Economia
Fitch: l’anno prossimo il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari
Il conflitto in Medio Oriente minaccia di interrompere l’approvvigionamento di petrolio e di conseguenza di danneggiare la crescita economica globale nel 2024, ha avvertito Fitch Ratings.
In un rapporto di venerdì, l’agenzia ha delineato uno scenario potenziale con prezzi del petrolio più alti del previsto, che dovrebbero frenare la crescita del PIL mondiale di 0,4 punti percentuali l’anno prossimo.
Le precedenti previsioni di Fitch suggerivano che il petrolio avrebbe raggiunto una media di 75 dollari al barile nel 2024 e di 70 dollari nel 2025. Tuttavia, il conflitto in Medio Oriente ha cambiato tutto ciò. «Il nostro scenario presuppone che, a causa delle restrizioni sull’offerta, i prezzi del petrolio siano in media di 120 dollari al barile nel 2024 e di 100 dollari al barile nel 2025», ha aggiunto la società di rating statunitense.
«Un aumento dei prezzi del petrolio frenerebbe la crescita del Pil in quasi tutte le economie Fitch 20, anche se l’impatto si dissiperebbe in gran parte nel 2025», ha scritto Fitch, osservando che la crescita negli Stati Uniti, nell’Eurozona e in Giappone diminuirebbe di 0,5 punti percentuali nel 2025.
Si è inoltre ipotizzato che gli impatti maggiori tra i principali paesi dei mercati emergenti si sarebbero verificati in Sud Africa e Turchia.
«La Russia, e in misura molto minore il Brasile, vedrebbero un impatto positivo a causa dell’importante ruolo della produzione petrolifera in queste economie», osserva il rapporto.
Secondo l’agenzia di rating, l’aumento dei prezzi del petrolio porterebbe a tassi di inflazione più alti del previsto nel 2024, seguiti da correzioni nel 2025. L’impatto sull’inflazione sarebbe di breve durata e in parte compensato da tassi di inflazione inferiori alle previsioni nel 2025.
«Uno shock del prezzo del petrolio legato al conflitto in Medio Oriente potrebbe essere accompagnato da condizioni finanziarie più restrittive, da una minore fiducia delle imprese e dei consumatori e da correzioni nei mercati finanziari», ha concluso Fitch.
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Come riportato da Renovatio 21, i prezzi mondiali del petrolio hanno registrato un massiccio aumento trimestre su trimestre di quasi il 30% nel periodo luglio-settembre di quest’anno, poiché l’offerta è limitata a causa dei tagli alla produzione concordati dall’OPEC e dai suoi alleati, guidati dalla Russia.
Tre mesi fa la banca d’affari Goldman Sachs ha previsto per il petrolio la domanda «più alta di tutti i tempi». Due mesi prima aveva previsto un imminente aumento del prezzo del greggio, con stime di superamento dei 100 dollari al barile entro l’anno.
Gli USA quest’anno hanno quindi sostituito la Russia come principale fornitore di petrolio alla UE, che ha rinunciato anche alle importazioni del petrolio venezuelano.
Ciononostante, si prevede che la Russia supererà l’Arabia Saudita come il più grande produttore di petrolio OPEC +.
Il caos sul tetto al prezzo dell’oro nero piazzato da Bruxelles ha creato caos con petroliere occidentali bloccate sul Bosforo. Il paradosso grottesco dell’ora presente vuole che i Paesi occidentali stiano in qualche modo continuando ad acquistare petrolio e gas russi.
Grazie alle sanzioni occidentali, il petrolio sta divenendo anche la leva per la de-dollarizzazione globale, con vari Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, che hanno iniziato a commerciare in altre valute. Pakistan, India, Emirati Arabi hanno eseguito transazioni per il petrolio in yuan o perfino in rupie.
Come riportato da Renovatio 21, la Francia sei mesi fa ha comperato 65 mila tonnellate di gas liquefatto da Pechino pagando in yuan.
L’escalation della guerra in Medio Oriente, con l’inclusione di altri attori regionali come l’Iran, potrebbe fungere da volano per un prossimo aumento vertiginoso del prezzo del petrolio, con ulteriore crisi energetica e finanziaria globale.
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Economia
Gli investimenti esteri nell’UE sono «spaventosamente» bassi
L’UE sta diventando progressivamente meno attraente per gli investitori stranieri. Lo riporta Euractiv. La testata ha citato gli elevati prezzi dell’energia e l’aumento della spesa militare tra i fattori che erodono la competitività economica dell’Unione.
Secondo Euractiv, «la crescita dell’UE è spaventosamente lenta; la domanda è terribilmente debole; e gli investimenti esteri sono al minimo spaventoso degli ultimi nove anni». Le aziende di tutta l’Unione stanno lottando contro gli elevati prezzi dell’energia, i dazi statunitensi e la concorrenza della Cina, mentre i cittadini comuni, gravati da salari stagnanti e incertezza geopolitica, sono riluttanti a spendere i propri risparmi, ha scritto la testata europea sabato scorso.
«La paura dell’abbandono militare da parte della Russia e degli Stati Uniti ha innescato un’impennata delle spese militari» nell’UE, ha aggiunto. Mosca, nel frattempo, ha ripetutamente negato di nutrire piani aggressivi nei confronti dei suoi vicini occidentali.
«C’è la sensazione che le cose stiano andando male, che stiamo perdendo la nostra prosperità», ha detto a Euractiv Philipp Lausberg, analista senior dell’European Policy Center.
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A maggio l’agenzia Reuters, citando i dati del gruppo di servizi professionali EY, ha riferito che gli investimenti diretti esteri in Europa sono diminuiti per il secondo anno consecutivo nel 2024, raggiungendo il livello più basso degli ultimi nove anni.
A seguito dell’escalation del conflitto in Ucraina nel febbraio 2022, la maggior parte dei paesi dell’UE ha sospeso le importazioni dirette di petrolio e gas russi. Il mese scorso, il Consiglio europeo ha concordato la sua posizione negoziale in merito a una proposta che imporrebbe un divieto totale sulle importazioni di energia dalla Russia a partire dal 1° gennaio 2028.
A luglio, Bruxelles e Washington hanno raggiunto un accordo commerciale che prevedeva l’impegno dell’UE a sostituire il petrolio e il gas russi con le importazioni di energia dagli Stati Uniti.
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Immagine di Trougnouf (Benoit Brummer) via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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