Internet
È iniziata la guerra alle infrastrutture. Preparatevi a perdere internet
Mentre scrivo gran parte dell’Ucraina potrebbe essere al buio.
Il diluvio di missili Kalibr (e droni kamikaze iraniani, e chissà cos’altro) ha colpito centrali energetiche in tutta l’Ucraina, dall’Est all’Ovest, dal Nord al Sud, con una dose extra nella capitale Kiev e nella seconda maggiore città Kharkov – le città in cui, secondo noi, a breve vedremo i tank, ma questo è un altro discorso.
Dunque: la risposta di Mosca al bombardamento del ponte di Crimea (con relativi video di Marylin Monroe che canta «Happy Birthday Mr. President» nel giorno del compleanno di Putin) è una fase completamente nuova della guerra: quella in cui l’obiettivo dei russi si sposta dai militari e dalle bande neonaziste alle infrastrutture civili, che perfino il New York Times aveva notato settimane fa come bizzarramente non fossero state sinora toccate, cosa che aveva sconvolto «gli analisti» – i quali, come i loro amici giornalisti, o mentono o non ci arrivano.
Pazienza, ora la guerra è cambiata di fase, completamente. E c’è comunque da rallegrarsi: l’escalation, se mai si può dire, sta mostrando ancora segni di civiltà, perché non sta bombardando indiscriminatamente la popolazione; chi ricorda Baghdad o l’Afghanistan rammenta ben altro.
2003: Operation “Shock and Awe” over Iraq’s capital city, 31 countries from the “free world” took part.
Understand this, Putin is holding back in Kiev #Kyiv pic.twitter.com/mdPTqzaPg6
— Syrian Girl ???????????? (@Partisangirl) October 10, 2022
Tuttavia, è impossibile non rimanere basiti davanti a morfologia e magnitudine (peraltro non ancora completa) della guerra del XXI secolo.
Il generale Surovikin, appena nominato, ha dichiarato che «per i nemici della Russia la giornata non inizia con il caffè». Il colonnello Kilgore, quello di Apocalypse Now che dichiarava di amare l’odore del napalm al mattino, si deve nascondere. E questo non è un film: le conseguenze delle azioni di Kiev – e di quelle dei nostri governi occidentali – ora cominciano a doversi pagare davvero.
Una piccola parentesi sul detonatore di questa catastrofe missilistica: siccome gli ucraini, per quanto ricchi di nazi-fanatici, non dispongono ancora di terroristi suicidi, e siccome nessun amicone della Silicon Valley ha fornito un camion a guida automatica che attraversasse il ponte per poi esplodere, era chiaro fin dal principio che gli ucraini hanno utilizzato un povero camionista inconsapevole, che hanno sacrificato senza alcuna pietà. In rete oramai si fa anche il suo nome, che sa di famiglia musulmana russa.
Un uomo ammazzato perché il governo di Kiev potesse fare sfottò a Putin nel giorno del suo compleanno: solo questo vi dà la proporzione di cosa è il regime Zelens’kyj. Ma tranquilli, nessuno vi farà caso, nessun servizio TV straziante sulla famiglia del disgraziato ingannato assassinato dagli agenti di Kiev. Del resto era già successo: quando ammazzarono un loro stesso negoziatore (e una lunga serie di sindaci di piccoli comuni) fummo gli unici a rimanere allibiti, perché a giornali e politici venduti non interessava nulla, perfino quando Kiev calava la maschera per far vedere il muso da belva sanguinaria. Stesso dicasi per i video di tortura e di crimini di guerra, per le telefonate alle mamme dei soldati russi morti per prenderle in giro… Nessuna barbarie, anche quando ci ha la svastica ben tatuata sopra, ha trovato eco nell’Occidente corrotto.
Tuttavia non è solo delle 20 città martellate dai missili russi che voglio parlarvi.
Ritengo che vi sia un altro evento fondamentale accaduto nelle ultime ore. E fuori dall’Ucraina.
Un grande cavo sottomarino da 600 megawatt che porta energia svedese in Polonia è andato in blackout. Era in riparazione da un mese, ma ora si parla di un «problema tecnico» che ha causato un altra interruzione di corrente.
La linea elettrica attraversa i gasdotti Nord Stream danneggiati sotto il Mar Baltico ed era stata controllata la scorsa settimana da operatori di rete polacchi e svedesi, risultando intatta.
Ora, i messaggi che vengono dalle aziende energetiche sono rassicuranti: «l’interruzione non sarebbe dovuta a un guasto al cavo stesso, ma perché erano stati scoperti bassi livelli di olio in una sottostazione in Svezia» ha detto un portavoce dell’operatore svedese della rete elettrica Svenska Kraftnat riportato da Reuters.
Niente sabotaggio, qui. Nulla da vedere. Circolare.
La realtà è che, in caso, sapremmo bene di cosa si potrebbe trattare, e perfino ipotizzare chi potrebbe essere stato.
Ripetiamo: l’Ucraina è al buio, con la sua industria energetica colpita da centinaia di missili in tutto il territorio nazionale. Quindi, la notizia che ha cominciato a girare a mezzogiorno, secondo cui la Polonia non passava più energia elettrica all’Ucraina, assume un certo significato.
Tra le 17 e le 18, ecco l’altra notizia rilevante, data dallo stesso ministro ucraino dell’Energia: l’Ucraina cessa di esportare elettricità verso l’Unione Europea a partire da domani 11 ottobre.
Avete capito: la dimensione della guerra ora è l’energia, è l’infrastruttura. È un cambio radicale. Anche perché la guerra non riguarda, lo sappiamo, solo l’Ucraina. Riguarda tutti noi: l’attacco al Nord Stream lo dimostra.
È una guerra di infrastrutture, che supera i confini. Preme dunque cominciare a pensare come potrà evolvere, prima che passare ulteriormente di fase e focalizzarsi sulla distruzione degli esseri umani, divenendo un massacro «ceceno» o poco più avanti un olocausto termonucleare.
La guerra alle infrastrutture è la guerra a ciò su cui è basata la civiltà moderna: l’elettricità. Il blackout del nemico, e della sua popolazione, è ideale per piegarne la volontà.
Secondariamente, altra sostanza che rende possibile il mondo moderno: il combustibile. Senza trasporti, e senza riscaldamento, e senza la quota di produzione elettrica derivata dagli idrocarburi, la società non può che implodere, in una regressione di secoli che non è in alcun modo sostenibile.
Notate come entrambe queste cose siano attualmente sul piatto, e non solo in Ucraina.
Ci è chiaro dunque che dobbiamo aspettarci ulteriori attacchi per generare blackout o stalli del sistema: è in questo ambito che finalmente sarà possibile vedere all’opera le armi cibernetiche di Stato, delle cui portata distruttiva abbiamo avuto solo assaggi come l’operazione Olympic Games – Stuxnet: Israele e USA contro il programma dell’arrichimento dell’uranio iraniano, con conseguente fuga del virus e pandemia informatica globale, stile Wuhano insomma – e poco altro arrivato sui giornali.
Cosa possono fari le armi cibernetiche? Tutto: possono mandare via la luce, aprire le dighe, sabotare le condutture, perfino (è capitato in Turchia) muovere torrette e cannoncini e chissà cos’altro.
Sappiamo che la NATO riguardo alla guerra cibernetica sta esercitandosi e includendo nuovi partner come la Corea del Sud. Sappiamo altresì che qualcuno spinge per un’estensione dell’articolo 5 che considererebbe anche un attacco hacker un motivo per un contrattacco di tutte le forze NATO.
Tuttavia, nella guerra di infrastruttura, forse prima dell’attacco elettronico potrebbero procede con qualcosa di più fisico, e al contempo, devastante per l’intero sistema.
Non ci giriamo intorno: se ora si possono attaccare gasdotti e fors’anche cavi elettrici sottomarini, ci chiediamo quanta vita potranno avere ancora i cavi oceanici che fanno da dorsale globale di internet. Non è difficile tagliarli: di sommergibili tranciacavi in giro ce ne sono un po’.
La rete mondiale collasserebbe: potrebbe non sparire, grazie a qualche ridondanza possibile, come le triangolazioni con altri cavi, e qualcosa del traffico che passa attraverso i vecchi satelliti, ma l’intero sistema telematico globale andrebbe KO, e con esso, l’economia di milioni di aziende, di banche, di amministrazioni, ospedali… in pratica interi Paesi sarebbero messi in ginocchio.
Qualcuno dice che ci sono gli Starlink di Elon Musk, satelliti di ultima generazione che forniscono alla superficie terrestre una banda internet eccezionale, ben lontana dal lag dei satelliti internet tradizionali, che mai potrebbero tenere in piedi il traffico di un mondo senza cavi sottomarini. Ebbene, chi legge Renovatio 21 sa come cinesi e russi in realtà già abbiamo fatto capire di volerli tirare giù. Il Musk, poi, ci ha messo del suo: prima li ha forniti gratis agli ucraini, che li hanno usati ovunque (si narra che i miliziani Azov rintanati ad Azovstal si guardassero YouTube…) e soprattutto al fronte. Poi, la settimana scorsa, ha fatto la mossa di dichiarare che sarebbe meglio la pace, attirandosi dietro l’odio di Zelens’kyj, dei suoi pupari e delle masse social con profilo gialloblù.
Non è finita: parrebbe ora che Starlink abbia in Ucraina un problema di interruzioni di segnale che sta mettendo in difficoltà l’esercito di Kiev, e il deputato repubblicano RINO (cioè, di quelli che odiano Trump perché prosperano tra i mostri della palude di Washington) sta già accusando velatamente Musk, che andrà investigato, dice, perché questa è questione di sicurezza nazionale (ucraina o americana?)
Evidently the Starlink system is down over the front lines of Ukraine. @elonmusk should make a statement about this, or, this should be investigated. This is a national security issue
— Adam Kinzinger #fella (@AdamKinzinger) October 7, 2022
La questione è: anche il capolavoro spaziale di Musk può essere colpito: e da tutti. E non solo con armi ASAT (antisatellite), ma anche con inchieste e manette.
No. Non ci sarebbe modo di sopravvivere ad un attacco all’infrastruttura del web. Anche qui: regressione di decenni alla vita pre-www, che nessuno però ha presente oggi come si potrebbe vivere,
E quindi?
Quindi preparatevi a perdere internet. Questo sito compreso.
Niente: siamo costretti, finalmente, a riconoscere la fragilità della Civiltà, che è un frutto complesso e meraviglioso, che per generazioni abbiamo dato per scontato, quando invece basta davvero poco perché ci sia tolta per sempre.
L’elettricità può sparire. Internet può sparire. La società può crollare. Così, in un batter d’occhi.
Noi ve lo ripetiamo sempre. Per noi è certo che l’obiettivo sia proprio quello.
I processi deindustrializzazione, infantilizzazione e demascolizzazione inflitti da anni alle nazioni terrestri servivano a questo: a preparare una società incapace di sopravvivere alla luce che non si accende. A preparare un’umanità pronta ad essere sottomessa e sterminata.
Ora, potete evitare di crederci. Non sappiamo però quanto a lungo potrete continuare a farlo.
Roberto Dal Bosco
Immagine screenshot da YouTube
Geopolitica
Elon Musk chiede l’abolizione dell’UE «Quarto Reich»
Il magnate Elon Musk ha invocato lo scioglimento dell’Unione Europea dopo che Bruxelles ha sanzionato la sua piattaforma social X con una multa.
Venerdì, la Commissione Europea ha comminato a X una penalità di 120 milioni di euro per «violazione degli obblighi di trasparenza» sanciti dal Digital Services Act (DSA) del 2022, che definisce i criteri per la responsabilità e la moderazione dei contenuti online. La decisione ha giudicato «ingannevole» il meccanismo della spunta blu su X, censurando inoltre la scarsa chiarezza nella gestione pubblicitaria e il diniego di accesso ai dati richiesti per gli studiosi.
In una raffica di messaggi diffusi sabato, Musk – che abitualmente denuncia l’iper-regolamentazione imposta da Bruxelles – ha asserito che «la burocrazia dell’UE sta lentamente soffocando l’Europa fino alla morte».
The tyrannical, unelected bureaucracy oppressing the people of Europe are in the second picture https://t.co/j6CFFbajJa
— Elon Musk (@elonmusk) December 7, 2025
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«L’UE dovrebbe essere abolita e la sovranità restituita ai singoli Stati, affinché i governi possano rappresentare al meglio i loro cittadini», ha postato Musk, bollato il blocco come «un mostro burocratico».
L’imprenditore, a capo anche di Tesla e SpaceX, aveva già in passato etichettato l’UE come una «gigantesca cattedrale della burocrazia», sostenendo che l’eccesso di norme freni l’innovazione.
Il segretario di Stato statunitense Marco Rubio ha aspramente condannato la sanzione, qualificandola come «un attacco a tutte le piattaforme tech americane e al popolo americano da parte di governi stranieri». Il vicepresidente USA JD Vance ha rincarato la dose, accusando l’UE di aver preso di mira X perché «non si è prestata alla censura».
Anche l’ambasciatore americano presso l’UE Andrew Puzder ha stigmatizzato l’iniziativa, dichiarando che Washington «si oppone alla censura e contesterà le normative oppressive che colpiscono le imprese USA all’estero».
Henna Virkkunen, vicepresidente esecutiva della Commissione per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, ha giustificato la multa affermando che «ingannare gli utenti con spunte blu fasulle, occultare dati nelle inserzioni e negare l’accesso ai ricercatori non è tollerabile online nell’UE».
Il ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski ha replicato all’uscita di Musk con ironia: «Vai su Marte. Lì non c’è censura sui saluti nazisti», alludendo alle polemiche su un presunto gesto estremo compiuto dall’imprenditore durante le celebrazioni per l’insediamento del presidente USA Donald Trump a gennaio 2025.
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Successivamente Musk ha equiparato l’Unione Europea a una reincarnazione della Germania nazista, dopo che il blocco ha irrogato una pesante sanzione alla sua piattaforma social X.
Nel fine settimana Elone ha scaricato una raffica di post incendiari contro Bruxelles, in reazione alla multa da circa 120 milioni di euro comminata a X per aver «violato i suoi obblighi di trasparenza» in base al DSA. La Commissione europea ha contestato la scarsa chiarezza nella gestione pubblicitaria della piattaforma e la natura fuorviante del suo sistema di «account verificato» contrassegnato dalla spunta blu.
Musk ha rilanciato un post recante la dicitura «Il Quarto Reich», illustrato da un’immagine in cui la bandiera UE si solleva scoprendo quella della Germania nazista. «Più o meno», ha commentato l’imprenditore. Il contenuto del post è stato censurato nei Paesi UE.
Pretty much https://t.co/0hspV4roFj
— Elon Musk (@elonmusk) December 7, 2025
In precedenza, Musk aveva bollato l’UE come un «mostro burocratico», accusandone la dirigenza di «soffocare lentamente l’Europa fino alla morte». Il miliardario, che ha spesso denunciato l’iper-regolamentazione bruxellese, ha invocato lo smantellamento completo dell’Unione.
«L’UE dovrebbe essere abolita e la sovranità restituita ai singoli paesi, in modo che i governi possano rappresentare meglio i loro cittadini», ha scritto.
Anche l’ambasciatore statunitense presso l’UE Andrew Puzder ha condannato l’iniziativa europea, precisando che Washington «si oppone alla censura e contesterà le gravose normative che prendono di mira le aziende statunitensi all’estero».
Ciononostante, l’UE difende la decisione: la vicepresidente esecutiva della Commissione per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, Henna Virkkunen, ha puntualizzato che la responsabilità ricade unicamente sulla piattaforma di Musk e che «ingannare gli utenti con segni di spunta blu, oscurare informazioni sulle pubblicità ed escludere i ricercatori non è consentito online nell’UE».
Come riportato da Renovatio 21 il tema delle euromulte contro Musk è risalente.
Brusselle aveva valutato l’ipotesi di multe contro X da quando l’ex commissario alla tecnologia UE, Thierry Breton, aveva accusato la piattaforma di non aver controllato adeguatamente i contenuti illegali e di aver violato il Digital Services Act (DSA) dell’UE del 2022. La decisione se penalizzare X spetta ora alla commissaria UE per la concorrenza, Margrethe Vestager.
Come noto al lettore di Renovatio 21, Elone per qualche ragione è assai inviso all’oligarchia europea e a tanta politica continentale, come hanno dimostrato i discorsi del presidente italiano Sergio Mattarella, che pareva attaccare proprio Musk e le sue ambizioni sui social e nello spazio.
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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 4.0
Internet
L’UE attacca le piattaforme che si rifiutano di censurare la libertà di parola: il fondatore di Telegram
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Internet
L’UE multa X di Musk per 120 milioni di euro. Gli USA: «attacco al popolo americano»
Gli Stati Uniti hanno accusato Bruxelles di aver «attaccato» gli americani dopo che l’Unione Europea ha inflitto alla piattaforma social X di Elon Musk una multa da 120 milioni di euro (circa 140 milioni di dollari) per violazione delle norme di moderazione dei contenuti previste dal Digital Services Act (DSA).
La Commissione europea ha reso nota la sanzione venerdì, precisando che si tratta della prima decisione formale di non conformità emessa in base al DSA.
La misura si inserisce in una più ampia offensiva regolatoria dell’UE contro i grandi colossi tecnologici statunitensi: in passato Bruxelles ha già comminato multe da diversi miliardi a Google per abuso di posizione dominante nella ricerca e nella pubblicità, ha sanzionato Apple in base al DSA e alle norme antitrust nazionali e ha penalizzato Meta per il modello pubblicitario «pay-or-consent». Queste azioni hanno ulteriormente inasprito le divergenze tra Washington e l’UE in materia di regolamentazione del digitale.
Secondo la Commissione, le violazioni commesse da X riguardano la progettazione ingannevole del sistema di spunta blu verificata, che «espone gli utenti a truffe», la mancanza di trasparenza nella libreria pubblicitaria e il rifiuto di fornire ai ricercatori l’accesso ai dati pubblici richiesto.
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Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha reagito duramente, scrivendo su X che la multa non rappresenta solo un attacco alla piattaforma, ma «un attacco a tutte le piattaforme tecnologiche americane e al popolo americano da parte di governi stranieri». «I giorni in cui gli americani venivano censurati online sono finiti», ha aggiunto.
Elon Musk ha rilanciato i commenti del commissario FCC Brendan Carr, secondo il quale l’UE prende di mira X semplicemente perché è un’azienda americana «di successo» e «l’Europa sta tassando gli americani per sovvenzionare un continente soffocato dalle sue stesse normative oppressive».
Anche il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance è intervenuto, sostenendo che l’UE sta punendo X «per non aver adottato misure di censura» e che gli europei dovrebbero «difendere la libertà di espressione invece di aggredire le aziende americane per questioni di poco conto».
L’amministrazione del presidente Donald Trump si oppone da anni alle leggi digitali europee, accusandole di essere «progettate per danneggiare la tecnologia americana» e minacciando dazi di ritorsione in risposta a tasse digitali e regolamenti sulle piattaforme.
Bruxelles ribatte che le proprie regole valgono allo stesso modo per tutte le imprese che operano nel mercato unico e riflettono semplicemente un approccio più severo su privacy, concorrenza e sicurezza online.
Le relazioni tra Washington e Bruxelles restano tese su numerosi fronti – commercio, sussidi industriali, standard ambientali e controlli tecnologici – con gli Stati Uniti che accusano l’UE di protezionismo e i leader europei che criticano le misure unilaterali americane in materia di dazi e tecnologia.
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Come riportato da Renovatio 21 il tema delle euromulte contro Musk è risalente.
Brusselle aveva valutato l’ipotesi di multe contro X da quando l’ex commissario alla tecnologia UE, Thierry Breton, aveva accusato la piattaforma di non aver controllato adeguatamente i contenuti illegali e di aver violato il Digital Services Act (DSA) dell’UE del 2022. La decisione se penalizzare X spetta ora alla commissaria UE per la concorrenza, Margrethe Vestager.
Come noto al lettore di Renovatio 21, Elone per qualche ragione è assai inviso all’oligarchia europea e a tanta politica continentale, come hanno dimostrato i discorsi del presidente italiano Sergio Mattarella, che pareva attaccare proprio Musk e le sue ambizioni sui social e nello spazio.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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