Geopolitica
Erdogan rischia di perdere la sponda in Kazakistan
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Ankara aveva puntato molto in questi anni su Nursultan, non solo da un punto di vista economico. Il regime di Nazarbaev aveva allontanato il Paese dall’influenza russa, favorendo la creazione di una identità nazionale sicuramente più vicina alla sensibilità turca. Ora il ricorso alle truppe del CSTO apre l’ennesimo test sui rapporti di forza reali con Mosca.
C’è un Paese che ha seguito con particolare attenzione lo sviluppo delle proteste in Kazakistan ed è la Turchia. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, è stato uno dei primi a telefonare all’omologo kazako Qasym-Jomart Tokaev per esprimergli vicinanza.
Pochi giorni dopo, il parlamento turco ha approvato una dichiarazione congiunta di solidarietà con il popolo kazako. Una volta tanto, cosa strana per Ankara, il documento è stato votato da tutti i partiti presenti nell’assemblea, tranne l’HDP, il Partito curdo dei popoli democratici.
Il regime di Nazarbaev aveva allontanato il Paese dall’influenza russa, favorendo la creazione di una identità nazionale sicuramente più vicina alla sensibilità turca
Non solo. La Mezzaluna ha anche convocato una video call con i Paesi che fanno parte dell’Organization of Turkic States, fondata nel 2009, e della quale fanno parte gli Stati moralmente membri di quell’ideale grande nazione panturca, con in comune legami linguistici e religiosi. Si tratta di un’organizzazione molto meno potente del CSTO, ma che negli ultimi anni è stata in grado di creare sinergie fra i Paesi che ne fanno parte, quindi Turchia, Kazakistan, Azerbaigian e Kirghizistan. Il grande regista della sua nascita era stato, oltre a Erdoğan, anche Nursultan Nazarbaev, l’ex presidente, di fatto un padre padrone, che ha guidato il Kazakistan dal 1990 al 2019 e che sembra sempre di più il bersaglio principale delle rivolte che sono scoppiate nel Paese.
Per la Turchia il Kazakistan è un partner importante. L’interscambio commerciale fra i due Paesi ha da tempo superato i 2 miliardi di dollari. Se Ankara importa soprattutto risorse energetiche e materie prime minerarie, ricambia con prodotti tessili e soprattutto agricoli, di cui il Kazakistan ha assolutamente bisogno. Ma, oltre alla componente economica, c’è anche quella geopolitica.
La Turchia ha sostenuto la candidatura kazaka per aderire alla World Trade Organization. Gli investimenti stranieri di Ankara in Kazakistan sono aumentati, con una connotazione ben precisa. Se da una parte sono state privilegiate le infrastrutture, dall’altra la Turchia ha puntato sui legami religiosi. La moschea inaugurata nel 2015 da Erdoğan e Nazarbaev, è gestita dalla Diyanet, l’Autorità per gli Affari religiosi turca.
Quello fra i due capi di Stato, insomma, era un rapporto privilegiato, che negli ultimi 15 anni ha aiutato e non poco la Turchia ad ampliare la sua influenza in tutta la regione, erodendo, anche se solo in parte, l’influenza della Russia.
La brutta notizia, per Erdoğan, è che le rivolte di questi giorni hanno reso Nazarbaev molto più debole, con tutte le conseguenze del caso
La brutta notizia, per Erdoğan, è che le rivolte di questi giorni hanno reso Nazarbaev molto più debole, con tutte le conseguenze del caso.
«Il regime di Nazarbaev – spiegano ad AsiaNews fonti accademiche a Nursultan che hanno chiesto di rimanere anonime -, pur con tutti i limiti del caso aveva portato alla costruzione di un Kazakistan il più lontano possibile dall’influenza russa, favorendo la creazione di una identità nazionale sicuramente più vicina alla sensibilità turca».
Erdoğan ha fiutato l’opportunità, ma adesso che gli assetti nel Paese stanno cambiando, si trova nella situazione di dover mantenere le posizioni conquistate in questi anni e potrebbe non riuscirci. Dall’altra parte, c’è il presidente russo, Vladimir Putin, sulla carta un alleato forte della Turchia, ma in realtà le tensioni striscianti sono tante.
«l fatto che Tokayev si sia rivolto al CSTO – spiega ad AsiaNews Alex Dubowy, esperto di Asia Centrale all’Università di Vienna – significa che ha bisogno dell’aiuto della Russia come stato garante della stabilità del Paese. Va sottolineato che, a differenza delle repubbliche confinanti, il Kazakistan ha sempre mantenuto ottimi rapporti sia con l’Occidente sia con la Cina e ha goduto di un relativo assetto interno stabile al netto del grave deterioramento dei diritti e della condizione economica della popolazione. Fare appello al CSTO significa accettare di avere la Russia che interviene negli affari interni dello Stato fino a poterli influenzare».
Dall’altra parte, c’è il presidente russo, Vladimir Putin, sulla carta un alleato forte della Turchia, ma in realtà le tensioni striscianti sono tante
Il presidente turco, quindi, rischia di dover ricominciare da capo, con l’aggravante che non solo la Russia è determinata a sfruttare al meglio la situazione corrente.
Il matrimonio di convenienza fra Ankara e Mosca va avanti ad alti e bassi e se da una parte Turchia e Russia hanno troppi interessi in comune per litigare, dall’altra, nei teatri in cui sono presenti, sono spesso in contrasto o impegnate a limitare le influenze reciproche, come nel caso del Caucaso, della Siria e della Libia.
Le rivolte in Kazakistan hanno motivi puramente interni, ma rischiano di rappresentare l’ennesimo test per i rapporti di forza.
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Geopolitica
Per gli USA ora la normalizzazione delle relazioni con la Russia è un «interesse fondamentale»
Gli Stati Uniti hanno indicato il rilancio dei rapporti normali con la Russia e l’interruzione rapida della guerra in Ucraina come priorità assolute nella loro nuova Strategia per la sicurezza nazionale, diffusa venerdì dalla Casa Bianca, ponendoli tra gli obiettivi cardine per gli interessi americani.
Il documento di 33 pagine delinea la prospettiva di politica estera delineata dal presidente Donald Trump, affermando che «è un interesse essenziale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina», al fine di «stabilizzare le economie europee, scongiurare un’escalation o un allargamento imprevisto del conflitto e ricostruire la stabilità strategica con la Russia».
Si evidenzia come il conflitto ucraino abbia «profondamente indebolito le relazioni europee con la Russia», minando l’equilibrio regionale.
Il testo rimprovera i dirigenti europei per le «aspettative irrealistiche» sull’evoluzione della guerra, precisando che «la maggioranza degli europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle politiche adottate».
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Washington, prosegue il rapporto, è disposta a un «impegno diplomatico sostanziale» per «supportare l’Europa nel correggere la sua rotta attuale», reinstaurare l’equilibrio e «ridurre il pericolo di scontri tra la Russia e gli Stati europei».
A differenza della strategia del primo mandato di Trump, che accentuava la rivalità con Russia e Cina, la versione attuale sposta l’asse sull’emisfero occidentale e sulla tutela del suolo patrio, dei confini e delle priorità regionali. Esorta a riallocare le risorse dai fronti remoti verso minacce più immediate e invita la NATO e i Paesi europei a farsi carico in prima persona della propria sicurezza.
Il documento invoca inoltre l’arresto dell’espansione della NATO, una pretesa a lungo avanzata da Mosca, che la indica come una delle ragioni principali del conflitto ucraino, interpretato come una guerra per interposta persona orchestrata dall’Occidente.
In sintesi, la strategia segna un passaggio dall’interventismo universale a un approccio estero più pragmatico e contrattuale, sostenendo che gli Stati Uniti debbano intervenire oltre i propri confini solo quando gli interessi nazionali sono direttamente coinvolti.
Si tratta del primo di una sequenza di rilevanti atti su difesa e politica estera che l’amministrazione Trump si accinge a emanare, tra cui una Strategia di Difesa Nazionale rivista, la Revisione della Difesa Missilistica e la Revisione della Postura Nucleare, tutti attesi in linea con l’impostazione del documento.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Israele potrebbe iniziare a deportare gli ucraini
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Arte
Quattro Stati UE boicotteranno l’Eurovision 2026 a causa della partecipazione di Israele
Spagna, Irlanda, Slovenia e Paesi Bassi hanno annunciato il boicottaggio del prossimo Eurovision Song Contest in seguito alla conferma della partecipazione di Israele. All’inizio del 2025 diverse emittenti avevano chiesto all’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), organizzatrice dell’evento, di escludere Israele accusandolo di brogli nel voto e per il conflitto in corso a Gaza.
L’ultima tregua, mediata dagli Stati Uniti, avrebbe dovuto porre fine ai combattimenti e permettere l’arrivo di aiuti umanitari nell’enclave, ma da quando è entrata in vigore gli attacchi israeliani hanno causato 366 morti, secondo il ministero della Salute di Gaza.
Il tutto si inserisce in un anno di escalation iniziato con l’offensiva israeliana lanciata in risposta all’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, che provocò 1.200 morti e il rapimento di 250 ostaggi. Da allora, secondo le autorità sanitarie locali, l’operazione militare israeliana ha ucciso oltre 70.000 palestinesi.
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Le decisioni di ritiro sono arrivate giovedì, subito dopo l’approvazione da parte dell’EBU di nuove regole di voto più rigide, varate in risposta alle accuse di diverse emittenti europee secondo cui l’edizione 2025 era stata manipolata a favore del concorrente israeliano.
Poche ore più tardi l’emittente olandese AVROTROS ha comunicato l’addio al concorso: «La violazione di valori universali come l’umanità, la libertà di stampa e l’interferenza politica registrata nella precedente edizione dell’Eurovision Song Contest ha oltrepassato un limite per noi».
L’emittente irlandese RTÉ ha giustificato la propria scelta con «la terribile perdita di vite umane a Gaza», la crisi umanitaria in corso e la repressione della libertà di stampa da parte di Israele, annunciando anche che non trasmetterà l’evento.
Anche la televisione pubblica slovena RTVSLO ha confermato il ritiro: «Non possiamo condividere il palco con il rappresentante di un Paese che ha causato il genocidio dei palestinesi a Gaza», ha dichiarato la direttrice Ksenija Horvat.
Successivamente è arrivata la decisione della spagnola RTVE, che insieme ad altre sette emittenti aveva chiesto un voto segreto sull’ammissione di Israele. Respinta la proposta dall’EBU, RTVE ha commentato: «Questa decisione accresce la nostra sfiducia nell’organizzazione del concorso e conferma la pressione politica che lo circonda».
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Per far fronte alle polemiche, gli organizzatori dell’Eurovision hanno introdotto nuove misure anti-interferenza: limiti al televoto del pubblico, regole più severe sulla promozione dei brani, rafforzamento della sicurezza e ripristino delle giurie nazionali già nelle semifinali.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa arrivò in finale all’Eurovisione una sedicente «strega» non binaria che dichiarò di aver come scopo il «far aderire tutti alla stregoneria».
Vi furono polemiche quattro anni fa quando la Romania accusò che l’organizzazione ha cambiato il voto per far vincere l’Ucraina.
Due anni fa un’altra vincitrice ucraina dell’Eurovision fu inserita nella lista dei ricercati di Mosca.
Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha lanciato un’«alternativa morale» all’Eurovision, che secondo il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov sarà «senza perversioni».
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Immagine di David Jones via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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