Spirito
Fraternità Sacerdotale San Pio X, 1974-2024: «semper idem»
Messaggio del Superiore Generale e dei suoi Assistenti in occasione del cinquantesimo anniversario della dichiarazione del 21 novembre 1974.
Cinquant’anni fa, Monsignor Marcel Lefebvre pubblicava una memorabile dichiarazione che sarebbe diventata la Magna Carta della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Vera e propria professione di fede dalla risonanza eterna, questa dichiarazione esprime l’essenza della Fraternità, la sua ragion d’essere, la sua identità dottrinale e morale e, di conseguenza, la sua linea di condotta.
La Fraternità non potrebbe discostarsi di una virgola dal suo contenuto e dal suo spirito che, a distanza di cinquant’anni, rimangono perfettamente adeguati ai giorni nostri.
Questa dichiarazione contiene due idee assolutamente centrali, che si completano e si sostengono a vicenda: la prima afferma il carattere essenzialmente dottrinale della battaglia della Fraternità; la seconda esprime lo scopo di questa battaglia.
Si tratta di una battaglia dottrinale, contro un nemico chiaramente identificato: la Riforma del Concilio, presentata come un insieme avvelenato, concepito nell’errore e che conduce all’errore.
È il suo spirito di fondo che viene messo in discussione, e di conseguenza tutto ciò che questo spirito è stato in grado di produrre: «Questa Riforma, essendo nata dal liberalismo, dal modernismo, è interamente avvelenata; nasce dall’eresia e finisce nell’eresia, anche se non tutti i suoi atti sono formalmente eretici. È quindi impossibile per qualsiasi cattolico consapevole e fedele adottare questa Riforma e sottomettersi ad essa in qualsiasi modo. L’unico atteggiamento di fedeltà alla Chiesa e alla dottrina cattolica, per la nostra salvezza, è il rifiuto categorico di accettare la Riforma».
La storia degli ultimi cinquant’anni non ha fatto che confermare l’attualità di questa analisi. Poiché la Riforma è corrotta in sé e nei suoi principi, appare impossibile restaurare alcunché nella Chiesa senza prima mettere in discussione i principi stessi del Concilio e rifiutare tutti gli errori in esso contenuti: tutti coloro che hanno cercato di mantenere insieme Tradizione e Riforma, di unirle o arricchirle reciprocamente, hanno inevitabilmente fallito.
Allo stesso tempo, il disprezzo e l’odio per la Tradizione e la Messa di sempre hanno continuato a crescere, dimostrando concretamente che a due dottrine incompatibili corrispondono due culti inconciliabili, due modi irriducibili di concepire la Chiesa e la sua missione verso le anime.
Iniziata al Concilio, questa Riforma è ancora in corso e continua a dare i suoi frutti. Oggi, attraverso la sinodalità, assistiamo a un completo rovesciamento della struttura stessa della Chiesa: la trasmissione della Verità divina ricevuta dal Verbo incarnato viene sostituita dall’elaborazione da parte dell’uomo di un sistema in cui Dio non ha più posto e in cui lo spirito umano soffia al posto dello Spirito Santo. Si tratta del rovesciamento diabolico del Vangelo stesso.
Di fronte a questa demolizione della Chiesa chiaramente denunciata, Mons. Lefebvre ci incoraggia a continuare la battaglia dottrinale, cioè a militare santamente per il regno di Nostro Signore Gesù Cristo, la Via, la Verità e la Vita.
Oggi, come in passato, la nostra missione non può essere altro che la restaurazione di tutte le cose in Cristo. Restaurare tutte le cose: a cominciare dal sacerdozio, in tutta la sua purezza dottrinale, in tutta la sua carità missionaria; restaurare il santo sacrificio della Messa, cuore della vita della Chiesa; restaurare la vita cristiana, che non è altro che la vita stessa di Cristo, contrassegnata dallo spirito della croce, per l’amore e la gloria del Padre; restaurare la verità cattolica, per restituirle il suo splendore e permetterle di illuminare il mondo; restaurare, nella Chiesa e nella società civile, il riconoscimento dei diritti di Cristo, Re delle nazioni.
«Gesù Cristo era ieri, è oggi e sarà per sempre. Non lasciatevi trascinare dalla diversità di opinioni e da dottrine estranee. È bene, infatti, che i vostri cuori siano rinsaldati dalla grazia» (Eb. 13, 8-9).
La seconda idea che domina la dichiarazione del 1974 è la volontà chiara e determinata di agire con l’unico scopo di servire la Chiesa Cattolica Romana.
Infatti, è solo nella Chiesa di sempre e nella sua costante Tradizione che troviamo la garanzia di essere nella Verità, di continuare a predicarla e a servirla.
Ma soprattutto, siamo ben consapevoli che custodire la Tradizione, e compiere tutti i passi necessari per conservarla e trasmetterla, corrisponde a un dovere di carità che adempiamo nei confronti di tutte le anime e della Chiesa nel suo insieme. Da questo punto di vista, la nostra battaglia è profondamente disinteressata. La Fraternità non cerca in primo luogo la propria sopravvivenza: cerca in primo luogo il bene della Chiesa universale e, per questo motivo, è per eccellenza un’opera di Chiesa che, con una libertà e una forza uniche, risponde adeguatamente alle esigenze specifiche di un’epoca tragica che non ha precedenti.
Questo unico obiettivo è ancora nostro oggi, come lo era cinquant’anni fa: «Per questo, senza alcuna ribellione, amarezza o risentimento, continuiamo la nostra opera di formazione sacerdotale sotto la stella del magistero di sempre, convinti di non poter rendere un servizio più grande alla Santa Chiesa Cattolica, al Sommo Pontefice e alle generazioni future».
La Tradizione appartiene alla Chiesa; è in essa e per essa che la custodiamo in tutta la sua integrità, «in attesa che la vera luce della Tradizione dissipi le tenebre che oscurano il cielo della Roma eterna». Nella certezza soprannaturale e incrollabile che questa stessa Tradizione trionferà, e con essa tutta la Chiesa. E nella rinnovata certezza che le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa.
Davide Pagliarani
Superiore Generale
† Alfonso de Galarreta
1° Assistente Generale
Christian Bouchacourt
2° Assistente Generale
Menzingen, 21 novembre 2024
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Immagine da FSSPX.news
Spirito
L’élite distrugge l’originale per sostituirlo con la contraffazione: mons. Viganò contro il restauro di Notre Dame
Emmanuel Macron inspects the new Altar and Cathedra of the Cathedral of Notre-Dame de Paris, which look like something bought at Ikea. pic.twitter.com/OlYgTojgXN
— Catholic Sat (@CatholicSat) November 29, 2024
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Spirito
La Santa Sede sta valutando la possibilità di creare un reato di abuso spirituale
Il Sommo Pontefice ha accolto la richiesta del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) di costituire un gruppo di lavoro per valutare l’opportunità di creare un nuovo reato di «abuso spirituale» e di integrarlo nel codice di diritto canonico. L’eventuale novità di un simile reato, data la vaghezza del concetto che resta in gran parte da definire, non è priva di interrogativi.
Il codice di diritto canonico si arricchirà di un nuovo provvedimento legislativo? Nulla è ancora certo al momento, ma quello che è certo è che papa Francesco, al termine dell’udienza del 22 novembre 2024 alla presenza del prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF), ha consentito la creazione di un gruppo di lavoro interdipartimentale per lavorare in questa direzione.
La sfida è definire un nuovo reato che copra l’uso abusivo del «falso misticismo» per manipolare una persona. Nel resoconto dell’udienza del 22 novembre, pubblicato dalla Sala Stampa della Santa Sede, si rileva che il cardinale Victor Manuel Fernandez ha spiegato al Papa che il suo dicastero utilizzava già la nozione di «falso misticismo».
Questo utilizzo riguarda un concetto ben preciso: quello di «questioni legate alla spiritualità e a presunti fenomeni soprannaturali (…) come casi di pseudomisticismo, apparizioni, visioni e messaggi attribuiti ad origine soprannaturale».
Ma il prefetto del DDF ha sottolineato un problema che, secondo lui, merita di essere affrontato: «non esiste nel diritto canonico alcun reato classificato sotto l’espressione falso misticismo, anche se i canonisti talvolta usano l’espressione come circostanze di alcuni delitti di abuso».
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Il «patrono della fede» ha ricordato che nei nuovi standard di valutazione di presunti eventi e fenomeni soprannaturali emanati dal suo dicastero all’inizio del 2023, si riconosce ormai che «l’utilizzo di presunte esperienze soprannaturali» o di «elementi mistici riconosciuti come mezzo o pretesto per esercitare un controllo sulle persone o per commettere abusi, deve essere considerato di un peso morale del tutto particolare».
Agli occhi di alcuni canonisti romani – come ricorda il sito d’informazione The Pillar – la questione della creazione di un nuovo reato canonico appare «opportuna, anche se molto tardiva», in particolare a causa dei recenti casi di abuso in cui l’influenza spirituale sembra avere ha giocato un ruolo importante.
Fino a creare recentemente un vero e proprio conflitto di competenze che ha avvelenato i rapporti tra il DDF e la Segreteria di Stato nell’«affare Principi», intitolato a un sacerdote ormai ridotto allo stato laicale.
Ma se alcuni casi di abuso spirituale possono essere chiaramente identificati, altre situazioni più vaghe possono essere piuttosto difficili da valutare dalla legge; senza contare il rischio di vedere moltiplicarsi indebitamente le denunce per tali abusi, intasando i tribunali diocesani e romani che credono di avere abbastanza lavoro da fare per aggiungerne altro.
Tocca ora a mons. Filippo Iannone, prefetto del Dicastero per i testi legislativi, riunire i canonisti competenti per valutare, insieme al DDF, l’opportunità di incrementare l’elenco – già lungo – dei reati perseguiti dal Codice di Diritto Canonico.
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Immagine di S. Perquin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Spirito
Ratzinger e il «mostro» del papato scomposto. Riflessione di mons. Viganò
Renovatio 21 pubblica questa riflessione dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò
IL PAPATO «SCOMPOSTO»
Emeritus, Munus, Ministerium
La saga infinita sulla Rinunzia di Benedetto XVI continua ad alimentare una narrazione delle vicende cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio sempre più ardita e surreale. Teorie inconsistenti e non suffragate da alcuna prova hanno fatto presa su tantissimi fedeli ed anche su sacerdoti, aumentando la confusione e il disorientamento. Ma se ciò è stato possibile, è in buona parte anche dovuto a chi, conoscendo la verità, nondimeno la teme per le conseguenze che essa, una volta svelata, potrebbe avere. Vi è infatti chi ritiene preferibile tenere insieme un castello di menzogne e inganni, piuttosto di dover mettere in discussione un passato di connivenze, silenzi e complicità.Sostieni Renovatio 21
Lo scambio epistolare
Nel corso di un incontro all’Hotel Renaissance Mediterraneo di Napoli con i Cattolici del locale Cœtus fidelium tenutosi lo scorso 22 Novembre, mons. Nicola Bux ha accennato ad uno scambio epistolare con il «Papa emerito Benedetto XVI», risalente all’estate del 2014, che costituirebbe la smentita delle teorie sulla invalidità della Rinunzia. Il contenuto di queste lettere – la prima, di mons. Bux, del 19 Luglio 2014 (tre pagine) e la seconda, di Benedetto XVI, del 21 Agosto successivo (due pagine) – non è stato diffuso dieci anni fa, come sarebbe stato più che auspicabile, ma solo oggi se ne è appena accennata l’esistenza. Si dà il caso che io sia al corrente tanto di questo scambio epistolare quanto del suo contenuto. Per quale motivo mons. Bux decise di non divulgare tempestivamente la risposta di Benedetto XVI quand’era ancora vivo e in grado di confermarla e circostanziarla, e invece di rivelarne soltanto l’esistenza, senza svelarne il contenuto, a quasi due anni dalla sua morte? Perché nascondere alla Chiesa e al mondo questa autorevole e importantissima dichiarazione?La rivoluzione permanente
Per rispondere a questi legittimi interrogativi occorre mettere da parte la finzione mediatica. Occorre anzitutto comprendere che la visione antitetica di un Ratzinger «santo subito» e di un Bergoglio «brutto e cattivo» fa comodo a tanti. Questa impostazione semplicistica, artefatta e falsa, evita di affrontare il cuore del problema, ossia la perfetta coerenza di azione dei «papi conciliari» da Giovanni XXIII e Paolo VI al sedicente Francesco, ivi compresi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. I fini sono gli stessi, anche se perseguiti con modalità e linguaggio differenti. L’immagine di un anziano, elegante e fine teologo, in pianeta romana e calzari rossi, che riconosce cittadinanza al Rito tridentino e di un intemperante eresiarca globalista che non celebra la Messa e vanifica Summorum Pontificum, mentre promulga la liturgia maya con femmine turificanti, rientra in quell’operazione di polarizzazione forzata che abbiamo visto adottata anche nella sfera civile, dove un analogo progetto eversivo è stato condotto a termine favorendo da una parte le forze ultra-progressiste e dall’altro tenendo buone le voci del dissenso. In realtà, Ratzinger e Bergoglio – ed è proprio questo che i conservatori non vogliono riconoscere – costituiscono due momenti di un processo rivoluzionario che contempla fasi alterne e solo apparentemente contrapposte, seguendo la dialettica hegeliana di tesi, antitesi e sintesi. Un processo che non inizia con Ratzinger e non finirà con Bergoglio, ma che rimonta a Roncalli e sembra destinato a protrarsi finché la deep church continuerà a sostituirsi alla gerarchia Cattolica usurpandone l’autorità. Nella visione ratzingeriana, la tesi del Vetus Ordo e l’antitesi del Novus Ordo si compongono nella sintesi di Summorum Pontificum, grazie all’escamotage di un unico rito in due forme. Ma questa «coesistenza pacifica» è il prodotto dell’idealismo tedesco; ed è falsa perché si fonda sulla negazione dell’incompatibilità tra due modi di concepire la Chiesa, uno sancito da duemila anni di Cattolicità, l’altro impostosi con il Concilio Vaticano II grazie all’operato di eretici fino ad allora condannati dai Romani Pontefici.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
La «ridefinizione» del Papato
Ritroviamo lo stesso modus operandi nella volontà espressa prima da Paolo VI, poi da Giovanni Paolo II e infine da Benedetto XVI di «ridefinire» il Papato in chiave collegiale ed ecumenica, ad mentem Concilii, laddove la divina istituzione della Chiesa e del Papato (tesi) e le istanze ereticali dei neomodernisti e delle sette acattoliche (antitesi) si compongono nella sintesi di una ridefinizione del Papato in chiave ecumenica, prospettata dall’enciclica Ut unum sint promulgata da Giovanni Paolo II nel 1995 e più recentemente formulata nel Documento di Studio del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani dello scorso 13 Giugno: Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica ‘Ut unum sint’. Non stupirà apprendere – come mi confidò il card. Walter Brandmüller nel gennaio del 2020 rispondendo ad una mia precisa domanda – che il prof. Joseph Ratzinger elaborava la teoria del papato emerito e collegiale con il collega Karl Rahner, negli anni Settanta quando entrambi erano «giovani teologi». Nel corso di una conversazione telefonica che ebbi nel 2020, una fidatissima assistente di Benedetto XVI mi confermò l’intenzione del Papa – più volte reiterata alla stessa – di ritirarsi a vita privata nella sua dimora bavarese, senza mantenere né il nome apostolico né le vesti papali. Ma questa eventualità era considerata come inopportuna per coloro che avrebbero perso il proprio potere in Vaticano, specialmente nei confronti di quei conservatori che avevano in Benedetto XVI il proprio riferimento e ne avevano mitizzata la figura. Non sappiamo con certezza se la soluzione teorizzata con Rahner dal giovane Ratzinger fosse ancora contemplata dall’anziano Pontefice, né se il papato emerito sia stato «riesumato» da chi voleva tenere Benedetto in Vaticano, anche avvalendosi delle pressioni esterne sulla Santa Sede che si erano concretizzate con la sospensione del Vaticano dal sistema SWIFT, ripristinato significativamente subito dopo l’annuncio della Rinunzia. Di fatto la Rinunzia ha creato un’immensa confusione nel corpo ecclesiale e ha consegnato la Sede di Pietro al suo demolitore, il che vede comunque coinvolto Joseph Ratzinger. Benedetto ricorse quindi all’invenzione del «Papato emerito», cercando, in violazione della prassi canonica, di tenere in vita l’immagine del «fine teologo» e del defensor Traditionis che il suo entourage aveva costruito. Peraltro, un’analisi delle vicende che riguardano l’epilogo del suo Pontificato è estremamente complessa sia in ragione delle peculiarità intellettuali e caratteriali di Ratzinger, sia per l’opacità dell’azione dei suoi collaboratori e della Curia, sia infine per l’assoluto ἅπαξ della Rinunzia, così come effettuata da Benedetto XVI, una modalità del tutto inedita mai prima verificatasi nella storia del Papato. D’altra parte, questa parentesi di mozzette e camauri doveva eclissarsi con il passaggio delle consegne al già designato arcivescovo di Buenos Aires, candidato dalla Mafia di San Gallo a prendere il suo posto sin dal Conclave del 2005. Il ruolo di Benedetto XVI come Emerito ha avuto la funzione di affiancare una sorta di papato conservatore (munus) che vigilasse sul papato progressista di Bergoglio (ministerium), in modo da tenere insieme la componente moderatamente conservatrice ratzingeriana e quella violentemente progressista bergogliana, favorendo la percezione di una continuità tra il «papa emerito» e il «papa regnante». In sostanza, si è trovato il modo di mantenere Benedetto in Vaticano, per far sì che la sua presenza entro le Mura Leonine apparisse come una forma di approvazione di Bergoglio e delle aberrazioni del suo «pontificato». Dal canto suo, l’argentino ha visto in questo monstrum canonico – perché tale è il «papato emerito» – uno strumento di destrutturazione del Papato in chiave conciliare, sinodale ed ecumenica; la qual cosa, come sappiamo, era condivisa dallo stesso Benedetto XVI.Il «monstrum» canonico del Papato emerito
Va detto che anche l’istituto dell’Episcopato emerito è un monstrum canonico, perché con esso il Vescovo diocesano si vede «congelare» la giurisdizione su base anagrafica (al raggiungimento del 75° anno di età), contro la prassi plurisecolare della Chiesa. L’emeritato, facendo venir meno nei Vescovi la coscienza di essere Successori degli Apostoli, ha avuto come immediata conseguenza anche una totale deresponsabilizzazione, relegandoli al ruolo di meri funzionari e burocrati. Anche l’istituzionalizzazione delle Conferenze Episcopali come organismi di governo che interferiscono ed ostacolano l’esercizio della potestas dei singoli Vescovi, ha certamente costituito un attentato alla divina costituzione della Chiesa Cattolica e alla sua Apostolicità. L’Episcopato emerito, introdotto subito dopo il Concilio nel 1966 con il Motu Proprio Ecclesiæ Sanctæ e poi acquisito dal Codice di Diritto Canonico del 1983 (can. 402, § 1), rivela una significativa coerenza con Ingravescentem ætatem del 1970, che priva i Cardinali settantacinquenni delle loro funzioni di Curia e quelli ottantenni del diritto di eleggere il Papa in Conclave. Al di là della formulazione giuridica di queste leggi ecclesiastiche, se ne comprende la mens solo in un’ottica di deliberata esclusione dei Vescovi e dei Cardinali anziani dalla vita della Chiesa, volta a favorire il «ricambio generazionale» – un vero e proprio reset della gerarchia Cattolica – con Prelati ideologicamente più vicini alle nuove istanze promosse dal Vaticano II. Questa epurazione artificiale della compagine più anziana dell’Episcopato e del Collegio Cardinalizio – e dunque presumibilmente meno incline alle innovazioni – ha finito per falsare gli equilibri interni alla gerarchia, secondo un’impostazione mondana e secolare già ampiamente adottata in ambito civile. E quando, sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II, le cosiddette «vedove Montini» – ossia i cardinali che negli anni Ottanta avevano raggiunto i limiti di età – chiesero la revoca di Ingravescentem ætatem per non essere escluse dal Conclave, divenne evidente che anche i progressisti degli anni Settanta erano ormai destinati a loro volta a finire vittime della norma che avevano invocato per altri: Et incidit in foveam quam fecit (Ps 7, 16). Non sfuggirà che, in un’ottica di «ridefinizione» del papato in chiave sinodale, laddove il Vescovo di Roma sia considerato primus inter pares, l’istituzione dell’Episcopato emerito e le norme che limitano l’esercizio dell’Episcopato e del Cardinalato al raggiungimento di una certa età, costituiscono la premessa all’istituzionalizzazione del Papato emerito e alla giubilazione del Papa anziano.Iscriviti al canale Telegram
Il falso problema di munus e ministerium
Dalla tesi del Papato (sono papa) in conflitto con l’antitesi della Rinunzia (non sono più papa) risulta un concetto in continuo divenire – come il divenire è l’assoluto per Hegel – ovverosia la sintesi del papato emerito (sono ancora Papa ma non faccio più il Papa). Non si trascuri questo aspetto filosofico del pensiero di Joseph Ratzinger, che gli è precipuo e ricorrente: la sintesi è di per sé provvisoria, in vista di una sua mutazione in tesi a cui si contrapporrà una nuova antitesi che darà luogo ad un’ulteriore sintesi, a sua volta provvisoria. Questo incessante divenire è la base ideologica, filosofica e dottrinale della rivoluzione permanente inaugurata dal Concilio Vaticano II sul fronte ecclesiale e dalla Sinistra globale sul fronte politico. Abbiamo dunque assistito a una sorta di separazione artificiale del Papato: da una parte il Papa rinunciava al Papato e dall’altra la persona papæ, Joseph Ratzinger, cercava di mantenerne alcuni aspetti che gli garantissero protezione e prestigio. Siccome l’allontanamento fisico dalla Sede Apostolica poteva apparire come una forma di disapprovazione della linea di governo della Chiesa imposta dalla deep church bergogliana, tanto il Segretario personale quanto il Segretario di Stato fecero forti pressioni perché Ratzinger rimanesse «a mezzo servizio», per così dire, giocando sulla fittizia separazione tra munus e ministerium – peraltro vigorosamente smentita nella risposta dell’Emerito a mons. Bux. Il prof. Enrico Maria Radaelli ha evidenziato nei suoi approfonditi studi che questa arbitraria bipartizione del mandato petrino tra munus e ministerium rende invalida la Rinunzia. Dal momento che il Primato petrino non può essere scomposto in munus e ministerium, essendo esso una potestas che Cristo Re e Pontefice conferisce a colui che è stato eletto per essere Vescovo di Roma e Successore di Pietro, la negazione di Ratzinger (nella citata lettera) di non aver voluto scindere munus e ministerium è in contraddizione con l’ammissione dello stesso Benedetto di aver impostato il Papato emerito sul modello dell’Episcopato emerito, che appunto si basa su questa artificiosa e impossibile scissione tra essere e fare il Papa, tra essere e fare il Vescovo. L’absurdum di questa divisione è evidente: se fosse possibile possedere il munus senza esercitare il ministerium, dovrebbe essere parimenti possibile esercitare il ministerium senza possedere il munus, ossia svolgere le funzioni di papa senza esserlo: la qual cosa è un’aberrazione tale da inficiare radicalmente il consenso all’assunzione del Papato stesso. E in un certo senso questa dicotomia surreale tra munus e ministerium l’abbiamo vista concretizzata, quando l’Emerito era papa ma non esercitava il papato, mentre Bergoglio faceva il Papa senza esserlo.Aiuta Renovatio 21
La desacralizzazione del Papato
D’altronde, il processo di desacralizzazione del Papato iniziato con Paolo VI (pensiamo alla scenografica deposizione del triregno) è proseguito senza soluzione di continuità anche sotto il Pontificato di Benedetto XVI (che ha rimosso la tiara anche dallo stemma papale). Ciò è da attribuirsi precipuamente alla nuova ecclesiologia ereticale del Vaticano II, che ha fatto proprie le istanze della società secolarizzata e «democratica» accogliendo in seno alla Chiesa concetti quali la collegialità e la sinodalità che le sono ontologicamente estranei, stravolgendo così la natura monarchica della Chiesa voluta dal suo divino Fondatore. Lascia certamente interdetti e immensamente addolorati vedere con quanto zelo la gerarchia conciliare e sinodale si sia fatta promotrice della sovversione in seno alla Chiesa Cattolica. Una sequenza di riforme, norme e pratiche pastorali da oltre sessant’anni demoliscono sistematicamente ciò che sino a prima del Vaticano II era considerato intangibile e irriformabile. Va anche ricordato che la Rinunzia di Benedetto XVI non è stata seguita da un normale Conclave, nel quale gli Elettori hanno scelto serenamente il candidato alla successione sul Soglio di Pietro; ma da un vero e proprio colpo di Stato compiuto ex professo dalla Mafia di San Gallo – ossia dalla componente eversiva infiltratasi nella Chiesa nel corso dei decenni precedenti – mediante la manomissione e violazione del regolare processo elettivo e il ricorso a ricatti e pressioni sul Collegio Cardinalizio. Non dimentichiamo che un eminente prelato ha confidato a conoscenti che ciò a cui aveva personalmente assistito in Conclave poteva pregiudicare la validità dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Anche in questo caso, incomprensibilmente, il bene della Chiesa e la salvezza delle anime sono stati messi da parte, in nome di una farisaica osservanza del segreto pontificio, forse non del tutto scevra da ricatti e minacce. Vi è un’evidente contraddizione tra lo scopo che Benedetto si prefiggeva (cioè: rinunciare al papato) e il mezzo che egli ha scelto per farlo (basato sull’invenzione del Papato emerito). Questa contraddizione, in cui soggettivamente Benedetto si è dimesso ma oggettivamente ha prodotto un monstrum canonico, costituisce un atto così sovversivo da rendere nulla e invalida la Rinunzia. A suo tempo questa contraddizione dovrà essere sanata da un pronunciamento autoritativo, ma rimane il fatto ineludibile che la forma in cui è stata posta la Rinunzia non toglie le successive irregolarità che hanno portato Bergoglio ad usurpare il Soglio di Pietro con la complicità della deep church e del deep state. Né è possibile pensare che la Rinunzia non debba essere letta alla luce del piano eversivo che mirava ad estromettere Benedetto XVI per sostituirlo con un emissario dell’élite globalista. Il castello di menzogne cui cooperano laici, sacerdoti e prelati, anche in buona fede, rimane una gabbia nella quale essi si sono imprigionati. Nella drammatizzazione mediatica, gli attori Ratzinger e Bergoglio ci sono stati presentati come portatori di teologie antitetiche, quando in realtà essi rappresentano due stadi successivi del medesimo processo rivoluzionario. Ma l’apparenza, il simulacro su cui si basa la comunicazione di massa non può sostituire la sostanza di Verità cui è indefettibilmente tenuta la Chiesa Cattolica per mandato divino.Sostieni Renovatio 21
Conclusione
Ai tantissimi fedeli scandalizzati, ai molti sacerdoti e religiosi confusi e indignati, ai pochi – almeno per ora – che levano la voce per denunciare il golpe perpetrato ai danni della Santa Chiesa dai suoi stessi Ministri, rivolgo il mio incoraggiamento a perseverare nella fedeltà a Nostro Signore, Sommo ed Eterno Sacerdote, Capo del Corpo Mistico. Resistete forti nella fede, ci ammonisce il Principe degli Apostoli (1 Pt 5, 9), sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le vostre stesse sofferenze. Il sonno nel quale il Salvatore sembra ignorarci mentre la Barca di Pietro è sconquassata dalla tempesta, deve essere per noi uno sprone ad invocare il Suo aiuto, perché solo nel momento in cui ci rivolgeremo a Lui, lasciando da parte rispetti umani, teorie inconsistenti e calcoli politici, Lo vedremo destarSi e comandare ai venti e al mare di placarsi. Resistere nella fede richiama il combattimento per rimanere fedeli a ciò che il Signore ha insegnato e comandato, proprio nel momento in cui molti, soprattutto ai vertici della gerarchia, Lo abbandonano, Lo rinnegano e Lo tradiscono. Resistere nella fede implica il non venir meno nel momento della prova, sapendo attingere in Lui la forza per superarla vittoriosi. Resistere nella fede significa infine saper guardare in faccia la realtà della passio Ecclesiæ e del mysterium iniquitatis, senza cercare di dissimulare l’inganno dietro il quale si nascondono i nemici di Cristo Questo è il senso delle parole del Salvatore: Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi (Gv 8, 32). + Carlo Maria Viganò Arcivescovo 30 Novembre 2024, Andreæ ApostoliIscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
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