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Geopolitica

Dopo il crollo dell’URSS, quello degli USA

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

Tutto ha una fine, anche gl’imperi: gli Stati Uniti come l’Unione Sovietica. Washington ha oltraggiosamente favorito una ristretta camarilla di ultramiliardari. Ora deve affrontare i vecchi demoni: prepararsi alle secessioni e alla guerra civile.

Washington ha oltraggiosamente favorito una ristretta camarilla di ultramiliardari. Ora deve affrontare i vecchi demoni: prepararsi alle secessioni e alla guerra civile

 

 

 

Gli schieramenti che si stanno affrontando negli Stati Uniti, i Jacksoniani e i Neo-puritani, vogliono sopraffarsi l’un l’altro. I primi parlano d’insurrezione, i secondi auspicano la repressione, ma entrambi si preparano allo scontro. A tal punto che due terzi dei cittadini si preparano a loro volta alla guerra civile.

 

 

L’ottica jacksoniana

I Jacksoniani prendono il nome dal presidente Andrew Jackson, che prima della guerra di Secessione si oppose all’istituzione della Federal Reserve (banca centrale indipendente). Per un secolo sono spariti dalla scena politica per riemergere con l’elezione alla Casa Bianca di uno di loro: Donald Trump. Si oppongono ai legami incestuosi fra le banche private e la banca centrale USA, istituto che emette il dollaro.

 

In molti Stati federati gli addetti allo spoglio dei voti delle elezioni del 3 novembre 2020 hanno avuto disposizione di espellere gli osservatori e tappare le finestre degli uffici elettorali. Indipendentemente dal risultato, le elezioni sono state pertanto private di legittimità democratica.

 

Gli schieramenti che si stanno affrontando negli Stati Uniti, i Jacksoniani e i Neo-puritani, vogliono sopraffarsi l’un l’altro. I primi parlano d’insurrezione, i secondi auspicano la repressione, ma entrambi si preparano allo scontro

Il problema non è sapere chi sia stato eletto, ma cosa fare ora che il patto nazionale è stato infranto.

 

Il Secondo emendamento della Costituzione USA attribuisce ai cittadini il dovere di armarsi e organizzarsi in milizie per difendere, se minacciata, la libertà dello Stato.

 

Quest’emendamento fa parte della Dichiarazione dei Diritti (Bill of Rights), la cui adozione fu presupposto irrinunciabile perché i cittadini, che avevano combattuto per l’indipendenza, accettassero la Costituzione redatta dalla Convenzione di Filadelfia.

 

Due terzi dei cittadini si preparano a loro volta alla guerra civile

Il Secondo emendamento, che prevede che ogni cittadino possa detenere armi da guerra di ogni tipo, ha reso possibili i massacri che hanno ripetutamente funestato la società statunitense. Nonostante il costo in vite umane, l’emendamento è tuttora vigente perché essenziale all’equilibrio del sistema politico statunitense.

 

Per l’appunto, secondo il 39% degli statunitensi ricorrere alle armi contro autorità corrotte non è un’opzione, bensì un dovere; il 17% ritiene sia giunto il momento di agire (1).

 

In ogni Stato federato gruppi armati si stanno preparando a manifestare il 20 gennaio, giorno dell’intronizzazione di Joe Biden a Washington. L’FBI teme gravi sommosse in 17 Stati.

 

Il problema non è sapere chi sia stato eletto, ma cosa fare ora che il patto nazionale è stato infranto.

Si possono esaminare questi fatti da qualsiasi lato e accusare gl’insorti – molto diversi fra loro – di essere «cospirazionisti» o «neo-nazisti», o entrambe le cose. Sta di fatto che la loro rivolta è l’unico atteggiamento legittimo rispetto alla storia e al Diritto degli Stati Uniti.

 

Si può sminuire la rivolta limitandola alla bizzarra ed effimera presa del Campidoglio del 6 gennaio, ma rimane il fatto che trattasi di avvenimenti non collegati: il fine non è affatto rovesciare il potere legislativo, ma neutralizzare l’insieme della classe politica e procedere a nuove elezioni, questa volta trasparenti.

 

I cittadini che protestano contro «il furto del sistema elettorale» sono soprattutto elettori di Donald Trump, ma non solo. Non recriminano per la sconfitta di Trump, ma per un problema di fondo: la tutela della trasparenza come requisito irrinunciabile della democrazia.

 

Si possono esaminare questi fatti da qualsiasi lato e accusare gl’insorti – molto diversi fra loro – di essere «cospirazionisti» o «neo-nazisti», o entrambe le cose. Sta di fatto che la loro rivolta è l’unico atteggiamento legittimo rispetto alla storia e al Diritto degli Stati Uniti

L’opacità dello spoglio dei voti ha scatenato le passioni, già in subbuglio dopo la crisi finanziaria 2007-2010. All’epoca la maggioranza della popolazione non accettò il piano di salvataggio delle banche per 787 miliardi di dollari del presidente Barack Obama (che andarono ad aggiungersi ai 422 miliardi di dollari per le acquisizioni di prestiti inesigibili volute dal presidente George W. Bush).

 

Milioni di cittadini che si ritenevano «già sufficientemente tassati» (Taxed Enough Already) fondarono i TEA Party, in riferimento al Boston Tea Party, che diede il via alla guerra d’indipendenza. Questo movimento contro le pesanti tassazioni, imposte per salvare ultramiliardari, si affermò sia a destra sia a sinistra, come dimostrano le campagne della governatrice Sarah Palin (Repubblicana) e del senatore Bernie Sanders (Democratico).

 

L’imponente declassamento della piccola borghesia, dovuto alle conseguenze della delocalizzazione, induce ormai il 79% degli statunitensi ad affermare che l’«America sta affondando»; una percentuale di disillusi senza equivalenti in Europa, a eccezione dei Gilet Gialli francesi.

 

È indubbiamente poco probabile che le eventuali rivolte del 20 gennaio si trasformeranno in rivoluzione. Ma è un movimento che da una decina d’anni si sta facendo strada nella popolazione. Conta già un numero di adepti in tutto lo spettro politico sufficiente per ingaggiare la battaglia e per durare.

Si può sminuire la rivolta limitandola alla bizzarra ed effimera presa del Campidoglio del 6 gennaio, ma rimane il fatto che trattasi di avvenimenti non collegati: il fine non è affatto rovesciare il potere legislativo, ma neutralizzare l’insieme della classe politica e procedere a nuove elezioni, questa volta trasparenti

 

 

Il punto di vista neo-puritano

I gruppi che al contrario dei Jacksoniani si scatenano contro il presidente tutt’ora in carica, Donald Trump, sono altrettanto certi di essere dalla parte della ragione. Come il lord protettore Oliver Cromwell, si richiamano a una morale superiore alla Legge; a differenza dei repubblicani inglesi però non s’appropriano di riferimenti religiosi: sono calvinisti, ma senza Dio.

 

Vogliono creare una Nazione per tutti, non insieme agli avversari, ma escludendone chi non la pensa come loro. E si rallegrano per la decisione di Twitter, Facebook, Instagram, Snapchat e Twitch di censurare i contestatori della regolarità delle elezioni. Non importa che queste multinazionali si arroghino un potere politico che contravviene al Primo emendamento della Costituzione, dal momento che condividono il medesimo concetto di Purezza: la libertà di parola non vale né per gli eretici né per i trumpisti.

 

Trasportati dal proprio zelo, procedono alla riscrittura della storia di questa Nazione, la «luce sulla collina» venuta per illuminare il mondo. Cancellano ogni coscienza di classe e magnificano ogni minoranza, non per quanto fa, ma per il fatto di essere minoritaria. Epurano le università, praticano la scrittura inclusiva, sacralizzano la natura selvaggia, distinguono l’informazione dalle fake news, abbattono statue di grandi uomini. Oggi tentano di destituire Trump, non perché avrebbe organizzato la presa del Campidoglio, ma perché è difensore di chi lo ha occupato. Nessuno di questi eretici può avere un posto al sole.

È indubbiamente poco probabile che le eventuali rivolte del 20 gennaio si trasformeranno in rivoluzione. Ma è un movimento che da una decina d’anni si sta facendo strada nella popolazione. Conta già un numero di adepti in tutto lo spettro politico sufficiente per ingaggiare la battaglia e per durare

 

Nel XVII secolo i Puritani praticavano confessioni pubbliche per poter accedere alla vita eterna. Nel XX secolo i loro successori, i Neo-puritani, per assicurarsi l’immortalità non smettono di battere il mea culpa per il «privilegio bianco» di cui pensano aver goduto.

 

Ultramiliardari come Jeff Bezos, Bill Gates, Arthur Levinson, Sundar Pichai, Sheryl Sandberg, Eric Schmidt, John W. Thompson e Mark Zuckerberg sono promotori di una nuova ideologia che propugna la superiorità dell’uomo digitale sul resto dell’umanità. Sperano di sconfiggere le malattie e la morte.

 

Da molto tempo queste razionalissime persone hanno rinunciato alla ragione, al punto che secondo i due terzi degli statunitensi è ormai impossibile intendersi con loro su questioni elementari. Parlo dei neo-puritani, non dei trumpisti.

Una parte del Potere è già passata dalle istituzioni democratiche alle mani di pochi ultramiliardari. Gli Stati Uniti che abbiamo conosciuto non esistono più. È iniziata la loro agonia.

 

Il fanatismo dei puritani ha già causato la Guerra civile inglese, la guerra d’Indipendenza statunitense e infine la guerra di Secessione. Il timore primario del presidente Richard Nixon era che questo fanatismo aprisse una quarta guerra che dilanierebbe gli USA. Ed è proprio questo il punto in cui ci troviamo.

 

Una parte del Potere è già passata dalle istituzioni democratiche alle mani di pochi ultramiliardari. Gli Stati Uniti che abbiamo conosciuto non esistono più. È iniziata la loro agonia.

 

 

 

NOTE

(1) Ipsos Poll: Game changers, gennaio 2013, 2021.

 

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

Fonte: «Dopo il crollo dell’URSS, quello degli USA», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 19 gennaio 2021

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Geopolitica

Trump: Zelens’kyj deve essere «realista»

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Il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che Volodymyr Zelens’kyj deve fare i conti con la realtà del conflitto contro la Russia e con l’urgenza di indire nuove elezioni.

 

Il mandato presidenziale quinquennale di Zelens’kyj è scaduto a maggio 2024, ma il leader ucraino ha sempre escluso il voto per via della legge marziale in vigore. Vladimir Putin ha più volte sostenuto che lo Zelens’kyj non può più essere considerato un interlocutore legittimo e che la sua posizione renderebbe giuridicamente problematico qualsiasi accordo di pace.

 

Mercoledì Trump ha affrontato la questione Ucraina in una telefonata con i leader di Regno Unito, Francia e Germania. «Ne abbiamo parlato in termini piuttosto netti, ora aspettiamo di vedere le loro risposte», ha riferito ai giornalisti alla Casa Bianca.

 

«Penso che Zelens’kyj debba essere realista. Mi domando quanto tempo passerà ancora prima che si tengano le elezioni. Dopotutto è una democrazia… Sono anni che non si vota», ha aggiunto Trump, sottolineando che l’Ucraina sta «perdendo moltissima gente».

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Il presidente americano ha poi sostenuto che l’opinione pubblica ucraina sia largamente favorevole a un’intesa con Mosca: «Se guardiamo i sondaggi, l’82 % degli ucraini vuole un accordo – è uscito proprio un sondaggio con questa cifra».

 

Trump ha insistito sulla necessità di chiudere rapidamente il conflitto: «Non possiamo permetterci di perdere altro tempo».

 

Secondo Axios e RBC-Ucraina, Kiev ha trasmesso agli Stati Uniti la sua ultima proposta di pace. Zelens’kyj , che fino a ieri escludeva elezioni in tempo di legge marziale, ha dichiarato mercoledì di essere disposto a indire il voto, a patto però che Stati Uniti e alleati europei forniscano solide garanzie di sicurezza.

 

Il consenso verso Zelens’kyj è precipitato al 20 % dopo uno scandalo di corruzione nel settore energetico che ha travolto suoi stretti collaboratori e provocato le dimissioni di diversi alti funzionari. Trump ha più volte invitato il leader ucraino a tornare alle urne, ribadendo che la corruzione endemica resta uno dei problemi più gravi del paese.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Geopolitica

Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela

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Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.   L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.   «Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.   Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».   Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.  

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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.   Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.   Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.   Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».   Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.   Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.   «L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.   Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».   Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».  

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Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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