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Psicofarmaci

Fra guerra e povertà, sempre più siriani ricorrono a droghe e psicofarmaci

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

La storia di una famiglia della Ghouta, dalle sofferenze del conflitto alla disperazione indotta dalla fame. Le persone sperimentano una «depressione collettiva» cui rispondono con un uso (e abuso) crescente di medicine. Secondo alcune stime, il 70% dei farmaci venduti lo scorso anno erano psicotropi. Una richiesta che alimenta il mercato nero.

 

 

«Quando ho incontrato Haifa per la prima volta, alcuni anni fa, mentre infuriava la guerra, avevo di fronte a me una donna della Ghouta [periferia orientale di Damasco, ndr] con un grande sorriso sul volto, nonostante gli orrori e le sofferenze vissute. All’epoca mi aveva colpito, tanto da vedere in lei il simbolo di molte donne siriane per forza, resilienza e speranza. L’ho rivista un mese fa, ed è stato uno shock leggere nei suoi occhi preoccupazione e una stanchezza estrema, al di là della sola fatica fisica».

 

È quanto racconta ad AsiaNews Maria Sargi [nome di fantasia per proteggerne l’identità, ndr], personalità istituzionale impegnata fin dai primi tempi del conflitto siriano nel campo della diplomazia e dell’attivismo internazionale. Haifa ha tre figli e, negli ultimi mesi, in famiglia si sono nutriti con un solo pane al giorno.

 

«Cosa importa delle malattie, di fronte alla fame? Dov’è la logica degli eventi, di fronte alla fame? Che senso ha la vita, quando i tuoi figli soffrono la fame? Siamo affamati!».

 

 

Abbiamo toccato il fondo

Il popolo siriano ha sofferto molto negli anni in cui il conflitto infuriava in gran parte del Paese, quando le milizie jihadiste controllavano buona parte del territorio e l’intero sistema che aveva retto la nazione sembrava sul punto di crollare.

 

Oggi le armi mietono meno vittime, ma al rumore degli ordigni si è sostituita la bomba della povertà, non meno drammatica e mortale che ha contribuito a spingere una fetta consistente della popolazione sull’orlo della depressione. Tanto che oggi i sedativi, i tranquillanti e gli psicofarmaci sono fra le medicine più vendute nel tentativo di arginare casi sempre più frequenti di malattie o crolli mentali fra la gente comune.

 

«A conclusione della sua testimonianza – prosegue nel racconto la nostra fonte – Haifa ha iniziato a piangere in modo isterico, gridando più volte di aver toccato il fondo». Ed è la sensazione che emerge osservando il Paese e il suo popolo, che sembra essere tornato indietro nel tempo di migliaia di anni, quasi all’età della pietra quando il solo e unico scopo era quello di racimolare il cibo sufficiente per la giornata e restare vivi… «per sopravvivere!».

 

Questo, insomma, è ciò che è accaduto ai siriani i quali, dopo essere passati attraverso lunghi anni di guerra e aver sperato in un futuro migliore, adesso «vivono in uno stato collettivo di frustrazione e disillusione: dalle violenze di un conflitto esteriore – conclude la fonte – si è passati alla disperazione interiore».

 

 

Una depressione collettiva

Uno dei risultati di questa «depressione collettiva» è che milioni di siriani fanno sempre più ricorso a psicofarmaci e medicine per combattere i disturbi e per riuscire a sopportare una situazione che si fa insostenibile.

 

Pur senza disporre di dati ufficiali ma basandosi sull’esperienza personale e quotidiana, molti farmacisti di Damasco e Aleppo interpellati da AsiaNews confermano che il dato relativo alla vendita è «assai elevato», oggi con certezza «più alto» di un qualsiasi altro periodo della storia recente del Paese.

 

A gravare sulla condizione dei cittadini vi è anche il crescente distacco della comunità internazionale che, dopo aver mantenuto a lungo l’interesse e la pressione sulla Siria oggi ha spostato i riflettori altrove, prima di tutto sull’Ucraina dove la stessa Russia, fondamentale per le sorti del conflitto, oggi dedica gran parte delle risorse militari. Ecco perché molti siriani chiedono almeno «la cancellazione delle sanzioni occidentali»per dare un po’ di sollievo all’economia locale e invertire un quadro in cui pochissimi facoltosi «si stanno arricchendo ancor più con la guerra e il cittadino comune è sempre più povero, depresso e disperato».

 

La sensazione di miseria, abbandono, ansia per il futuro spinge un numero sempre più consistente di persone – almeno nelle zone controllate dal governo, dove i dati emergono più numerosi – a ricorrere a tranquillanti e sedativi. Wafaa Keshi, ai vertici del sindacato farmacisti siriano lancia l’allarme, spiegando che l’uso (e l’abuso) di narcotici e psicotropi è sempre più frequente a causa dell’aumento, in parallelo, dei disturbi mentali.

 

Fra quanti sono colpiti da depressione e malesseri vi sono i reduci di guerra e i sopravvissuti con disabilità permanenti, che necessiterebbero – oltre alle cure farmacologiche – di un percorso terapeutico e un sostegno psicologico sotto costante supervisione medica.

 

 

Il mercato nero

Secondo alcune stime indicative, il 70% dei farmaci venduti lo scorso anno appartenevano alla categoria degli psicotropi, cui le persone ricorrono per «fuggire» da una realtà caratterizzata dall’alto costo della vita, salari insufficienti, mancanza di cure mediche e di istruzione.

 

Considerata l’alta richiesta di psicofarmaci e tranquillanti, un numero sempre maggiore di farmacie vende i prodotti anche senza prescrizione medica; al contempo, si è formato un circuito parallelo a quello ufficiale sempre più fiorente. Ahmad Shams al-Din, farmacista a Jaramana (governatorato di Rif Dimashq), riferisce ad al-Monitor che i siriani «stanno scoprendo ogni giorno nuovi narcotici», che hanno ampia diffusione sul mercato nero.

 

Fra questi un composto locale chiamato Cemo, uno sciroppo verde per la tosse, che contiene un ampio dosaggio di codeina, come il Baltan a base di eroina e spesso usato – in modo improprio e senza supervisione medica – per trattare i disturbi psicosomatici o per i tossicodipendenti in crisi di astinenza.

 

Qais Khazal, neuropsichiatra, conferma che i tranquillanti sono diventati assai comuni fra gli studenti universitari, la maggior parte dei quali assume Baltan prima di un esame pensando che possa aiutare nella concentrazione.

 

Alia Zuhair, una studentessa a Damasco, riferisce di aver iniziato con metà pillola al giorno, ma dopo sei mesi ne assume tre ogni sei ore. «Ho anche preso altri narcotici – aggiunge – come lo sciroppo verde per la tosse Cemo e gli antidolorifici Proxamol».

 

Bashar Hekmat, proprietario di un negozio di alimentari nella capitale, arriva ad offrire tre volte il prezzo delle pillole se un farmacista si rifiuta di venderle senza prescrizione medica. In alternativa, si rivolge al mercato nero dove i trafficanti sono sempre più numerosi.

 

 

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

 

 

 

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine di EU Civil Protection and Humanitarian Aid via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)

 

 

 

 

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Psicofarmaci

Sparatoria in una scuola in Finlandia. Ci diranno mai quali farmaci prendeva l’assassino dodicenne?

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Una sparatoria è avvenuta martedì mattina in una scuola secondaria inferiore nella città di Vantaa, a nord di Helsinki. Il perpetratore sospettato è un preadolescente, ora preso in custodia dopo aver ucciso un compagno di classe e averne feriti altri due.

 

Come l’assassino, tutte le vittime avevano 12 anni.

 

Il sospettato, che secondo la polizia si è trasferito alla scuola l’anno scorso, è stato trovato martedì fuori dall’edificio con in mano una rivoltella. Dopo la sparatoria, ma prima dell’arrivo degli agenti, avrebbe usato l’arma per minacciare gli studenti che stavano andando in un’altra scuola.

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Includendo l’incidente di martedì, la Finlandia – Paese i cui cittadini godono di ampia possibilità di armarsi, come negli USA – ha registrato solo quattro sparatorie nelle scuole nella sua storia. La peggiore avvenne nel 2008, quando uno studente universitario uccise nove studenti e un insegnante di un’università politecnica nella città di Kauhajoki, prima di puntare contro se stesso la sua arma, una pistola semiautomatica.

 

Un anno prima, uno studente delle superiori aveva ucciso a colpi di arma da fuoco sei alunni, un’infermiera scolastica e il suo preside nella città di Jokela. Anche l’aggressore si era suicidato dopo la sua furia.

 

Il governo finlandese aveva risposto alle due sparatorie innalzando l’età minima per il possesso di armi da fuoco a 18 anni e imponendo controlli sui precedenti personali degli acquirenti di armi. Tuttavia, la caccia è un passatempo popolare in Finlandia, e i quindicenni possono ancora ottenere un permesso per usare legalmente le armi da fuoco di altre persone con il permesso dei genitori.

 

Sebbene la Finlandia abbia l’ottavo tasso più alto al mondo di possesso di armi da parte dei civili, gli omicidi legati ad armi da fuoco sono rari. Secondo i dati delle Nazioni Unite, la Finlandia ha un tasso di omicidi dovuti ad armi da fuoco pari a 0,09 morti ogni 100.000 persone, quasi cinque volte inferiore a quello della vicina Svezia (0,44 ogni 100.000).

 

Pare chiaro quindi che, a differenza di quanto dicono quelli del Partito Democratico in USA e in Italia come altrove, non è l’accesso alle armi che crea il problema delle sparatorie massive.

 

«È stato confermato che il movente dell’atto è il bullismo», ha dichiarato il giorno successivo la polizia nazionale in un comunicato. «Il sospettato ha affermato durante gli interrogatori di essere stato vittima di bullismo e questa informazione è stata confermata anche durante le indagini preliminari della polizia», ​​continua la nota.

 

Tuttavia il bullismo potrebbe non essere l’unico fattore motivante del progetto omicida del bambino.

 

Come da sempre insiste Renovatio 21, è sempre bene chiedersi se il perpetratore assumesse farmaci psichiatrici. L’uso di psicodroghe legali – diffuse tra milioni di cittadini anche in Italia – potrebbe influire sulla mente del paziente in modo paradosso, come dice lo stesso foglietto illustrativo negli USA, generando propositi «suicidari».

 

Come tali propositi di morte possano essere rivolti solo contro se stessi, e non solo contro coloro che fanno parte del mondo interiore della persona (i genitori, i fratelli, i compagni di scuola, gli insegnanti, i colleghi, i fedeli della parrocchia o perfino persone distanti ma che fanno parte delle ossessioni insorte, come le persone di altri gruppi, altre razze, o i passanti in generale) non riusciamo a capire come si possa dire. Di fatto, molte di queste stragi si concludono, appunto con un suicidio.

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Una quantità di casi del genere ha visto la presenza di psicofarmaci, in particolare quelli di tipo SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) negli eccidi improvvisi.

 

È davvero difficile, in questi casi, che il nome del farmaco salti fuori, anche se le forze dell’ordine, scandagliando per prima cosa l’armadietto dei medicinali a casa del presunto killer, potrebbero saperlo da subito. C’è anche da considerare che anche qualora le indagini facessero filtrare qualcosa alla stampa, il giornalista e il suo direttore, che tengono al loro stipendio, prima di mettersi contro un immane business di Big Pharma (e gli ordini dei medici… e la sanità tutta) ci pensano due o tre volte.

 

Volete degli esempi?

 

Eric Harris, il perpetratore del massacro della scuola Columbine (1999) era sotto Zoloft, cioè la sertralina, ed anche Luvox, fluvoxamina.

 

Un anno prima, un quindicenne di nome Kip Kinkel ha sparato ai suoi genitori e a dozzine di compagni di classe: era sotto fluoxetina, cioè Prozac.

 

Nel 2005, un sedicenne di nome Jeff Weise ha ucciso suo nonno e dieci bambini in Minnesota. Prozac.

 

Idem per il 27enne Steven Kazmierczak che ha ucciso sei persone alla Northern Illinois University (2008). Fluoxetina.

 

Ricorderete il massacro di Aurora, in Texas, nel 2012, quando un tizio vestito da Joker entrò in un cinema dove proiettavano l’ultimo Batman e massacrò 82 spettatori: si trattava del 25enne James Holmes, che era sotto Zoloft.

 

La lista è molto più lunga, e l’abbia dettagliata in tanti altri articoli. E quindi, anche in quest’ultima tragedia in Finlandia, domandiamo: è possibile che per curare la tristezza del bambino bullizzato, i dottori abbiano iniziato a fargli assumere psicodroghe?

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Va ricordato che casi recenti di cronaca nera italiana di primo piano, come quello della ragazza veneta uccisa, hanno visto l’ex fidanzato sospettato della morte chiedere psicofarmaci in carcere.

 

Lo stesso dicasi per un caso di omicidio nella Milano bene, dove l’uomo arrestato – sospettato di matricidio – sarebbe stato sotto psicofarmaci, scrissero i giornali.

 

E non parliamo dei casi di aerei passeggeri improvvisamente gettati al suolo dai piloti. Sappiamo che nel tragico caso Germanwings (2015), il copilota, che si chiuse dentro la cabina e schiantò il velivolo con 300 persone sulle Alpi francesi, era sotto SSRI – considerati dalle autorità sanitarie mondiali come «sicuri» per piloti ed automobilisti.

 

Come riportato da Renovatio 21, alla lista degli stragisti da farmaco ora si stanno aggiungendo sempre più transessuali, dove oltre agli psicofarmaci c’è da considerare anche l’effetto psichico dell’assunzione di testosterone sintetico: il caso del massacro di bambini e adulti nella scuola presbiteriana del Tennessee dell’anno scorso ad opera di una ragazza che stava effettuando una «transizione» al sesso maschile racconta proprio di questo problema.

 

La domanda rimane: se negli USA vi sono 500 sparatorie massive ogni anno, la colpa non è che va assegnata al fatto che si tratta del popolo più psicofarmaceutico del pianeta, dove delle droghe psichiatriche si può fare anche la pubblicità?

 

L’idea avanza, tra la censura di media e probabilmente social media. Il muro su questo orrore, prima o poi, crollerà.

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Pensiero

Cosa c’è dietro la strage di Praga?

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La polizia ceca ha identificato come autore della sparatoria di massa che ha provocato la morte di 14 persone giovedì a Praga come David K., uno studente di 24 anni, avrebbe ucciso suo padre giovedì nella sua città natale di Kladno, prima di recarsi nella capitale ceca per una missione di morte massiva conclusa con il suicidio.   I media cechi in seguito hanno detto che il nome esteso del presunto assassino è David Kozak e hanno pubblicato la sua foto.   Il presidente della polizia Martin Vondrasek ha detto ai giornalisti che Kozak ha pubblicato una serie di post sui social media prima della sua furia ed è stato «ispirato da un evento terribile simile all’estero», senza rivelare ulteriori dettagli. L’assassino «diceva che voleva uccidersi», ha aggiunto Vondrasek.   Tuttavia, i media cechi hanno portato alla luce screenshot di un account Telegram apparentemente aperto da Kozak all’inizio di questo mese.   In un post in lingua russa del 9 dicembre, Kozak avrebbe affermato che avrebbe utilizzato la piattaforma come «diario mentre mi avvicino a una sparatoria a scuola».  

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In una serie di aggiornamenti del 10 dicembre, il poster si è presentato come «David» e ha detto che «vuole fare una sparatoria a scuola e possibilmente suicidarsi», nominando gli assassini della scuola russa Alina Afanaskina e Ilnaz Galyaviev come ispiratori della sua follia omicida.     «Ho sempre desiderato uccidere, pensavo che in futuro sarei diventata un maniaco», si legge nel post. «Poi, quando Ilnaz ha agito, ho capito che era molto più redditizio fare omicidi di massa che seriali. Alina è diventata l’ultimo punto. Era come se fosse venuta in mio aiuto dal cielo giusto in tempo».   Kozak era uno studente della Università Carolina, ha detto la polizia. Secondo i media cechi, ha studiato storia e ha vinto un premio per la sua tesi di laurea nel 2018.   La polizia ha detto che Kozak è stato «eliminato» nell’edificio dell’università dove è iniziata la sua furia. Tuttavia, non è chiaro se sia stato colpito da un proiettile della polizia o se abbia puntato la pistola contro se stesso, ha osservato Vondrasek.     Kozak era stato avvistato mentre brandiva un fucile sul tetto dell’edificio poco prima della sua morte, e il sindaco di Praga Bohuslav Svoboda ha affermato che l’assassino è caduto mortalmente.   La polizia ha detto che Kozak possedeva legalmente più armi da fuoco. Il possesso di armi è comune nella Repubblica Ceca e la costituzione del Paese garantisce il diritto di portare armi e usarle per legittima difesa.   La piazza Jan Palach di Praga, dove si trova l’edificio universitario, è rimasta chiusa al pubblico fino a mezzanotte mentre continuano le indagini della polizia. Quando l’edificio è stato evacuato, gli agenti hanno trovato 14 vittime morte e almeno altre 25 ferite.   I resoconti dei media avevano suggerito che Kozak potesse aver piazzato degli esplosivi nell’edificio, tuttavia il ministro degli Interni Vit Rakusan ha detto ai giornalisti che il pubblico «non è in pericolo immediato».   L’attacco è la peggiore sparatoria della recente storia ceca. Sebbene la Costituzione ceca garantisca il diritto di portare armi e usarle per legittima difesa, i crimini legati alle armi da fuoco sono rari e il paese registra ogni anno meno omicidi con armi da fuoco rispetto a Francia, Australia e Paesi Bassi.   Più recentemente, un uomo ha ucciso sei persone nella sala d’attesa di un ospedale nella città di Ostrava nel 2019 prima di puntare la pistola contro se stesso, mentre otto persone sono state uccise in un incidente simile in un ristorante nella città di Uhersky Brod nel 2015.   Lo spree – cioè la furia omicida – del Kozak sarebbe iniziata, secondo quanto viene ora suggerito, la settimana prima. Il 15 dicembre 2023, un padre di 32 anni e la sua figlia di due mesi in un passeggino sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco nella foresta di Klanovice, alla periferia orientale di Praga. La polizia ha condotto una perquisizione dettagliata dell’intera foresta con centinaia di agenti, mentre è stata istituita una task force speciale per trovare l’autore del reato. Il 20 dicembre, la polizia ha affermato di non avere piste sul caso ma di continuare a cercare l’autore del reato.   Il sito web sulle armi da fuoco zbrojnice.com aveva notato una somiglianza del caso con gli omicidi del «Assassino della Foresta» del 2005, in cui un ex agente di polizia uccise tre vittime a caso nelle foreste in preparazione di un omicidio di massa pianificato nella metropolitana di Praga, che fu impedito dal suo arresto anticipato; l’articolo si concludeva con un appello ai lettori affinché rimanessero vigili e portassero le armi da fuoco nascoste.   Cinque ore dopo l’attacco all’università, la polizia ha diffuso l’informazione di aver trovato prove nella casa di David Kozak che lo collegavano agli omicidi della foresta di Klanovice. In una conferenza stampa il 22 dicembre, l’investigatore capo della prima unità anticrimine generale di Praga ha dichiarato che Kozak era uno dei circa 4.000 sospettati nel caso della foresta di Klanovice.   Tuttavia, poiché viveva nella Boemia centrale, mancavano pochi giorni per impedire la sparatoria. La Boemia centrale è una regione separata dalla città di Praga e ogni regione del paese ha una direzione di polizia separata. Più tardi quello stesso giorno, la polizia ha confermato che un’arma da fuoco trovata a casa di Kozák era stata confrontata balisticamente con i proiettili usati negli omicidi nella foresta di Klanovice. Il 27 dicembre 2023, la testata Denik N ha riferito che gli investigatori della polizia avevano trovato una lettera a casa di Kozak in cui questi confessava gli omicidi avvenuti nella foresta di Klanovice.   Kozak aveva iniziato la sua ultima giornata con il parricidio: come in tanti casi che abbiamo imparato purtroppo a conoscere, l’assassino sembra dapprima accanirsi su quello che gli è più vicino.   Il 21 dicembre 2023 alle 12:20, la polizia della Boemia centrale era stata allertata dalla madre di Kozak, la quale ha affermato di aver ricevuto un messaggio da un amico secondo cui suo figlio stava progettando di togliersi la vita e che era in viaggio dalla sua città natale di Hostoun a Praga. Alle 12:45 la polizia trovava il corpo del padre di Kozak nella sua casa. Secondo quanto riportato, una perquisizione approfondita della casa era ostacolata da ordigni esplosivi improvvisati.   La polizia ha scoperto che Kozak era uno studente della Facoltà di Lettere dell’Università Carolina. Un mandato di perquisizione è stato emesso e pubblicato subito dopo; il mandato indicava che Kozak era armato e pericoloso. La polizia aveva inoltre avviato un’operazione di sicurezza all’aeroporto Váaclav Havel di Praga, dove il padre di Kozak lavorava nel dipartimento di sicurezza dell’aeroporto.  

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L’attacco è stato l’omicidio di massa più mortale avvenuto nella Repubblica Ceca dalla sua indipendenza nel 1993, superando l’attacco incendiario di Bohumín del 2020. È stata una delle sparatorie di massa più sanguinose avvenute in Europa dal massacro al teatro Bataclan del 2015 a Parigi.   La domanda che ci facciamo è sempre la stessa: il Kozak era stato «curato» con droghe psichiatriche? C’è uno psicofarmaco dietro ad un’alterazione della sua mente tale da portarlo verso un desiderio di distruzione totale, specie delle cose che gli sono più vicine (la famiglia, l’Università)?   È possibile che la psicofarmaceutica, la cui possibilità di suicidio come effetto collaterale sono note e perfino inserite nei bugiardini, abbia indotto la prospettiva pantoclastica assassina?   Il problema va posto soprattutto perché né psichiatri, né sociologi, né giornalisti sono in grado di spiegare perché questi personaggi si concentrino proprio sulle scuole – e questo in ogni Paese, dagli USA alla Russia alla Repubblica Ceca. Come se qualcosa invertisse nella mente del killer la legge naturale: ciò che ti è caro, ciò che è buono, ciò che è innocente, deve essere massacrato.   Quanti morti dobbiamo ancora aspettare prima di avere qualche risposta?   Quanto dobbiamo temere che ciò possa ripetersi nella scuola dei nostri figli?

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Psicofarmaci

Omicidio in famiglia a Milano. C’è lo psicofarmaco, ma nessuno ci bada

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La scorsa settimana un ennesimo omicidio in famiglia è stato lanciato nelle cronache nazionali.

 

A Milano è stata trovata morta nel suo salotto la 73 enne Fiorenza Rancilio. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera, il cadavere era «avvolto in un piumone bianco e in alcuni asciugamani. Una grande ferita, profonda, violentissima all’altezza della fronte. Un colpo, o forse più d’uno, sferrato con un oggetto pesante, preso dalla casa. Forse un attrezzo da palestra».

 

Il giornale di via Solferino scrive che la signora «probabilmente è stata stordita con qualche sostanza prima di essere uccisa».

 

«Lei negli ultimi tempi aveva confidato di avere paura del figlio Guido, delle sue crisi psichiatriche, di quando “impazziva e spaccava tutto”» continua il Corriere.

 

«Il 35enne Guido Augusto Gervaso Gastone Pozzolini Gobbi Rancilio è ora accusato di omicidio volontario aggravato e piantonato dai carabinieri al Policlinico. Era in cura da anni per una forma di schizofrenia. Ricoveri ripetuti, terapie psichiatriche che a volte sembravano funzionare, ma poi arrivava l’ennesima ricaduta. Lo hanno trovato in un’altra stanza, seduto. Immobile e silenzioso. Intontito dalle benzodiazepine».

 

Rara avis: leggiamo il nome di uno psicofarmaco in un caso di cronaca nera, di violenza consumatasi in casa. Come è possibile che il giornalista sappia che l’uomo era «intontito dalle benzodiazepine»? O ancora: come mai parla proprio di quelle?

 

Forse perché nel contesto specifico è difficile evitare di parlarne? Le benzodiazepine, scrive sempre il primo quotidiano nazionale, sarebbero «seminate un po’ ovunque tra l’ottavo e il nono piano al civico 6 di via Crocefisso, tra corso Italia e le Colonne di San Lorenzo». Poi l’articolo però prende tutta un’altra direzione, vuole parlarci del casato dei Rancilio, già al centro di una tragedia quando presero il fratello della vittima nel 1978 fu rapito dalla ‘Ndrangheta e ucciso in Aspromonte.

 

A noi, invece, interesserebbe più capire questa storia dell’«intontito dalle benzodiazepine», un’espressione precisa che non sembra buttata là. Le benzodiazepine: chi non le conosce, chissà in quanti armadietti del vostro condominio ci sono confezioni di Alprazolam (Xanax), Diazepam (Valium, Tranquirit), Clonazepam (Klonopin, Rivotril), Clordiazepossido (Librium), Lorazepam (Tavor, Control), Triazolam (Halcion). Gli «ansiolitici», quelli che avrebbe chiesto in carcere anche Filippo Turetta, presunto assassino patriarcale dell’anno, e non si sa se ne prendesse anche prima, quando la sua fidanzava lo spingeva ad andare dagli psicologi.

 

Fateci capire: l’articolo vuole dire che potrebbe essere che l’uomo, ora in stato di fermo, potrebbe aver ucciso sotto il loro effetto? L’accusato avrebbe ucciso da «intontito»? Oppure, quello che si vuole suggerire è che prima sarebbe avvenuta la violenza, e solo in seguito la consumazione degli psicofarmaci, con conseguente «intontimento»?

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Non è che gli altri giornali aiutino a capire meglio. «Quando gli investigatori dell’Arma sono arrivati sul posto, allertati da alcuni dipendenti dell’imprenditrice, il 35enne era seduto in un’altra stanza fermo e zitto sotto l’effetto di farmaci» scrive Il Fatto Quotidiano. Che però aggiunge che «l’uomo ha dichiarato di aver preso benzodiazepine».

 

Su Il Giorno leggiamo il verbale del medico intervenuto nell’attico: «notavo il ragazzo disteso a letto, soporoso ma risvegliabile (…) notavo altresì degli psicofarmaci sul comodino, del tipo benzodiazepine e clozapina. Tentavo di stabilire un contatto con il ragazzo che tuttavia mi rispondeva solo dicendo “viva la libertà”, sul corpo dello stesso non notavo alcun segno di lotta né macchie di sangue sui suoi indumenti».

 

L’ANSA scrive che «anche lo zio della 73enne, entrato nell’appartamento quel mattino, ha descritto così la scena: “Nel salone era presente il figlio Guido, che girava intorno al corpo riferendo parole incomprensibili, farfugliando”».

 

Quindi, gli elementi parrebbero essere due: 1) il soggetto è un caso psichiatrico; 2) il soggetto assumeva droghe psichiatriche.

 

L’ANSA riferisce che secondo il PM il movente, «con elevata probabilità razionale, è da individuare nei rapporti esistenti tra madre e figlio, rovinati dalla patologia sofferta dall’indagato». L’articolo titola proprio «il movente è nella patologia del figlio».

 

L’idea che a rendere violento il soggetto accusato siano le psicodroghe che avrebbe consumato pare non venire in mente a nessuno, né ai giornalisti, né ai medici né alle autorità.

 

Siamo alle solite, dirà il lettore di Renovatio 21. Sì, proprio così: e questa volta sono coinvolte sostanze psichiatriche già note per creare stati di dipendenza tali che esistono in Italia centri specializzati solo nel curare la cosiddetta BZD dependence, che è pure contenuta nella manuale diagnostico DSM-IV.

 

Alcuni sintomi di astinenza che possono comparire includono ansia, umore depresso, depersonalizzazione, derealizzazione, disturbi del sonno, ipersensibilità al tatto e al dolore, tremore, tremore, dolori muscolari, dolori, contrazioni e mal di testa. «La dipendenza e l’astinenza da benzodiazepine sono state associate a suicidio e comportamenti autolesionistici, soprattutto nei giovani, scrive un documento britannico del 2009 contenente le linee guida per l’uso delle sostanze.

 

Anche qui, come già con gli psicofarmaci SSRI, dove l’ideazione suicidiaria come effetto collaterale è segnata in evidenza nel bugiardino, non si capisce come sia possibile che nessuno si chieda se, oltre a progettare di distruggere se stessi, tali sostanze non portino a programmare anche la distruzione di altri, magari proprio coloro che sono più vicini al proprio sé – famigliari, fidanzati, coniugi, amici, compagni.

 

Non che il fenomeno non si stato discusso negli anni

 

In un discorso ad una conferenza del 2000, il professor Heather Ashton, autore dello studio «Benzodiazepines: The Still Unfinished Story» (British Medical Journal, vol 288, 14 aprile 1984) sosteneva che «come l’alcol, le benzodiazepine possono occasionalmente causare una stimolazione apparentemente paradossale con aumento di aggressività, rabbia, violenza e comportamento antisociale. Le benzodiazepine sono state collegate al “picchiare i bambini’, “picchiare la moglie” e “picchiare la nonna”. In modo meno drammatico, aumenta l’irritabilità e l’atteggiamento polemico è spesso sottolineato dai pazienti che assumono benzodiazepine a lungo termine e dalle loro famiglie. Si ritiene che questi effetti derivino dalla disinibizione del comportamento solitamente controllato».

 

L’edizione 2001 del British National Formulary, il testo farmaceutico di riferimento del Regno Unito, scriveva che «n aumento paradossale dell’ostilità e dell’aggressività può essere riportato dai pazienti che assumono benzodiazepine. Gli effetti vanno dalla loquacità ed eccitazione ad atti aggressivi e antisociali». «Il comportamento aggressivo verso se stessi e gli altri può essere accelerato» scriveva una scheda tecnica di una farmaceutica relativa al Diazepam nel 1991.

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Vi è, ovviamente, una strage scolastica americana basata su benzodiazepine: «James Wilson aveva preso Xanax prima di entrare alla Oakland Elementary School di Greenwood, Carolina del Sud, il 26 settembre 1988. Sparò e uccise due bambine di otto anni e ferì altri sette bambini e due insegnanti» scrive USA Today Magazine del 1° maggio 1994.

 

Di più: c’è un caso di importanza colossale che sembra aver avuto dietro di se le benzo. Il 30 marzo 1981 John Hinckley, Jr., tentò di assassinare il presidente Ronald Reagan: alcuni ipotizzarono si trattasse di rabbia indotta dal Valium, dice lo stesso vecchio articolo di USA Today, che all’epoca si permetteva di andare a briglia sciolta: «Nel 1970, un libro di testo sugli effetti collaterali degli psicofarmaci aveva già sottolineato il loro potenziale di violenza. “In effetti, anche atti di violenza come l’omicidio e il suicidio sono stati attribuiti alle reazioni di rabbia indotte dal clordiazepossido e dal diazepam».

 

«Secondo uno studio del 1984, “Rabbia estrema e comportamento ostile sono emersi in otto dei primi 80 pazienti trattati con alprazolam [Xanax]. Le risposte consistevano in aggressioni fisiche da parte di due pazienti, comportamenti potenzialmente pericolosi per gli altri da parte di altri due, e aggressioni verbali e scoppi d’ira dei restanti quattro”. Una donna che non aveva precedenti di violenza prima di prendere lo Xanax “è scoppiata in urla al quarto giorno di trattamento con alprazolam e ha tenuto un coltello da bistecca alla gola di sua madre per alcuni minuti”».

 

«Il team canadese che ha studiato la connessione tra aggressività e psicofarmaci nella popolazione carceraria ha affermato che, tra tutte le classi, gli ansiolitici sembravano essere i più implicati, con un numero di atti di aggressione 3,6 volte superiore a quelli verificatisi quando i detenuti assumevano questi farmaci. ‘”Considerando che certamente non tutte le personalità aggressive sono in carcere, che anche le frustrazioni abbondano nella società e che il diazepam [Valium] è il farmaco più prescritto negli Stati Uniti insieme al clordiazepossido [Librium] il terzo, le implicazioni della combinazione di anti- gli agenti di ansia e l’aggressività sono sorprendenti”» continua il giornale statunitense.

 

Forse si trattava di un’altra epoca: sono passati trent’anni, nei quali Big Pharma ha fatturato centinaia di miliardi, forse trilioni di dollari, e ha stretto la sua morsa su qualsiasi cosa – giornali, politici, classe medica, regolatori – a suon di bigliettoni. Studi degli anni 2010 su benzodiazepine e violenza concludono che la relazione è tenue, o è da indagare ulteriormente, o proprio non c’è. Insomma: nessuna correlazione. On connait la chanson...

 

I miliardi farmaceutici hanno prodotto, e distribuito, il farmaco più potente: l’oblio.

 

Quelle che erano evidenze scientifiche e di cronaca ora non vengono più tenute in considerazione, neanche in flagranza di delitto.

 

Fate un piccolo esperimento: se avessero trovato cocaina, nel lussuoso appartamento, cosa si sarebbe pensato? Quali sarebbero stati i titoli del giornale?

 

La differenza, davvero, dove sta? La cocaina, come le benzodiazepine, è una sostanza psicotropa – è uno psicofarmaco. Però la cocaina non te la prescrive (almeno, non ancora) il medico, e dietro non ha cartelli ultrapotenti con lobbyisti e avvocati: sappiamo che i cartelli della droga messicani e colombiani hanno probabilmente fatto meno morti in USA del cartello degli oppioidi legali di Big Pharma.

 

Finché nessuno riuscirà ad abbattere questo muro, siamo condannati a vedere storie come questa: nessuno che ipotizza un ruolo della psicodroga nell’esplosione di violenza, anche quando il sangue è ancora fresco, lì accanto a fialette e blister.

 

E a vergognarci dell’intero sistema, incapace di porsi le domande più basilari, domande che forse possono salvare la vita di tanti innocenti.

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