamar Ben-Gvir accuse riguardo la responsabilità dell’agenzia nella strage del 7 ottobre 2023. Il Bar è arrivato a dichiarare che bisogna salvare gli ebrei da Netanyahu.   Nel frattempo, le forze militari israeliani sembra non conoscere confini anche con gli stranieri: dopo gli attacchi in Libano al contingente ONU UNIFIL di qualche mese fa (con i soldati italiani costretti a fuggire in un bunker), ieri sono stati sparati colpi anche in prossimità di una delegazione di diplomatici da due dozzine di Paesi europei e non.

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  Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr; Yair Golan è a destra nella foto.
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